Skip to main content

Full text of "Poesie di Vincenzo Monti"

See other formats


Google 



This is a digita] copy of a btx>k ihal was preserved l'or general ions ori library shelves before il was carcl'ullv scaimcd by Google as pari of a project 

to make the world's books discovcrable online. 

Il has survived long enough l'or the copyright lo espire and the hook to enter the public domain. A public domain hook is one ihat was never subjecl 

lo copyright or whose legai copyright lenii has expired. Whether a book is in the public domain may vary country lo country. Public domain books 

are our galeways lo the past. representing a weallh ol'history. culture and knowledge ihat's ol'ten dillìcult lo discover. 

Marks. notaiions and other marginalia present in the originai volume will appear in this file - a reminder of this book's long journey from the 

publisher lo a library and linally lo you. 

Usage guidelines 

Google is proud to partner with libraries lo digili/e public domain malerials and make ihem widely accessible. Public domain books belong to the 
public and wc are merely their cuslodians. Neverlheless. this work is expensive. so in order lo keep providing this resource. we bave laken steps lo 
prevent abuse by commercial parlics. nicliiJiiig placmg Icchnical reslriclions on aulomated querying. 
We alsoasklhat you: 

+ Make non -commerciai use of the fi Ics Wc designed Google Book Search for use by individuai, and we reunesl that you use these files for 
personal, non -commerci al purposes. 

+ Refrain from au tornateli //iicrying Dono! send aulomated (.|ueries ol'any sorl to Google's system: II' you are conducting research on machine 
translation. optical characler recognilion or olher areas where access to a large amounl of lexl is helpful. please contaci us. We cncourage the 
use of public domain malerials l'or illese purposes and may bc able to help. 

+ Maintain attribution The Google "walermark" you see on each lìle is essenlial for informing people aboul ibis project and hclping them lind 
additional malerials ihrough Google Book Search. Please do noi remove it. 

+ Keep it legai Whatever your use. remember that you are responsive for ensuring ihat whal you are doing is legai. Do noi assume that just 
because we believe a book is in the public domain for users in ihc Uniteci Siatcs. ihat ihc work is also in the public domain for users in other 

counlries. Whelhcr a book is siili in copyright varics from country lo country, and wc can'l offer guidancc on whclhcr any specilìc use of 
any spccilic book is allowed. Please do noi assume ihal a book's appearance in Google Book Search means it can be used in any manner 
anywhere in the world. Copyrighl iiifriiigcmenl liability can bc quite severe. 

About Google Book Search 

Google 's mission is lo organize the world's information and to make it uni versiti ly accessible and useful. Google Book Search helps readers 
discovcr ihc world's books wlulc liclpmg aulliors and publishcrs rcach new audicnecs. You cari scardi ihrough the full lexl ol'lhis book un the web 
al |_-.:. :.-.-:: / / books . qooqle . com/| 



Google 



Informazioni su questo libro 



Si tratta della copia di Liliale di lui libro clic per gcncraz ioni e sialo conservala negli scalTali di Lina biblioteca prima di essere digitalizzalo da Google 

nell'ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tulio il mondo. 

Ila sopravvissuto abbaslan/a per non essere più proietto dai diritti di copyright e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio ò 

un libro che non è mai stato protetto dal copyright o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classi lìcazionc di un libro come di pubblico 

dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l'anello di congiuri/ione con il passalo, rappresentano un patrimonio storico. 

culturale e di conoscenza spesso diflìcile da scoprire. 

Commenti, note e altre annotazioni a margine presemi nel volume originale compariranno in questo lìle. come testimonianza del lungo viaggio 

percorso dal libro, dall'editore originale alla biblioteca, per giungere lino a te. 

Linee guide per l'utilizzo 

Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili. 
I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter 
continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l'utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa 
l'imposizione di restrizioni sull'invio di query automatizzate. 
Inoltre ti chiediamo di: 

+ Non fare un uso commerciale di questi fi/e Abbiamo concepito Google Ricerca Libri per l'uso da parie dei singoli utenti privati e li chiediamo 
di utilizzare questi lìle per uso personale e non a lini commerciali. 

+ Non inviare queiy automatizzale Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della 
traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti 

invitiamo a conlallarei. Incoraggiamo l'uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto. 

+ Conserva la fili gran a La "iìtignuni' (walermark) di Google che compare in ciascun lìle è essenziale per informare gli utenti su questo progetto 
e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi trainile Google Ricerca Libri. Non rimuoverla. 

+ Fanne un uso legale Indipendentemente dall'utilizzo che ne farai, ricordali che è tua responsabilità accertali di farne un uso legale. Non 
dare per scontato che. poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stali Uniii. sia di pubblico dominio anche per gli utenti di 
altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è proietto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un 
determinato uso del libro ò consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può 
essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere mollo severe. 

Informazioni su Google Ricerca Libri 

La missione di Google è organizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalnicnle accessibili e fruibili. Google Ricerca Libri amia 
i lettori a scoprirci libri di tulio il mondo e consci ile ad aulon ed ed i lori di filili lumiere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web 
nell'intero testo di questo libro da |.-.:.:. .-: / .;::::-..-::: .-[le. comi 



3T±5/ %<*S/. 3. 31 



% 



HARVARD COLLEGE 
LIBRARY 




From th< BaqueM of 

MARY P. C. NASH 

IN MEMORY OF HER HUSBAND 

BENNETT HUBBARD NASH 

juriwih ami IW mac sf latita ud Spanili 
,«66-, 8», 



M 



BIBLIOTECA DI CLASSICI ITALIANI ANNOTATI 



* v 



\ 



POESIA 



DI 



VINCENZO MONTI 



con introduzione e commento 



PER CURA 



DI 



GUIDO ZACCAGNINI 



DOTTOR FRANCESCO VALLARDI 



MILANO 

1905 




i 



!''!■ 



I 
l'Ili 



III l'I 



POESIE 



DI 



VINCENZO MONTI 



POESIE 



DI 



VINCENZO MONTI 



scelte, illustrate e commentate 



PER CURA 



DI 



GUIDO Z XIC AGNINI 



CXAJ3A. BDrTHIGB 

DOTTOR FRANCESCO VAtLARDI 

MILANO 

Napoli - Firenze - Roma - Torino - Palermo 

Bologna - Genova - Pisa - Padova - Catania - Cagliari - Sassari - Bari 



Jt*l fó5/.3-^ 



V 



HARVARD 

UNIVERSITY 1 

LIBRARY 
JAN 24 1967 



PROPRIETÀ LETTERÀRIA 



Stabilimenti Riuniti d'Arti Grafiche — Milano, C. Magenta, 48. 



INTRODUZIONE 



h 



H Monti in Romagna e a Roma. 

In una casa campestre a un miglio dalle Altbrisine, presso Fu- 
>ignano di Romagna (1), nasceva il 14 febbraio 1754 da modesta 
famiglia Vincenzo Monti. Fatti i primi studi a Fusignano e 
poi nel seminario di Faenza, ove incominciò ad ammirare i 
classici latini, si ascrisse alla facoltà di giurisprudenza a Fer- 
rara. Ma coll'anima calda di poesia e colla mente ricca di 
tutto lo splendore di cui la classica letteratura in quei primi 
studi l'aveva illuminata, non potè mai piegarsi, com'era ne- 
cessario, agli studi legali, sicché non ne ottenne la laurea. 

Non dispregevoli saggi della sua vocazione alla poesia diede 
Èn dalla sua prima adolescenza, seguendo, com'era naturale in 
quell'età, la terza maniera d'Arcadia, armoniosa e sonora, ma 
gonfia e vacua, di cui era allora il corifeo Carlo Innocenzo 
Frugoni. Studiava intanto con crescente amore la Bibbia, i 
classici nostri, di cui predilesse sopra tutti Dante e l'Ariosto, 
gli scrittori latini e i più grandi delle letterature straniere 
moderne, specialmente lo Shakespeare e il Goethe; e di tutti 
questi conservava nella tenace memoria le bellezze, in modo 
che ne* suoi versi si sente sempre rinnovellato, in forma che 
par quasi originale, ciò che di meglio si ammira nei poeti che 
l'hanno preceduto. 

Ma già un po' più di vigoria e di castigatezza ai suoi versi 
veniva attingendo a Ferrara, dietro le orme di Onofrio Minzoni 
e di Alfonso Varano, e nel 1776 dava quello ch'è certo il miglior 
saggio della sua prima promettente giovinezza nella Visione 
d'Ezechiello in lode dell'abate G-iannotti predicatore, ove, ispi- 
randosi a quel genere fantastico, biblico, delle Visioni del Va- 
rano, mostra già di aver ali sì forti da poter salire più in 

fl) P. Gasparoni, Della vera patria di V. Monti, Roma, Menicanti, 
1853. 

Monti. — Poesie, i 



VI INTRODUZIONE. 

alto del poeta ferrarese. E a più alto volo bramava di spiegar 
le ali: aveva sì composto già qualche poesiòla, qualche ana- 
creontica, qualche elegia amorosa, e non poca lode gli aveva 
procurata la Visione d' Ezechiello, ma l'amor della gloria che 
ebbe sempre potentissimo gli faceva agognare più vasti orizr 
zonti. Mal soffriva di rimanere oscuro a Fusignano o a Maianc 
e, come il Leopardi giovinetto al di là de' suoi monti nativi 
sognava la gloria, insofferente di sentirsi costretto nell'angu- 
sta cerchia della sua umile patria, il Monti fissava cupido lo 
sguardo su Roma, la città che nella sua vita avventurosa e 
gaia tante speranze e cupidigie destava nell'animo del gio- 
vine abate (1). Affrettava col pensiero il sorger di quell'alba 
fortunata che 

la gran partenza illuminar dovea. 

E quest'alba tanto agognata spuntò promettitrice di lieto av- 
venire il 16 maggio 1778, quando fu invitato a trasferirsi a 
Roma dal cardinale legato Scipione Borghese. 

Se la grande capitale del cristianesimo fu in ogni tempo 
ricca di lusinghe e di ridenti speranze ad artisti e a letterati, 
allora soprattutto era larga di tutte le sue attrattive, perchè 
sedeva sul trono pontifìcio un uomo che ambiva emulare nella 
protezione delle arti e delle lettere i fortunati secoli di Augusto 
e di Leone X. Il Monti entrava nell'eterna città proprio quando 
questa faceva rivivere, purtropp > per poco tempo, un eco di 
quegli anni felici. E per gli uomini di chiesa e per i letterati 
specialmente un vero Eden era la Roma di Pio VI (2). 11 Monti, 
giovine abate, bello della persona, di maniere gentili, coll'a- 
nima d'artista, elegante poeta già preceduto da qualche lama, 
riuniva in sé tutte le qualità per essere bene accetto e ap- 
prezzato nella città che l'ospitava. Infatti lietamente lo accol- 
sero le accademie romane , ove colla fecondità che non gli 
venne mai meno poetò instancabile per nozze, per promozioni, 
per feste, ed entrò riverito e stimato nei salotti della più ele- 
gante aristocrazia romana. Intanto nel 1779 faceva stampare a 
Livorno un Saggio di poesie, ove ad ogni passo si sente il 
giovine bramoso di gloria, caldo ancora dell'ammirazione in 
lui suscitata dalla lettura di Omero, di Virgilio e degli altri 

(1) Perché non si cada in errore, si noti che allora si dava il titolo 
di abate anche a chi non era chierico : con questo titolo si distinguevano 
in segno d' onore le persone di studio. Nella seconda metà del 700 le- 
gisti, dottori, scrittori ed anche alcuni stranieri portavano l'abito corto, 
e si facevano dare il titolo di abati. 

(2) Minuta descrizione della vita gioconda eli Roma in queir età si 
può vedere in L. Vicchi, Vincenzo Monti, le lettere e la politica in 
Italia dal 1750 al 1830, Faenza-Roma, 1879-87, I, 24 e sgg. 



IL MONTI IN ROMAGNA E A ROMA. VII 

poeti classici , innamorato della poesia biblica , e , come ab- 
biamo già veduto, fin d'allora studioso ammiratore dei grandi 
poeti stranieri, il Klopstock, il Milton e lo Shakespeare. 

In quello stesso anno mostrava come desiderasse e sapesse 
liberarsi dalla vacuità dell'Arcadia colla bella odo la P)*oso- 
popea di Pericle, recitata nel Bosco Parrasio, quando vi si 
celebrarono i voti quinquennali di Pio VI. E il suo disgusto 
di quella poesia vacua, gonfia, ricca d'ani polle e di parole, com 
manifestava il giovine poeta all'amico marchese E. Albergati 
di Bologna: « Intanto starò aspettando che una età più ma- 
tura mi somministri, con l'aiuto della riflessione, vigore abba- 
stanza da rompere le corna a qualche vamlilo di Parnaso », (1) 
e al Bertola scriveva: « Io sono lontanissimo dal credermi 
capace di ristorare l'avvilita poesia d'oggidì . . .; ma pure, quando 
si trattasse di liberare la povera repubblica di Apollo dall'al- 
trui tirannia, io sarei dei primi ad impugnare le armi. Ba- 
sterebbe il trovar qua e là qualche Cassio e qualche Bruto, e, 
poi gridar libertà. Se voi vi mentite disposto ad una congiura 
io son pronto » (2). Che s:irc*so egli ben impugnare le armi 
per sollevare dall' abbiezione l'italiana poesia, lo mostrò con 
quel mirabile carme in terrine, la Bellezza dell' Universo, che 
nel 1781 recitava nell'Accademia d'Arcadia per le nozze del 
nipote del papa, il duca don Luigi Braschi Onesti, con la con- 
tessa Costanza Falconieri. Un toma di così alta importanza, 
qual'ò la descrizione della creazione e la glorificazione della 
Bellezza, è rimpicciolito d?u Uno impari a cui mira, l'esalta- 
zione dei Braschi e del pontificato di Pio VI. La bella poesia 
non solo gli procurò applausi, lodi a profusione; ma gli aprì 
le porte del palazzo Braschi, ove, invidiata fortuna in quei 
tempi, entrò come segretario di quel duca, per raccomanda- 
zione del quale ebbe più tardi nel 1783 anche l' incarico di 
agente di Rieti a Roma. D' allora in poi non mancarono al 
giovine abate gli onori ; chò Pio YI gli concedeva una pensione 
sopra un canonicato di S. Pietro, poco dopo un'altra pensione 
sopra la parrocchia di S. Egidio nella diocesi di Cesena in 
premio dell'elegante ode L'Amor peregrino, che nell'83 aveva 
indirizzata a donna Costanza. Traendo argomento dal viaggio 
che Pio VI fece a Vienna per placare l'animo dell'imperatore 
Giuseppe II, bramoso di sempre nuove e audaci riforme eccle- 
siastiche, componeva la cantica del Pellegrino Apostolico (3). 

(1) Epistolario di V. M., ed. Resnati, p. 31. 

(2) Ivi., p. 28. 

(3) Certo il M. cantò con sincera ammirazione le virtù apostoliche 
di Pio VI e, per convincersene, basta leggere il seguente brano d'una 
lettera scritta in quel tempo, in cui racconta come lo accolse il papa: 



Vili INTRODUZIONE. 

Di rado s'allontanava da Roma, una volta sola por un tempo 
abbastanza lungo, nel luglio dell'82, dovendo accompagnare i 
suoi signori in Romagna. Tornato a Roma, si faceva ammirare 
nei ritrovi di Maria Pizzelli, ove si adunava in geniali con- 
versazioni quanto di meglio per altezza d'ingegno e fama let- 
teraria si trovasse allora in Roma. 

Intanto colla gaia spensieratezza e l'incostanza della sua età 
giovanile, sospirava prima per la bionda Teresa Petracchi, poi 
per la sua padrona di casa, Clementina Ferretti, e nel 1783 
anche per quella giovinetta Carlotta Stewart per cui pare scri- 
vesse, dedicandoli a un amico e generoso protettore, il principe 
don Sigismondo Chigi, gli Sciolti, che con tanta maestria di 
forma e insuperata armonia seppe derivare dai Milton e dallo 
Shakespeare. 

• Ma i trionfi clamorosi, che avevano avuto le tragedie del- 
l'Alfieri, gettavano nell'animo del giovine poeta i semi d'una 
generosa emulazione. nel salotto della Pizzelli o altrove egli 
udì parlare del successo che aveva allora avuto V Antigone del 
poeta astigiano, e forse egli stesso la vide rappresentare in 
Roma. Ad ogni modo è certo che acuti stimoli sentì fin d'allora 
nell'animo, che lo spronavano ad emulare la gloria del tragico 
fortunato, e si mise attorno ad una prima tragedia, l'Aristo- 
demo, che, finito nei primi del 1780, leggeva e faceva recitare 
in sale private, sostenendo egli stesso la parte di Aristode:) o 
e Teresa Pikler , bellissima giovinetta trilustre che doveva 
fra non molto essergli sposa, la parte di Cesìra: la faceva 
poi stampare coi tipi celebrati del Bodoni a Parma. Intanto 
era la nuova tragedia acclamata sulle scene di Parma, e poi 
al Valle in Roma, ove ottereva l'approvazione anche di Wol- 
fang Goethe che era presente alla rappresentazione e che così 
incoraggiava il poeta a comporne di nuove. A questa prima 
tragedia di schietta ispirazione alfieriana ne succedette infatti 
nello stesso anno un'altra, frutto dell'ammirazione del poeta 
per lo Shakespeare, il Galeotto Manfredi, che fu rappresentato 
per la prima volta al Valle nel carnevale del 1787 ; inoltre il 
Mon'i mise mano al Caio Gracco, che fu stampato e rappre- 
sentato la prima volta a Milano. 

Già qualche anno prima, facendo anch' egli eco ai clamori 
che dovunque nei seminarli , nelle scuole , nelle accademie , 
aveva levato la nuova mirabile invenzione dei globi aposta- 
tici, recitava in Arcadia l'ode A Montgolfier, e poneva mano 

« Mi presentai pieno di timore e ne uscii pieno di tenerezza ; e quando 
gli baciai i piedi nell'atto che stava per montare in carrozza per andare 
a fare una passeggiata mi vennero agli occhi le lacrime . . » (Epistol. ed. 
Resnati, p. 29). 



IT. MONTI IN ROMAGNA E A ROMA. IX 

alla Feroyimde^ continuandola poi a varie riprese fino agli 
ultimi anni della sua vita. 

*Ma purtr <ppo anche per il nostro poeta dovevano giungere 
i giorni insti ad amareggiargli la gioia dei meritati trionfi; 
il primo gennaio 1785 gli moriva il padre Fedele Maria, e la 
poca accortezza del buon vecchio, abilmente sfruttata dal fra- 
tello don Cesare, era stata purtroppo causa di non poca diffi- 
denza tra i fratelli. Inoltre la fama crescente del Monti in 
Roma gli aveva destato contro l'invidia e la gelosia dei molti 
poeti e letteratuzzi che, meno fortunati di lui, avevano viste 
sfumare ad una ad una tutte le loro rosee speranze: prima 
ebbe ad armeggiare colla penna intinta un po' nel veleno con 
Gian Gherardo de' Rossi, che l'aveva punzecchiato colle sue 
maldicenze, poi coll'abate Giuseppe Battista Lattanzi di Nemi, 
che era rimasto offeso nella sua vanità di letterato da un giu- 
dizio poco benevolo che il Monti aveva dovuto dare, per in- 
carico del principe Braschi, d'un suo infelice poemetto (1). 

Man mano che l'astro della fortuna del Monti saliva ra- 
diante al di sopra degli astri minori, che in gran numero, ma 
con debole luce, splendevano nelle numerose accademie della 
grande città, cresceva l'invidia e il livore intorno al nome del for- 
tunato poeta. E, a dire il vero, non poco incentivo all' invidia 
e alla gelosia degli emuli dava il poeta stesso, che non sapeva 
accarezzare, né tollerare con uno sdegnoso silenzio, la vanità 
dei poetastri che delie loro garrule ciancie empivano le sale 
delle accademie romane. Onde si trovò fatto bersaglio bene 
spesso a calunnie e a satire maligne, e fu costretto a ripagare 
della stessa moneta gli avversarli. 

Un malaugurato sonetto a S. Niccola da Tolentino, dedicato 
a Costanza Braschi che stava per partorire, gli suscitò contro 
i sarcasmi di parecchi poeti, che lo derisero con mordaci so- 
netti (2). Alcuni arrivarono tant'oltre, che lo accusarono, e forse 
non a torto , perfino di relazioni amorose con la Braschi. A 
tutta quella schiera di corvi gracchiane rispose col terribile 
sonetto caudato Al padre Quirino. Non erano ancora calmate 
le ire che quel fiero sonetto aveva destate, che nuova e più 
aspra contesa ebbe a ingaggiare coli' abate G. B. Gianni. Costui 
mal soffriva un rivale nell'arte d'improvvisare, nella quale, se 
aveva non poca gonfiezza e stravaganza, pure colpiva la fan- 
tasia e l'orecchio per una certa grandiosità d'immagini e fa- 
cilità di versi e di rima. Questa contesa, che ebbe origine da 



(1) Questo primo attrito fu causa della lunga guerra di cui un'eco è 
nella Mascheroni ana, ov'é flagellato a sangue il Lai t anzi. 

(2) Sono tutti riferiti dal Vicciu, II, 434 e sgg. 



x IaTroduzioxt:. 

una improvvisazione fatta dal Monti d'un idillio Eloisa alla, 
tomba di Abelardo, si trascinò, intramezzata da brevi periodi 
di pace, fino quasi all'anno in cui morì quello sciagurato poeta, 
cioè fino al 1822. Anche contro un grande, che pure altamente 
ammirava, dovè acuire gli strali della satira, contro l'Alfieri, 
che in un sonetto aveva sfolgorato di tutta sua forza lo 
stato pontificio : la sua condizione di segretario del papa lo 
costrinse a rispondere con un acre sonetto a quello dell'asti- 
giano (1). 

Per fortuna il Monti non sempre occupava il suo tempo nelle 
incresciose battaglie letterarie, né sprecava l'ingegno grande 
nelle pompose tornate accademiche ; ma le conversazioni con 
amici veramente degni di lui, come E. Q. Visconti, il Cunich 
ed altri, ingagliardivano la mente del poeta romagnuolo già ben 
nutrita di forti studi. Nel 1788, trovandosi con scelti amici 
nella casa di Fabrizio Ruffo, allora prelato e poi cardinale, 
concepì il disegno di tradurre l'Iliade. Una sera il letterato 
Saverio Mattei sostenne che i tentativi così poco fortunati fatti 
dal Ceruti, dai Salvini, dal Cesarotti di tradurre il magnifico 
poema omerico mostravano ormai essere impossibile rendere 
quella mirabile poesia nella nostra lingua conservandone la 
semplicità, la leggiadria e insieme la solennità. Per smentire 
l'asserzione del Mattei, il Monti si mise a tradurre qualche brano 
in ottave, poi in versi sciolti, e, lavorando a varie riprese, 
ma per lungo tempo, a quella traduzione, la compì solo molto 
più tardi, il 20 gennaio 1810. Non sapendo di greco, attinse a 
molte versioni latine: a quella fedelissima del Cunich (2), a 
quella pedestre e scolorita del Salvini (3) e ,a quella che in 
prosa avea stesa il Cesarotti, prima di darne la versione, o me- 
glio parafrasi poetica, che tutti sanno e che gli meritò quella 
mordace caricatura che rappresentava Omero vestito da zer- 
binotto parigino, all'invenzione della quale non fu forse estra- 
neo il Monti (4). Ricorse inoltre ai consigli degli amici : ai 
Mustoxidi (5), ad E. Q. Visconti (6), al Giordani, al Biamonti 
e allo Strocchi, ma più che ad altri, attingendo in se stesso una 
mirabile facilità di verso elegante, vario, armonioso, seppe ri- 

(1) G. Dkl Pinto, Il sonetto dell'Alfieri contilo Roma, nella Nuova 
Rassegna dir. da L. Lodi del 22 aprile 1894, e G. Mazzoni, Un sonetto 
di V. M. contro l'Alfieri, nel Fanfulla della Domenica, an. I, n. 14. 

(2) Honxeri Ilias versibus latinis eoepressa, Roma, 177(5. 

(3) Anche questa versione aveva visto la luce nel 1770. 

(4) Vicchi, II, 509. 

(5) Lettera ed osservazioni sull'Iliade volgarizzata del cav. Vin- 
cenzo Monti, nelle Prose varie del cav. Andrea Mustoxidi, Milano, Bet- 
toni, 1821, p. 175. 

(6) Mustoxidi, op. cit., pp. 254 e 255. 



IL MONTI IN ROMAGNA È A ItOMA. XI 

vestire di veramente « care itale note » l'ira del Pelide Achille 
e la sua versione rimase modello insuperato ai traduttori di 
tutti i paesi. Il Reale Istituto Lombardo dette onorevole giu- 
dizio dell'opera, che ebbe gli elogi dell'Arici, del Lamberti, del 
Valperga di Caiuso, del Ginguenè e del Foscolo. A noi piace, 
più che riferire le parole di questi critici, udire il giudizio da- 
tone da Madama di Stael (1), che riportiamo dalla traduzione 
che ne fece il Giordani: « L'Europa certamente non ha una 
traduzione omerica di bellezza e di efficacia tanto prossima al- 
l'originale, come quella del Monti : nella quale è pompa e in- 
sieme semplicità: le usanze più straordinarie della vita, le ve- 
sti, i conviti, acquistano dignità dal naturale decoro delle frasi: 
un dipinger vero, uno stile facile ci addomestica a tutto ciò che 
ne' fatti e negli uomini d'Omero è grande ed eroico. Niuno 
vorrà in Italia per lo innanzi tradurre la Iliade : poiché Omero 
non si potrà spogliare dell'abbigliamento onde il Monti lo ri- 
vestì : e a me pare che anche negli altri paesi europei chiun- 
que non può sollevarsi alla lettura d'Omero nell'originale, debba 
nella traduzione italiana prenderne il meglio possibile di co 
noscenza e di piacere. Non si traduce un poeta come col com- 
passo si misurano e si ripetono le dimensioni d'un edificio; ma 
a quel modo che una bella musica si ripete sopra un diverso 
strumento ; ne importa che tu ci dia nel ritratto gli stessi li- 
neamenti ad uno ad uno purchò vi sia nel tutto una uguale 
bellezza» (2). 

In quello stesso anno recitava con molto plauso nell'Arcadia 
i sonetti sulla morte di Giuda, concettosi sonetti ch'erano 
causa di nuove ire cól Gianni, che per gelosia improvvisava 
sul medesimo argomento il suo celebre sonetto, di gran lunga 
inferiore però a quelli del suo emulo. L'anno seguente, per 
preghiera dell'amico Bodoni che a Parma preparava una delle 
sue più belle edizioni, quella deW Aminta del Tasso, dedican- 
dola alla marchesa Anna Malaspina, componeva gli endecasil- 
labi con cui il valente tipografo voleva accompagnare la dedica. 

Intanto una fiera burrasca politica veniva a turbare quel 
quieto vivere romano, e un'eco paurosa del trionfo della rivo- 
luzione dell'89 in Francia e più tardi delle conseguenti vitto- 
rie delle armi repubblicane giungeva anche a Roma, acuendo i 
sospetti e invelenendo vieppiù gli animi contro le novità ol- 

(1) Per le relazioni che passarono fra il p. e la Stael, v. G. Biadego, 
Vincenzo Monti e la baronessa di Staèl, Verona, Annichini, 1836. 

(2) Volgarizzamento di un discorso della Baronessa di Staél sulla 
maniera ed utilità delle traduzioni, nel voi. II. degli Scritti editi e po- 
stumi di Pietro Giordani, pubbl. da A. Gussalli, Milano, Borroni e 
Scotti, 1856. 



XII INTRODUZIONE. 

tramontane. Appunto in quel tempo il Monti metteva su fa- 
miglia, sposando Teresa Pikler, figlia d'un incisore in pietre 
dure, il 10 maggio 1791. Mentre ancora lontana da Roma ru- 
moreggiava la tempesta delle passioni politiche, la quiete re- 
gnava nella sua casa, sorrisa Tanno dopo dalla nascita d'una 
vaga bambina, Costanza, e rallegrata anche dal favore del papa, 
che conferiva ai poeta il posto di segretario degli avvocati 
concistoriali. 

Ma presto le vittorie francesi esaltarono gli animi, un nuovo 
fremito di vita si sentiva dappertutto, e anche il Monti provava 
in fondo all'anima disgusto per quella sua vita di cortigiano 
stipendiato: cominciava a scaldarne la mente quel miraggio di 
libertà, di fratellanza universale che, ancora forse non ben 
compreso, appariva oltre l'alpi. Ma in tante agitazioni gli arri- 
deva ancora la quiete domestica , la vita facile nella Roma 
d'allora, e scriveva coll'animo combattuto da opposti pensieri 
VInvito d'un solitario ad un cittadino. 

Nel 1792 il ministero repubblicano di Parigi aveva man- 
dato a Napoli Nicola Giuseppe Hugou de Bassville come segre- 
tario di legazione, e costui, venuto a Roma, nel 1793 si era 
messo audacemente a fare propaganda d'idee repubblicane. La 
sua temerità suscitò un tumulto di popolo, in cui miseramente 
perde la vita (1). Quel latto, che tanto rinfocolò le ire dei Ro- 
mani contro i repubblicani francesi, destò la Musa del nostro 
poeta, che, anche per calmar la tempesta che sentiva rumo- 
reggiargli contro, perchè già cominciava a ingenerare sospetti 
per la sua mal celata simpatia verso il Bonaparte, ne fece il 
soggetto di un poemetto in quattro canti, la Bassvil liana, ove, 
com'era naturale in un segretario dei nipote del papa, ebbe 
severe parole di rampogna contro gli eccessi e gli errori dei 
repubblicani. 

Severo fu il giudizio che di questo poemetto diede il Leopardi, 
che sentenziò essere il Monti un poeta più dell'orecchio e del- 
1 immaginazione che del cuore (2), mentre troppo benevolo gli 
era il giudizio di Francesco Torti, che s'era proposto, mosso da 
eccessiva ammirazione, di provare, che il Monti era superiore a 
Dante (3). Più vero e perciò più giusto è il giudizio che ne 

(1) Per questa uccisione, v. oltre l'opera cit. del Vicchi, Les Fran- 
cais a Rome pendant la convention, Roma, Forzani, 1892, e G. Sforza, 
L' assassinio del Bassville, in Archivio Stor. ital., serie V, tomo IV, 
drép. 5." e G.\ 

(2) Leopardi, Operette morali. 

(3) Torti, Antipurismo, Foligno, Tomasini, 1829. Forse più del giu- 
sto benevolo gli era stato anche il Foscolo che, pur biasimandolo per 
avere cantato « altri argomenti d'occasione, piuttosto che violentar sé 
medesimo una volta sola, e adoprarsi con intenso e costante ardore nella 



IL MONTI TX ROMAGNA E A ROMA. SITI 

ha dato recentemente un critico , dicendolo : « Un poema , 
dove, sotto la scorza variegata dello stile, elaborato, secondo 
gli esemplari classici da un lato, e quelli di Dante dall'altro cor- 
rono succhi desunti da ogni parte: dalla Bibbia, dal Klopstock, 
dal Varano. Agli amatori della melliflua poesia d'Arcadia parve 
che troppo di Dante vi fosse, altri invece ne fa ai poeta un 
titolo d'onore. Più che a Dante, a dir vero, avrebbero i con- 
lemporanei dovuto, nel leggere la Bassrilliana, ripensare al 
Varano di cui vi è palese l'efficacia, sebbene le Visioni siano 
senza paragone minori di bellezza; ma s'intende come i quattro 
canti in terza rima, nati da un fatto recente, e coloriti, senza 
arcaismo, di audaci pennellate, simulanti le dantesche facessero 
allora chiamare il poeta un Dante redivivo » (1). La Bassvil, 
liana, che può a ogni modo ritenersi il capolavoro dei Monti- 
perche in essa mostrò quanto potesse la sua fantasia e dette 
alla terza rima una plasticità di forma e un'armonia che mai 
forse potè essere superata, se fruttò al poeta onori e lodi non 
piccole, fu per lui anche fonte di amarezze, di sospetti, di dif- 
fidenze che in seguito solo a stento e con non poche umilia- 
zioni riuscì a sopire. Certo, nonostante il calore che seppe 
infondervi, egli vi sostenne idee non pienamente rispondenti 
a ciò che in quel tempo sentiva de' nuovi fatti che stavano per 
rigenerare la società. 

Più tardi, con altra voce ornai, con altro vello, libero da 
timori che ne avessero potuto ottenebrare il pensiero e falsare 
la coscienza, confessò pentito il suo fallo in un altro poemetto 
di sensi interamente opposti, La Superstizione, e questa con- 
fessione, sebbene ce ne rivoli il cuore buono e mite, ce ne 
mostra l' animo non certamente eroico , ma piuttosto con 
estrema facilità accensibile ad ogni sentimento che gli de- 
stasse nobili e generosi pensieri e trasmutabile in mille guise 
appunto per questa sua naturale impressionabilità. Si senta 
questa confessione che noi non abbiamo alcuna ragione per 
non ritenere sincera: 

Una fredda paura al cor mi serra, 
E mi risveglio a quell'orribil vista 
Con tutte Tonde degli affetti in guerra, 

continuazione della Bassvilliana fino alla battaglia di Watterloo », ag- 
giungeva : « non v'ha dubbio, che se egli si fosse appigliato a questo par- 
tito, avrebbe oramai un posto cosi vicino a Dante , come Virgilio già 
lo ebbe presso il sommo cantore di Achille {Saggi di critica storico-let- 
teraria, Firenze, Le Monnier 1862). 

(1) G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano, Vallardi, p. 5. Per la derivazione 
evidentissima della Bassvilliana dalla Divina Commedia, v. G. Trenta, 
Delle benemerenza di V. M. verso gli studi danteschi, ecc., Pisa, 
Sporri, 1891. 



XIV INTRODUZIONE. 

Ma la pia moglie del mio stato avvista 
M'abbracciava gridando: mio consorte, 
Consorte mio, che hai? Che ti contrista? 

11 furor, risposto, mi cerca a morte 
De* sacerdoti, via fuggir m'invita 
11 cielo, e Tore per fuggir son corte. — 

E sarà senza me la tua partita, 
Barbaro ? soggiungea ; così ti cale 
Della tua sposa ahi lassa e di sua vita ì 

Se le lagrime mie, se coniugale 
Tenerezza il pensier non ti consiglia, 
E nulla questo mio volto più vale, 

Vaglia almen la pietà della tua figlia; 
Ove oimè l'abbandoni ? — E in questa il pianto 
Due ruscelli facea delle sue ciglia. 

Desta in suo queto letticciuol frattanto 
La meschinelia pargoletta intese 
11 materno singulto e il pio compianto, 

E gridando e plorando ambo protese 
Dalla sponda le mani, in fin che stretto 
La madre il caro pegno alfin riprese : 

E del padre lo pose al nudo petto 
Che infiam mossi e spetrossi. Allor veloce 
La ragion surse del paterno affetto. 

Scorrean dirotte e m'impedian la voce 
Le lagrime, ma forte il cor parlava, 
Ch'angusta a tanta piena era la voce. 

E fervido baciava ed abbracciava 
L'amato peso ; e non più di paura 
Ma di pietade il cor mi palpitava. 

Cosi di padre e di marito cura 
Costrinsemi mentir volto e favella, 
E reo mi feci per udir natura; 

Ma non merta rossor colpa s\ bella. 

E tornava a confessare il suo fallo in una lettera a Fran- 
cesco Salii, convinto repubblicano, che con sentimenti del tutto 
opposti ai suoi aveva cantato la morte del Bassville e che di- 
rigeva a Milano il Twmometro politico (1). La scusa è peggiore 

(1) Riferirò di questa lettera qualche brano Uà i più importanti : 
« Io era l'intimo amico dell'infelice Bassville ; esistevano in sue mani, 
quando fu assassinato, delle carte che decidevano della mia vita; mi spa- 
ventavano le incessanti ricerche che facevansi dal Governo per iscoprirne 
l'autore; m'impediva di fuggire il doloroso riflesso che la mia fuga 
avrebbe portato seco la rovina totale di mia famiglia. Non più sonno, né 
riposo^ né sicurezza; il terrore mi aveva sconvolta la fantasia, mi ag- 
ghiacciava il pensare che i preti son crudeli, e mai non perdonano, non 
mi rimaneva in somma altro espediente che il coprirmi d'un velo, e non 
sapendo imitare l'accortezza di quel Romano che si finse pazzo per cam 
pare la vita, imitai la prudenza della Sibilla, che gittò in bocca a Cer- 
bero l'offa di miele per non essere divorata. Potrei qui rivelare altre più 



IL MONTI IN ROMAGNA E A ROMA. XV 

della colpa, perchè questa non v'era, o se pure vi fu, poteva 
essere attenuata dalla condizione in cui si trovava allora il 
poeta, quella invece ci è prova della debolezza d'animo diluì, 
che accusa sé stesso per accattare l'altrui benevolenza. 

Nell'anno stesso in cui scriveva la Bassvilliana, cominciò 
un altro poemetto, la Musogonia, nella quale, narrata l'origine 
delle Muso, era suo intendimento, seguendo la bella fantasia 
del Gray nel Progress of the Poesy , come più tardi fecero 
anche il Foscolo e il Manzoni nelle Grazie e ne\V Urania, ac- 
compagnarne il trionfale viaggio dalla terra d'Omero a quella 
d'Orazio e di Virgilio e, attraverso alle sventure che esse do- 
vettero soffrire all'arrivo de' barbari, seguirne il corso fino a 
Dante e al Petrarca (l), ricondurle dal cielo sulla terra a be- 
neficare gli uomini incivilendoli e congregandoli in società , 
ma il bellissimo disegno non potò essere per intero attuato e 
e il poemetto rimase interrotto. Anche così come esso è, e di 
fattura squisitamente classica, vi spira ancora, come nella Bas- 
svilliana , uno spirito antifrancese , sebbene qua e là vi sia 
qualche timido accenno alle vittorie repubblicane. 

Frattanto Napoleone Bonaparte colla campagna del '94-95, 
sconfitti i Piemontesi e gli Austriaci, aveva cangiato faccia alle 
cose dell'Italia superiore, e aveva portato dappertutto sul suo 
passaggio insieme colle sue armi vittoriose le idee abbaglianti 
della francese rivoluzione. Col congresso di Reggio si creava 
la Repubblica Cispadana, e poco dopo si costituiva la Repub- 
blica Cisalpina, e le destre italiane si stringevano fraternamento 
all'ombra del vessillo bianco, rosso e verde. Il Monti, che già 
abbiamo veduto predisposto ad accogliere le nuove idee, sentiva 
scaldarsi l' anima, per natura entusiastica, di nobili sensi. Il 
Bonaparte, arriso sempre dalla vittoria che ne guidava la marcia 
trionfale, rivolge le sue armi anche contro lo Stato pontificio, 
e, rotto l'armistizio che prima aveva concluso col papa, nel 1797 
ne invade il territorio, e costringe l'inerme Pio VI ad accet- 

cose gravissime, la cognizione delle, quali compirebbe la mia discolpa, 
ma vi sono alle volte dei segreti terribili , che non si possono violare 
senza il comando di chi n' è partecipe , ed é pur meglio di lasciar de- 
bole talvolta la propria difesa, che il mancar d'onestà, di prudenza, di 
gratitudine ». All'accusa che gli si faceva che non si poteva avere scritto 
così altamente, se non si erano profondamente sentite le cose cantate 
rispondeva: « Alla quale imputazione risponderò schiettamente che, 
costretto a sacrificare la mia opinione, mi sono adoperato di salvare, se 
non altro, la fama di non cattivo scrittore ». E più sotto seguitava: « Ho 
malamente impiegate in quella santa Babilonia molti anni della mia vita; 
ma quale vi sono entrato, tale ne sono uscito, e se in quel pelago di re- 
ligiose ribalderie ha naufragato la mia pace, il mio ingegno, la mia for- 
tuna, non vi ha naufragato sicuramente la mia ragione. . . . ». 
(1) Viccm, III, p. lui. 



XVI INTRODUZIONK. 

tare il duro trattato di Tolentino. Frattanto il Monti, che ormai 
non si curava più di nascondere la sua propensione per i Francesi, 
diveniva sempre più sospetto all'aristocrazia ed alla corte, ed 
era fatto bersaglio alle calunnie degli emuli e degl' invidiosi. 
Ormai biso v . nava rompere gl'indugi, arrivava colla sua Teresa 
perfino a prender parte ad una festa in casa d'un ufficiale 
francese, e stringeva sempre più cordiali relazioni coi Francesi 
residenti a Roma. La notte del 3 marzo 1797 con meraviglia 
di tutti e non poco rammarico del principe Braschi, che per 
tanti anni l'aveva protetto e ospitato, il Monti fugge nasco- 
stamente da Roma, chiuso nella corrozza del colonnello fran- 
cese Marmont , lasciando la moglie e la figlia (1). Infiniti fu- 
rono in Roma i commenti su questa improvvisa fuga, e un 
mordace poeta, Matteo Berardi, gli lanciava dietro un sonetto 
terribile di cui mi basta riferire le prime due quartine per 
farne comprendere la straordinaria virulenza: 

Cui tozzo in man, colla bisaccia in collo 
Strappandosi i pidocchi dalla chioma, 
Questo infame carnefice d'Apollo 
Si rotolò da Fusignano a Roma. 

Poi fatto pingue nitido e satollo 
Calcitrò come vii bestia non doma; 
Feri gli uomini, e il ciel, dio alfine un crollo 
Dell'odio universal sotto la soma. 



II 

Il Monti nella Cisalpina e nel regno italico. 

Il Marmont era diretto per Milano, ma il nostro poeta si 
fermò a Firenze, ove ritrovava il Gianni e con lui, dopo un 
breve armistizio, attaccava nuova guerra. Di là si recò a Bo- 
logna, capitale della Cispadana, dove volle dare alle stampe il 
primo canto del Prometeo, con cui intendeva d'incominciare 
la sua dolorosa palinodia. Poco dopo nel luglio era a Milano. 
La capitale della Cisalpina era allora il cuore delle nuove 
repubbliche , che si erano venute formando in Italia per ef- 
fetto delie vittorie di Napoleone, e a Milano erano convenuti 
letterati da ogni parte d'Italia, il Fantoni, il Cerretti, il Ma- 
scheroni , Pietro Verri, il Parini , il Pindemonte , il Salfì , il 
Lattanzi, il Gianni, lo Strocchi ed altri ancora. Ma il Monti 

(1) Per questi fatti, cfr. T. Casini, Il cittadino V. Monti, in Nuova 
Antologia, 15 giugno 1894. 



IL MONTI NELLA CISALPINA E NEL REGNO ITALICO. XVII 

capì subito che troppe erano le diffidenze, i sospetti che si 
avevano di lui : umiliato più volte fu costretto a scendere 
e salir per l'altrui scale e a soffrire in silenzio l'alterigia dei 
demagoghi trionfanti. Oh come era più dolce la quiete in Roma 
tra le ammirazioni e gli ossequi degli amici e de' principi 
Braschi! E presto alle umiliazioni si aggiunsero anche le ac- 
cuse , che i più caldi Cisalpini si scagliarono contro il mal- 
capitato autore della Bassvilliana e più fieramente degli altri 
il Gianni e il calabrese Francesco Salfì, il primo mosso dal- 
l' odio contro 1' emulo temuto , il secondo per sincero ardore 
repubblicano e per il disgusto che sentiva per l'incostante con- 
dotta del poeta romagnolo. Che cosa restava a fare al Monti, 
che pur voleva ad ogni costo, come avea fatto a Roma, pre- r 
pararsi a Milano un riposato albergo all' ombra, del berretto ^ 
frigio , dinanzi a quella fitta gragnuola df accuse con cui lo 
assalivano e nei privati ritrovi e nei giornali? Se ammirava 
l'anima intemerata e forte di Giuseppe Parini, e di quella am- . 
m trazione resta monumento onorevole e per il lodato e per il 
lodatore la Mascheroniana , non aveva la forza di seguirne 
il magnanimo esempio e, poco decorosamente invero, si scusò, 
come abbiamo veduto, colla lettera ai Salfi, e accettò volentieri 
la difesa d'un giovine poeta, il Foscolo, che si studiò di difen- 
derlo dagli assalti non d3l tutto immeritati coìY Esame su le 
accuse contro V. Monti. 

Ma ben comprendeva il poeta che bisognava , per convin- 
cere i repubblicani inveleniti contro di lui, dar prova di amore 
alla libertà in versi non meno ispirati di quelli con cui ne 
aveva detestati gli eccelsi, e scrisse il Fanatismo, la Super- 
stizione, il Pericolo in terzine e il Prometeo in sciolti (1). Mai, 
come in questi poemetti , aveva espresso idee più ardite : vi 
malediceva la Chiesa, implacabile avversaria d'ogni giustizia 
e d'ogni bene, cantava il Bonaparte come l'invocato liberatore 
dell' Iralia, e inneggiava con parole davvero ispirate parole alla 
libertà: 

Dolce dell'alme universal sospiro 

Libertà, santa dea, che de* mortali 

Al fin l'antico adempi alto desiro, 
Vieni ed impenna a questo canto Tali, 

Libertà bella e cara; e all'arco mio 

Del vero adatta e di ragion gli strali (2): 

(1) Dedicava quest'ultimo poemetto « al cittadino Napoleone Bonaparte 
comandante supremo dell'armata d'Italia ». 

(2) E con ugual calore la cantava nelV Inno per la festa del 21 gen- 
naio 1799: 

Oh soave dell'alme sospiro 
Libertà, che del cielo sei figliai 



ì 



XVIII INTRODUZIONE. 

tanto che il suo migliore critico , lo Zumbini , ammirando il 
calore quasi giovanile di quei versi, esce in queste parole: « E 
bello veder tanta potenza d' arte congiunta a tanto caldo di 
cuore. Oh, se il Monti avesse scritto sempre così! » (1). E se 
si dovesse prestare intera fede alle parole del poeta, si dovrebbe 
bene ammirare l'intento che l'animava a scrivere il Proineteo : 
«e meritar bene di una patria libera, scrivendo finalmente da 
uomo libero ». Col Prometeo aprì la serie dei poemi napo- 
leonici, e l'iniziò in modo degno davvero del grande che pren- 
deva a celebrare, perchè questo poemetto in quattro canti è 
una delle opere migliori del Monti e per l'arte che l'abbella e 
per il concetto che l'informa. 

Popò tanta tempesta alla fine apparve un po' di sereno, e 
nell' agosto del '97 ebbe un ufficio nella segreteria centralo 
degli affari esteri. In quei giorni, rinnovellato di novelle fronde, 
componeva una canzone Per il congresso oV Udine , quando 
si preparava il trattato di Campoformio, e, mentre egli con 
impeto giovanile cantava: 

Mòrti si; ina non vinti, 
Ma liberi cadremo, e armati, e tutti: 
Arme, arme fremeran le sepolte ossa, 
Arme i figli, le spose, i monti, i flutti : 
E voi cadrete, o troni, a quella scossa, 

e sospirava per la liberta di Venezia tradita , in un inno che 
fu cantato in una pubblica festa dinanzi ai capi del governo 
in Milano, ed esortava i giovani a prepararsi a nuove battaglie 
con un'ode Nella rassegna di sessanta Ussari Cisalpini, l'o- 
pera sua più bella di ben altri tempi, la Bassvilliana, il 16 ot- 
tobre era bruciata da' suoi avversari sulla piazza del Duomo 
con altre carte liberticide. Come si vede, i sospetti e le diffi- 
denze, fomentate anche dall'odio de' nemici vecchi che aveva 
vinto colla potenza dell'ingegno, e de' nuovi che ne invidiavano 
la fama e ne temevano la franca parola, ancora non gli da- 
vano tregua. 

Se però aveva molti nemici, aveva anche amici sinceri, e 
per l'aiuto di questi nel novembre del 1798 fu mandato com- 
missario dell' Emilia e della Romagna con Luigi Oliva , per 
dare un equo ordinamento a quelle provincie. L* opera sua 
e del suo compagno fu buona e immune dai vizi che allora 
deturpavano le nuove amministrazioni repubblicane; per questo 
appunto, e per l'opera malvagia d'un marchese ravegnano, Ales- 

(1) B. Zumbini, Sulle poesìe di Vincenzo Monti, Studi, Firenze, Lo 
Mounier, 1886, p. 130. 



IL MONTI NELLA CISALPINA E NEL REGNO ITALICO. XIX 

Sandro Guiccioli, che li denunziava al Gran Consiglio, furono 
presto richiamati, e i due troppo onesti e zelanti amministra- 
tori per quei torbidi tempi furono costretti a discolparsi dinanzi 
al Corpo legislativo. Per fortuna 1' Oliva con un efficace di- 
scorso seppe convincere i membri di queir assemblea , e per 
questa volta i nemici del Monti dovettero macerarsi nel livore 
d'una meritata sconfitta (1). 

Non desistettero però dagli attacchi; ma nuovamente cerca- 
rono di nuocergli e riuscirono a fare approvare la legge del 
13 febbraio 1797 contro i poeti reazionari. La legge colpiva 
coloro che dall'anno primo della libertà avessero composto 
o ispirato libri diretti a ferire la democrazia. Ma anche questa 
volta la vittoria non fu intera , perchè la legge non fu ap- 
plicata, e il Monti non fece altro che passare dal suo ufficio 
nella segreteria degli affari esteri a quello del Direttorio. Si 
ritrasse poscia da ogni ufficio politico, accettando solo la sop- 
pravvivenza nella cattedra di belle lettere nel Ginnasio di 
Brera, che prima era stata occupata dal Parini. Se gli avver- 
sari non avevano potuto ferirlo a morte , pure riuscirono ad 
impressionarne l'animo di per sé stesso assai eccitabile: d'allora 
in poi cercò studiosamente ogni occasione di dimostrare il suo 
odio alla tirannide e l' amore alla libertà repubblicana. Non 
fu pago di cantare « l'arbore divina di libertà, dove tra fronde 
liete rinverdiva e fruttava la virtù latina », ma nell'inno can- 
tato il 21 gennaio 1799, anniversario della decapitazione di 
Luigi XVI , al teatro della Scala, esultava per la caduta del 
tiranno con lo stesso calore con cui un tempo aveva compianto 
la morte di quel re infelice e imprecato contro i suoi carnefici. 

Intanto straordinari avvenimenti venivano a dare un nuovo 
aspetto alle cose della Lombardia. Napoleone era partito per 
l'Egitto, da cui veniva, attraverso a molte esagerazioni e 
false notizie, la fama di vittorie strepitose, di mirabili marcie, 
di trionfi insperati ; ma la gioia di quelle vittorie era amareg- 
giata dai rovesci che le armi repubblicane pativano in Italia 
dai collegati Austro-Russi, che, soprattutto col valore delSouwa- 
roff e l'accortezza del vecchio maresciallo Mèlas, spazzavano 
dinanzi a loro le disorganizzate forze francesi. E il Monti, come 
il Pindemonte , dinanzi all' irrompente reazione dovè lasciare 
Milano e riparare in Francia. Duri stenti fu costretto a sof- 
frire l'esule per i dirupi alpini, per le faticose balze della Savoia, 
e, narrando a Saverio Bettinelli i patimenti sofferti, gli diceva: 



(1) V. VigcHi, II, 534 e sgg. , Lodovico Corio , V, M. studiato nel- 
l'Archivio di Stato a Milano, in Rivista Europea, voi. IV , fase. I , 
p. 5 e sgg. 



^\ 



\ 



XX INTRODUZIONE. 

« Per non essere di peso a veruno io viveva (è fatto noto e 
mi fo gloria di dirlo) di frutti raccolti colle mie mani sotto 
gli alberi nelle campagne di Chambèry » (1). Il nipote Achille 
Monti, che con calore, se non sempre con storica imparzialità, 
ne ditese la fama, ha qui ben ragione di lodarne l'animo che 
soffre volentieri per amore di quella libertà che con tanto iplen- 
dore di versi aveva cantata (2). 

Raggiunto dalla moglie, che lo soccorse di denaro, potè dopo 
tanti disagi arrivare a Parigi. Ma anche là lo perseguitarono 
le calunnie degli avversari, e per queste perdette la cattedra 
di lettere italiane nel collegio di Francia, che aveva potuto ot- 
tenere dal Direttorio. Può quindi immaginarsi agevolmente 
con quanta gioia salutasse l'alba del giorno felice in cui, dopo 
la battaglia di Marengo, potè ritornare in Italia e rivedere dal- 
l'Alpi nevose, le belle pianure della patria. Della sua esultanza 
ci è prova il bell'inno, composto sui primi del 1801, Il ritorno, 
o, come in altre stampe è detto, Dopo la battaglia di Ma- 
rengo. 

Tornato in patria, potè avere dalla munificenza del vinci- 
tore la cattedra di eloquenza e poesia nell' università pa- 
vese (3) e la carica di assessore per le lettere e le belle arti 
presso il Ministero dell'Interno : d'allora in poi la fortuna pare 
cessasse, da' suoi assalti, e prospera e tranquilla fu per molti 
anni la sua vita. In quei giorni di pace operosa potè comporre 
uno de' suoi più bei poemetti, la Mascheroniana , in cinque 
canti, ove, detestando gli eccessi delia rivoluzione e le ribal- 
derie dei falsi repubblicani , augurava alla travagliata patria 
che il Bonaparte, il quale, rovesciato ormai col 18 Brumaio 
il Direttorio , aveva costituito su più salde basi il suo potere, 
la riordinasse in modo da preservarla dai temuti eccessi, dalle 
possibili reazioni. Questo poemetto, migliore certamente della 
Bassvilliana, è per la temperanza della forma e per i nobili 
concetti che vi sono artisticamente espressi , la migliore di 
tutte le opere del Monti. Anche questa volta il poeta si faceva 

(1) Lete, al Bettin., in Canti e poemi di V. M. a cura di Giosuè Car 
ducei, Firenze, Barbèra, 1802, voi. II. 

(2) A. Monti, Ricerche storiche e letterarie su V. Monti, Roma, 
Barbèra, 1873, p. 43 : « Dopo aver pianto sulla libertà che vide adorata 
in Milano, e che gli parve una prostituta, dopo avere udito i bromi 
di Cristo suonare a doppio per dargli lode cn' era giunto il tiranno 
aveva veduto il paradiso d'Italia desolarsi dallo Scita e dall'Unno; 
aveva dovuto lasciare ogni cosa più caramente diletta, era vissuto per 
molti di, nel doloroso viaggio della Savoia, di poche frutta colte lungo il 

,- cammino, e pure avea saputo dividere lo scarso suo pane con un pove- 
rello che per le vie di Chambèry gli si fece a chiedere l'elemosina ». 

1 (3) Vi fece una prolusione bellissima Dell'obbligo di onorare i primi 

scopritori del vero in fatto di scienze. 



IL MONTI NELLA CISALPINA fi NEL REGNO ITALICO. XXl 

l'eco dei desideri degl'Italiani che chiedevano al Bona parte libe- 
ratore un po' di pace e di calma dopo tante bufere di amici e 
nemici, di repubblicani e reazionari. E d'allora in poi il Monti 
sentì sincera, profonda ammirazione per quello che a lui sem- 
brava il rigeneratore d'Italia, il Veltro dantesco aspettato dalle 
genti. Nominato cavaliere della corona ferrea e della legione 
d'onore e finalmente storiografo onorario , senza l' obbligo di 
scrivere storie, cantò il Bonaparte consoie, il Bonaparte impe- 
ratore, vedendo sempre in lui ad un tempo il possente rige- 
neratore della patria e il suo munifico signore. 

Cantò La incoronazione di Napoleone Re d'Italia, e, pre- 
sentandogli la cantica in terza rima II Beneficio, gli diceva: 
«e Mentre la storia scrivendo le vostre imprese teme di com- 
parire bugiarda al tribunale della posterità, la poesia parlando 
di voi viene per l'opposto a spogliarsi la prima volta di questa 
taccia ». 

A più alto volo si levò nel 1806 col Bardo della Selva Nera 
in cui, prendendo le mosse dalla poesia bardita che era allora 
tanto in voga, fece cantare da un bardo Uliino e da un utìi- 
ciale francese Terigi le prodigiose vittorie di Napoleone. Nei 
brevi canti di quel polimetro non si sa se più ammirare la 
pienezza dello sciolto, o l'armonia delle ottave, o la snellezza 
delle sonanti strofe liriche. E in mezzo a quello splendore d'im- 
magini, a quel lusso di mirabili immaginazioni, che però, per la 
lunghezza del racconto, finiscono coll'ingenerare qualche stan- 
chezza, in mezzo all'apoteosi del grande Napoleone è bello leg- 
gere la minaccia che fa ai tiranni e che indirettamente poteva 
riferirsi anche a Bonaparte: 

Porgete attente 
L'orecchie; e il fato 
Che vi sta sopra, o re fanciulli, udite. 
Dell'innocente 
Sangue versato 
In scellerata guerra 
Conta il cielo le stille e le schernite 
Lagrime tutte della stanca terra. 
Lassù, dov'anco 
11 muto arriva 

Gemer del verme che calcato spira, 
Del Nume al fianco 
Siede una Diva, 
Che chiusa in negro ammanto 
Scrive i delitti coronati, e all'ira 
Di Dio presenta delle genti il pianto. 

Il Monti, che pure ebbe animo buono e generoso (e su que- 

M ositi* — Poesie» u 



XX IT iNTRODtJZtONE. 

sta sua bontà mi piace d'insistere, scrivendo per giovani che 
potrebbero troppo ingiusta antipatia sentire per questo grande 
poeta che ebbe animo se non forte, quasi sempre sincero e 
sempre buono [1]), anche quando levava sulle ali del canto 
armonioso e magnifico il nome dei potenti, non s'inviliva mai 
tanto da dimenticare per la glorificazione altrui l'amore di 
patria che sempre senti purissimo e sincero e che gli faceva 
dire sulla fine d'uno de' suoi poemetti napoleonici, il Bene- 
ficio : 

E fido al fianco mi reggea lo stile 
Il patrio amor, che solo mi consiglia. 

In momenti in cui l'animo suo si ribellava per le tribola- 
zioni che, in nome di Napoleone, vedeva inflitte alla sua pa- 
tria infelice, prorompeva, scrivendo all'abate Fortis, in queste 
parole: « E veramente per aprirti tutto l'animo mio, sono ben 
pentito, o almeno comincio a pentirmi del mio eroe. Egli ri- 
manda Brune nella Cisalpina: vedi se si può aver coraggio di 
proseguire. Nuliadimeno 1' abitudine di lodare un uomo che 
tinora mi è parso il più grande di tutti, mi ha fatto nuova- 
mente cadere nelle sue lodi, dimenticando i mali orribili che 
i suoi generali ci hanno cagionati ». E con più aperta con- 
fessione scriveva a Melchiorre Cesarotti : « Io vo toccando la 
corda pindarica per l'imperatore Napoleone. Il Governo mi ha 
così comandato e mi è forza così obbedire: Dio faccia che l'a- 
mor della patria non mi tiri a troppa libertà di pensieri e che 
si rispetti l' eroe senza tradire il dovere di cittadino ! Batto 
un sentiero ove il voto della nazione non va molto d'accordo 
con la politica, e temo di rovinarmi. Sant' Apollo mi ajuti e 
voi pregatemi senno e prudenza ». 

Il cuore e la mente del Monti erano combattuti, come si 
vede, dal desiderio vivissimo di non dir cosa che suonasse oblio 
de' mali della patria, e nel tempo stesso dalla riconoscenza e 
dall'ammirazione che pur sentiva non meno potente per Na- 
poleone. I giovani imparino non a vilipendere, colla legge- 
rezza propria della loro età, gli uomini che pur sono gloria 
somma della nazione; ma, ammirandone l'ingegno, e compas- 
sionandone le pecche dell'animo, imparino ad essere indulgenti 
per coloro che , se peccarono , ebbero redento il peccato dal 
grande amore che portarono alla patria. 

(1) 11 Mestica, nella biografia che fa del Monti nel suo Manuale 
(p. 41), giustamente osserva come sia nociuto molto al p., che per quasi 
mezzo secolo si sia studiata di lui una parte delle sue poesie, e che 
per opera dei governi dispotici si sia vietata la ristampa di quelle che 
erano più calde di patrioti ismo. 



IL MONTI NELLA CISALPINA E NEL REGNO ITALICO. XXIII 

Il lavora grande che il Monti godeva presso il governo na- 
poleonico fu causa d'una spiacevole rottura fra lui ed Ugo 
Foscolo, resa ancor più dolorosa, perchè troncava bruscamente 
un'amicizia durata ben dodici anni; ma le male lingue de 1 so- 
liti seminatori di discordia, la superba indole d'entrambi rup- 
pero per sempre nel 1809 i dolci vincoli d' un 1 amicizia che 
non si potò più risaldare. 

Ultimi dei poemi napoleonici furono La spada di Federico 
in ottave e la Palingenesi politica, V uno e 1' altro di gran 
lunga inferiori al Bardo della Selva Nera. Nel primo, ispi- 
randosi al Macbeth dello Shakespeare, volle glorificare le batta- 
glie con cui Napoleone atterrò la potenza prussiana, e imma- 
ginò che, nonostante le proteste dell'ombra di Federico il Grande, 
Napoleone impugnasse audacemente la spada di quel famoso 
difensore della sua patria. Dedicando quel poemetto nel 1806 
« alla Grande armata », diceva: « A voi dunque, valorosi duci 
e soldati di Napoleone, io consacro a buon titolo questi versi 
dalla militare virtù vostra inspirati; e dai campi di Marengo 
e di Austerlitz, ove già vostro bardo sto intrecciando corone 
degli allori colà mietuti, io corro per diporto a raccogliervi 
qualche fronda di quelli di lena, finche sono ancora caldi del 
sangue dell'inimico ». Magnanime parole; ma il poemetto riuscì 
confuso e guasto dai difetti che quasi costantemente si notano 
nei poemetti del Monti, anche nei migliori. L'altro poemetto, 
la Palingenesi politica, che vide la luce a Milano nel 1809, 
è tutto in lode di Giuseppe Napoleone, re di Spagna e delle 
Indie. Secondo l'intenzione del poeta doveva essere una specie 
di appendice alla seconda parte del Bardo. Con roventi pa- 
role inveisce contro la Spagna indomabilmente ribelle a Giu- 
seppe Bonaparte che pur voleva colla forza dell'armi insediarsi 
su quel trono, e contro l'Inghilterra che aiutava con tutti i 
mezzi gli Spagnuoli pugnanti con estremo valore contro i Fran- 
cesi. Inoltre, facendo anche in questo poemetto l'apoteosi di 
Napoleone, intese di far di lui uno spirito animatore di tutto 
il mondo civile e morale. 

Poco dopo, nel 1810, celebrò le nozze dell'imperatore con 
Maria Luisa nella bella lirica La Ierogamia di Creta, e l'anno 
seguente cantò la nascita del Re di Roma in una vivace can- 
zonetta Le api Panacridi in Alvisopoli, ove ebbe anche oc- 
casione d'encomiare il veneziano Aloise Mocenigo che aveva 
fondata in mezzo ad estese risaie e a campagne fiorenti la bella 
borgata d' Alvisopoli, prèsso Portogruaro. Poco prima di que- 
sto tempo aveva composta un'ampia cantata, I Pitagorici, che 
nel 1808 fece rappresentare a Napoli con musica del Paisieilo, 
e la dedicò al re Giuseppe Napoleone. Nello stesso genere si 



XXIV mTROMJZtONB. 

era esercitato anche prima, scrivendo per il Teatro filodram- 
matico di Milano la Supplica di Melpomene a Talia col no- 
bile intento di ottenere da Napoleone salutari provvedimenti 
per i teatri, e già nel 1804 aveva fatto rappresentare alla 
Scala un'azione drammatica, il Teseo, ove sotto i nomi degli 
eroi antichi si celano i nomi dei moderni, e in Teseo è glo- 
rificato il Bonaparte. 

Ma già il fulgente astro del còrso fatale stava per tramon- 
tare; l'impero napoleonico minacciato da tutte le parti, minato 
internamente dalla stanchezza di tutti, perseguitato dalla for- 
tuna che più non guidava alla vittoria le aquile de), grande 
capitano, stava per cadere sotto il peso delia sua grandezza. 
Proprio nel suo ultimo poemetto napoleonico, La Palingenesi 
politica, il poeta si fa dire sulla fine del canto dalla musa 
Calliope : 

Vate, in quel buio 

Bolle il vaso dell'ira, e le negre ali 

Spiega già l'Ora del final castigo. 

Se non le tarpa un Dio, fiera di canto 

Avrai materia. 

Con questi versi il poeta, inconsapevolmente profeta, annun- 
ziava all'Italia la caduta della gloria napoleonica e l'avvento 
d'una nuova bufera che doveva, atterrando impetuosa i nuovi 
stati che le armi di Napoleone avevano eretti, restaurare 1 
vecchi troni e riportare l'Italia, travagliata da tante commosse 
vicende, sotto il dominio degli Austriaci. 



III. 



Il Monti dopo la Restaurazione. 

Quando gli alleati nel 1814, caduto il colosso che era stato 
per vari anni arbitro dell'Europa, si riunirono a congresso a 
Vienna, per dare un nuovo assetto al governo de' popoli nuo- 
vamente tornati sotto il loro dominio, il Monti, e ciò gli torna 
ad onore, scrisse un impetuoso sonetto contro la malvagia 
opera di quei liberticidi: 

Come s'aduna degli armenti ai danni 
Stuolo di lupi che Appennin rinserra, 
Cosi suiristro, o perfidi tiranni, 
Voi v'adunate a desolar la terra. 

Proclamando la pace i vostri inganni 
Hanno i dritti dcll'uom posti sotterra, 
Hanno di libertà tarpati i vanni. 
E questa è pace? F. quale ò mai la guerra? 



IL MONTI DOPO LA RESTAURAZIONE. XXV 

Ma l'un sull'altro invan si rassicura; 
Invan credete di calcar le sfere: 
È già presso a crollar Tempia impostura. 

Struggitor di so stesso è un reo potere: 
L'amistà fra ti; anni è malsicura, 
E le fiere talor sbranali le fiere. 

Ma il poeta non abbandonò, come il Foscolo, il paese ove 
tornava la forza a conculcare il diritto, si adattò presto al 
nuovo stato di cose, e chiese al conte di Bellegarde, generale 
austriaco, che gli fosse conservata la pensione di storiografo 
che aveva goduto sotto il vecchio regime. La pensione gli fu 
conservata; ma ebbe a subire una forte diminuzione di. 1200 
lire milanesi. Come aveva fatto altre volte, andava accattando 
meschine scuse per giustificare la sua precedente condotta po- 
litica, per cattivarsi la grazia de' nuovi dominatori, e diceva 
queste biasimevoli parole: « L'adulazione non è privilegio che 
de* poeti, ai quali sol'è concesso (per servirmi delle parole del 
nostro grand* epico), intesser fregi al vero e mentire ». 

Intanto per l'arciduca Giovanni d'Austria, che veniva a ri- 
cevere il giuramento de' sudditi del nuovo Regno Lombardo- 
Veneto, scriveva II mistico viaggio che fu cantato alla Scala 
il 15 maggio 1815, il Ritorno d'Astrea, dedicandolo a Fran- 
cesco I che non lo gradì, dicendo quelle giuste parole: « Egli 
ha lodato tutti ». A queste cantate adulatrici faceva seguire 
nel '19 un inno drammatico, l' Invito a Paììade, per festeggiare 
l'arrivo che si sperava prossimo dell'Imperatore d'Austria, e 
così sulla corda che vibrava ancora delle magnifiche lodi in- 
dirizzate a Napoleone, cantava la felicità, la giustizia tornante 
sul suolo della nostra patria sulla punta delle baionette au- 
striache. 

E questa è parsa ad un egregio critico una trasformazione 
meno giustificabile delle altre (1), e certo a noi che ci siamo 
liberati p9r il valore dei padri nostri dal duro servaggio au- 
striaco è ben doloroso che uno dei nostri massimi poeti abbia 
celebrato nei suoi versi come liberatori d Italia i suoi più 
acerbi nemici. Ma lo stesso critico bene, a me pare, aggiunge: 
< Non credo giusto neanche per questo d'imprecar solo a lui, 
che pur trovò accenti nobili e degni anche in tale occasione, 
mentre una intera generazione , che soccombeva fra le spe- 
ranze deluse e gli strazi di ventanni di guerre incessanti, ac- 
clamava, fra le accumulate ruine, alla pace ed agli alleati li- 
beratori » (2). 

(1) E. Masi , Il Monti, in Fan*ucche e Sanculotti, p. 235. 

(2) E pare anche che le sue adulazioni poco giovassero al p., che ri* 



XXVI INTRODUZIONE. 

i 

Se si ripensa alla storia letteraria di quel procelloso periodo, 
si vedrà che simili trasformazioni politiche furono tutt' altro 
che infrequenti, e nella vita di gran parte de' letterati di quel- 
l'età si vede essere avvenute tali metamorfosi, senza che nò 
i contemporanei, nò i posteri s'invelenissero contro di loro 
per l'incostanza politica di cui purtroppo essi si erano resi 
colpevoli. Gli uomini che si sollevano molto al di sopra della 
mediocrità per altezza d' ingegno o di opere , appunto per 
questa loro eccellenza sono più esposti come alle somme lodi, 
cosi anche ai più bassi dispregi. E tale, secondo me, fu la sorte 
del Monti: ne doveva il Cantù rimproverargli con troppa 
acrimonia le sue illusioni, i suoi mal fondati entusiasmi che 
pure furono le illusioni, gli entusiasmi d' un' intera genera- 
zione (1). 

Sotto gli auspici del governo austriaco, e a spese di quello, 
si fondava intanto la Biblioteca italiana, rivista che aveva 
l'intento , dice il Monti stesso, « di agire sullo spirito della 
nazione, dirigerne l'opinione, ammansare i contrari partiti, 
rintuzzare quelle scabrosità che impediscono il contatto e l'at- 
trazione fra le parti componenti il corpo sociale ». Chi avesse 
voluto non appagarsi di quelle belle parole, ma avesse scrutato 
più addentro quello che vi si nascondeva, avrebbe facilmente 
capito che si mirava ad avvezzare gli animi degl'Italiani alla 
nuova dominazione. Ma il Monti non aveva poi tanti scrupoli, 
e collaborò alia Biblioteca italiana, mentre altri nobilmente 
se ne astennero o, da prima ingannati, se ne ritrassero poi. 
Eppure chi giudicasse il Monti da questi atti, rischierebbe di 
dare di lui un giudizio non giusto, perchè, anche allora che 
metteva la sua Musa al servizio di nuovi padroni, mostrava 
col fatto che portava sempre caldo nel cuore l'amore alla pa- 
tria italiana, e continuava ad attendere con cura crescente 
alia Feroniade, che, come a suo luogo diremo, doveva riuscire 
una glorificazione del Lazio e dell'Italia tutta. In uno degli 
articoli suoi della Biblioteca italiana sono queste nobilissime 

corda le sue fallite speranze nel Dialogo col suo Libro, che precede la 
Proposta di correzioni alla Crusca : Il Lib. : Di altro che di vane epi- 
grafi tu provvedevi una volta alla sorte de* tuoi figliuoli, quando con 
buona dose d'incenso, gl'indirizzavi al Sultano A, al Visir B, al Caima- 

can C VAut. : Verissimo; ma che n* é seguito ? 11 Sultano A , il 

Visir B., il Camaican C, sono andati a gambe levate ; e il bene inviatomi 
da Domenedclio per quella porta é ito in fumo quasi tutto per le fine- 
stre. E a quei poveri miei figliuoli {.requiem aetemam se sono morti» 
che giovano adesso le belle cappe di che li mandai vestiti alla pubblica 
luce? Quelle cappe si sono cangiate in altrettante camicie di Nesso, in 
altrettante maledizioni ». 

(1) Cantù, Il Monti e l'età che fu sua, Milano, Treves, 1879, pas~ 
**m, ma specialmente nelle pp. 349-350. 



IL MONTI DOPO LA RESTAURAZIONE. XXVII 

parole: « La lingua italiana ò l'unico legame d'unione, che nò 
l'impeto dei secoli e della fortuna, né i nostri errori mede- 
simi non hanno ancor potuto disciogliere: V unico tratto di 
fìsonomia, che ci conservi l' aspetto d' una ancor viva e sola 
famiglia ; l'unico amico consolatore, che ne' dolci campi dell'il- 
lusione con pietà religiosa va raccogliendo tacitamente le sparse 
membra d'Absirto. Lascerò che finisca di svolgere dentro sé il 
mio pensiero qualunque degl'Italiani sia tenero della patria: 
né dico già quella patria che certuni misurano dalla lanterna 
delle cupole, ma quella che da una mano tocca le Alpi e dal- 
l'altra la punta di Lilibeo ». 

Frattanto si dedicava interamente agli studi filologici, sebbene 
anche prima ne avesse dati pregevoli saggi : già nel 1804 aveva 
diretto a Giovanni Paradisi le Lettere filologiche sul Cavallo 
alato d'Arsinoe, che tessono con molta dottrina un bel ra- 
gionamento sopra un passo della Chioma di Berenice (1), ed 
anche in queste prose , come aveva fatto assai spesso n< i 
suoi versi, dà sferzate potenti agii avversari che inurbanamente 
lo avevano assalito. Se dopo qualche tempo riusciva, sfogato 
il primo impeto dell'ira, a perdonare le offese, non sapeva in 
un primo momento d'irritazione frenare la collera dinanzi a 
qualche immeritata ingiuria che altri gli lanciasse. E guai al- 
lora a chi lo aveva provocato ! Uno de' più atrocemente ber- 
sagliati fu Salvatore de Coureii che in quel tempo dimorando 
a Pisa scriveva nel Giornale dei letterati. In altre prose, corno 
ad es. nelle lezioni su Omero, Virgilio, Socra t a, i Sofisti, Dio- 
gene e Dante, si mostra più eloquente oratore che dotto. 

Più lunga e certo più utile polemica di quella che abbiamo 
accennata col De Coureii ingaggiò col padre Cesari che so- 
steneva il più assoluto purismo e che avrebbe voluto cristalliz- 
zare la lingua nostra nelle angustie delle forme usate dai 
trecentisti. Intorno al Monti si strinsero non pochi valorosi in- 
tolleranti di quel gretto esclusivismo, e un fiero assalto egli 
mosse , incoraggiato dagli eccitamenti degli amici e dalle in- 
temperanze degli avversari, all'Accademia della Crusca. Con 
efficacia di ragionamento stringente e poderoso, con opportuna 
scelta d'esempi e grazia di forma perspicua e vivace, battè in 
breccia il vecchio edifizio con tanto amore eretto dal Cesari 
e dai cruscanti, e da quella lotta che non fu soltanto una vana 
logomachia, ma proficuo dibattito di menti dotte e assennate, 
uscì la sua migliore opera di prosa, la Proposta di correzioni 
e aggiunte al Vocabolario della Crusca. 

'1) Mi sia permesso di rimandare a proposito di quest' opera a un 
mio art. nella Rasa. crii, d. lett. {tal. di Napoli, an. "Vili, 9-12: « Una 
polemica letteraria del Monti per le lettere filologiche sul Cavallo 
alato d'Arsinoe »• 



X^VITT jINTRODUZIONB. 

JSon inutile parve a molti quella guerra di letterati contro 
ciò che sapeva troppo di municipalismo, e sembrò preludere 
alle guerre generose che "ri più tardi combatterono contro 
chi voleva l'Italia serva e divisa. 

In questa polemica, che durò a lungo, ebbe coadiutore va- 
lente il genero Giulio Perticari, che aveva impalmato la bella 
e intelligente figlia del poeta, Costanza. 

Ma, nonostante l'acume dialettico di cui diede prova in questa 
opera, e la conoscenza della lingua, di cui essa fa testimonianza, 
non può dirsi che il Monti sia stato mai così forbito prosatore, 
come fu eccellente poeta. 

Così egli s'avvicinava all'estrema vecchiezza, sempre pugnace 
spirito, combattendo fiere polemiche. Era egli d'animo impres- 
sionabilissimo, non poteva trovar pace al pensiero di essere 
stato senza ragione attaccato. Se indubbiamente non è verace 
l'epigramma che il Manzoni dettava di lui, in cui gli attribuiva 
il cuore di Dante (che a ben altre e magnanime collere si scal- 
dava potentemente), è certo vero e giusto quel distico greco 
che fu scritto a lettere d'oro nella cassetta contenente il suo 
cuore (1) e che affermava, compendiando in poche parole la 
sua gloriosa e pur tanto tempestosa vita , che quel core fu 
« tanto buono quanto fu sublime la mente di lui ». La col- 
lera aperta e che presto si placa è propria, non si dimentichi, 
d'un animo impetuoso, irrefrenabile, ma sincero e buono. 



IV. 



Gli ultimi anni del Monti e la sua morte. 

Glorioso, ma non sempre lieto, fu il tran nto della vita del 
nostro poeta; non ebbe certo i fulgori che ne allietarono lo 
splendido meriggio dell'età napoleonica. I mali fisici e le sven- 
ture domestiche ne infiacchirono il corpo e ne turbarono l'a- 
nimo. Nel 1822 gli moriva il genero, Giulio Perticari, dolce 
compagno di studi e di polemiche letterarie contro la Crusca 
e i puristi, e il dolore che provò per quella morte il vecchio 
poeta dovette essere ben grande , se gì' ispirò quel bel com- 
pianto che ò nella Feroniade , là dove, ricordando il salcio 
piangente, ha questi melanconici versi: 

(i) La figlia Costanza donò a Ferrara il cuore del poeta chiuso in 
un'urna d'ebano (R. Barbera, H sepolcro del Monti, nel Corr. d. 
atra, 1890, n. 109). 



OLI ULTIMI ANNI DEL MONTI E LA SUA MORTE. XXIX 

Salve, sacra al dolor mistica pianta, 
' E l'umil zolla, che i mortali avanzi 
Del mio Giulio nasconde, in cui sepolto 
Giace il sostegno di mia stanca vita, 
Della dolce ombra tua copri cortese (1). 

Un'insoffribile malattia d'occhi insieme con una invincibile 
sordità incominciava già a tormentarlo, ed era per lui di 
estremo dolore Tesser costretto a rallentare il consueto ardore 
negli studi. E come se ciò non bastasse, gli erano acute spine 
al cuore le implacabili accuse, le aspre calunnie che alla sua 
cara figlia, alla vedova del Perticari, si lanciavano dai pa- 
renti e dagli amici del morto (2). Un' eco dolorosa dell'ama- 
rezza che dovè sentire il vecchio poeta per la fiera guerra fatta 
all'amata figlia è in questi affettuosissimi versi, ove, cercando 
con dolci parole di alleviare il dolore dell'infelice, ha anche 
qualche sferzata ben diretta contro i tristi calunniatori: 

E tu, strazio d'amore e di fortuna, 

Tu derelitta sua misera sposa, 

Che del caldo tuo cor tempio ed avello 

Festi a tanto marito e quivi il vedi 

E gli parli e ti struggi in vóti amplessi, 

Da trista e cara illusìon rapita, 

Datti pace, o meschina ; e ti conforti 

Che non sei sola al danno. Odi il compianto 

D'Italia tutta; i monumenti mira 

Che alla memoria di quel divo ingegno 

Consacrano pietose anime belle 

E, se tanto d'amore e di cordoglio 

Argomento non salda la ferita 

Che ti geme nel petto, e forza cresce 

Al generoso tuo dolor l'asciutto 

Ciglio de' tristi, che alla voce sordi 

Di natura e del ciel né d'un sospiro, 

Nò d'un sol fiore consolar l'estinto, 

Dolce almeno ti sia, che su l'avaro 

Di quell'ossa sacrate infando obblio 

Freme il pubblico sdegno e fa severa 

Delle lagrime tue giusta vendetta (3). 

Così, combattuto dalle sventure, dagli assalti de' nemici che 
ancor non si quietavano, dai mali fisici che si venivano ag- 
gravando, invecchiava melanconico il poeta. 

Ma, se il corpo s'infiacchiva, l'ingegno mandava ancora lampi, 

(1) C. I, 257-261. 

(2) E. Masi, Op. cit., al cap. « La figlia di V. Monti », 

(3) C. I, 262-284. 



XXX INTR0DUZ10NK. 

e l'animo, sotto il cumulo delle memorie, stretto dalle sven- 
ture, pareva farsi più dolce nella melanconia, e il verso ac- 
quistava una doJcezza pensosa che scende commovente nel- 
l'anima del lettore. Quanta dolcezza mista alla più accorata 
mestizia spira ne' versi bellissimi per T Onomastico della sua 
donna! Quanto affetto calmo e sereno corre soave in quel li- 
brettino, che scrisse nel '22, Un sollievo nella malinconia! 
Gli si oscurava sempre più la vista, ma non gli si ottenebrava 
l'intelletto, e il poeta nel bel sonetto Sopra sé stesso can- 
tava: 

Se l'acume . . . . è già distrutto 

Della veduta corporal, più vivo 

Dentro mi brilla rocchio intellettivo 

Che cielo e terra abbraccia e suo fa il tutto. 

Qualche volta si distraeva da' mali e dalle melanconie con 
altri argomenti, e nel '25, ad esempio, scriveva Le nozze di 
Cadmo e d'Ermione; ma ormai le corde della sua lira da- 
vano a preferenza suoni dolcemente mesti, e in quelli riusciva 
ancora poeta grande, perchè sincero. 

Cercava intanto un refrigerio ai mali fisici nell'aure fresche 
e balsamiche della Brianza, a Cernobbio sulle rive del Lario, 
ove l'accoglieva la signorile ospitalità dell' amico Carlo Lon- 
donio, o nella bella villa di Oaraverio, ove lo confortavano le 
amorose cure d'un altro ospite amico, Luigi Aureggi, o a Ornate 
presso G. Giacomo Trivulzio, o a Sesto presso l'astronomo 
Barnaba Oriani. Per esercizio di stile, nei brevi momenti in 
cui gli dava qualche tregua la malattia agli occhi, traduceva 
un episodio della Tunisiade del Pvrker (1), ed era finalmente 
presso a finire, dopo quasi quaranta anni di lavoro, la Feroniade. 
Questo poemetto per la finitezza della forma ben può dirsi 
una lucentissima gemma della nostra letteratura, e ne' suoi 
tre lunghi canti circola una così calda rievocazione di Roma 
antica e dell'Italia che questo amore alla nostra patria glo- 
riosa che per entro vi alita deve, almeno in parte, redimere il 
poeta dalla fama non bella che ebbe sempre per la -sua in- 
costanza politica. 

Ormai presso alla tomba, ebbe ancora un impeto di giovi- 
nezza, quando, disgustato delle fosche immaginazioni poetiche 
de' romantici più audaci , lanciò contro di loro il Sermone 
sulla Mitologia, che pubblicò nel '25 a Genova per nozze il- 
lustri e che ebbe lodi ed ammirazioni anche dagli avversari. 
I romantici avevano un tempo sperato di aver un aiuto nel 

(1) Assai prima aveva tradotto nel 1801 la Pulcelìe d'Orléans del 
Voltaire e in altro tempo le satire di Persio, 



GLI ULTIMI ANNI DEL MONTI E LA SUA MORTE. XXXI 

nome e nell' autorità del Monti , che già aveva dato non 
dubbi segni di volere avvicinarsi a loro nella BassvilUana , 
nei Bardo della Seloa Nera, nel Galeotto Manfredi e nel 
Caio Gracco; ma rimasero sconcertati allorché uscì il Ser- 
mo le, ove, ammirando l'ideale bellezza degli dei antichi e le 
immagini d'Omero, si lanciavano potenti strali contro « l'au- 
dace scuola boreal » che riempiva le carte di spettri e di te- 
tre fantasie. Se la bella poesia del Monti non valse ad arre- 
stare il dilagare del Romanticismo, non può dirsi nemmeno 
riuscisse telum imbelle sine ictu, che sempre possenti furono 
i colpi scagliati dalla mano poderosa di lui. I romantici più 
caldi la dissero una « classica cianciarulla », e gli risposero 
in versi e in prosa; ma quella poesia rimane coll'ode Gli dei 
della Grecia dello Schiller l'ultimo, sebben vano assalto mosso c^y 
alla nuovissima scuola. 

Ma i mali usici non gli davano requie, ed una paralisi per 
due volt 3 violentemente lo assalì, e ne fiaccò a poco a poco 
la vigoria. Egli si spense in Milano il 13 ottobre 1828. 

Sul carattere dell uomo grande, ma tanto combattuto e in 
vita e in morte, vario è stato il giudizio. Dal Giordani e da 
Achille Monti, che, come abbiamo detto, con dottrina, ma anche 
con troppa benevolenza difese la sua massima gloria gentilizia, al 
Cantù e al De Sanctis, che con eccessiva severità lo giudica- 
rono, v' è tutta una serie intermedia di opinioni (1). Che 
cosa sia da pensare della sua condotta politica, ho già detto 
più volte e abbastanza, sicché non mi pare necessario ripe- 
terlo. A ogni modo, per ciò che si debba credere di lui 
come uomo, mi par bene lasciare la parola al Giordani che, 
se può credersi essergli stato più dei giusto benevolo per af 
fetto d'amico, d'altra parte per l'intimità che ebbe con lui 
potè conoscerne i pregi e i difetti tutti dell'animo, e perciò fu 
in grado di darci di questi e di quelli un quadro che non po- 
trebbe desiderarsi più chiaro e più particolareggiato. 

Da questo quadro balza intera agli occhi di noi posteri 
ormai lontani dal grande poeta romagnuolo la sua figura, sim- 
patica pur nei suoi difetti , o almeno non degna di troppi 
acerbi rimproveri: « Poiché la bontà del mio amico fu nota e 
provata a quanti lo conobbero, degni di amarla; e non meno 
la conobbero gì' indegni , che troppi , e troppo l'abusarono. Ma 
quelli che non lo videro, e molte generazioni future che nei 
suoi scritti leggeranno parole superbe e sdegnose, potrebbero 
leggermente crederlo assai diverso da quello che fu. 

(1) Fra questi critici che ebbero a giudicare il Monti si vedano 
specialmente, oltre quelli citt. : F. Corazzini, In difesa di V. M., Ferrara 
T^ldei, 18G9, e A. Garavini, Difesa di V. M., Genova, 1889. 



XXXII INTRODUZIONE. 

Però ci ò necessario avvertire, che egli quando si fece ri- 
prenditor veemente di quelli che studiano ad ingannar il ge- 
nere umano o ad opprimerlo, compiè il debito di poeta civile; 
quando poi, o essendo o credendosi offeso, punse altrui. non per 
causa pubblica, ma per suo proprio dolore , non fu mai con- 
citato da stimoli d'odio o d'invidia ; ma trasportato da un tor- 
rente di fantasia: la quale in lui (somigliandolo a Cicerone) 
soverchiò le altre parti della mente e dominò la vita. Egli 
per verità pronto a divampare in isdegni, non sempre giusti, 
ma brevi e placabili, altrettanto fu incapace d'odio; anzi ris- 
pondeva coi benefìzi alle ingiurie ; poco sapendo guardarsi da 
nuove offese d'ingrati, e d' ingannatori. Nella severa maestà 
del suo volto (sì vivamente rappresentata dalla scultura di 
Giambattista Comolli), la grazia (non rara) di un sorriso dolce 
e delicato rilevava pienamente un animo sincerissimo e affet- 
tuoso. E la sincerità fu perfetta; che ne voleva, nò poteva 
dissimulare, non che fìngere ver un pensiero, e perciò dete- 
stava forte ogni falsità e simulazione; così avesse saputo da 
falsi e simulati difendersi! Quell'anima nobilissima ignorò af- 
fatto l'invidia nell'estimare gl'ingegni e gli studi altrui quasi 
troppo liberale; nel giudicare i vizi e le virtù piuttosto molle 
che rigido; nel far congettura delle indoli, semplice, e siccome 
corrivo a immaginarsi il bene, cosi facile ad ingannarsi: pla- 
cabile ai tristi con facilità deplorabile; affabilissimo anche agli 
sconosciuti; amico agli amici con fede e tenerezza singolare. 
Ingrandiva ogni minimo servigio che ricevesse, e alla ricono- 
scenza non poneva termine: compativa tutte le afflizioni: 
avrebbe voluto soccorrere tutti i bisogni; amava e favoriva 
tutti i merit\: e della grazia che giustamente godette presso 
i potenti cercò profìtto non per se stesso, ma per altrui. Stu- 
diò di non dispiacere a' potenti : e perchè il giuoco di fortuna 
è insolente, e spesso nel suo teatro gì' istrioni si cambiano: 
perciò il buon Monti necessitato di voltare quando a Ponente 
e quando a Settentrione la faccia, non potè sfuggire dal bia- 
simo di quelli che nel poeta vorrebbero gravità e costanza 
di filosofo; e a lui diedero colpa di mutate opinioni. Ma egli 
non vendette la coscienza, non mai, né per avarizia, né per 
ambizione; e nemmeno si può dire che mentisse a sé stesso. 
Lo fece apparire mutabile una eccessiva e misera e scusabile 
timidità; la quale egli stesso confessava ai più stretti amici 
dolente. E si consideri che a lui già famoso non sarebbesi 
perdonato il silenzio. E si guardi che s'egli variamente lusingò 
i simulacri girati in alto dalla fortunevole ruota, non però mai 
falsò le massime; non raccomandò l'errore, non adorò i vizi 
trionfanti, non mancò di riverenza alle virtù sfortunate; sem- 



GLI ULTIMI AKm DEL MONTI B LA SUA MORTE. XXXIII 

pre amò e desiderò che il vero, il buono, l'utile, il coraggio, 
la scienza, la prosperità, la gloria fossero patrimonio di nostra 
madre Italia. In somma chi ha conosciuto intimamente e con- 
siderato bene il Monti, può dire, che le molte ed eccellenti 
virtù che in lui il mondo ammirò, e i tanti suoi amici ado- 
rarono, e quel non molto che alcuni ricusarono di lodare ; 
quella vena beata di poesia e di prosa, quella splendida copia 
d'immagini, quella variata ricchezza di suoni , quella arguta 
abbondanza di modi in tante differenti materie; e similmente 
quelle ineguaglianze e dissonanze, e quasi quei balzi di stile; 
quell'audacia talora di concetti scomposti, e di figure meno 
vereconde : e così quella facilità e mobilita di affezioni: quelle 
paure con piccolo motivo, e così tosto quegli ardimenti con poca 
misura; quelle ire subite e sonanti, con quella tanta facondia 
nell'ira; quelle amicizie sì prontamente calde, e sì fluttuose; 
quella modestia e semplicità di costumi; quella sincerità candi- 
dissima; quella perpetua ed universale benevolenza ; quella, per 
così dire, muliebrità d'indole (che pareva più notabile in corpo 
quasi di atleta, e nella poetica baldanza dell'ingegno), tutto nel 
Monti era parimenti cagionato da prepotenza di passiva im- 
maginazione. 

. . . Sia duro giudice a te, mio carissimo Vincenzo Monti , 
chi vuole e può : a noi sarà caro perpetuamente il rimemo- 
rare con amorosa malinconia, che il poeta riverito in Europa, 
adorato dagli Italiani, l'amico degno di Ennio Visconti e di 
Barnaba Oriani , l'encomiatore del Parini e del Mascheroni , 
visse non meno buono, che grande ». 

Troppo rigidamente severo era stato dunque con lui il conte 
Mei zi d'Eril, quando lo volle escludere dal Senato di cui lo 
aveva ritenuto degno il collegio elettorale de' dotti. 



TAVOLA 



DELLE OPERE E DELLE ABBREVIATURE USATE NELLE NOTE. 



Bertoldi: Poesie di Vincenzo Monti, scelte, illusfratc e commentate cL« 
Alfonso Bertoldi, Firenze, Sansoni, 1891. 

Bertoldi e Mazzatlnti : Lettere inedite o sparse di V. Monti per cura di 
A. Bertoldi e G. Mazzatinti, Torino, Roux. 1892, voli. 2. 

Botta : Carlo Botta Storia d'Italia, dal 1789 al 1814 , Milano, Borroni e 
Scotti, 1844. 

Canti) : Cesare Canti), Monti e l'età che fu sua : Milano, Treves, 1879. 

Carcano : Giulio C arcano, Prose e poesie di V. Monti, con un discorso 
sulla vita e le opere dell'A., Firenze, Le Monnier, 1857, voli. 5. 

Carducci : Conversazioni critiche : Roma, Sommaruga, 1884. 

Carducci e Brilli : Letture italiane, libro quinto : Bologna, Zanichelli, 1SSS 
(3. a ediz.). 

Carducci : Le poesie liriche di v. Mnvti per cura di G. Carducci, Firenze, 
Barbèra, 1862. 

Carducci: Lettera all'abate Saverio Bettinelli di V. Monti in canti e 
poemi a cura di G. Carducci, Firenze, Barbèra, 1862', voi. II. 

Casini : Tommaso Casini, Manuale di letteratura italiana ad uso dei li- 
cei, Firenze, Sansoni, 1886, voi. I. 

D'Ancona e Bacci : Manuale di letteratura italiana, Firenze, Barbèra, 1S94, 
voi. V, P. I. 

De Castro : Giovanni De Castro, Milano e la Repubblica Cisalpina, Mi- 
lano, Dumolard, 1879. 

De Castro: Giovanni De Castro, Storia d'Italia dal 1799 al 1814 :Mi- 
lano, Vallardi, 1881. 

Della Valle : Giovanni Di lla Valle, Commento alla Bassvilliana di 
V. Monti edito da Arturo Masetti : Bologna, Regia Tipografia. 1889. 

De Sanctis : Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Na- 
poli, Morano, 1879, voi. II. 

De Sanctis : Il Sermone sulla Mitologia del Monti in Saggi critici, Na- 
poli, Morano, 1874, p. 48 e sgg. 

Ferrari: Severino Ferrari, Antologia della lirica moderna italiana, 
scelta, annotata, ecc., Bologna, Zanichelli, 1891. 

Ferrazzi : Jacopo Ferrazzi, Manuale dantesco, Bassano, Pozzato, 1865. 

Fmzi : Giuseppe Finzi, Liriche e poemetti di V. M., scelti ed annotati ad 
uso delle scuole, Torino, Paravia, 1885. 

Fornaciari : Raffaello Fornaciari, Appendice agli Esempi di bello scri- 
vere scelti e illustrati dall' avv. Luigi Fornaciari, Firenze, Paggi, 1883 
(4.» ediz.). 

Franchetti: Augusto Franchetti, Storia d'Italia dopo il 1789, Milano, 
Vallardi. 

Masi : Ernesto Masi, La figlia di V. Monti' in Parrucche e sanculotti nel 
sec. XVIII, Milano, Treves, 1886. 

Mazzoni: Guido Mazzoni, L'Ottocento, Milano, Vallardi, 1903 (ancora in 
corso di pubblicazione). 

Mestica : Giovanni Mestica , Manuale della letteratura italiana, nel 
see. XIX, Firenze, Barbèra, 18S2-87. 

Monti Achille : Lettere di V. Monti e di Costanza sua figlia, Imola, Ga- 
leati, 1873. 

Monti Achille : Vincenzo Monti, ricerche storiche e letterarie, Roma, 
Barbèra, 1873. 

Padovan : G. Padovan, Poemetti e liriche di V. Monti, con note ad uso 
delle scuole, Alba, Sansoldi, 1885. 

Piergili : Giuseppe Pieroili, Poesie di V. Monti, scelte e commentate ad 
uso delle scuole classiche : Firenze, Barbèra, 1889. 



TAVOLA DELLE OPERE E DELLE ABBREVIATURE. XXXV 

Puccianti: Giuseppe Pucci axti, Antologia della. poesia italiana moderna: 

Firenze, Le Monnier, 1872. 
Resnati: Prose varie di V. Monti, Milano. G. Resnati, 1848 (nello Opere 

di V. M., voi. VI). 
Uesnati: Epistolario di V. Monti, Milano, G. Resnati, 1S12 (nelle Opere di 

Y. M., voi. VI). 
Scipioni : Giuseppe Scipione Scipioni, Alcune lettere e poesie di Costanza 

Monti Perticari, in Giorni, stor. della letter. ital., voi. XI, fase. I. 
Sforza: Giovanni Sforza, L'assassinio del Bassville, in Archivio storico 

italiano, serio V, tom. IV, disp. 5.* e 6.* 
Vicchi : Leone Vk'Ohi, Vincenzo Monti, le lettere e la politica in Italia 

dal '750 al 1830, Faenza-Roma, 1879 87 (voli. 4). Questi volumi non li 

cito secondo gli anni in cui uscirono alle stampe, ma secondo l'ordine 

cronologico, relativamente alla vita del Monti. 
Thikrs : Stòria della rivoluzione francese, tradotta da Gaetano Barbieri, 

Milano, Borroni e Scotti, 1854. 
Trenta : Delle benemerenze di V. M. verso (ili studi danteschi, Studio 

comparato della Bassvill. colla Divina Commedia, Pisa, Spùrrl, 1891. 
Zanella : Giacomo Zanella, Storia della Ictt. ital. dalla metà del sette- 
cento ai giorni nostri, Milano, Vallardi, 18S0. 
Zumbini : Bonaventura Zumbini, Sulle poesie di Vincenzo Monti. Stttdi, 

Firenze, Le Monnier, 188rt. 

Avvertenza: Le note che il Monti appose a nini poche delle sue poesie 
e di cui mi sono largamente jriovato. togliendone il superfluo, sono sempre 
contrassegnate colle lettere Mt : quelle che Giovanni Antonio Maggi fece col 
suggerimenti e colTapprovazione del poeta, le ho contrassegnate colle let- 
tere Mg, 



PARTE I. 

LIRICHE 



Prosopopea di Pericle. 

ALLA SANTITÀ DI PIO VI 



Quando nelle rovine tiburtine di Caio Cassio fa ritrovato il busto di 
Pericle, fu posto, per opera del celebre archeologo Ennio Quirino Visconti 
(1751-1818), nel Museo Vaticano a canto al busto d Aspasia, che era stato ri- 
trovato poco prima negli scavi di Civitavecchia. Quest'ode fu scritta nel '70 
per suggerimento del Visconti e fu recitata con grande applauso nel bosco 
Parrasio il 23 agosto per i voti quinquennali in onore di Pio VI , appena 
uscito da una grave malattia. Cfr. Vkthi, Vincenzo Monti, le lettere e la 
politica, ecc. i, 303 e sgg. Fu poi collocata, per volontà del cardinale Boschi, 
in una tavoletta dietro il busto di Pericle (V. Lettere ined. e sparse di V. 
Monti, raccolte da A. Bertoldi e G. Mazzatinti, i, 43). Di là venne tolta 
fra il 1881 e l'82. 11 metro é quello della canzonetta arcadica in strofe te 
frastiche di settenari, alternativamente sdruccioli e piani, questi ultimi sol- 
tanto rimati. Questo metro fu già usato nel cinquecento, ma senza gli sdruc- 
cioli : venne poi in voga nel seicento con rime alternate, gli arcadi vi ag- 
giunsero gli sdruccioli alternati. Illustrò in bel modo quesfode G. Mestica 
nella scritto apparso nella N. Antologia del 1.° settembre 1889 « La prima 
ode di V. M. in Roma ». 

Io de* forti Cecropidi 
Nell'inclita famiglia 
D'Atene un di non ultimo 
Splendor e maraviglia, a 

A riveder io Pericle 
Ritorno il ciel latino, 

1. Io: Per figura di personificazione {prosopopea) parla Pericle stesso. 
— Cecropidi: Cioè Ateniesi, detti cosi perché discendenti da Cecrope, egizio 
venuto nell'Attica, ove insegnò l'agricoltura e le arti e institui il culto 
di Venere. Fu, secondo la leggenda, il primo re d'Atene. 

3. non ultimo : Nota qui la figura di litote (attenuazione). 

5. Io Pericle: Efficace ripresa dell'io del primo verso. Pericle, figlio di 
Xantippo, il vincitore della battaglia di Micale, contribuì non poco allo 
splendore che ebbe Atene dal 470 al 430 a. C. Fu di grande ingegno e di 
maravigliosa eloquenza. Sposò la celebre etera (cortigiana) Aspasia, figlia 
di Assioco di Mileto, donna di alto intelletto, di grande bellezza e di fine 
spirito, onde meritò l'amicizia di Socrate, le lodi di Alcibiade e accolse in 
casa sua il fiore dei filosofi, degli oratori e degli uomini politici della Grecia. 
Pericle mori nel 429 per la peste scoppiata in Atene nel secondo anno della 
guerra peloponnesiaca. 

Monti. — Poesie. 1 



2 PARTE 1. 

Trì'onfator de' barbari 

Del tempo e del destino. 8 

In grembo al suol di Calilo 
(Funesta rimembranza!) 
Mi seppellì del Vandalo 
La rabbia e l'ignoranza. 12 

Ne ricercaro i posteri 
Gelosi il loco e Torme, 
E il fato incerto piansero 
Di mie perdute forme. ig 

Roma di me sollecita 
Se 'n dolse, e a' figli sui 
Narrò Tinfando eccidio 
Ove ravvolto io fui. 20 

Carca d'alto rammarico 
Se 'n dolse l'infelice 
Del marmo freddo e ruvido 
Bell'arte animatrice ; 21 

E d'Adriano e Cassio, 
Sparsa le belle chiome, 
Fra gl'insepolti ruderi 
M'andò chiamando a nome. ss 

Ma invan ; che occulto e memore 
Del già sofferto scorno 
Temei novella ingiuria 
Ed ebbi orror del giorno ; 12 

7. De* barbari : Lo dice trionfatore de 9 barbari, perché essi ne atterra- 
rono a Roma il busto ; ma questo fu dissepolto, e cosi trionfò del tempo e 
del destino, che non riuscirono a tenere occulta per sempre la sua im- 
magine. 

u. Al suol di Catilo: Al territorio di Tivoli, fondata dalTargivo Catilo in 
sieme coi fratelli Cora e Tiburte, dall'ultimo dei quali ebbe U nome. Cfr. 
Virgilio, Aen. vii, 670 : Tum gemini fratres Tiburtìa moenia lincunt, Fra- 
tris Tiburti dictam cognomino gentem Catillusque acerque Coras, argiva 
iuventus. e Orazio, Od. l f xviii, e Feroniade l x 611. 

10. Dei Vandalo: Intendi non soltanto i Vandali, che tanta parte di opere 
d'arte distrussero, ma tutti i barbari, che disertarono l'Italia. 

17. Solleoita : Afflitta , ha qui U senso della corrispondente parola la- 
tina. 

19. Infando : Indicibile (lat.). 

24. BeU'arte animatrice : Bella perifrasi per indicare la scultura che chiama 
infelice, perché tanto decadde nel medio evo. 

27. Fin gl'insepolti ruderi : Fra le rovine della magnifica viUa che l'im- 
peratore Adriano s'era fatta costruire presso Tivoli e dell'altra bella villa 
detta Ca88ianum praedium che C. Cassio Longino aveva lì presso. 

26. Sparsa le belle chiome : Questa costruzione, per la quale il participio 
riferentesi al complemento oggetto si accorda coi soggetto della proposizione, 
riproduce nella nostra lingua l'accus. di relazione, cosi spesso usato in la- 
tino. Cfr. Virgilio, Aen. III. 65: « Et circum Iliades crinem de more so 
lutae ». Col Tasso e col Chiabrera diventò d'uso comune nei nostri poeti. 
Si noti anche l'efficace personificazione della scultura che va cercando fra 
i ruderi delle romane ville di Tivoli il busto di Perirle. 

30. Del già sofferto scorno: Dei danni subiti per mano dei barbari. 



PROSOPOPEA DI PERICLE. 3 

Ed aspettai benefica 
Etade, in cui sicuro 
Levar la fronte e l'etere 
Fruir tranquillo e puro. 86 

Al mio desir propizia 
L'età bramata uscio, 
E tu sul sacro Tevere 
La conducesti, o Pio. 40 

Per lei già l'altre caddero 
Men luminose e conte, 
Perchè di Pio non ebbero 
L'augusto nome in fronte. 41 

Per lei di greco artefice 
Le belle opre felici 
Van del furor de* secoli 
E delTobblio vittrici. 48 

Vedi dal suolo emergere 
Ancor parlanti e vive 
Di Periandro e Antistene 
Le sculte forme argive: 52 

Da rotte glebe incognite 
Qua mira uscir Biante, 
Ed ostentar l'intrepido 
Disprezzator sembiante; 58 

Là sollevarsi d' Eschine 
La testa ardita e balda, 
Che col rivai Demostene 
Alla tenzon si scalda. co 

Forse restar doveami 
Fra tanti io sol celato, 



39. Sol sacro Tevere : In Roma. Inneggia all'età propizia alle arti in cni 
il busto del grande ateniese potè rivedere la luce : il che avvenne quando 
il cesenate Giov. Angelo Braschi divenne papa col nome di Pio VI. Gloria 
del suo pontificato furono gli scavi che ridonarono alla luce opere famose 
di greco scalpello. Il Visconti le descrisse nel Museo Pio dementino e 
nell'Iconografia greca. 

42. Per lei : Per lo splendore dell'età di Pio VI si oscurarono al paragone 
ie altre età. 

51. Periandro : Fu uno dei sette antichi sapienti. Anche di lui era stato 
ritrovato il busto nella villa di Cassio presso Tivoli. — Antistene : Fu filo- 
sofo socratico, maestro di Diogene e fondatore della scuola dei cinici. 

54. Biante : Altro filosofo di Priene nell' Ionia che fu noverato tra i sette 
salienti. È di lui lodato « l'intrepido disprezzator sembiante », perché a lui 
appartiene il celebre detto tramandatoci da Cicerone : Omnia mea porto 
mecum. 

57. Bachine : Il grande oratore ateniese, partigiano della influenza mace- 
done in Grecia (390 circa - 315 av. C), avversario del suo concittadino De- 
mostene (384 circa - 322 av. C), caldo sostenitore della libertà della patria 
e degno della corona d'oro che Ctesifonte gli aveva decretata e per la quale 
scrisse l'orazione Per la corona. 



4 PARTE I. 

E miglior tempo attendere 

Dall'ordine del fato? 61 

Io che d'età sì fulgida 
Più ch'altri assai son degno? 
Io della man di Fidia 
Lavoro e dell'ingegno? «s 

Qui la fedele Aspasia, 
Consorte a me diletta, 
Donna del cor di Pericle, 
Al fianco suo m'aspetta. 72 

Fra mille volti argolici 
Dimessa ella qui siede, 
E par che afflitta lagnisi 
Che il volto mio non vede. 76 

Ma ben vedrallo : immemore 
Non son del prisco ardore : 
Amor lo desta, e serbalo 
Dopo la tomba Amore. 80 

Dunque a colei ritornano 
I fati ad accoppiarmi, 
Per cui di Samo e Carnia 
Ruppi l'orgoglio e l'armi ? 84 

Dunque spiranti e lucide 
Mi scorgerò dintorno 
Di tanti eroi le immagini 
Che furo eliòni un giorno? 88 

Tardi nepoti e secoli 
Che dopo Pio verrete, 
Quando lo sguardo attonito 
Indietro volgerete, 92 

come fia che ignobile 
Allor vi sembri e mesta 
La bella età di Pericle 
Al paragon di questa ! 93 

67. Fidia : Sembra che il busto di Pericle sia veramente opera di questo 
massimo fra gli scultori greci nato fra il 490 e il 480 av. C. 

69. Qui: Nelle sale del Vaticano. 

71. Donna- Signora (lat.). È in tal senso nei nostri antichi poeti. Petrarca, 
P. I., son. 150: « Ma io noi credo, né '1 conosco in vista Di quella dolce 
mia nemica e donna », e Canz. XI : « Pose colei che sola a me par donna » : 
ricorda anche il dantesco « Non donna di Provincie ma bordello » (Purg. 
VI, 78). 

78. Del prisco ardore : Dell'amore che un tempo le portai. 

83. Carnia: Come sembra, le due guerre che Pericle condusse contro 
Samo e poi contro il Peloponneso, detto Carnia dalla città di Camion, fu- 
rono consigliate a Pericle da Aspasia. 

96. Al paragon di questa: Esagerata lode dell'età di Pio VI che dice do- 
vere un giorno ai tardi posteri sembrare di gran lunga più fulgida del- 
l'età di Pericle. 



PROSOPOPEA DEI PERICLE. O 

Eppur d'Atene i portici, 
I templi e l'ardue mura 
Non mai più belli apparvero 
Che quando io l'ebbi in cura. 100 

Per me nitenti e morbidi 
Sotto la man de' fabri 
Volto e vigor prendevano 
I massi informi e scabri : 101 

Ubbidiente e docile 
. Il bronzo ricevea 
I capei crespi e tremoli 
Di qualche ninfa o dea. ìos 

Al cenno mio le parie 
Montagne i fianchi aprirò, 
E dalle rótte viscere 
Le gran colonne uscirò. 112 

Si lamentavo i tessali 
Alpestri gioghi anch'essi, 
Impoveriti e vedovi 
Di pini e di cipressi. 113 

D fragor dell'incudini, 
De' carri il cigolio, 
De' marmi offesi il gemer 
Per tutto allor s'udio. 120 

Il cielo arrise : Industria 
Corse le vie d'Atene, 
E n'ebbe Sparta invidia 
Dalle propinque arene. m 

Ma che giovò ? Dimentici 
Della mia patria i numi, 
Di Roma alfìn prescelsero 
Gli altari ed i costumi. 123 

Grecia fu vinta, e vi desi 
Di Grecia la mina 



100. L'ebbi in cura : Di qui incomincia la parte più bella dell' ode in cui 
fa una splendida descrizione delia grande età penelea. 

101. Nitenti: Lucenti (iat.). 

102. Fabri: Artefici (lat.), qui gli scultori. 

109. Le parie montagne : Dai monti di Paro , isola dell' Egeo, si ricavava 
nell'antichità il celebre marmo bianco che fu in pregio quanto il marmo 
pen te lieo. 

113. I tessali alpestri gioghi : I monti della Tessaglia fornivano abbondante 
legname per le armature degli edilizi e delle navi. 

119. Marmi offesi : Marmi lavorati per farne statue o editìzi. 

127. Di Roma: Caduta la Grecia, per opera del console L. Mummio, sotto 
il dominio di Roma nel 146 av. C, Roma prevalse sui popoli d'Kuropa. 

129. Grecia fu vinta : È reminiscenza dell'oraziano, Ep. 1, 11, 157 : « Graecia 
capta ferum victorem cepit et artes Intulit agresti Latio ». 



6 PARTE I. 

Render superba e splendida 

La povertà latina. 132 

Pianser deserte e squallide 
Allor le spiagge achive, 
E le bell'arti corsero 
Del Tebro sulle rive. 135 

Qui poser franche e libere 
Il fuggitivo piede, 
E accolte si compiacquero 
Della cangiata sede. 110 

Ed or fastose obbliano 
L'onta del goto orrore, 
Or che il gran Pio le vendica 
Del vilipeso onore. 141 

Vivi, signor. Tardissimo 
Al mondo il ciel ti furi, 
E con l'amor de' popoli 
Il viver tuo misuri. 148 

Spirto profan dell'Erebo 
All'ombre avvezzo io sono; 
Ma i voti miei non temono 
La luce del tuo trono. 152 

Anche del greco Elisio 
Nel disprezzato regno 
Ve qualche illustre spirito, 
Che d'adorarti è degno. 153 

141. Obbliano l'onta : Dimenticano gli orrori visti al tempo delle devasta- 
zioni barbariche (goto, come sopra vandalo, vale barbarico in genere). 

148. Il viver tuo misuri : Cioè ti faccia vivere quanto lo desiderano i po- 

f>oli che tanto ti amano. Questo bell'augurio che fa qui il p. al papa ricorda 
'augurio che Orazio fa ad Augusto, Od. I, n, 45 : « Serus in caelum redeas, 
diuque Laetus intersis populo Quirini ». 

149. Èrebo : Era, secondo Virgilio, Aen. vi, 426 e sgg., il luogo dei regni 
infernali, ove stavano in separate sedi i bambini, i suicidi, 1 morti per 
amore e i prodi in guerra. 

153. Elisio: La sede degli spiriti beati dopo la morte. Il Mestica giusta- 
mente, a parer nostro, chiama « arcadiche » queste due ultime strofe, che 
guastano in parte l'alto concetto espresso con ìmpeto lirico nel a strofa pre- 
cedente. 



Al signor di Montgolfier 



I fratelli Giuseppe Michele (1740-1810) e Stefano (1745-1709) Montgolfier sul 
cadere del 1782 costruirono il primo pallone aereostatico di carta gonfiato 
con aria calda. Questo rudimentale aereostato fu poscia perfezionato dallo 
Charles che lo fece di tela e lo riempi di gas idrogeno. Lo lanciò nell'aria 




impeto lirico ed é, a giudizio dello Zumbini (p. 211) « il primo fra i mi 
gliori esempi, ch'egli abbia mai dato, di far poesia con immagini tratte dal 
soggetto medesimo ». Si ricordi che per la macchina aereostatica compose un 
bel son. il Parini, in cui, come si fa anche sulla fine di quest'ode, ricorda 
rapidamente le conquiste dell'ingegno umano sulla natura. È il son. «Ecco, 
del mondo meraviglia e gioco ». 

Quando Giason dal Pelio 
Spinse nel mar gli abeti 
E primo corse a fendere 
Co' remi il seno a Teti, <i 

Su l'alta poppa intrepido 
Col fior del sangue acheo 
Vide la Grecia ascendere 
Il giovinetto Orfeo. 8 

Stendea le dita eburnee 

1. Giasone: Figliuolo di Esone. re dei Minii d'Iolco, in Tessaglia', guidò 
la spedizione degli Argonauti nella Colchide alla conquista del vello d'oro. 
Questa, che è da ritenersi la prima spedizione navale greca in lontane re- 
gioni, fu celebrata da molti poeti. Apollonio Rodio e Valerio Fiacco ne fe- 
cero l'argomento d'interi poemi, Ovidio a lungo ne parlò nel VII delle Me- 
tamorfosi. — Pelio : Sorge all'estremità della penisola di Magnesia in Tes- 
saglia. Di là scese il legname, che servi per costruire la nave Argo, su cui 
partirono per la Colchide i cinquanta Argonauti. Anche Catullo da princi- 
pio ad un suo carme (lviii) in modo assai simile: «Peiiaco quondam pro- 
gnatae vertice pinus Dicuntur liquidas Neptuni nasse per unaas ». 

2. 611 abeti : Metonimia per « navi ». Il Parini néìVInn. del vaiuolo, 144, 
usa la stessa metonimia : « E dall'alta pendice Insedinogli a guidare I gran 
tronchi sul mare » e nella Recita dei versi, 14 : « Con gli abeti di Cesare 
veleggia » e nella Tempesta, 19 : «gli abeti estrani». Cosi Virgilio, Ocorg. 
ii, ha « abies casus visura marinos » t e nell'Aeri, vili, 91 « uncta abies ». 

4. Teti: Non beUa metonimia per il « mare ». Teti era moglie dell'O- 
ceano, madre dei fiumi e delle ninfe , da non confondersi colla madre di 
Achille. 

6. Col fior, ecc. : Catullo, 1. e, 6 : « lecti iuvenes , Argivae robora pu- 
bis ». 

8. Orfeo: Piglio d'Apollo e della musa Calliope, fu mitico poeta di Tracia 
oreomerico. Partecipò anch'egli alla spedizione degli Argonauti: anzi a lui 
s'attribuisce un poemetto in 384 esametri su quell'impresa, ma è opera di 
nn poeta del IV sec. dopo C. Fu fatto in pezzi dalle Baccanti. 

9. Eburnee: D'avorio, bianchissime. Sebbene questa lode sia più confa- 
centesi a donne che ad uomini, può accomodarsi in qualche modo anche 
ad un giovinetto quale era Orfeo. 



8 PARTE I. 

Su la materna lira; 

E al tracio suon chetavasi 

De* venti il fischio e Tira. 12 

Meravigliando accorsero 
Di Doride le figlie, 
Nettuno ai verdi alipedi 
Lasciò cader le briglie. 16 

Cantava il vate odrisio 
D'Argo la gloria intanto, 
E dolce errar senti vasi 
Su l'alme greche il canto. 20 

della Senna, ascoltami, 
Novello Tifi invitto: 
Vinse i portenti argolici 
L'aereo tuo tragitto. 24 

Tentar del mare i vortici 
Forse è sì gran pensiero, 
Come occupar de' fulmini 
L'inviolato impero ? 28 

10. Materna : Perché l'aveva avuta in dono dalla madre Calliope , così il 
Foscolo nell'inno terzo alle Grazie, 100, chiama paterna Tasta che Pal- 
lade aveva avuta dal padre Giove. 

11. Chetavasi: Cfr. Tasso, Oer. Lib. xvi, 13 : « Tacquero gli altri ad ascol- 
tarlo intenti, E fermaro i susurri in aria i venti », e Virgilio, Aen. 11, 1 : 
« Conticuere omnes intentique ora tenebant ». 

13. Meravigliando: Catullo, 1. e, 14 « Emersero fretì canenti e gurgite 
vultus Aequoreae monstrum Nereides admirantes ». I poeti usano spesso 
alcuni verbi riflessivi senza la particella : cosi vergognando per vergognan- 
dosi usa Dante, Purg. xxxi, 64 : « Quale i fanciulli vergognando muti », 
disperando per disperandosi il Petrarca nel son. ISO, P. I. : « E l'alma di- 
sperando, ha preso ardire » e meravigliando per meravigliandosi il Tasso, 
ùer. Lib. xvn, 35 e il Petrarca, Trionf. d'Am. 1 : « Ond'to meravigliando 
dissi : Or come ! ». 

14. DI Doride le figlie : Le cinquanta Nereidi, figlie di Nereo, dio del mare, 
e della ninfa Doride. 

15. Al verdi alipedi : Verdi come le alghe e colle ali ai piedi per la loro 
grande celerità. I cavalli marini sono rappresentati colle zampe alate. An- 
che nella Musogonia dice : « Per le liquide vie tal'aitre stanno Frenando 
verdi alipedi cavalli ». Cfr. Virgilio, Aen. xn, 451 : « Alipedumque fugam 
curru tentavit equorum ». Che poi sian detti verdi perché algosi si desume 
anche da Claudiano, Tt-rt. Cons. Honor. 197 : « Vocis Jonia virides Nentu- 
nus in alga Nutrit equos » e da Orazio che chiama verdi le chiome delle 
Nereidi (Od. Ili, xxvm, 10). 

17. Odrisio : Trace, perché la Tracia fu detta Odrysia tellus dagli Odrisi 
che anticamente l'abitarono. 

18. D'Argo : Intendi la nave Argo, che ebbe questo nome dalla città tes- 
sala da cui gli Argonauti partirono : non la città Argo, come altri intende. 

22. Novello Tifi : Tifi fu il pilota della nave Argo. All'audace pilota della 
leggenda é paragonato il non meno audace aereohauta della Senna. Anche 
il Testi, in un'ode al Ciani poli, chiama Colombo il Tifi di Liguria. Ma qui 
si allude al Montgolfler. come credono il Bertoldi e il Casini, o al Robert 
che fu il pilota, il guidatore del volator naviglio, come credono il Carducci 
e il Ferrarli Noi propendiamo per il Montgolfler « perché », come dice il 
Bertoldi, « in fine, in questa prima parte dell'ode si celebra in generale la 
nuova meravigliosa invenzione del Montgolfler e si discute il principio scien- 
tifico su cui si fonda, essendo il fatto speciale dell'ascensione del Robert can- 
tato più oltre ». 

28. Impero : Il p., che fino al v. 20 ha celebrato l'ardire di chi primo solcò 




/ 

/ 
AL SIGNOR DI MONTGOt,FIER. 

Deh! perchè ai nostro secolo 
Non die propizio il fato 
D'un altro Orfeo la cetera, 
Se Montgolfler n'ha dato? 2 

Maggior del prode Esonide 
Surse di Gallia il figlio. 1 

Applaudi, Europa attonita, 
Al volator naviglio. 

Non mai natura, all'ordine 
Delle sue leggi intesa, 
Dalla potenza chimica 
Soffri più bella offesa. 40 

Mirabil arte, ond'alzasi 
Di Sthallio e Black la fama, 
Péra lo stolto cinico 
Che frenesia ti chiama ! 41 

De' corpi entro le viscere 
Tu l'acre sguardo avventi, 
E invan celarsi tentano 
Gl'indocili elementi. 48 

Dalle tenaci tenebre 
La verità traesti, 
E delle rauche ipotesi 

il mare, dal v. 21 in poi inneggia a chi per primo solcò gli spazi delf'aria, 
per concludere che il portento dejrli Argonauti che scoprirono il vello d'oro 
fu superato dalla scoperta maravigliosa del Montgolfler. Questa prima parte, 
pur bella, é forse un po' troppo lunga per servir solo da comparazione. 

31. Di Salita il figlio : Più grande dell' Esonide (patronim. di Giasone) fu 
il francese Montgolfler. 

36. Volator naviglio : Questa metafora deriva dalla comparazione del pal- 
lone di Montgolfler colla nave Argo. 

39. Potenza chimica: Doveva veramente dire « potenza fisica », perché il 
pallone si solleva nell'aria per il peso maggiore di essa rispetto al gas idro- 
geno, quindi per legge fisica. 

40. Soffri più bella offesa : « L'offesa è in questo : che V uomo , conside- 
rando le cose non con rispetto scientifico, si sollevi in aria » (Carducci e 
Brilli). 

41. Arte: Scienza chimica. In latino arte» vale appunto scienza. Dante, 
Par. 11, 95 : « Esperienza Ch'esser suol fonte a' rivi di vostr'arti ». 

42. Sthallio e Blaok : Giorgio Ernesto Sthal bavarese (1660-1731) e lo scoz- 
zese Giuseppe Black (1728-1799) furono tra i più grandi chimici del se- 
colo XVIH. 

44. Frenesia ti ohlama : Allude alle irrisioni che ai primi chimici si fecero. 
Cfr. coli' Invito a Lesbia Cidonia del Mascheroni. Molti non credevano 
alla riuscita deli' impresa tentata dallo Charles e dal Robert veramente 
ardita e maravigliosa per quei tempi. 

46. Acre : Acuto, penetrante (lat.) : Orazio, Od. I, iv, 1 : « acris hiems », 
Sat. I, iv, 46 : * acer spiritus », Virgilio, Aen xn, 102 : « oculis micat acri- 
bus ignis » e Parini, La ree. dei versi, 3, « acre foco ». Messaggio, 9 « acre 
calore », e Gratit. 294 : « acri fiamme ». Si designa qui la chimica analitica. 
— Avventi : « Avventare sarebbe più proprio a esprimere l'impeto che la 
penetrazione » (Casini). 

49. Tenaci : « Indica mirabilmente la gran forza che hanno le tenebre nel 
tener celata all'uomo la verità » (Bertoldi). 

51. Ranche : Con questo agg. si esprime non molto felicemente l'ostina- 



Tregua al furor ponesti. 

Brillò Sofia più fulgida 
Del tuo splendor vestita, 
E le sorgenti apparvero 
Onde il creato ha vita. 

L'igneo terribil aere, 
Che dentro il suol profondo 
Pasce i tremuoti e i cardini 
Fa vacillar del mondo, 

Reso innocente or vedilo 
Da' marzii corpi uscire, 
E già domato ed utile 
Al domator servire. 

Per lui del pondo immemore, 
Mirabìl cosa 1 in alto 
Va la materia, e insolito 
Porta alle nubi assalto. 

11 gran prodigio immobili 
I riguardanti lassa,- 
E di terror uff" palpito 
In ogni cor trapassa. 

Tace la terra, e suonano 
Del ciel le vie deserte : 
SUn mille volti pallidi 
E mille bocche aperte. 

Sorge il diletto e l'estasi 
In mezzo allo spavento, 
E ì pie malfermi agognano 
Ir dietro al guardo attento. 

tenitori delle disparate Ipotesi colle quali nel medio e? 
aie la coni posizione, dei corpi, ostinazione ohe faceva d 
iliili, ina Taci ragionatori. 

le ragioni prime delle cose create. 



r 
i 



44:-cl 

irzli oorpi: cioè dai corpi ferruginosi. Ma anche qui . , 
•ìenza del tempo suo, non ai appone al vero, perche l'idrogeno 
mia dal ferro che é metallo e non si può decomporre, ma dal- 
alico unito col ferro. 

indo Immemore : 11 Casini biasimò come inesatta questa locuzione, 
nto per il peso del corpi al ottiene l" innalzamento dei palloni, 
sn disse il Ferrari, 11 p. descrive il fenomeno come apparisce 
ibi, ai quali sembra che U pallone s'innalzi come noncurante del 

deserte: Nella traduzione dell' Iliade, x\a, 638 dice : « 1] suon 
' deserti dell'aria iva alle stelle •. 
mal termi: Naturale 241 il a /.io ne di chi vorrebbe collo sguardo 



AL SIGNOR DI MONTGOLFIER 11 

Pace e silenzio, o turbini: 
Deh ! non vi prenda sdegno 
Se umane salme varcano 
Delle tempeste il regno. 84 

Rattien la neve, o Borea, 
Che giù dal crin ti cola: 
L'etra sereno e libero 
Cedi a Robert che vola. sa 

Non egli vien d'Orizia 
A insidiar le voglie: 
Costa rimorsi e lacrime 
Tentar d'un dio la moglie. 92 

Mise Teseo nei talami 
Dell' atro Dite il piede : 
Punillo il Fato, e in Èrebo 
Fra ceppi eterni or siede. oa 

Ma già di Francia il Dedalo 
Nel mar dell'aure è lunge: 
Lieve lo porta zefflro, 
E l'occhio appena il giunge. 100 

Fosco di là profondasi 
11 suol fuggente ai lumi, 
E come larve appaiono 
Città, foreste e fiumi. 101 

Certo la vista orribile 
L'alme agghiacciar dovria; 
Ma di Robert nell'anima 
Chiusa è al terror la via. 103 

E già l'audace esempio 
I più ritrosi acquista; 
Già cento globi ascendono 
Del cielo alla conquista. 112 

83. Salme : Corpi (dal greco axyfux. che vale « peso, carico »: dalla stessa 
radice derivano salmeria , soma , ecc.) Oggi si usa soltanto per « corpo 
morto ». 

85. Borea : Re dei venti del settentrione. Il vecchio , rappresentato colia 
bianca barba e i capelli grondanti neve, deve cedere a Robert che sale vit 
torioso per l'aria. 

89. D'Orlala : Borea rapi Orizia, figlia di Eretteo , re d'Atene, e la sposò. 
Cfr. Mitsogonia, 86, e U son. sul Ratto di Orizia, in cui il p. giovanissimo 
imitò il son. del Cassiani sul Ratto di Proserpina. 

93. Teseo: Questo mitico eroe, figlio di Egeo, re d'Atene, e di Etra, di- 
scese nell'Inferno (latro Dite) con Piritoo per rapire Proserpina, ma preso 
da Plutone fu punito della sua temerità; e, secondo Virgilio, Aen. vi, 618 
« sedet aeternumque sedebit Theseus ». 

fio celebre per 
labirinto, ove 
1W » »-. x^v.w^v. *„«., «.^«v^w.oì «*s.i v «.v,x* »»i v.. v,vx„, riuscì a fuggire. 
Queste due strofe pesanti per inopportuna mitologia raffreddano alquanto 
l'impeto lirico che é nelle strofe precedenti belle e spontanee. 

110. I più ritrosi: Quelli che prima avevano chiamata frenesia l'impresa 
dei Montgolfler. 




12 PARI» I. 

Umano ardir, pacifica 
Filosofia sicura, 
Qual forza mai, qual limite 
il tuo poter misura? ii6 

Rapisti al ciel le folgori, 
Che debellate innante 
Con tronche ali ti caddero 
E ti lambir le piante. 120 

Frenò guidato il calcolo 
Dal tuo pensiero ardito 
Degli astri il moto e l'orbite, 
L'olimpo e l'infinito. 121 

Svelaro il volto incognito 
Le più rimote stelle, 
Ed appressar le timide 
Lor vergini fiammelle. 128 

Del sole i rai dividere, 
Pesar quest'aria osasti : 
La terra, il foco, il pelago, 
Le fere e l'uom domasti. 132 

Oggi a calcar le nuvole 
Giunse la tua virtute, 
E di natura stettero 
Le leggi inerti e mute. 135 

Che più ti resta? Infrangerò 
Anche alla morte il telo, 
E della vita il nettare 
Libar con Giove in cielo. 110 

113. Umano ardir: Di qui, con un felice trapasso, ha principio la parte 
indubbiamente migliore dell'ode, nella quale s'inneggia alla potenza crea- 
trice dell'umano intelletto. 

114. Filosofia :« Intendi le scienze fisiche, le quali nella terminologia della 
scuola del Galilei si dissero « filosofia naturale » (Card, e Brilli). 

117. Rapisti al ciel le folgori : Per mezzo dell'invenzione dei parafulmini, 
che si deve a Beniamino Franklin (1706-1790). Già nel 1783 Labindo (il Fan- 
«toni) aveva detto : « Franklin. . . che di ferro armato Rapi dal cielo i ful- 
mini stridenti » e il Parini, La recita dei versi, 19 : « A Giove altri Tar- 
mata Destra di fulmin spoglia ». . 

121. Frenò: Allude alla scoperta delle leggi del moto degli astri e della 
gravitazione universale, opera gloriosa d'Isacco Newton (1642-1727). 

125. Svelaro, ecc. : Accenna alle scoperte astronomiche fatte da Guglielmo 
Herschel (1738-1822). 

128. Vergini fiammelle : Cosi le chiama perché ignote prima che il Galileo 
inventasse il telescopio. 

129. I rai dividere : La decomposizione dello spettro solare fu tentata dal 
Grimaldi e compiuta da Newton. 

13 J. Pesar quest'aria: Galileo pesò l'aria e il suo scolare, il faentino Torri 
celli (IG08-1G17), coll'invenzione del barometro rese possibile la misurazione 
della pressione atmosferica. 

135. E di natura, ecc. : « Il calore della fantasia poetica non basta a scusare 
quest'espressione, che contrasta col concetto delle scienze fisiche ; le quali anzi 
ravvivano, determinandole e riconoscendole, le leggi della natura » (Casini). 

140. Con Giove in cielo : Cfr . col Prometea 1, ove, celebrando Napoleone, dice : 
« che t'aspettai II nettare Vien co' Numi a libar fra Giove ed Ercole ». 



Amor Peregrinò. 



A. S. E. LA SIGNORA PRINCIPESSA 
DONNA COSTANZA BRASCHI ONESTI NATA FALCONIERI 

NIPOTE DI PIO VL 



Quest'ode fu composta nel 1783. Amore, In abito di mendico pellegrino, 

{tarla alla vezzosissima principessa Braschi-Onesti , a cui é dedicata l'ode, 
amentando le sue infelici vicende, e dicendosi stanco di essere neretto 
nelle città. Le chiede infine che si compiaccia di tenerlo seco, egli sarà 
custode e padre di amabili virtù, ella si chiamerà madre d'Amore. Il con- 
cetto é arcadico, ma la forma é nuova ed elegante. 11 metro é lo stesso 
delle due odi precedenti. 

Degl'incostanti secoli 
Propagator divino, 
Alle cittadi incognito, 
Negletto peregrino, 4 

Io ti saluto, o tenera 
De' cor conquistatrice: 
Amor son io; ravvisami, 
Ascolta un infelice. s 

Si bagneran di lacrime 
I tuoi vezzosi rai, 
Se la crudele istoria 
Di mie vicende udrai. 12 

Luce del mondo ed animi. 
Dal ciel mandato io venni, 
E primo i dolci palpiti 
Dell' uman cuore ottenni. 16 

Duce natura e regola 
A' passi miei si fea : 
Ed io contento e docile 
Su Torme sue correa. 20 

Di sacri alterni vincoli 

1. Secoli : Generazioni, senso che ha spesso in latino. 

13. Luce del inondo: Il Tasso cosi incomincia il son. 441, Voi. II, ed. So 
lerti : * Amor alma é del mondo, amore é mente ». 

14. Dal ciel mandato : Platone nel Convito chiama Amore il più antico, 
il più onorato, il più degno degli dei. Aristofane negli Uccelli disse : «elio 
non ebbe esistenza alcun dio avanti che Amore ordinasse e fecondasse tutto 
le cose ». E il M. stesso nella Musoaonia, 301, dice Amore, generatore delle 
cose : « Il più bello de" numi ed il più antico ». 

21. DI sacri alterni vincoli : Dei reciproci vincoli del matrimonio. 



14 PARTE I. 

Congiunsi allor le genti, 

E all'armonia dell'ordine 

Tutte avvezzai le nienti. 24 

L'uomo alla sua propaggine 
E all'amistade inteso 
Lieto vivea, né oppresselo 
Delle sue brame il peso. ->s 

Virtude e Amor sorgevano 
Con un medesmo volo, 
Ed eran ambo un impeto, 
Un sentimento solo. 32 

Amor vegliava ai talami, 
Amor sedea sul core: 
Le leggi, i patti, i limiti, 
Tutto segnava Amore. 36 

Ma quando si cangiarono 
In cittadine mura 
I patrii campi, e videsi 
L'Arte cacciar Natura, 40 

Fra l'uomo e l'uom, fra il vario 
Moltiplicar d'oggetti, 
Nuovi bisogni emersero 
E mille nuovi affetti. 41 

La consonanza ruppesi ; 
L'ira, il livor, l'orgoglio 
Della ragion più debole 
Si disputaro il soglio. 48 

Allora io caddi ; e termine 
Ebbe il mio santo impero, 
E le conquiste apparvero 
D'usurpator straniero. 52 

Rivai possente, ei d'ozio 
E di lascivia nacque: 
Nome d'Amor gli diedero 
Le cieche genti, e piacque. 56 

Vago figliuol di Venere 
Poi lo chiamò la fojle 

28. DeUe sue brame 11 peso : L'uomo inteso a propagarsi nei secoli e alla 
amicizia era contonto né l'opprimeva il peso di sfrenati desideri. 

34. Amor sedea sul core: Virgilio, Aen il, 660: « Sedet hoc animo», e 
iv, 15 « Si mini non animo iixum immotumque sederet ». 

36. Tutto segnava Amore: Questo incivilimento che Amore governava è 
cantato anche dai Foscolo, Sepolcri, 91. 

45. La consonanza: L'accordo fra l'Amore e la Virtù. 

48. Si disputaro 11 soglio : Si disputarono il dominio della ragione più 
debole di loro. 

52. Usurpator straniero: L'Amore lascivo, che sottentrò al santo Amore 
vii prima. 



AMOR PEREGRINO. ] 15 

Teologia di Cecrope, ' 

E templi alzar gli volle: go 

Aurea farètra agli omeri, 
Diede alla mano il dardo, 
(Hi occhi di bende avvolsegli, 
E lo privò del guardo. 64 

A far dell'alme strazio 
Venne così quel crudo 
Di ree vicende artefice 
Fanciul bendato e nudo. 03 

Le delicate e timide 
Virtudi in ceppi avvinse, 
E co' delitti il perfido 
In amistà si strinse. 72 

Entro i vietati talami 
Il pie furtivo ei mi3e, 
E su le piume adultere 
Lasciò l'impronta, e rise. 76 

Per la vendetta argolica 
Volar su la marina 
Fé' mille navi, e d' Ilio 
Le spinse alla ruina : so 

Di sangue e di cadaveri 
Crebbe la frigia valle, 
Né trovò Xanto al pelago 
Fra tante membra il calle. 84 

Taccio (feral spettacolo !) 
Le colpe e le tenzoni, 
Ond'ei d'Europa e d'Asia 
Crollò sovente i troni. ss 

Taccio la fé', la pubblica 
Utilità, gli onori, 
Dover, giustizia e patria, 
•Prezzo d'infami ardori. 02 

Calcò quell'empio i titoli 

59. Teologia di Cecrope: La mitologia. Cecrope. antichissimo re d'Atene, 
secondo la leggenda, istruì i suoi popoli nella religione. 

54. Del guardo: Cosi, col turcasso d'oro carico di saette, con un dardo 
in mano e colle bende sugli occhi, é rappresentato Cupido. 

73. I vietati talami: Ricorda i « chiusi talami » del Parini, A Sìlvia, 99, 
ove spesso daUe romane matrone il gladiatore terribile fu ricercato amante. 

77. Per la vendetta argolica : Per la vendetta che i Greci fecero dell'insulto 
fatto a loro da Paride coi rapimento di Elena. I Greci , salpati con mille 
navi da Aulide, dopo molte fatiche e dieci anni di guerra, distrussero Troia, 
la patria di Paride. 

84. Il oaUe : Virgilio, Aen. v, 807 « gemerentque repleti Amnes, nec repe 
rìre viam atque evolvere posset In mare se Xantus ». In Omero , II. xxi , 
214 lo Xanto. fiume presso Troia, é sdegnato per i molti cadaveri di Troiani 
uccisi da Achille che gU impedivano la corrente. 



16 PARTE I. 

Di madre e di sorella, 

E mescolanza orribile 

Trasse da questa e quella. 90 

Natura alior di lacrime 
Versò dagli occhi un fonte, 
E torse il pie, coprendosi 
Per alto orror la fronte. ìoo 

Pians'io con essa, e profugo 
Dalle cittadi impure 
Corsi ne' boschi a gemere 
Su l'aspre mie sventure. 101 

Rozzi colò m'accolsero 
Pastori e pastorelle, 
Che m'insegnaro a tessere 
Le lane e le fiscelle. ios 

Guidai con loro i candidi 
Armenti alla collina, 
E con diletto al vomere 
Stesi la man divina. 112 

Su l'orme mie poi vennero 
Altre virtù smarrite 
A ricercar ricovero 
Da quel crudel tradite. hg 

Sentì la selva il giungere 
Delle celesti dive, 
E dier di gioia un fremito 
* Le conoscenti rive. v 120 

Spirto acquistar pareano 
L'erbette, i fiori e l'onde, 
Parean di miele e balsamo 
Tutte stillar le fronde. 124 

Gli amplessi raddoppiarono 
Le giovinette spose, 
E a' vecchi padri il giubilo 
Spianò le fronti annose. 123 

Così fur fatte ospizio 
Delle Virtù le selve, 
Sole così rimasero 

09. Coprendosi: Cfr. Parini, A Silvia, 03: « Copri, mia Silvia ingenua, 
Copri le luci, et odi Come tutti passarono Licenziose i modi ». 

106. Pastori e pastorelle : Questo é l'arcadico concetto che informa tutta 
Tode. L'Amore puro, l'amor vero e santo , detestato nelle impure città , 
trova rifugio nelle umili case dei pastori. 

108. Fiscelle Cestelle, zane tessute di giunchi. Anche il pastore che Er- 
minia trova nella Ger. del Tasso, vii, tessea fiscelle accanto alla sua greggia, 

116. Da quel crudel: Dal falso Amore, dall'amore lascivo. 

121. Come della favolosa età dell'oro cantarono tanti poeti, 



AMOR PEREGRINO. 17 

Nella città le belve. 132 

Ma pure ancor nel carcere 
Di queste tane aurate, 
Che fabbricò degli uomini 
La stolta vanitate, i3f 

Qualche bel cor magnanimo 
Chiaro brillar si vide, 
Qual astro che de' nuvoli 
Fra il denso orror sorride. 110 

A qual orecchio è povera 
De' pregi tuoi la Fama? 
Alunna delle Grazie, 
Del Tebro onor ti chiama. hi 

Darti l'udii d'ingenua 
E /di pietosa il vanto, 
E i dolci modi e teneri 
Narrar, dell'alme incanto. 118 

Bramai vederti, e timido 
D'oltraggi in. suol nemico 
Sembianza presi ed abito 
Di peregrin mendico. 152 

Maggior del grido è il merito, 
E nel sederti a lato 
L'antica mi dimentico 
A v ve /sita del fato. 156 

Deh, per le guance eburnee 
Che di rossor tingesti, 
Per gli occhi tuoi, deh, piacciati 
Voler che teco io resti. igo 

Io di virtudi amabili 
Sarò custode e padre, 
E tu d'Amor, bellissima, 
Ti chiamerai la madre. igi 

132. Le belve: Quelle che il' Foscolo, Sepolcri, 92, chiamò le « umane 
belve ». 

134. Tane aurate : I palazzi aurei dei signori : continua l'immagine delle 
« belve » che rimasero neUa città. Anche altrove chiamerà i palazzi signo- 
rili «... tane di serpenti E di perfide belve ». 

143. Alunna deUe Grazie : Il Parini, Mezzo g. 519 , lo dice della Vergine 
Cuccia. Alunno di qualche divinità dicevano i classici antichi per significare 
« protetto da quel elio ». 

144. Del Tebro: Di Roma. 

149. E timido, ecc. : E temendo di essere offeso, entrando nella città ove 
è bandito U verace amore, in Roma, mi vestii da povero pellegrino. 



Monti. — Poesie *l 



Sopra la morte. 



Questo don. fa recitato in Arcadia il 20 maggio 1784, commemorandovisi 
la morte della pastorella Ruffina Battoni , ma era stato composto prima , 
pare nel 1783 » Vicchi, I, p. 258). 

Morte, che se' tu mai? Primo dei danni 
L'alma vile e la rea ti crede e teme; 
E vendetta del ciel scendi ai tiranni, 
Che il vigile tuo braccio incalza e preme. 

Ma l'infelice, a cui de' lunghi affanni 
Grave è l'incarco, e morta in cuor la speme, 
Quel ferro implora troncator degli anni, 
E ride all'appressar dell'ore estreme. 

Fra la polve di Marte e le vicende 
Ti sfida il forte che ne' rischi indura ; 
E il saggio senza impallidir ti attende. 

Morte, che se' tu dunque? Un'ombra oscura. 
Un bene, un male, che diversa prende 
Dagli affetti dell'uom forma e natura. 



arte, ohe se' tu mal ? : La mossa del son. é quella stessa d'un son. di 
Bussi : « Gloria, che se' mai tu f ». 



I. Morte, 
Giulio 

8. E ride : Ricorda il Bruto minore del Leopardi, che « maligno alle nere 
ombre sorride ». 

II. Ti attendo; il Voltaire néìl' Orphelin de la Chine fa dire al mandarino 
Zampti 
brave " 
sans regrets 

la sfida, il debole la subisce. 1* infelice l'implora ». Ed entrambi risalgono 
forse al Crebillon che simili parole fa dire a Gatilina. 

13. Un bene, un male : Originale e bella é questa chiusa, ove si dice che in 
vario modo deve giudicarsi la morte a seconda dei vari! affetti umani. 




Sulla morte di Giuda. 



Questi quattro sonn. furono recitati dal Monti in Arcadia nel venerdì 
santo del 1788. Furono essi causa delle fiere contese fra il Monti e l'improv- 
visatore F. Gianni che volle improvvisare un son. su Giuda che vincesse 
d'assai quelli letti dall'emulo. Questi sonn., imitanti la maniera del Minzoni 
sono ispirati in gran parte al G. vii della Messiade del Klopstock (B. Zum 
bini, Su due poemi del M., in Nuova Antologia, 1 aprile 1884, e più an 
cora Sulle poesie di V. Af., p. 8 e sgg.). 

I. 

Gittò l'infame prezzo, e disperato 
L'albero ascese il venditor di Cristo ; 
Strinse il laccio, e col corpo abbandonato 
Dall'irto ramo penzolar fu visto. 

Cigolava lo spirito serrato 5 

Dentro la strozza in suon rabbioso e tristo, 
E Gesù bestemmiava e il suo peccato 
Ch'empiea l'Averno di cotanto acquisto. 

Sboccò dal varco alfin con un ruggito. 
Allor Giustizia l'afferrò, e sul monte io 

Nel sangue di Gesù tingendo il dito, 

Scrisse con quello al maledetto in fronte 
Sentenza d'immortal pianto infinito, 
E lo piombò sdegnosa in Acheronte. 

IL 

Piombò quell'alma all'infornai riviera, 15 

E si fé' gran tremuoto in quel momento. 

1. Gittò: Evangelio di Matteo, xxvu, 3-5: « Allora Giuda, che l'aveva 
tradito, vedendo come Gesù era stato condannato , mosso da pentimento , 
riportò i trenta denari ai principi dei sacerdoti e agli anziani dicendo : Ilo 
peccato, avendo tradito il sangue innocente. Ma quelli dissero : che importa 
ciò a noi 1 Pensaci tu. Ed egli, gettate le monete di argento nel tempio, si 
ritirò e si appiccò a un capestro ». Nella Messiade Giuda, vedendo condurre 
al supplizio 11 Nazareno, entra nel tempio e getta disperato il prezzo del 
tradimento a* piedi de' sacerdoti (C. vii. 153 e sg$.). 

8. Cotanto acquisto : Nel cit. poema Giuda, inorridito del delitto commesso, 
impreca con feroci parole (C. vii, 170 e sgg.)- 

9. Con un ruggito, ecc. : Nel Klopstock Giuda si appicca, e la morte solo 
con grande stento riesce a trarne fuori del corpo 1 animo (C. vii, SOS, 
e sgg.). 

16. In quel momento : Cfr. Messiade, C. vii, 744 e 765» ove l'Inferno tutto 
si commuove, quando Obbadone vi porta Giuda. 



20 PARTE I. 

Balzava il monte, ed ondeggiava al vento 
La salma in alto strangolata e nera. 

Gli angeli, dal Calvario in su la sera 
Partendo a volo taciturno e lento, 20 

La videro da lunge; e per pavento 
Si fer dell'ale agli occhi una visiera. 

I demoni frattanto all'aer tetro 
Calar l'appeso, e l'infocate spalle 

All'esecrato incarco eran feretro; 23 

Così, ululando e schiamazzando, il calle 
Preser di Stige; e al vagabondo spetro 
Resero il corpo nella morta valle. 

III. 

Poiché ripresa avea l'alma digiuna 
L'antica gravità di polpa e d'ossa, 30 

La gran sentenza su la fjonte bruna 
In riga apparve trasparente e rossa. 

A quella vista di terror percossa 
Va la gente perduta; altri s'aduna 
Dietro le piante che Cocito ingrossa , 35 

Altri si tuffa nella rea laguna. 

Vergognoso egli pur del suo delitto 
F uggia quel crudo; e, stretta la mascella, 
Forte graffiava con la man, lo scritto. 

Ma più terso il rendea l'anima fella: 10 

Dio tra le tempie glie l'avea confìtto, 
Nò sillaba di Dio mai si cancella. 

IV. 

Uno strepito intanto si sentia, 

Che Dite introna in suon profondo e rotto: 

Era Gesù, che in suo poter condotto 15 

D'Averno i regni a debellar venia. 

II bieco peccator per quella via 

Lo scontrò, lo guatò senza far motto: 
Pianse alfine, e da' cavi occhi dirotto 
Come lava di foco il pianto uscia. 50 

22. Agli occhi una visiera: Cfr. Mcssiade, 1. e. 187 e sgg., 209 e sgrg. : gli 
angeli non reggono alla vista del traditore e Ituriele, nell'atto di consegnarlo 
ad Obbadone/si nasconde il volto. 

27. Stige : È una palude infernale : qui sta per inferno, come sopra « Avemo » 
e « Acheronte ». 

35. Cocito : È uno dei fiumi infernali : anche qui vale per l'inferno. 

44. Dite : I pagani dissero Dite il dio dei morti ed anche il suo regno. 



SULLA MORTE DI GIUDA. 21 

Folgoreggiò sul nero corpo osceno 
L'eterea luce, e d'infernal rugiada 
Fumarono le membra a quel baleno. 

Tra il fumo allor la rubiconda spada 
Interpose Giustizia: e il Nazareno 55 

Volse lo sguardo, e seguitò la strada. 

56. E seguitò la strada : La divina Giustizia non volle che il Nazareno ne 
sentisse pietà e interpose la sua spada. Gesù riprese la sua via per l'Inferno. 
Per la forma colorita e bella di questi sonn. si senta quel che ne dice lo 
Zumbini <p. 255) : « Per opera dei Monti , ripigliò il sonetto tutte quelle 
dolci tempre e tutta quella grazia che gli erano proprie, ed ebbe eziandio 
quella varietà di atteggiamenti e di colóri, onde il felicissimo poeta seppe 
far bella mostra pur nei singoli componimenti di una specie stessa. E due 
sono, fra molte altre, le precipue forme che qui assume il sonetto. I/una, 
descrittiva e drammatica, stringe nel suo giro una storia, un ordine di 
fatti più o meno maravigliosi, cóme si vede in quelli sulla morte di Giuda, 
coi quali il poeta superando tutti gli altri esempi italiani della stessa specie, 
ottenne il massimo grado di perfezione, ocJe questa fosse capace ». 



Invito d'un solitario ad un cittadino. 



Quest'ode fa composta sulla fine del 1702, e sembra, a quanto ne dice il 
Vicchi (il, p. 62), che girasse dapprima manoscritta. Il p. un po' in rotta 
colla corte papale, ove non erano molto gradite le sue idee liberali, espresse 
in quest'ode saffica il suo desiderio di quiete Non possiamo sapere chi 
fosse il cittadino a cui il p. fece r invito di ritirarsi nella solitudine. Un 
altro motivo a scriverla forse fu di mettere in bella mostra il pensiero poe- 
tico che aveva trovato nelT idillio drammatico dello Shakespeare Come vi 
piace, a cui egli molto s' ispirò, ma servendosi d' una cattiva traduzione 
che ne aveva fatta il Letourner nel 1776. L'ode é in strofe saffiche di tre 
endecasillabi e un settenario. 

Tu che servo dì corte ingannatrice 
I giorni traggi dolorosi e foschi, 
Vieni, amico mortai, fra questi boschi 

Vieni, e sarai felice. ì 

Qui nò di spose nò di madri il pianto 
Nò di belliche trombe udrai lo squillo; 
Ma sol dell'aure il mormorar tranquillo 

E degli augelli il canto. s 

Qui sol d'amor sovrana ò la ragione, 
Senza rischio la vita e senza affanno: 
Ned altro mal si teme, altro tiranno, 

Che il verno e l'aquilone. 12 

Quando in volto ei mi sbuffa e col rigore 
De' suoi fiati mi morde, io rido e dico: 
Non ò certo costui nostro nemico 

Nò vile adulatore. ig 

Egli del fango prometèo m'attesta 

1. Servo di oorte : Era dunque un cortigiano, forse qualcuno della corte 
pontificia. 

6. Di belliche trombe : Cfr. Orazio, Epodo 11, « Neque excitatur classico 
miles truci », e Tasso, Ger. Lib. vii, 8 : « né strepito di Marte Ancor turbò 
questa remota parte ». 

9. La ragione: La legge. 

12. Il verno e l'aquilone : « Noi qui altro non si soffre che la pena del 
vecchio Adamo, mettiam caso la variazione delle stagioni, il morso agghiac- 
ciante ed il ruvido rimbrotto del vento invernale » (Shakespeare, idi 11. eit.). 

16. Né vile adulatore : « E contro costui , allorché arrotando i denti mi 
si serra addosso . . ., io me la rido e dico : questa qui non é adulazione ! » 
(lbid.>. 

17. Del fango prometeo : Dell'umana specie. Il titano Prometeo (il pretri- 
dente), figlio di Giapeto e di Olimene, per beneficare l'uman genere plasmò 
un uomo d'argilla e. aiutato da Minerva, col fuoco rapito a Giove lo avvivò. 
Tutta questa favola è nobilmente narrata da Platone, nei capp. xi e zìi del 
Protagora* 



I 



INVITO D'UN SOLITARIO AD UN CITTADINO. 23 

La corruttibil tempra, e di colei 
Cui donaro il fatai vase gli dei 

L'eredità funesta. so 

Ma dolce è il frutto di memoria amara; 
E meglio tra capanne e in umil sorte, 
Che nel tumulto di ribalda corte, 

Filosofìa s'impara. u 

Quel fior che sul mattin sì grato olezza 
E smorto il capo su la sera abbassa 
Avvisa, ih suo parlar, che presto passa 

Ogni mortai vaghezza. 23 

Quel rio che ratto alToceàn cammina, 
Quel rio vuol dirmi che del par veloce 
Nel mar d'eternità mette la foce 

Mia vita peregrina. 34 

Tutte dall'elee al giunco han lor favella, 
Tutte han senso le piante: anche la rude 
Stupida pietra t'ammaestra, e chiude 

Una vital fiammella. 36 

Vieni dunque, infelice, a queste selve: 
Fuggi l'empie città, fuggi i lucenti 
D'oro palagi, tane di serpenti 

E di perfide belve. 40 

Fuggi il pazzo furor, fuggi il sospetto 
De' sollevati ; nel cui pugno il ferro 
Già non piaga il terren, non l'olmo e il cerro, 

Ma de* fratelli il petto. 41 

Ahi di Giapeto iniqua stirpe ! ahi diro 

18. Di colei: Di Pandora a cui Giove aveva donato un vaso, ove erano 
racchiusi tutti i mali. L'offri a Prometeo, ma egli rifiutò il dono. Lo stolto 
Epimeteo, altro Aglio di Giapeto, accettò il dono e, aperto il vaso, ne usci- 
rono sulla terra infiniti mali. 

21. Ma dolce ò il frutto: Ma utile può essere il ricordarsi che corrutti- 
bile é la natura umana , perché può diminuire in noi il timore della 
morte. 

24. Filosofia s'impara : Assai comune é nei classici questo concetto : valga 
per tutti questo passo di Seneca, Octavia^ Act. v, 895 : « Bene paupertas Hu 
mili tecto contenta latet Quatiunt altas saepe procellae Aut evertit Fortuna 
domos ». 

25. Quel fior, ecc. : La caducità delle cose a noi più grate é espressa da 
molti poeti antichi e moderni. Basti per tutti questo esempio del Poliziano, 
ed. Carducci, p. 243 : « Fresca é la rosa da mattina, e a sera EU'ha perduto 
sua beleza altera ». 

30. DaU'eloe al giunoo: Dalle più alte piante alle più basse. 

35. Stupida : Che non ha senso. 

40. E di perfide belve : Neil' Amor pellegrino , 132, ha espresso quasi con 
le stesse parole lo stesso concetto. 

43. Già non plaga: Non serve per lavorare i campi, ma per uccidere i 
fratelli. 

45. Ahi di Giapeto, ecc. : L'umana stirpe, perché Prometeo fu nel modo 
che abbiamo detto il progenitore degli uomini. Anche Orazio, I, in, 27, chiama 
la razza umana ; audax Iapeti genus. « Si consideri che questi ver&i erano 



24 PARTE I. 

Secol di Pirra! Insanguinata e rea 
Insanisce la terra, e torna Astrea 

All'adirato empirò. is 

Quindi Tempia ragion del più robusto, 
Quindi falso l'onor, falsi gli amici, 
Compre le leggi, i traditor felici, 

E sventurato il giusto. 52 

Quindi vedi calar tremendi e fieri 
De' Druidi i nipoti, e violenti 
Scuotere i regni e sgomentar le genti 

Con l'armi e co' pensieri. 56 

Enceladi novelli, anco del cielo 
Assalgono le torri ; a Giove il trono 
Tentano rovesciar, rapirgli il tuono 

E il non trattabil telo. go 

Ma non dorme lassù la sua vendetta, 
Già monta su Tirate ali del vento ; 
Guizzar^già veggo, mormorar già sento 

Il lampo e la saetta. ci 

dettati al poeta dal disgusto provato alle notizie che giungevano ogni ino - 
mento dalla Francia del nuovi delitti commessi dai rivoluzionari nel pe- 
riodo del terrore. . . » (Casini). — Ahi diro : il secol diro (tremendo) di Pirra 
fu quello in cui gli dei, a punizione delle colpe degli uomini . mandarono 
sulla terra il diluvio : ne scamparono soltanto Pirra e Deucalione. Orazio 
Od. I, 11, 6 ha : « grave saeculum Pyrrae ». 

47. Astrea : Dea della giustizia, figlia di Giove e di Temi. 

54. De 1 Druidi 1 nipoti: Intendi i Francesi. I Druidi furono i sacerdoti 
degli antichi Celti. 

56. E co* pensieri : Colle nuove idee rivoluzionarie che si diffondevano per 
l'Europa. 

57. Enceladi : Encelado fu uno dei Giganti che dettero la scalata al cielo, 
e vinto fu oppresso sotto l'Etna. 

60. Telo : Orazio, Od. I, ni, 38 : « Coelum ipsum petimus stultitia, neque 
Per nostrum petimur scelus Iracunda Iovem ponere fulmina ». Non trat- 
tabile, vale non facile a maneggiarsi : cfr. Virgilio, Aen. iv, 53 : « non txac- 
tabile telum ». 



Per il Congresso d'Udine. 



Il SO giugno del 1797 s'intavolarono ad Udine le prime trattative di pace 
fra i deputati della Francia e dell'Austria. Dopo non poche adunanze final- 
mente il 17 ottobre fu firmato il trattato di pace eirebbe il nome dal vil- 
laggio di Campoformio presso Udine. Per questo trattato Napoleone, per 
ottenere il Belgio e la Lombardia, cede all'Austria la Dalmazia, l'Istria, le 
Bocche di Cattaro e il Veneto. La canzone fu composta a' primi di agosto 
del 1797. Il metro é quello della canzone petrarchesca, cioè a stanza divisa, 
colla fronte di sei versi cosi rimati : ABC, ABC e colla sirima formata di 
cinque versi cosi rimati: e DEDE. Il congedo, diverso dal petrarchesco, e 
cormato da una strofetta più breve che conserva soltanto della stanza le 
fmisure dei versi con questo schema : AbBC cDD. 

Agita in riva dell'Isonzo il fato, 
Italia, le tue sorti ; e taciturna 
Su te l'Europa il suo pensier raccoglie. 
Starisi a fronte, ed il brando insanguinato 
Ferocemente stendono sull'urna 5 

Lamagna e Francia con opposte voglie ; 
Ch'una a morte ti toglie, 
E dàrlati crudel 1' altra procura, 
Tu muta siedi; ad ogni scossa i rai io 

Tremando abbassi, e nella tua paura 
Se ceppi attendi o libertà non sai. 

Oh più vii che infelice 1 oh de' tuoi servi 
Serva derisa ! Sì dimesso il volto 
Non porteresti e i piò dal ferro attriti, 
Se pel natio vigor prostrati i nervi 15 

1. Isonzo : Questo fiume cinge ad est il Friuli in mezzo al quale sta Udine : 

Sresso a questa si trattava la pace che doveva anche decidere i destini 
'Italia. 
5. SuU'urna : I poeti attribuivano alla Sorte e al Fato un'urna in e ui agi- 
tavano i destini degli uomini : Orazio, Od. Ili, i : « Omne capax movet urna 
nomen ». 

9. Ad ogni scossa: Dell'urna. — I rai: Ugual concetto é nella canz. Al- 
l'Italia del Leopardi, 49 : «E i tremebondi lumi Piegar non soffri al 
dubitoso evento ? ». 

14. Attriti : Corrosi, logorati. 

15. Se del natio vigor: Ricorda il Leopardi, Nelle nozze della sorella 
Paolina, 44 : « E di nervi e di polpe Scemo il vigor natio ». « Ritraendo 
tale antitesi, tali contrasti e tanta decadenza, la lirica dei nostro poeta assu- 
meva bene spesso quel tono di dolore , di sdegno e di rampogna ? che é 
forse la qualità più propria e costante della poesia nazionale italiana, e 
che desta echi più profondi nella nostra coscienza » (Zumbini, p. 215) v 



26 PARTE L 

Superba ignavia non t'avesse e il molto 

Fornicar co' tiranni e co' leviti : 

Onorati mariti, 

Che a Caton preponesti, a Bruto, a Scipio ! 

Leggiadro cambio, accorto senno in vero! 20 

Colei che l'universo ebbe mancipio, 

Or salmeggia; e una nutria è il suo cimiero. 

Di quei prodi le sante ombre frattanto 
Romor fanno e lamenti entro le tombe, 
Che avaro piò sacerdotal calpesta; 25 

E al sonito dell'armi, al fiero canto 
De' franchi mirmidóni e delle trombe, 
Sussurrando vendetta alzan la testa. 
E voi l'avrete, e presta, 

Magnanim' ombre. L'itala fortuna 30 

Egra è sì, ma non spenta. Empio sovrasta 
11 fato, e danni e tradimenti aduna: 
Ma contra il fato è Bonaparte; e basta. 

Prometeo nuovo ei venne, e nell'altera 
Giovinetta virago cisalpina 35 

L'etereo fuoco infuse, anzi il suo spirto. 
Ed ella già calata ha la visiera; 
E il ferro trae, gittando la vagina, 
Desiosa di lauro e non di mirto. 
Bieco la guata ed irto 10 

Più d'un nemico; ma costei noi cura. • 

16. Superbia ignavia : Viltà che Dur s'ammantava di superbia. 

SO. Accorto senno : Nota il tono ironico. Ai grandi antichi, quali Catone, 
simbolo nobilissimo di libertà e di virtù civili, Bruto, simbolo del vivere 
repubblicano, Scipione, del valore neUe armi, anteponesti i tiranni e i sa 
cerdoti (i leviti). 

21. Mancipio: Servo: latinismo usato dal Petrarca in poi. 

25. Avaro : Avido di ricchezze : cosi allora si chiamava avara l'Inghilterra, 
come dice il Foscolo, All' 'amica risanata, 71 : «l'Anglia avara »: anche il Pe- 
trarca. Trionf. Fam. : « E vidi Ciro più di sangue avaro Che Crasso d'oro ». 

27. Mirmidóni: Adulando U francese Achille, Bonaparte, chiama cosi i 
Francesi dal nome dei soldati di Achille , che andarono dalla Ftiotide, re- 
gione della Tessaglia, all'assedio di Troia. 

30. L'itala fortuna : Nel Congresso cisalpino in Lione, 72, dice : « DivisYon 
fé' muto L'italico valor, ma la primiera Fiamma non anco é morta », che 
ricorda i noti versi del Petrarca : « Che l'antico valore Negl'italici cor non 
é ancor morto ». 

34. Prometeo nuovo : Bonaparte venne a liberare dai tiranni i popoli, come 
Prometeo liberò gli uomini dalla tirannia di Giove. 

35. Virago cisalpina : La Repubblica Cisalpina. La dice giovinetta, perché 
si era inaugurata a Milano ufficialmente il 9 luglio di queir anno. Virago 
vale donna d'animo virile. 

37. Ed ella già calata, ecc. : « Allude alla formazione deUe mUizie e deUa 




a Venere , e quindi simbolo della mollezza del vivere. Il verso é foggiato 
sul petrarchesco ; « Qua! vaghezza di lauro e qua! di mirto », 



PER IL CONGRESSO l> UDINE. 27 

Lasciate di sua morte, o re, la speme: 

Disperata virtù la fa secura, 

Nò vincer puossi chi morir non teme 

Se vero io parlo, Cremerà vel dica, 45 

E di Coclite il ponte, e quel di Serse, 
E i trecento con Pluto a cenar spinti. 
E noi lombardi petti, e noi nutrica 
Il valor che alle donne etnische e perse 
Plorar fé* l'ombre de' mariti estinti. 50 

Morti sì, ma non vinti, 
Ma liberi cadremo, e armati, e tutti: 
Arme arme fremeran le sepolte ossa, 
Arme, i Agli, le spose, i monti, i flutti; 
E voi cadrete, troni, a quella scossa. 55 

Cadrete; ed alzerà Natura alfine 
Quel dolce grido che nel cor si sente, 
Tutti abbracciando con amplesso eguale; 
E Ragion sulle vostre alte ruine 
Pianterà colla destra onnipossente eo 

43. La fa secura: Par formato sul verso : « E per desperazion fatta secura » 
(Peto., Trionfo della Morte, cap. l.°). Cfr. anche Seneca : « Factus sum 
ex ipsa desperatione securior », e Orazio. Carni, «deliberata morte ferocior ». 

45. Se vero. ecc. : Se é vero che la vittoria arride facilmente ai popoli che 
antepongono la morte alla schiavitù, ve lo dica l'eccidio dei Fabi avvenuto 
nel 447 av. C. sul fiumicello Cremerà, nei dintorni di Roma , e ve lo dica 
il valore di Orazio Coclite, pugnante aa soio sul ponte di legno coll'esercito 
di Porsenna, e la gloriosa morte dei trecento compagni dì Leonida alle Ter- 
mopili combattenti coll'innumerevole esercito di Serse. 

47. A cenar spinti : Leonida, prima dell'estrema disperata pugna, disse ai 
suoi compagni : « Stasera v'invito a cenare da Plutone ». « Troppo basso e 

Grossolano quello spinti a cenare , che ha pure il Boccaccio nella celebre 
escrizione della pestilenza sul fine » (Mestica). 
50. De' mariti estinti : Le donne etrusche, per mano dei Fabi e di Coclite, 
e le persiane per mano dei Greci, doverono piangere {plorar, lat ) la morte 
dei loro mariti. Petrarca, P. in, canz. 1, 94 : «E vedrai nella morte de* 
mariti Tutte vestite a brun le donne perse ». 

53. Fremeran : È qui usato con significato transitivo e vale « chiedere fre- 
mendo, fremens deposcere ». In tal senso é usato dai latini : Virgilio, Aen. 
vii, 160: « arma amens fremit », e xn, 453: « arma manu trepidi po^cunt, 
fremit arma iuventus»; Ovidio, Met. xn, 240: «ardescunt germani caede 
bimembres, Certatimque omnes uno ore arma, arma loquentùr ». Dai latini 
lo derivarono i nostri : Tasso, Cher. Lib. vni, 71 « Arme ! Arme ! freme il 
forsennato e insieme La gioventù superba arme, arme freme «, Foscolo, Se 
polari, 197 : « Possa Fremono amor di patria », e Carduci i, Al Clitunno, 32 
« Qui pugni a* verni e arcane istorie frema ». 

56. Ed alzerà Natura, ecc. : « Accenna alla doppia vittoria che avrà la ri- 
voluzione nel campo sociale e nel campo politico : cioè il trionfo della Na- 
tura e quello della Ragione. Seguendo le idee del Rousseau, il sistema so- 
ciale che si fonda sulla Natura, e che pone per prima sua legge l' ugua- 
glianza di tutti gli uomini, avrà vittoria sutrordinamento sociale presente, 
che è artificiale e conseguenza di un contratto che pone il più forte sul 
più debole generando la disuguaglianza. La Ragione poi avrà vittoria sulla 
superstizione e l'ignoranza che ì principii delle società passate han voluto 
conservare. Le alte ruine saran date dalle molte istituzioni che poggiando 
sulla superstizione e sulla ignoranza in nome della Ragione dovranno ca- 
dere » (Ferrari), 



1f 



28 PAUTE I. 

L'immobil suo triangolo immortale. 

Ira e fiamma non vale 

Incontro a lui di fulmini terreni, 

E forza in van lo crolla ed impostura: 

Dio fra tuoni tranquillo e fra baleni C3 

Tienvi sopra il suo dito e Tassecura. 

Tu, primo degli eroi, che su l'Isonzo, 
Men di te stesso che di noi pensoso, 
Dei re combatti il perfido desìo; 
Tu, che, se tuona di Gradivo il bronzo, 70 

Fra le stragi e le morti polveroso 
Mostri in fragile salma il cor d'un dio; 
All'ostinato e rio 

Tedesco or di' che sul Tesin lasciata 
Hai la donna dell'Alpi ancor fanciulla, 73 

Ma ch'ella in mezzo alle battaglie è nata 
E che novello Alcide è nella culla. 

Molti per via le fan villano oltraggio 
Ricchi infingardi, astuti cherci, ed altra 
Gente di voglie temerarie e prave. so 

Ella passa e non guarda; ed in suo saggio 
Pensi er racchiusa non fa motto; e scaltra 
Scuote intanto i suoi mali, e nulla pavé. 
Così lion, cui grave 

Su la giubba il notturno vapor cada, S5 

Se sorride il mattin sull'orizzonte, 

61. L'immobil suo triangolo, ecc. : Nonostante l'ingegnosa confutazione che 
ne ha fatta il Bertoldi, credo di dover tornare all'opinione del Ferrari che 
questo triangolo sia proprio il simbolo massonico. Che si alluda al sillogismo, 
come crede il Bertoldi, perché consta di tre proposizioni, mi pare ass:ii 
difficile, riuscendo allora il verso un vero indovinello. Si ricordi anche che 
il p. fu certamente massone (Vicchi, i, 97). 

63. Fulmini terreni : « Allude non solo alle scomuniche dei papi, ma anche 
alle guerre delle potè tà che hanno interesse a conservare ignorante e su- 
perstizioso il popolo » (Ferrari). 

66. « Dio tiene il suo dito sopra il triangolo rendendolo immobile agli urti 
degli uomini e lo protegge » (Ferrari). 

68. Pensoso: Petrarca, P. hi, canz. 11, 10«: «Pensoso più d'altrui che 
di sé stesso ». 

70. Di Gradivo il bronzo : 11 cannone. Gradivo é Marte. 

72. In fragile salma : Allude alla non robusta corporatura di Napoleone, 
piccolo di corpo, magro e pallido. 

74. Tesin: Ticino. 

75. La donna dell'Alpi : La Repubblica Cisalpina. Donna qui vale Rcggi- 
trice, come in Dante, Purg. vi, 23 « La donna di Brabante ». 

77. Novello Alcide : Come Alcide infante strozzò in culla due serpenti che 
Giunone aveva mandati a divorarlo, cosi la Cisalpina , sebbene ano.Br fan- 
ciulla, vincerà il « rio tedesco ». 

SI. Ella passa e non guarda : Come pudica fanciulla che passa disdegnando. 
Per la forma ricorda il dantesco « Non ragioniam di lor , ma guarda e pa >sa ♦ - 
{Inf. ni, 51). 

&>. Jl notturno vapor : La rugiada. 



PER IL CONGRESSO d' UDINE. • 29 

Tutta scuote d'un crollo la rugiada, 
E terror delle selve alza la fronte. 

Canzon, l'italo onor dal sonno è desto; 
Però della rampogna, oo 

Che mosse il tuo parlar, prendi vergogna. 
Ma, se quei vili che son forti in soglio 
T'accusano d'orgoglio, 
Rispondi : Italia sul Tesin v'aspetta 
A provarne la spada e la vendetta. or» 

91. Prendi vergogna : Vergognati della rampogna da cui ha preso le mosse 
il tuo parlare, cioè che l'Italia sia più vile che infelice (v. 12), che l'italo 
onore ornai si è desto dal sonno. 



Per la liberazione d'Italia 



Nel 1799, allorché Napoleone Bonaparte conduceva la guerra in Egitto, 
gli Austro-Russi si collegarono contro il Direttorio francese. Il 28 aprile, 1 
collegati, sotto il comando del Souwaroff, entrarono in Milano, distrussero 
lo repubbliche italiane che si erano costituite per le armi di Francia. I più 
fervidi repubblicani esularono allora oltre l'Alpi , e fra gli altri anche il 
Monti che si ridusse a Parigi donde tornò in Italia nel 1801. Napoleone, avvi- 
sato della restaurazione austro- russa, con singolare rapidità tornò in Fran- 
cia, abbatté il Direttorio col colpo di stato del 18 e 19 brumaio (9 e 10 no- 
vembre) 1799, e, sceso per il S. Bernardo in Italia , vinse a Marengo , fra 
Alessandria e Tortona, gli Austriaci il 4 giugno 1800, e dopo alti-i fatti di 
arme, li costringeva alia pace di Lune ville, conclusa il 9 febbraio 1801. Per 

auesti fatti, che lo riempirono di gioia e gli permisero di rivedere la patria, 
p. compose quest'ode subito dopo la battaglia di Marengo. Il metro é a 
strofe tetrastiche di ottonari, alternativamente piani e tronchi a rime alter- 
nate. Bene giudicò quest'inno Severino Ferrari : « Forse é troppo zeppo di 
personificazioni e un pò* teatrale nella chiusa, ma cosi affettuoso per amor 
jatrio nella mossa che dà V intonazione a tutta l'ode , cosi ricco di quella 
>eata vena di armonia che era dote particolare del poeta, e volante, conci- 
tato e rapido fra grandi ricordi e magnanime speranze dal principio alla 
fine, che ben si capisce la fama che cosi universalmente e lungamente godè 
presso i nostri padri ai quali fu carissimo ». 

Bella Italia, amate sponde, 
Pur vi torno a riveder I 
Trema in petto e si confonde 
L'alma oppressa dal piacer. 4 

Tua bellezza, che di pianti 
Fonte amara ognor ti fu, 
Di stranieri e crudi amanti 
T'avea posta in servitù. 

Ma bugiarda e mal sicura 
La speranza fla de' re: 
Il giardino di natura 
No, pei barbari non è. 12 

Bonaparte al tuo periglio 
Dal mar libico volò; 

3. E si confonde : Si turba. Gli antichi poeti lo dissero soltanto d'impres- 
sioni tristi, i moderni invece lo usano anche quando si tratti di turbamenti 
soavi : cosi il Foscolo. neWInno secondo alle Grazie, 112 « e l'aura Pregna 
di fiori gli confonde il cuore ». 

5. Fonte amara : Filicaia « Italia, Italia, o tu cui feo la sorte Dono infe- 
lice di bellezza, ond'hai Funesta dote d'infiniti guai, ecc. ». 

11. Il giardino di natura: L'Italia, che Dante, Purg. vi, 105, aveva chia- 
mato « il giardino deU'impero » e il Petrarca, P. ih, canz. iy, 56 : « del 
mondo la più bella parte ». 

14. Dal mar libico : Dall'Egitto, ove era occupato nella guerra contro 1 
Mammelucchi e gl'Inglesi. 



PER LA LIBERAZIONE D* ITALIA. 31 

Vide il pianto del tuo ciglio, 

E il suo fulmine impugnò. io 

Tremar l'Alpi, e stupefatte 
Suoni umani replicar 
E l'eterne nevi intatte 
D'armi e armati fiammeggiar. so 

Del baleno al par veloce 
Scese il forte, e non s'udì: 
Che men ratto il voi la voce 
Della Fama lo seguì. 24 

D'ostil sangue i vasti campi 
Di Marengo intiepidir, 
E de' bronzi ai tuoni ai lampi 
L'onde attonite fuggir. 28 

Di Marengo la pianura 
Al nemico tomba dio. 
Il giardino di natura, 
No, pei barbari non è. orf 

Bella Italia, amate sponde, 
Pur vi torno a riveder ! 
Trema in petto e si confonde 
L'alma oppressa dal piacer. 30 

Volgi l'onda al mar spedita, 
de' fiumi algoso re; 
Dinne all'Adria che finita 
La gran lite ancor non è; 40 

Di' che l'asta il franco Marte 



: Quasi Giove terreno Napoleone impugnò la folgore, 
e. : Per il passaggio dell esercito napoleonico per il 



16. E 11 suo fulmine: 

18. Suoni umani, ecc. 
S. Bernardo le Alpi tremarono, stupefatte di udire echeggiare le loro valli 
di voci umane. E invero il passaggio del S. Bernardo fu impresa audacis- 
sima. « 11 rumore si propagava dà. ogni banda: quei luoghi ermi» solitari. 
e da tanti secoli muti, risuonarono insolitamente e ad un tratto per voci 
liete guerriere » (Botta, v, lib. xx). 

19. E l'eterne nevi : « Fra le nevi, fra le nebbie , fra le nubi apparivano 
le armi risplendenti, apparivano gli abiti scoloriti dei soldati ; quel miscu- 
glio di natura morta e di natura viva, era spettacolo mirabile » (Ibid.). 

24. Lb segui: Scese inaspettato con tale celerità che arrivò sui nemici 
prima che del suo arrivo si fosse sparso il grido (Botta, rv, p. 14). 

26. Intiepidir : si bagnarono i campi di Marengo di tepido sangue nemico. 
Ricorda il Petrarca, P. in, canz. iv : « Cesare taccio, che per ogni piaggia 
Fece l'erbe sanguigne Di lor vene ». 

27. De* bronzi: Dei cannoni. 

31. Il giardino, ecc. : Ripete con molta efficacia i w. 11-12 ne* quali si 
esprime l'esultanza degl'Italiani per la liberazione della patria, il che costi- 
tuisce il motivo di tutta l'ode. 

38. Algoso re : Il Po, che Virgilio, Georg, i, 482 , chiama « Fluviorum 
rei Eridanus ». 

39. Dinne aU' Adria: Fa' sapere all'Adria (alla Venezia) che ancora non ó 
finita l'aspra guerra, che speri di liberarsi dall'Austria, in soggezione della 
quale era caduta col trattato di Campoformìo. 

41. n franco Marte : Napoleone che per antonomasia ora paragona a Marte, 
ora a Prometeo, ora ad Achille, ora ad Alcide. 



32 PARTE 1. 

Ancor fissa al suol nonha, 

Di' che dove è Bonaparte 

Sta vittoria e libertà. 41 

Libertà, principio e fonte 
Del coraggio e dell'onor, 
Che, il piò in terra, in ciel la fronte, 
Sei del mondo primo amor, 43 

Questo lauro al crin circonda: 
Virtù patria lo nutrì, 
£ Desaix la sacra fronda 
Del suo sangue colorì. 52 

Su quel lauro in chiome sparte 
Pianse Francia e palpitò: 
Non lo pianse Bonaparte, 
Ma invidiollo e sospirò. 56 

Ombra illustre, ti conforti 
Queir invidia e quel sospir : 
Visse assai chi '1 duol de 1 forti 
Meritò nel suo morir. eo 

Ve' sull'Alpi doloroso 
Della patria il santo amor, 
Alle membra dar riposo 
Che fur velo al tuo gran cor. 64 

L'ali il tempo riverenti 
Al tuo piede abbasserà: 
Fremeran procelle e venti, 
E la tomba tua starà. 68 

Per la cozia orrenda valle, 
Usa i nembi a calpestar, 
Torva l'ombra d'Anniballe 
Verrà teco a ragionar. 72 

47. Il pie in terra: Accus. di relazione. Virgilio dice che la Fama: « In 
grediturque solo et caput inter nubila condit» {Aen. iv. 177). 

51. Desaix: il generale Lui^i Carlo Desaix. nato nel 1768, che già s'era 
distinto nella campagna d'Italia del 1706 e nella spedizione d' Egitto,, mori 
gloriosamente, colpito al cuore, a Marengo, dove il suo soprasgiungere, sulla 
sera col suo corpo d'esercito fresco , decise deUe sorti della giornata che 
gin si credeva perduta per i Francesi. 

(il. Velo al tuo gran cor: Velo por corpo come veste dell'anima hanno 
spesso il Petrarca e il Tasso. Il Desaix fu sepolto nella chiesuola dell'ospi- 
zio sul gran S. Bernardo, per ordine di Napoleone che disse : « La tomba 
di Desaix avrà le Alpi per piedistallo, e per guardiani i monaci del Sa; 
Bernardo ». 

68. starà : Alla latina, rimarrà, non sarà distrutta dalle procelle e dai venti 

69. Per la cozia . . . valle: Qui sta per valle alpina in generale, che il gran 
S. Bernardo é nelle Pennine e non nelle Gozie e u piccolo S. Bernardo, donde 
discese Annibale, é nelle Graie. 

70. Usa : Avvezza, riferiscilo ad ombra del verso seg. 

71. Anniballe: Bella questa evocazione del grande generale cartaginese; 
ma l'ombra di lui é evocata solo per dire che fu meno grande e audace d) 
Napoleone. U Ferrari ricorda che nel Bardo, framm. del e. vili, str. 3 dice : 



PER LA LIBERAZIONE D ITALIA. 33 

Chiederà di quell'ardito, 
Che secondo l'Alpe apri : 
Tu gli mostra il varco a dito, 
E rispondi al fìer così : 76 

— Di prontezza e di coraggio 
Te quel grande superò: 
Afro, cedi al suo paraggio, 
Tu scendesti, ed ei volò. so 

Tu dell'itale contrade 
Abbonito destruttor: 
Ei le torna in libertade, 
E ne porta seco il cor. &\ 

Di civili eterne risse 
Tu a Cartago rea cagion : 
Ei placolle e le sconfisse 
Col sorriso e col perdon. es 

Che più chiedi? Tu ruina, 
Ei salvezza al patrio suol. 
Afro, cedi e il ciglio inchina: 
Muore ogni astro in faccia al sol — . 92 

« Fama é che sopra quell'orrende cime L'ombra si aggiri ; avvolta di tem- 
peste, Del feroce Anmbàl che delle prime Orme guerriere stampò l'ardue 
creste ». 

70. Afro : Affricano. — Paraggio : Paragone, voce arcaica. 

88. Col sorriso e col perdon: La storia veramente non é d'accordo col 

f>oeta : Annibale non fu rea cagione di risse alla patria sua , se non per 
iberarla dalla temuta rivale. Roma, né Napoleone, fu cosi benefico verso i 
Francesi. È ben vero però che Napoleone si studiò di conciliare i partiti e 
di placare i sollevati della Vandea (Cfr. Botta, vi, lib. xix). 



Minti. — foesie. 



Per un dipinto dell'Agricola 



Il pittore urbinate Filippo Agricola (1776-1857: fu di non molto valore-, 
k'U procurò qualche fama questo son. e la canz. del nostro per quattro ta- 
vole da lui dipinte rappresentanti Dante. Petrarca, il Tasso. l'Ariosto con le 
loro donne) nei '21 fece il ritratto della figlia del Monii e di Teresa Pikler, 
Costanza. Costei, nata in Roma il 7 giugno 17WJ, bella di forme, vivace d'in- 
degno, fu garbata scrittrice in prosa e in versi. Andò sposa il 6 giugno 1812 
al savignanese Giulio Perticar!. Mortole il marito, fu amareggiata da ca- 
lunnie di malevoli e mori in Ferrara il 7 settembre 1840. V. su lei oltre lo 
scritto di E. Masi, in Parrucche e Sanculotti, cit. nella Introduzione, anche 
A. Monti, Lettere di V. M. e di Costanza sua figlia, Imola, Galeati, 1873, 
G. S. Scipioni, Alcune lettere e poesie di Costanza Monti Pertic. in Oiorn. 
ttor. d, lett. ital. voi. xi, fase, i, G. L. Polidori, Versi e lettere di C. M. 
Pert. Le Mounier, 1860 e M. Romano, C. M. Pertic. e Lettere inedite e sparse 
Ci C. M. P. , Rocca San Casciano, Cappelli 1903. 

Più la contemplo, più vaneggio in quella 
Mirabil tela : e il cor, che ne sospira, 
««f Sì nell'Obbietta del suo amor delira, 

Che gli amplessi n'aspetta e la favella. 

Ond'io già corro ad abbracciarla. Ed ella 
Labbro non move, ma lo sguardo gira 
Ver' me sì lieto che mi dice : Or mira, 
Diletto genitor, quanto son bella. 

Figlia, io rispondo, d'un gentil sereno 
Ridon tue forme ; e questa imago è diva 
Sì che ogni tela al paragon vien meno. 

Ma un'imago di te vegg'io più viva, 
£ la veggo sol io; quella che in seno 
Al tuo tenero padre Amor scolpiva. 

5. Ond'io già corro, ecc. : Per le quattro tavole rappres. Dante, ecc. 43 : 
« Come padre deliro lagrimando Quella divina ad abbracciar mi mossi ». 

8. Quanto son, ecc. Cfr. col son. del Petrarca, P. ii, 62 : « Tornami a 
mente, anzi v'é dentro ». Attribuisce aU' immagine il sentimento eh' egli 
stesso prova nel contemplarla. 

10. Tue forme : Con questa lode, che potrebbe forse parere dettata da va 
nltà paterna, concorda l'opinione di quanti la conobbero. « Preferisco i 
suoi vezzi, scriveva Lady Morgan (ed é il giudizio d'una donna brutta), a 
tutta la scienza racchiusa nella sua bella testa » (Masi, op. cit. p. 239). 

11. Amor scolpiva: Non l'immagine della moglie, come crede lo Zumbini, 
ma quella della figlia è scolpita nel cuore del poeta. Senso : « Più viva del- 
l'immagine dipinta é quella clic l' amore paterno scolpiva nel cuore del 
padre » 



Pel giorno onomastico della sua donna 



La canz. fa composta nell'ottobre del 1826, giorno onomastico della moglie 
del p. Costei, figlia di Giovanni Pikler, incisore di pietre dure, era nata in 
Roma il 3 giugno 1769, andò sposa al M. nel 1701 e mori a Milano il 1D mag- 
gio 1834. La canzone, dolcissima pernii affetti intimi che vi spirano, ci é prova, 
come dice lo Zumbini «p. 250) che «la vecchiezza, non che inaridisse la vena 
dell'affetto, anzi la fece più abbondante ». In una lettera dell'8 sett. 1826 al- 
l'amico G. A. Roverella il p. scriveva : « Cosi malandato qual sono, qualche 
buon verso m'é caduto dalla penna, e alcuni altri ne vo meditando nel 
punto che scrivo a te la presente, consacrati alla mia donna, la quale non 
mi ha mai abbandonato un momento dacché sono caduto in tanta calamità ; 
e se sono ancor vivo, il debbo principalmente alle sue tenere cure » {Episc. 
Rcsnati, il, p. 415). Il metro é quello della canzone a strofe libere, formate 
di settenari ed endecasillabi vanamente disposti e diversamente rimati nelle 
singole strofe. 

Donna, dell'alma mia parte più cara, 
Perchè muta in pensoso atto mi guati, 
E di segrete stille 
Rugiadose si fan le tue pupille? 
Di quel silenzio, di quel pianto intendo, 5 

mia diletta, la cagion. L'eccesso 
De' miei mali ti toglie 
La favella, e discioglie 
In lacrime furtive il tuo dolore. 
Ma datti pace e il core io 

Ad un pensier solleva 
Di me più degno e della forte insieme 
Anima tua. La stella 
Del viver mio s'appressa 

Al suo tramonto; ma sperar ti giovi 15 

Che tutto io non morrò: pensa che un nome 
Non oscuro io ti lascio, e tal che un giorno 
Fra le italiche donne 
Ti fia bel vanto il dire: Io fui l'amore 

1. Donna, ecc. : Orazio. Od. I, m, 8 : « Animae dimidium meae ». Anche 
alla figlia Costanza in un'ode in risposta ad alcuni versi di lei, aveva detto : 
« tu, dell'alma mia parte più cara ». 

4. Le tue pupille : Cosi nell'Iliade, in, 186 (trad. M.) Elena esce dalle sue 
stanze « di segrete Tenere stille rugiadosa il ciglio ». 

6. L'eccesso de* miei mali : 11 9 aprile del 1826 era stato colpito da una 
forte emiplegia ed era anche malato d'occhi. 

15. Al suo tramonto : Moriva il 13 ottobre 1828. 

16. Che tutto, ecc. : È l'oraziano, Od. Ili, xxx, 6 : « non omnis moriar ». 



36 PARTE 1. 

Del cantor di Bassville, so 

Del cantor che di care itale note 

Vestì Tira d'Achille. 

Soave rimembranza ancor ti fla, 

Che ogni spirto gentile 

A' miei casi compianse (e fra gl'Insubri £5 

Quale è lo spirto che gentil non sia?). 

Ma con ciò. tutto nella mente poni 

Che cerca un lungo sofferir chi cerca 

Lungo corso di vita. Oh mia Teresa, 

E tu del pari sventurata e cara 30 

Mia figlia, oh voi che sole d'alcun dolce 

Temprate il molto amaro 

Di mia trista esistenza, egli andrà poco 

Che nell'eterno sonno lagrimando 

Gli occhi miei chiuderete ! Ma sia breve ss 

Per mia cagion il lagrimar: che nulla, 

Fuor che il vostro dolor, fia che mi gravi 

Nel partirmi da questo 

Troppo ai buoni funesto 

Mortai soggiorno, in cui 40 

Così corte le gioie e così lunghe 

Vivon le pene ; ove per dura prova 

Già non è bello il rimaner, ma bello 

L'uscirne e far presto tragitto a quello 

De' ben vissuti, a cui sospiro. E quivi 45 

Di te memore, e fatto 

Cigno immortai (che de* poeti in cielo 

L'arte è pregio e non colpa), il tuo fedele, 

Adorata mia donna, 

T'aspetterà, cantando, 50 

Finché tu giunga, le tue lodi; e molto 

De' tuoi cari costumi 

20. Del cantor, ecc. : Accenna , com'è chiaro , ad uno dei suoi migliori 
poemetti, la Bassvilliana. 

22. Vesti, ecc. : Allude alla traduzione dell'Iliade già pubblicata nel 1S10. 

25. Insubri : Furono antichi abitatori della Gallia traspadana di stirpe 
celtica. Poeticamente vale lombardi. Molti affettuosi amici ebbe U p. nei 
suoi anni estremi. 

29. Lungo corso di vita : Riprende il concetto d' Orazio, Od. I , rv, 15 : 
* Vitae sumnia brevis spem nos vetat inchoare longam ». 

30. Del pari sventurata : Era già vedova di Giulio Perticari e infelice per 
la malevoglienza di parenti e di falsi amici. V. l'Introduzione. 

31. Che nell'eterno sonno : U Bertoldi ricorda qui il v. petrarchesco, P. 1, 
canz. xi, 16: « Ch'Amor quest'occhi lagrimando chiuda », ma in questo 
v. il gerundio lagrimando sta in luogo del part. pres. lacrimanti e si 
collega coll'ogg., invece nel v. del M. non ha questo ufficio. Fu ed ó ancora 
costume di chiuder gli occhi a coloro che muoiono. 

47. Che dei poeti : In ciò si sente un rammarico per le molte inimicizie 
e le molte amarezze che per i suoi versi aveva dovuto soffrire. 



PEL GIORNO ONOMASTICO DELLA SUA DONNA. 37 

Parlerò co* celesti, e dirò quanta 

Fu verso il miserando tuo consorte 

La tua pietade: e l'anime beate, £> 

Di tua virtude innamorate, a Dio 

Pregheranno, che lieti e ognor sereni 

Sienò i tuoi giorni e quelli • - 

Dei dolci amici che ne fan corona: 

Principalmente i tuoi, mio generoso co 

Ospite amato, che verace fede 

Ne fai del detto antico, 

Che ritrova un tesoro 

Chi ritrova un amico. 

61. Ospite amato: Luigi Aureggi che ospitava nella sua villa di Cara ver io 
in Brianza il p. e la sua famiglia. In quella villa anche Tanno avanti aveva 
composto una poesia per l'onomastico della sua donna, molto inferiore però 
a questa. 

61. A questa bellissima poesia intima ben si addicono le parole dello Zum- 
bim, p. 217: « Oserei dire che il nostro poeta non si attenne mai così bene 
alla maniera dei sommi, che é di ritrarre immediata niente i moti intimi 
dell'immaginazione e del cuore, come fere nelle ultime sue liriche: dove 
egli, che parve cosi scarso di affetti intensi da esser detto poeta dell'orec- 
chio e non del cuore, mostrò che talvolta sapeva essere potente su questo 
non meno che su quello ». 



-- • . • 



PARTE H. 

SERMONI, IDILLI, CANTI 



La bellezza dell'Universo 

CANTO RECITATO NBL BOSCO PARRASIO DELL' ARCADIA ROMANA 

PER LE NOZZE DEL DUCA LUIGI BRASCHI ONESTI 

CON DONNA COSTANZA FALCONIERI 



Questo carme fu recitato in Arcadia il 10 agosto 1781 , quando i due ni 
poti di Pio VI, il principe Luigi Braschi Onesti e la Costanza Falconieri, 
furono accolti fra gli Arcadi col nome, l'uno di Alcimedonte Cleoneo, l'altra 
di Egeria Caritea. Molti poeti cantarono e in italiano e in latino le nozze 
principesche : primeggiò fra tutti il Monti con questo mirabile carme. È 
ispirato in parte ad un luogo del e. vii del Paradiso Perduto del Milton 
(Zumbini. p. 28 e sgg.). Ben lo disse lo stesso critico (Ibid.) una pagina della 
storia della natura. Comincia dal glorificare la bellezza dell'universo fisico, 
la considera poi come animatrice delle cose sulla terra, creatrice delle erbe, 
dei fiori, delle piante, degli animali, non che de' venti e delle tempeste, dei 
tuoni e de' baleni. Inneggia poi alla mirabile conformazione fisica dell'uomo 
che in sé racchiude uno spirito immortale. Richiama la Musa in Italia e a 
Roma, ove in Vaticano troverà maestà e dove dalla Bellezza sorrise splen- 
dono eterne le tele e i marmi e risuona di canti la selva d'Arcadia accla- 
mante agli sposi felici. La Bellezza vincerà il tempo, se sarà congiunta alla 
virtù e avrà fine soltanto coli' estinzione dell' universo; allora salirà in 
cielo. 

Della mente di Dio candida figlia, 
Prima d'Amor germana, e di Natura 
Amabile compagna e maraviglia; 

Madre de' dolci affetti, e dolce cura 
Dell'uom che varca pellegrino errante 5 

Questa valle d'esilio e di sciagura; 

Vuoi tu, diva Bellezza, un risonante 
Udir inno di lode, e nel mio petto 
Un raggio tramandar del tuo sembiante? 

Senza la luce tua l'egro intelletto io 

1. Candida : Pura. 

2. Germana : Sorella. 

4. Madre de* doloi affetti : Lucrezio, De Rer. Nat., i, 20 che il Marchetti 
traduce : « Di piacevole amore i cori accendi ». Nelle Nozze di Cadmo * 
d'Erm.y 24, dirà alla Bellezza : « Tu che d'amor le fiamme accendi ». 

0. Un raggio tramandar : Anche Lucrezio, op. cit. I, chiedeva a Venere, la 
bellezza universa, che ispirasse il suo canto. 

10. Egro : Debole (lat.). 



LA BELLEZZA DELL* UNIVERSO. 39 

Langue oscurato, e i miei pensier se' n vanno 
Smarriti in faccia al nobile subbietto. 

Ma qual principio al canto, o dea, daranno 
Le Muse? e dove mai degne parole 
Dell'origine tua trovar potranno? 15 

Stavasi ancora la terrestre mole 
Del càos sepolta nell'abisso informe, 
E sepolti con lei la luna e il sole; 

E tu, del sommo facitor su l'orme 
Spaziando, con esso preparavi 20 

Di questo mondo l'ordine e le forme. 

V'era l'eterna Sapienza, e i gravi 
Suoi pensier ti venia manifestando 
Stretta in santi d'amor nodi soavi. 

Teco scorrea per l' infinito; e, quando 21 

Dalle cupe del nulla ombre ritrose 
L'onnipossente creator comando 

Uscir fé' tutte le mondane cose, 
E al guerreggiar degli elementi infesti 
Silenzio e calma inaspettata impose, 30 

Tu con essa alla grande opra scendesti, 
E con possente man dei furibondo 
Càos le tenebre indietro respingesti, 

Che con muggito orribile e profondo 
Là del creato su le rive estreme 35 

S'odon le mura flagellar del mondo; 

Simili a un mar che per burrasca freme, 
E sdegnando il confine, le bollenti 
Onde solleva, e il lido assorbe e preme. 

Poi ministra di luce e di portenti, 40 

Del ciel volando pei deserti campi, 
Seminasti di stelle i firmamenti. 

Tu coronasti di sereni lampi 
Al sol la fronte; e per te avvien che il crine 
Delle comete rubiconde avvampi; 4j 

Che agli occhi di quaggiù spogliate alfine 
Del reo presagio di feral fortuna, 

SO. Spaziando : Andando attraverso agli spazi dietro a Dio, sommo crea 
tore. 

26. Ritrose : Le ombre del nulla si opposero a Dio perchè non creasse, ma 
il solo comando dell'onnipotente bastò a vincere quella resistenza. Ben dice 
il Bertoldi : « Versi codesti, che tendono del sublime biblico ». 

34. Le tenebre indietro, ecc. : La Bellezza insieme con la divina Sapienza 
fuga le tenebre e crea la luce : « Fiat lux et lux facta est ». 

37. Mar che . . . freme : Ariosto, Ori. Fur. x, 40 : « Né cosi freme il mar, 
quando l'oscuro Turbo discende e in mezzo se gli accampa », — 40 e sjrg. 
In questi vv. specialmente il p. s'ispira al e. vii, 119-210 del Farad. Perd. 

47. Del rio presagio: Si ò sempre creduto che le comete siano annunzia- 



40 PARTE II. 

Invian fiamme innocenti e porporine. 

Di tante faci alla silente e bruna 
Notte trapunse la tua mano il lembo, 50 

E un don le festi della bianca luna; 

E di rose all'Aurora empiesti il grembo, 
Che poi sovra i sopiti egri mortali 
Piovon di perle rugiadose un nembo. 

Quindi alla terra indirizzasti Tali; 55 

Ed ebber dal poter de' tuoi splendori 
Vita le cose inanimate e frali. 

Tumide allor di nutritivi umori 
Si fecondar le glebe, e si fèr manto 
Di molli erbette e d'olezzanti fiori. 60 

Allor, degli occhi lusinghiero incanto, 
Crebber le chiome ai boschi; e gli arbuscelli 
Grato stillar dalie corteccie il pianto, 

Allor dal monte corsero i ruscelli 
Mormorando, e la florida riviera 65 

Lambir freschi e scherzosi i venticelli. 

Tutta del suo bel manto primavera 
Copria la terra, ma la vasta idea 
Del gran fabbro compita ancor non era. 

Di sua vaghezza inutile parea 70 

Lagnarsi il suolo, e con più bel desiro 
Sguardo e amor di viventi alme attendea. 

Tu allor raggiante d'un sorriso in giro 
Dei quattro venti su le penne tese 
L'aura mandasti del divino spiro. 73 

La terra in sen l'accolse e la comprese, 
E un dolce movimento, un brividio 
Serpeggiar per le viscere s'intese; 

trici di guerre e di pestilenze. Bene osserva il Piergili che raggiunto por- 
porine non vale qui « rossastre » , perché questo attributo é già espresso 
nel * rubiconde » del v. 45, ma soltanto « splendenti ». 

52. E di rose : I poeti, da Omero in poi, attribuirono o le dita di rosa o 
ghirlande di rose all'Aurora. Cosi il Petrarca, P. ir, son. 23, la dice : « con 
la fronte di rose e co' crin d'oro », e il Tasso, Ger. Lib. ni, 1 « coiraurea 
testa » infiorata « di rose colte in Paradiso », e T Ariosto, Ori. Fur. xni, 
43 la fa uscire « con la ghirlanda di rose adorna , e di purpurea stola ». 

54. Perle rugiadose : Le gocce della rugiada che illuminate dal sole seni 
brano perle. 

62. Le chiome ai boschi : È il « nemorum coma» di Orazio, e V « arboreas 
comas » di Ovidio, Amorcs: il Poliziano, Stanze, 73 ha le « chiome del 
giardino eterno ». 

63. Il pianto : gli aromi che ne gocciano. 

69. Del gran fabbro : Di Dio, creatore dell'universo. 

68. Coprir la terra : Cfr. Virgilio, Georg, n, 338 : « ver illud erat, ver 
magnus agebat orbis ». 

73. Tu allor, ecc. : Tu allora, o Bellezza, sulle penne dei quattro venti nel 
mondo mandasti il soffio fecondatore di Dio. 

76. La comprese : La contenne. 



LA BELLEZZA DELL* UNIVERSO. 41 

Onde un fremito diede, e concepio; 
E il suol, che tutto già s'ingrossa e figlia 80 

La brulicante superficie aprio. 

Dalle gravide glebe, oh maraviglia !, 
Fuori allor si lanciò scherzante e presta 
La vaga delle belve ampia famiglia. 

Ecco dal suolo liberar la testa, 85 

Scuoter le giubbe, e tutto uscir d'un salto 
Il biondo imperator della foresta. 

Ecco la tigre e il leopardo in alto 
Spiccarsi fuora della rotta bica, 
E fuggir nelle selve a salto a salto. . oo 

Vedi sjtto la zolla che l'implica 
Divincolarsi il bue, che pigro e lento 
Isvil uppa le gran membra a fatica. 

Vedi pien di magnanimo ardimento 
Sovra i piedi balzar ritto il destriero, 05 

E nitrendo sfidar nel corso il vento; 

Indi il cervo ramoso, ed il leggiero 
Daino fugace; e mille altri animanti, 
Qual mansueto e qual ritroso e fiero; 

Altri per valli e per campagne erranti, ìoo 

Altri di tane abitator crudeli, 
Altri dell'uomo difensori e amanti. 

E lor di macchia differente i peli 
Tu di tua mano dipingesti, o diva, 
Con quella mano che dipinse i cieli. 105 

Poi de' color più vaghi, onde l'estiva 
Stagion delle campagne orna l'aspetto 
E de' freschi ruscei smalta la riva, 

79. Bello é questo fremito di vita che il p. descrive con mirabili colori 
e che può ricordare ciò che Virgilio, Georg, ii, 324 dice del germinar dell i 
vita al sopraggiungere della primavera: « Vere tument terrae et genitalia 
semina poscunt ». 

81. Ampia famiglia: Famiglia, che originariamente indicò tutti i servi 
della casa, passò per estensione a significare moltitudine di cose che ab- 
biano affinità fra loro : cosi il Petrarca nel son. Zeffiro toma dice : « E i 
fiori e l'erbe, sua dolce famiglia *, e il Foscolo, Sepolcri, 5 * Bella d'erbe 
famiglia e d'animali ». 

85. Liberar la testa: Virgilio, Georg, li, 341 : « Terrea progenies duris ca- 
put extuUt arvis ». 

87. Il biondo, ecc. : Il leone. 

89. Bica : Zolla. Viene dall'antico tedesco biga che vale mucchio e si usa 
dai contadini toscani per indicare un mucchio di covoni di grano. 

80. E fuggir neUe selve: Virgilio, Georg, n, 342: « immissaeque ferae 
sii vis ». Anche questi bei versi s' ispirano al e. vii , 445-453 del Par ad. 
Perdi. 

93. A fatica : Nota qui l'armonia derivante soprattutto dall' accento sulla 
terza sillaba, armonia che colla sua lentezza imita benissimo U lento divin 
colarsi del pigro bue dalla zolla. 

98. Animanti : Animali (lat.). 



42 PARTK II. 

L'ale spruzzasti al vagabondo insetto 
E le lubriche anella serpentine no 

Del più caduco vermicciuol negletto. 

Nò qui ponesii all'opra tua confine; 
Ma vie più innanzi la mirabil traccia 
Stender ti piacque dell'idee divine. 

Cinta adunque di calma e di bonaccia, 115 

Dalle marine interminabi Tonde 
Lanciasti un guardo su l'azzurra faccia. 

Penetrò nelle cupe acque profonde 
Quel guardo; e con bolior grato natura 
Intiepidille, e diventar feconde; 120 

E tosto vari d'indole e figura 
Guizzaro i pesci, e fin dall'ime arene 
Tutta increspar la liquida pianura. 

I delfin snelli colle curve schiene 
Uscir danzando; e mezzo il mar coprirò 123 

Col vastissimo ventre orche e balene. 

Fin gli scogli e le sirti allor sentirò 
Il vigor di quel guardo e la dolcezza, 
E di coralli e d'erbe si vestirò. 

Ma che ? Non son, non sono, alma Bellezza, 130 

Il mar, le belve, le campagne, i fonti 
Il sol teatro della tua grandezza. 

Anche sul dorso dei petrosi mónti 
Talor t'assidi maestosa, e rendi 
Belle dell'Alpi le nevose fronti. 133 

Talor sul giogo abbrustolato ascendi 
Del fumante Etna, e nell'orribil veste 
Delle sue fiamme ti ravvolgi e splendi. 

Tu del nero aquilon su le funeste 
Ale per l'aria alteramente vieni, ho 

E passeggi sul dorso alle tempeste: 

Ivi spesso d'orror gli occhi sereni 
Ti copri, e mille intorno al capo accenso 
Rugghiano i tuoni e strisciano i baleni. 

Ma sotto il vel di tenebror sì denso 115 

109. Al vagabondo Insetto : Alla farfalla. 
111. Lubriche: Striscianti. 

123. La liquida pianura : Virgilio, Aen. v, 108 « vastis tremit ictibus aerea 
puppis Subtr ahi turche solum », e Dante, Purg. n, 15 « suol marino ». 

124. Sirti : Luoghi arenosi nel mare. 

137. Etna : Il vulcano di Sicilia nelle cui orribili fiamme splende sovrana 
bellezza. 

HI. E passeggi, ecc. : Bel verso d'ispirazione biblica. Salmi, xvi, 10 : 
« Volò sull'ale de* venti ». 

143. Accenso : Acceso (lat.). 

115. Ma sotto il cielo: Ma questa bellezza che pure splende anche nell'or- 



LA BELLEZZA DELL* UNIVERSO. 43 

Non ti scorge del vulgo il debil lume, 
Che si confonde nell'error del senso. 

Sol ti ravvisa di Sofìa l'acume, 
Che nelle sedi di natura ascose 
Ardita spinge del pensier le piume. 150 

Nel danzar delle stelle armoniose 
Ella ti vede, e nell'occulto amore 
Che informa e attraggo le create cose. 

Te ricerca con occhio indagatore 
Di botaniche armato acute lenti 155 

Nelle' fibre or d'un'erba ed or d'un flore. 

Te dei corpi mirar negli elementi 
Sogliono al gorgoglio d'acre vasello 
I chimici curvati e pazienti. é 

Ma più le tracce del divin tuo bello ìca 

Discopre la sparuta anatomia, 
Allorché armata di sottil coltello 

I cadaveri incide e l'armonia 
Delle membra rivela, e il penetrale 
Di nostra vita attentamente spia. igò 

uomo, o del divin dito immortale 
Ineffabil lavor, forma e ricetto 
Di spirto, e polve moribonda e frale, 

Chi può cantar le tue bellezze? Al petto 
Manca la lena, e il verso non ascende ito 

«e Tanto che arrivi all'alto mio concetto ». 

Fronte che guarda il ciel e al cielo tende; 
Chioma che sopra agli omeri cadente 
Or bionda or bruna il capo orna e difende; 

Occhio, dell'alma interprete eloquente, 173 

Senza cui non avria dardi e farètra 

rido e nello spaventoso non é compresa dal volgo che ha la mente e i sensi 
agitati dal rugghiar de* tuoni e dallo strisciar de* baleni. 

150. Le piarne: Le penne. Cfr. Tasso, Ger. Lib. vii, 11 : « E spiegar gli 
augelletti al ciel le piume ». La scienza spinge il suo acuto sguardo noi 
fenomeni meteorologici e ne spiega le cagioni. 

152. Nell'occulto amore, ecc. : Nella gravitazione universale. 

155. Botaniche lenti : I microscopi. 

158. Aere vaseUo : Il piccolo vaso dove il clinico studia gli acidi (da 
ciò acre), 

161. Sparata : Perché esamina i cadaveri (i cadaveri incide). 

107. Forma, ecc. : « Si noti la potente antitesi fra il concetto delTimmor 
talita dell'anima e la fralezza del corpo umano » (Bertoldi). 

171. È un verso dell* Ariosto, Ori. Fur. iv, 1. Anche il Pktrarca nel 
son. Vergognando talor dice : « Ma qual suon poria mai salir tant'alto % » 

172. Pronte : Cfr. Ovidio, Met. i, 76 e sgg. e specialmente i vv. « Os no- 
mini sublime dedit, caelumque tueri lussi t, et erectos ad sidera tollero 
vultus ». 

178. Senza cai, ecc. : Senza rocchio Amore non ferirebbe colle sue pos- 
senti armi gli animi umani. 



44 PARTE II. 

Amor nò l'ali uè la face ardente; 

Bocca dond'èsce il riso che penetra 
Dentro i cori, e l'accento si disserra 
Ch'or severo comanda or dolce impetra iso 

Mano che tutto sente e tutto all'erra, 
E nell'arti incallisce, e ardita e pronta 
Cittadi innalza e opposti monti atterra; 

Piede, su cui l'uman tronco si ponta 
E parte e riede, e or ratto ed or restio isr> 

Varca pianure, e gioghi aspri sormonta; 

E tutta la persona entro il cuor mio 
La maraviglia piove, e mi favella 
Di quell'alto saper che la compio. 

Taccion d'amor rapiti intorno ad ella 190 

La terra, il cielo; ed: Io, son io, v'è sculto, 
Delle create cose la più bella. 

Ma qual nuovo d'idee dolce tumulto ! 
Qual raggio amico delle membra or viene 
A rischiararmi il laberinto occulto ? 193 

Veggo muscoli ed ossa, e nervi e vene; 
Veggo il sangue e le fibre onde s'alterna 
Quel moto che la vita urta e mantiene; 

Ma nei legami della salma interna, 
Ammiranda prigion ! cerco e non veggio 200 

Lo spirto che la move e la governa. 

Pur sento io ben che quivi ha stanza e seggio, 
E dalla luce di ragion guidato 
In tutte parti il trovo e lo vagheggio. 

spirto, immago dell'Eternò, e fiato 205 

Di quelle labbra alla cui voce il serio 
Si squarciò dell'abisso fecondato, 

Dove andar l'innocenza ed il sereno 
Della pura beltà, di cui vestito : 

Discendesti nel carcere terreno ? 210 

Ahi misero ! t'han guasto e scolorito 

183. Opposti monti, ecc. : Qui é ben descritta la molteplice operosità umana 
che vince anche i più potenti ostacoli della natura. 
181. Si ponta : si appoggia. 




sangue piove più largamente 
sulle tue trecce piova ». 

189. Di quell'alto saper : Della divina sapienza. 

197. Onde s'alterna, ecc. : Per le quali avviene il movimento alternato del 
sangue, (la circolazione del sangue) che stimola (urta) e mantiene la vita. 

199. Salma: Corpo, v. alla p. 11 la n. al v. 83. 

205. E fiato, ecc. : Iddio spirò il suo soffio nella creta da cui aveva for- 
mato Adamo. 

210. Nel carcere terreno: Nel corpo, che è come il carcere dell'anima. 



I A BELLEZZA DELL'UNIVERSO. 45 

Lascivia, ambizion, ira ed orgoglio, 
Che alla colpa ti fero il turpe invito I 

La tua ragione trabalzar dal soglio, 
E lacero, .deluso ed abbattuto 815 

T'abbandonar nell'onta e nei cordoglio, 

Siccome incauto pellegrin caduto 
Nella man de' ladroni, allorché dorme 
11 mondo stanco e d'ogni luce muto. 

Eppur sul volto le reliquie e Torme 220 

Fra il turbo degli affetti e la rapina 
Serbi pur anco dell'antiche forme: 

Ancor dell'alta origine divina 
I sacri segni riconosco, ancora 
Sei bello e grande nella tua rovina; £25 

Qual ardua antica mole, a cui talora 
La folgore del cielo il fianco scuota 
Od il tempo che tutto urta e divora, 

Piena di solchi ma pur salda e immota 
Stassi, e d'offese e d'anni carca aspetta 230 

Un nemico maggior che la percota. 

Fra l'eccidio e l'orror della soggetta 
Colpevole natura, ove l'immerse 
Stolta lusinga e una fatai vendetta, 

Più bella intanto la virtude emerse, 233 

Qual astro che splendor nell'ombre acquista. 
E in riso i pianti di quaggiù converse. 

Per lei gioconda e lusinghiera in vista 
S'appresenta la morte, e 1' amarezza 
D'ogni sventura col suo dolce è mista. 210 

Lei guarda il ciel dalla superna altezza 
Con amanti pupille; e per lei sola 
S'apparenta dell'uomo alla bassezza. 

214. Trabalzar dal soglio : Parini, II bisogno, 13 ' « Oltre corri e fremente) 
Strappi ragion dal soglio ». 

219. D'ogni luce muto : È in Dante, Inf. v. 28 : « Io venni in loco d'ogni luce 
muto », 

221. E la rapina : Anche in mezzo al turbine delle passioni serbi le traccia 
dell'innocenza d'un tempo. 

224. I sacri segni, ecc. : Virgilio, Aen. iv, 23 : « Agnosco veteris vestigia 
fìammae ». 

233. Stolta lusinga: La virtù deU'uomo emerse dal diluvio universale 
{dall'eccidio e Vorror della soggetta colpevole natura) più bella come 
un'alta mole che non riesce a domare come un astro che esce dalle te- 
nebre ancora più lucente. 

237. E in riso, ecc. : Il Petrarca nella canz. alla Vergine dice : « Vergine 
benedetta, Che il pianto d'Eva in allegrezza torni ». — Converse: Cangio. 
Dante, Inf. xn, 43 : « per lo qual é chi creda Più volte il mondo in caos 
converso ». 

212. E per lei .sola : Solo per ricondurre gli uomini alla Virtù , Iddio si 
apparentò all'umana natura, cioè si fece uomo. 



40 PARTE II. 

Ma dove, o diva, del mio canto vola 
L'audace immaginar? dove il pensiero 245 

Del tuo vate guidasti e la parola? 

Torna, amabile dea, torna al primiero 
Cammin terrestre, né mostrarti schiva 
Di minor vanto e di minor impero. 

Torna; e, se cerchi errante fuggitiva 250 

Devoti per l'Europa animi ligi 
E tempio degno di sì bella diva, 

Non t'aggirar del morbido Parigi 
Cotanto per le vie, né su le sponde 
Delia Neva, dell'Istro e del Tamigi. 255 

Volgi il guardo d'Italia alle gioconde 
Alme contrade, e per miglior cagione 
Del fiume tiberin fermati all'onde. 

Non è straniero il loco e la magione. 
Qui fu dove dal cigno venosino geo 

Vagheggiar ti lasciasti e da Marone; 

E qui reggesti del pittor d'Urbino 

I sovrani pennelli, e di quel d'Arno 

« Michel più che mortale angel divino ». 
Ferve d'alme sì grandi, e non indarno, ,,235 

II genio redivivo. Al suol romano 
D'Augusto i tempi e di Leon tornarno. 

Vedrai stender giulive a te la mano 
Grandezza e Maestà, tue suore antiche, 
Che ti chiaman da lungi in Vaticano. 270 

T'infioreranno le bell'Arti amiche 
La via, dovunque volgerai le piante, 

251. Devoti . . . animi ligi: Se cerchi animi a te, o Bellezza, devoti e 
soggetti. 

253. Morbido : Delicato. 

255. Della Neva, ecc. : Di Pietroburgo, di Vienna e di Londra. 

257. Per miglior cagione : Per motivo più forte, perché più degno che ti 
fermi colà. 

260. Dal cigno venosino : Da Orazio. Il cigno sacro ad Apollo e a Venere 
fu ritenuto simbolo dei poeti, perché si credette che presso a morte can- 
tasse soavemente. 

261. Marone: Publio Virgilio Marone nato ad Andes presso Mantova nei 
70 e morto a Brindisi nel 19 av. C. 

262. Del pittor d'Urbino : Di Raffaello Sanzio urbinate (1483-1520), che corn- 
ee i suoi più celebrati lavori in Roma al tempo di Giulio II e di Leone X. 

264. Michel, ecc. : È un verso dell'ARiosTO, Ori. Fur. xxxiii, 2, col quale 
si designa Michelangelo Buonarroti fiorentino , la cui grande opera é il 
S. Pietro , il « nuovo Olimpo » innalzato « in Roma ai celesti » , come 
dice il Foscolo. 

267. E di Leon, ecc. : Allude al tempo di Pio VI felice per le arti e dal p. 
celebrato nella Prosopopea di Pericle. I tempi di Augusto, primo impera- 
tore romano (63 av. C. — 14 d. C), e di Leone X (1475-1521) furono cosi cele 
brati per lo splendore delle arti che quei due grandi principi dettero il 
nome al loro fortunato secolo. 



LA BELLEZZA DELl/UNIVERSO. 47 

Te propizia invocando alle fatiche. 

Per te all'occhio divien viva e parlante 
La tela e il masso, ed il pensiero è in forsi 75 

Di crederlo insensato e palpitante: 

Per te di marmi i duri alpestri dorsi 
Spoglian le balze tiburtine e il monte 
Che Circe empieva di leoni e d'orsi, 

Onde poi mani architettrici e pronte 2S0 

Di moli aggravan la latina arena 
D'eterni fianchi e di superba fronte: 

Per te risuona la notturna scena 
Di possente armonia, che l'alme bea 
E gli affetti lusinga ed incatena. i'35 

E questa selva, che la selva ascrea 
Imita e suona di febeo concento, 
Tutta è spirante del tuo nume, dea; 

E questi lauri che tremar fa il vento, 
E queste che premiam tenere erbette, *#> 

Sono d'un tuo sorriso opra e portento. 

E tue pur son le dolci canzonette 
Che ad Imeneo cantar dianzi s'intese 
L'arcade schiera su le corde elette. 

Stettero al grato suon l'aure sospese, 205 

E il bel Parrasio a replicar fra nui 
Di Luigi e Costanza il nome apprese. 

Ambo cari a te sono; e ad ambidui 
Su l'amabil sembiante un feritore 
Raggio imprimesti de' begli occhi tui; 300 

Raggio che prese poi la via del core, 
E di virtù congiunto all'aurea face, 
Fé' nell'alme avvampar quella d'amore. 

Vien dunque, amica diva. Il tempo edace, 
Fatai nemico, colla man rugosa 305 

Ti combatte, ti vince e ti disface. 

275. La tela e 11 masso : La pittura e la scultura. 

278. Le balze tiburtine-: I colli di Tivoli (TiOur, da cui l'agg. Tiburnus e 
Tiburtinus). 

E 11 monte, ecc. : Il monte Circe Ilo, che, come appare anche in Virgilio, 
Aen., vii, 10, si sarebbe cosi detto dal nome della maga Circe che vi avrebbe 
avuta dimora. 

281. D'eterni fianchi: Dipende da moli. Monumenti che dureranno eterni 
graveranno il suolo latino. 

283. La notturna soena : Il teatro. 

284. Di possente armonia : La musica che nel carme Le Nozze di Cadmo 
e d'Ermione, 20, dirà : « quella Che di musiche note il cor ricrea ». 

286. E questa selva : Il bosco Parrasio in Arcadia che imitava la selva 
Ascra in Beozia. 

287. Di Febeo ooncento : Di poesie inneggianti alle fauste nozze. 
304. Edaoe: Che consuma, distrugge. 



48 PARTE II. 

Egli il color del giglio e della rosa 
Toglie alle gote più ridenti, e stende 
Da per tutto la falce ruinosa. 

Ma, se teco Virtù s'arma e discende 3 lo 

Nel cuor dell'uomo ad abitar sicura, 
Passa il voglio rapace e non t'offende. 

solo, allorché fia che di natura 
Ei franga la catena, e urtate e rotte 
Dell'universo cadano le mura, 313 

E spalancando le voraci grotte 
L'assorba il nulla e tutto lo sommerga 
Nel muto orror della seconda notte, 

Al fracassato mondo allor le terga 
Darai fuggendo; e su l'eterea sede, 320 

Ove non ria che tempo ti disperga , 

Stabile fermerai l'eburneo piede. 

300. La falce rtfinosa : Il tempo, sotto forma di un vecchio armato di falce, 
combatte, vince, disfà la bellezza. 

310. Ha se teoo, ecc. : Cosi, chiudendo con una specie di moralità, il carme, 
il p. dice che se la Virtù si congiunge colla Bellezza, il tempo non l'offende. 
Bene a ragione però osserva 16 Zumbini (p. 38) : « Se dicendo : « Ma se 
teco t ecc. », intendeva di rivolger sempre le parole alla stessa BeUezza del- 
l'Universo egli erra i che, congiunta o non congiunta a virtù, quella bel- 
lezza si nei volti e si in tutte le altre forme particolari, é sempre soggetta 
all'azione del tempo. Se poi, a difesa del poeta, si rispondesse che qui non 
1 si tratta più della bellezza fisica, si bene della bellezza morale, ch'é la stessa 
Virtù, allora peggio che peggio ; perché il p. seguitando , verrebbe a dire 
che la sola bellezza morale, o Virtù che si voglia, non offesa mai dal tempo, 
durerà nel mondo quanto il mondo slesso. Ma il vero è che il medesimo 
poteva affermarsi della Bellezza fisica, della quale, nei due primi terzetti, 
erasi detto che il tempo la combatte e la vince da per tutto : perocché an- 
che la Bellezza disfatta nei gigli e nelle rose di un volto, si rifa sempre in 
un nuovo volto, finché esista la specie umana ». 

318. Seocnda notte : La prima fu quella del caos innanzi alla creazione. 

322. Eburnee : Bianche come l'avorio (ebur), epiteto qui, mi pare, un po' 
ozioso. 



Al Principe Don Sigismondo Chigi 



Questi sciolti furono composti nel 1783, pare, per una Carlotta Stewart, 
allora educanda in un convento di Firenze, di cui si era ardentemente in- 
vaghito il p. (come ha dimostrato L. A. Ferrai in un suo articolo nel 
Gi07*n. stor. d. letter-. ital., v. pag. 370 e vili, pag. 250). Confidente di 
questo amore fu la ini provvisatrice Fortunata Sulfher Fantastici di Livorno, 
come si vede da molte lettere che a lei diresse il Monti. Il principe romano 
don Sigismondo Chigi (1736-1703), a cui son diretti gli sciolti, fu intimo 
amico del p., valente letterato e autore anche d'un poema che ebbe le lodi 
di E. Q. Visconti. Anche il Chigi lo aveva confortato a quel matrimonio, 
anzi per agevolargliene la via. gli aveva fatto un assegnamento di 60 scudi 
Tanno. Per viva gratitudine il p. volle dedicare gli sciolti a quel principe. 
Questo carme lirico-elegiaco é desunto in gran parte dal Werther di Voi 
fango Goethe. 

Dunque fu di natura ordine e fato, 
Che di là donde il bene ne deriva 
Del mal pur anco scaturir dovesse 
La torbida sorgente? Oh saggio, oh solo 
A me rimasto negli avversi casi 5 

Consolator, che non torcesti mai 
Dalle pene d'altrui lungi lo sguardo, 
E scarso di parole e largo d'opre 
Co* benefizi al mio dolor soccorri, 
Gismondo; e qual di gioie e di martiri io 

Portentosa mistura è il cuor dell'uomo ! 
Questa parte di me che sente e vede. 
Questo di vita fuggitivo spirto 
Che mi scalda le membra e le penetra, 
Con quale ardor, con qual diletto un tempo 15 

Scorrea pe' campi di natura, e tutte 
A me d'intorno rabbellia le cose ! 
Or s'è cangiato in mio tiranno, in crudo 
Carnefice, che il frale onde son cinto 
Romper minaccia e le corporee forze, 20 

Qual tarlo roditor, logora e strugge. 

4. Sorgente : « Ed é pur vero che ciò che forma la felicità dell'uomo finisca 
per diventare la fonte della sua miseria 1 » ( Werther. P. 1, lett. del 18 ago- 
sto, trad. Ceroni). 

19. Il frale : 11 corpo. 

21. E strugge : « Quel fervido sentimento del cuore che animava di bel- 
lezza la natura al mio sguardo, che mi faceva prorompere in tanto delirio 
di gioia, che convertiva in eliso d'intorno a me l'universo, quel sentimento 
si e fatto o£gi:nai il mio manigoldo, il demone che mi persegue dovunque 
io sia » (Il)id.). 

Munti. — Poesie. 4 



50 PARTE II. 

Giorni beati che in solingo asilo 
Senza nube passai, chi vi disperse? 
Ratti qual lampo, che la buia notte 
Segna talor di momentaneo solco, 25 

E su gli occhi le tenebre raddoppia 
Al pellegrin che si sgomenta e guata, 
Qual mio fallo v'estinse? e tanto amara 
Or mi rende di voi la rimembranza. 
Che pria sì dolce mi scendea sul core? 3c 

Allorché il sole (io lo rammento spesso) 
D'oriente sul balzo compariva 
A risvegliar dal suo silenzio il mondo, 
E agli oggetti rendea più vivi e freschi 

I color che rapiti avea la sera; 35 
Dall'umile mio letto anch'io sorgendo, 

A salutarlo m'affrettava, e fiso 

Tenea l'occhio a mirar come nascoso 

Di là dal colle ancora ei fea da lunge 

Degli alti gioghi biondeggiar le cime; 10 

Poi, come lenta in giù scorrea la luce 

II dorso imporporando e i fianchi alpestri, 
E dilatata a me venia d'insontro 

Che a' piedi l'attendea della montagna. 

Dall'umido suo sen la terra allora 15 

Su le penne dell'aure mattutine 

Grata innalzava di profumi un nembo; 

E altero di so stesso e sorridente 

Su i benefìzi suoi l'aureo pianeta 

Nel vapor che odoroso ergeasi in alto 50 

Già rinfrescando le divino chiome, 

E fra il concento degli augelli e il plauso 

Delle create cose egli sublime 

Per l'azzurro del ciel spingea le rote. 

Allor sul fresco margine d'un rivo 55 

M'adagiava tranquillo in su l'erbetta, 
Che lunga e folta mi sorgea dintorno 
E tutto quasi mi copriva: ed ora 
Supino mi giacea, fosche mirando 

27. Guata : Guarda con terrore. Dante, Inf. 1, 21 : « Si volge all'acqua 
perigliosa e guata ». 

49. L'aureo pianeta : Il sole, i cui raggi d'oro (le divine chiome) si rin- 
frescano nel vapore odoroso. 

54. Le rote : le rote del suo carro. 

59. Pender la selva : Una selva pende quando sta a pendio sopra un monte; 
cosi U Foscolo nella trad. dall'Iliade, 11, 971 : « Ormenio vede Pender negra 
-dal Pelio la foresta » e nell'Inno I alle Grazie, 135 : « sull'onda Pendea ne- 
gra una selva ». 



AL PRINCIPE DON SIGISMONDO CHIGI. 51 

Pender le selve dall'opposta balza, co 

E fumar le colline, e tutta in faccia 
Di sparsi armenti biancheggiar la rupe; 
Or rivolto col fianco al ruscelletto, 

10 mi fermava a riguardar le nubi 

Che tremolando si vedean riflesse C5 

Nel puro trapassar specchio dell'onda: 
Poi, del gentil spettacolo già sazio, 
Tra i cespi, che mi fean corona e letto, 
Si fissava il mio sguardo, e attento e cheto 

11 picciol mondo a contemplar poneami 73 
Che tra gli steli brulica dell'erbe, 

E il vago e vario degli insetti ammanto 

E l'indole diversa e la natura. 

Altri a torma e fuggenti in lunga fila 

Vengono e van per via carchi di preda; 73 

Altri sta solitario, altri l'amico 

In suo cammino arresta, e con lui sembra 

Gran cose conferir; questi d'un fiore 

L'ambrosia sugge e la rugiada, e quello 

Al suo rivai ne disputa l'impero; so 

E venir tosto a lite, ed azzuffarsi, 

E avviticchiati insieme ambo repente 

Giù dalla foglia sdrucciolar li vedi. 

Né valor manca in quegli angusti petti, 

Previdenza, consiglio, odio ed amore, C5 

Quindi alcuni tra lor miti e pietosi 

Prestansi aita ne' bisogni ; assai 

Migliori in ciò dell'uom, che al suo fratello 

Fin nella stessa povertà fa guerra: 

Ed altri poscia, da vorace istinto oo 

Alla strage chiamati ed agl'inganni, 

Della morte d'altrui vivono; e sempre 

Del più gagliardo, come avvien tra noi, 

del più scaltro la ragion prevale. 

Questi gli oggetti e questi erano un tempo 05 

Gli eloquenti maestri che di pura 
Filosofia m'empian la mente e il petto; 
Mentre soave mi sentia sul volto 
Spirar del nume onnipossente il soffio, 

73. E la natura : Cfr. col Werther, P. i, lettera del 18 agosto. 

75. Carchi di preda : Come le api in Virgilio, Aen. i, 430, che si danno at- 
torno e tutta ferve l'opjra loro. 

04. « Inutile avvertire la spontaneità e insieme finezza di questi versi : 
un senso cosi vivo della natura si trova di rado anche in grandi poeti » 
(Bertoldi). 

99. Il soffio : Lo spirar della vita universa. 



52 PARTE II. 

Quel soffio che le viscere serpendo 100 

Dell'ampia terra, e ventilando il chiuso 

Elementar foco di vita, e tutta 

La materia agitando e le seguaci 

Forme che inerti le giaceano in grembo, 

L'une contro dell'altre in bel conflitto 105 

Arma le forze di natura, e tragge 

Da tanta guerra l'armonia del mondo. 

Scorreami quindi per le calde vene 

Un torrente di gioia; e discendea 

Questo vasto universo entro mia mente, 110 

Or come grave sasso che nel mezzo 

Piomba d'un lago, e l'agita e sconvolge 

E lo fa tutto ribollir dal fondo; 

Or come immago di leggiadra amante, 

Che di grato tumulto i sensi ingombra 113 

E serena sul cor brilla e riposa. 

Ma più quell'io non son. Oangiaro i tempi, 
Cangiar le cose. Della gioia estremo 
Regnò sull'alma il sentimento: estremi 
Or vi regnano ancora i miei martiri. 120 

E come stenderò su le ferite 
L'ardita mano, a toglieronne il velo? 
Una fulgida chioma al vento sparsa, 
Un dolce sguardo ed un più dolce accento, 
Un sorriso, un sospir dunque poterò 123 

Non preveduto suscitarmi in seno 
Tanto incendio d'affetti e tanta guerra 1 
E non son questi i lior, queste le valli, 
Che già parver sì belle agli occhi mici ì 
Chi di fosco le tinse ? e chi sul ciglio ico 

Mi calò questa benda ? Ohimè ! l'orrore 
Che sgorga di mia mente e il cor m'allaga, 
Di natura si sparse anche sul volto 
E l'abbuiò. Me misero ! non veggo 
Che lugubri deserti ; altro non odo iC3 

Che urlar torrenti e mugolar tempeste. 

101. E ventilando: Animando col suo spiro ventilando è qui in senso at- 
tivo) i germi vitali che là terra contiene e che ne formano gli elementi. 
103. Segnaci : Glie ne derivano. 

117. Ma più quell'io non son : È traduzione di un distico della prima delle 
Elegie di Massimiano un tempo attribuite a Cornelio Gallo: « Non sum 
qui fueram, per Ut pars maxima nostri ». 

118. Estremo: Al massimo grado. 

123. Al vento sparsa : Virgilio, Aen. 1, 323 : « dederatque comas diffondere 
ventis », da cui il Petrarca, P. i, son. 61 : « Erano i capei d'oro a Paur.i 
sparsi », e nelle sue Pastorali aveva detto : « Dulcia siderea? iactabant or;i 
favillas Ardentesque comas humeris disperserat aura ». 

135. Lugubri deserti: Cosi la bellezza della natura a primavera appariva 



AL PRINCIPE DON SIGISMONDO CHIGI. 53 

Dovunque il passo e la pupilla movo, 

Escono d'ogni parte ombre e paure, 

E muta stammi e scolorita innanzi 

Qual deforme cadavere la terra. ho 

Tutto è spento per me. Sol vive eterno 

Il mio dolor, nò mi riman conforto 

Che alzar le luci al cielo e sciormi in piatito. 

Ah che mai vagheggiarti non dovea, 

Fatai beltade! Senza te venuto 145 

Questo non fora orribil cangiamento. 

Girar tranquillo sul mio capo avrei 

Visto i pianeti e più tranquilla ancora 

La mia polve tornar donde fu tolta. 

Ma in que* vergini labbri, in que' begli occhi 150 

Aver quest'occhi inebriati e dolce 

Sentirmi ancor nell'anima rapita 

Scorrere il suono delle tue parole; 

Amar te sola, e riamato amante 

Non essere felice; e veder quindi ir,5 

Contra me, contra te, contra le voci 

Di natura e del ciel sorger crudeli 

Gli uomini, i pregiudizi e la fortuna; 

Perder la speme di donarti un giorno 

Nome più sacro che d'amante, e caro 1 n 

Peso vederti dal mio collo pendere, 

E d'un bacio pregarmi e d'un sorriso 

Con angelico vezzo; abbandonarti . . . 

Obbliarti, e per sempre... Ah lungi, lungi, 

Feroce idea; tu mi spaventi, e cangi ics 

Tutta in furor la tenerezza mia. 

Allor requie non trovo. Io m'alzo e corro 

Forsennato pe' campi, e di lamenti 

Le caverne riempio, che dintorno 

Risponder sento con pietade. Allora no 

Per dirupi m'è dolce inerpicarmi, 

E a traverso di folte irte boscaglie 

Aprir la via col petto, e dei mio sangue 

Lasciarmi dietro rosseggianti i dumi. 

triste all'animo del Petrarca, P. ii, son. 42 : « E cantare augelletti e fiorir 
piagge, E 'n belle donne oneste atti soavi, Sono un deserto, e fere aspre e 
selvagge ». 

149. Donde fu tolta : Alla terra. 

171. Per dirupi m'è dolce : Anche Saffo nell'Ultimo canto di Saffo del Leo- 
pardi non trova un ristoro ai mali che ne' disperati affetti: « Noi l'insuoto 
allor gaudio ravviva Quando per l'etra liquido si volve E per li campi tre- 
pidanti il flutto Polveroso de' Noti . . ., Noi per le balze e le profonde valli 
Natar giova tra* nembi ... ». 



54 PARTE IL 

La rabbia, che per entro mi divora, 175 

Di fuor trabocca. Infiammatisi le membra, 

L'anelito s'addoppia, e piove a rivi 

Il sudor dalla fronte rabbuffata. 

Più scabrezza al sentier, più forza al piede, 

Più ristoro al mio cor; finché smarrito iso 

Di balza in balza valicando, all'orlo 

D'un abisso mi spingo. A riguardarlo 

Si rizzano le chiome, e il piò s'arretra. 

A poco a poco quel terror poi cede. 

E un pensiero sottentra ed un desio, is5 

Disperato desio. Ritto su i piedi 

Stommi, ed allargo le tremanti braccia 

Inclinandomi verso la vorago. 

L'occhio guarda laggiuso, e il cor respira; 

E immaginando nel piacer mi perdo 100 

Di gittarmi là dentro, onde a' miei mali 

Por termine, e nei vortici travolto 

Romoreggiar del profondo torrente. 

Codardo ! ancora non osai dall'alto 

Staccar l'incerto piede, e coraggioso 193 

In giù col capo rovesciarmi. Ancora 

Al suo fin non è giunta la mia polve, 

E un altro istante mi condanna il fato 

Di questo sole a contemplar l'aspetto. 

Oh ! perchè non poss'io la mia deporre 200 

D'uom tutta dignitade, e andar confuso 

Col turbine che passa, e su le penne 

Correr del vento a lacerar le nubi, 

su i campi a destar dell'ampio mare 

Gli addormentati nembi e le procelle ! 203 

Prigioniero mortai ! dunque non fia 

Questo diletto un dì, questo destino 

170. Più soabrezza : Sott. procuro : cioè sento più scabro il terreno, piò 
forte il piede, ma più calmo il cuore. 

182. D'un abisso mi spingo: « E l'affanno ha sosta. M'alzo e corro per la 
campagna, m'arrampico su ner la costa ripida del monte, sento una pazza 
gioia d'andar frugando pel bosco e aprirmi a forza di braccia un sentiero, 
attraverso gl'intrecci' delle fratte e de' cespugli, in mezzo alle spine delle 
siepi, che mi dilaniano tutte quante le carni ! E sto un po' meglio ! E al- 
lora la stanchezza e la sete mi prostrano per via , la notte mi sorprende 
nella solitaria foresta . . . » ( Werther, P. 1, lettera del 30 agosto). 

103. Romoreggiar : Nota V armonia imitativa prodotta dall'accento sulla 
Ottima. 

196. Gol oapo rovesciarmi : Cfr. Werther, P. in, lettera del 12 decembro. 

200. Deporre : Abbandonare il corpo, ridurmi puro spirito. 

205. E le procelle : « Oh ! quante volte, in quei felici giorni, io m'augurava 
di poter volare sulle penne della grue , che mi trascorreva sul capo lino 
alle spiagge dei mari interminati » ( Werther, ib.). 



AL PRINCIPE DON SIGISMONDO CHIGI. 55 

Parte di nostra eredità? Qualunque 

Mi serbi il ciel. condizion di spirto, 

Perchè, Gismondo, prolungar cotanto 210 

Questo lampo di luce ? Un sol potea, 

Un sol oggetto lusingarmi: il cielo 

Al mio desire invidiollo, e l'odio 

Mi lasciò della vita e di me stesso. 

Tu di Sofìa cultor felice, e speglio 215 

Di candor, d'amistade e cortesia, 

Tu per me vivi, e su l'acerbo caso 

Una stilla talor spargi di pianto, 

generoso degli afflitti amico. 

Allorché d'un bel giorno in su la sera 220 

L'erta del monte ascenderai soletto, 

Di me ti risovvenga, e su quel sasso, 

Che lagrimando del mio nome incisi, 

Su quel sasso fedel siedi e sospira. 

Volgi il guardo di là verso la valle, 225 

E ti ferma a veder come da lunge 

Su la mia tomba invia l'ultimo raggio 

Il sol pietoso e dolcemente il vento 

Fa l'erba tremolar che la ricopre. 

211. Questo lampo di laoe?: Questa vita che é breve come il guizzar d'un 
lampo 1 

213. Invidlollo : È qui nel senso che ha talvolta in latino e che é frequente 
nella nostra poesia. Cfr. Dante, Inf. xxvi, 23; Tasso, Oer. Lib. vii, 15 e 
Foscolo, Sepolcri, 24 : « Invidiera 1* illusion che spento », che r usò anche 
in prosa. Chioma di Berenice, Disc, iv « Ma se i secoli gotici non ci aves- 
sero invidiate le poesie di Alceo ...... 

215. DI Sofia : Della filosofia : il Chigi aveva composto un poema filosofico 
L'economia naturale e politica. — Speglio : Specchio, modello. 

229. Bella e dolente chiusa d' un carme elegiaco che spira tutto soave 
mestizia. 



i d'Amore 



Pensiero d'Amore (viii). 

Lo tolgo da un gruppetto di Pensieri d'amore che si riferiscono , pare, 
al tempo In cui il p. ardeva d'amore per la Stewart. 

Alta è la notte, ed in profonda calma 

Dorme il mondo sepolto, e in un con esso 

Par la procella del mio cor sopita. 

Io balzo fuori delle piume, e guardo; 

E traverso alle nubi, che del vento 5 

Squarcia e sospinge l'iracondo soffio, 

Veggo del ciel per gì' interrotti campi 

Qua e là deserte scintillar le stelle. 

Oh vaghe stelle ! e voi cadrete adunque, 

E verrà tempo che da voi l'Eterno 10 

Ritiri il guardo e tanti Soli estingua? 

E tu pur anco coli' infranto carro 

Rovesciato cadrai, tardo Boote; 

Tu degli Artici lumi il più gentile? 

Deh! perchè mai la fronte or mi discopri, 15 

E la beata notte mi rimembri, 

Che al casto fianco dell'amica assiso 

A' suoi begli occhi t'insegnai col dito 1 

Al chiaror di tue rote ella ridenti 20 

Volgea le luci; ed io per gioia intanto 

0. E voi oadrete, ecc. : Gfr. colla bella invocazione alla luna con cui in- 
comincia U poema di Thufa di Ossian, dove sono anche dei versi as- 
sai simili, come questi : « Ma verrà notte ancor , che tu , tu stessa Cadrai 
per sempre, e lascerai nel cielo II tuo azzurro sentier » (trad. del Cesa- 
rotti). 

13. Tardo Boote : L'Orsa maggiore che gli antichi classici chiamano lenta, 
pigra (p. es. Ariosto, Ori. Pur. xxx. 20 « Pigro Arturo »), perché essendo 
questa costellazione prossima ai polo fa u suo giro con maggiore lentezza. 
Anche Dante dice : « Ivi le stelle son più tarde, Siccome ruota più presso 
allo stelo ». 

19. T'insegnai, ecc. : « Tutto è silenzio intorno a me, e la mia anima è 
tranquilla ... Io mi affaccio alla finestra e scerno ancora alcune rade stelle 
per mezzo delle nuvole tempestose che si accavallano e fuggono pei cieli. 
No, voi non cadrete, o stelle ! l'eterno veglia su di voi. Veggo la costella- 
zione dell'Orsa, che mi é la pftì cara degli astri. Quand'io mi partiva la 
notte da te. io la vedeva sempre accennarmi dall'alto. Con quale ebbrezza 
non l'ho salutata sovente ed alzato le mani verso di lei, come a testimonio 
sacro della mia felicità ! » ( Werther, P. ni, framm. di lettera scritta dopo 
le undici). Cfr. Leopardi, Le ricordanze, ove forse il p. in qualche parte 
f 'inspira al Monti e al Goethe. 



PENSIERI D v AMOUR. 57 

A' suoi ginocchi mi tenea prostrato, 

Pi ù vago oggetto a contemplar rivolto, 

Che d'un tenero cor meglio i sospiri, 

Meglio i trasporti meritar sapea. 

Oh rimembranze ! oh dolci istanti ! io dunque, 83 

Dunque io per sempre v'ho perduti, e vivo? 

E questa è calma di pensier? son questi 

Gli addormentati afletti ? Ahi, mi deluse 

Della notte il silenzio, e della muta 

Mesta Natura il tenebroso aspetto ! 33 

Già di nuovo a suonar l'aura comincia 

Dei miei sospiri, ed in più larga vena 

Già mi ritorna su le ciglia il pianto. 



ALLA MARCHESA 



Anna Malaspina della Bastia 

DBDIOATORIA DBLL'AMINTA DI T. TASSO 
A NOMB DHL TIP. PABM8NSB Q. B. BODONI. 



La marchesa Marianna Malaspina, de* signori di Mulazzo , aveva avuto 
dal marchese Scipione della Bastia, che aveva sposato nel 1717, cinque figlie, 
una delle quali, Giuseppina Amalia, nel 1788 andò sposa al conte Artaserse 
di Leonardo Baiardi di Parma. A celebrare queste nozze il celebre tipografo 
G. B. Bodoni (1740-1813) diede in luce Tanno seguente a Roma una stupenda 
edizione dell' Amfttta del Tasso curata dall'abate Serassi, e invitò il Munti a. 
scrivere, a nome dell'editore, un'epistola per dedicare quella edizione alla 
marchesa Anna. 

I bei carmi divini onde i sospiri 
In tanto grido si levar d'Aminta, 
Sì che parve minor della zampogna 
L'epica tromba, e al paragon geloso 
Dei primi onori dubitò Goffredo, 5 

Non è, donna immortai, senza consiglio 
Che al tuo nome li sacro, e della tua 
Per senno e per beltade inclita figlia 
L'orecchio e il core a lusingar li reco, 
Or che di prode giovinetto in braccio io 

Amor la guida. Amor più che le Muse 
A Torquato dettò questo gentile 
Ascreo lavoro ; e infìno allor più dolce 

2. In tanto grido: L* Aminta, dramma pastorale di T. Tasso, che aveva 
visto la luce nel 1581, levò molto grido di sé, tanto che infinite ne furono 
le imitazioni e le traduzioni in più lingue. Prima di questa, bodoniana ne 
erano state fatte circa ottanta ristimpe. Designa il dramma colla perifrasi 
« I sospiri di Aminta » dal nome del protagonista che sospirò d'amore per 
la bella Silvia. 

3. Zampogna : La zampogna é simbolo della poesia pastorale : la Oerusa 
lemme parve inferiore all'Ambita. 

6. Senza consiglio : Non senza ragione (litote). Virgilio, Aen. u, 177: « Non 
haec sine numine eveniunt », Orazio, Od. Ili, iv , 20 : « Non sine dia », e 
Petrarca P. ih, canz. n, 18 : « Manon senza destino aUe tue braccia », e 
Leopardi, Ad Angelo Mai, 16 : « Certo senza de* numi alto consiglio » , e 
Dante, Purg. vii, 48 : « E non senza diletto ti flen note ». 

8. Inclita figlia: Giuseppina Amalia. 

13. Ascreo lavoro : Cosi chiama questa sua epistola poetica. Ascra alle 
falde dell'Elicona in Beozia, ove nacque Esiodo, ora sacra aUe Muse. Si 
prende per la poesia, come in questo v. del Foscolo, Le Grazie, inno il, 31 ; 
♦• , , . e voi che a prezzo Ascra attingete », 



ALLA MARCH. ANNA MALASP1NA DELLA BASTIA. 59 

Linguaggio non avea posto quel dio 

Su mortai labbro, benché assai di Grecia 15 

Erudito l'avessero i maestri 

E quel di Siracusa e l'infelice 

Esul di Ponto. Or qual v'ha cosa in pregio 

Che ai misteri d'Amor più si convegna 

D'amoroso volume? E qual può dono 20 

Al genio Malaspino esser più grato 

Che il canto d'Elicona? Al suo favore 

Più che all'ombre cirrèe crebber mai sempre 

Famose e verdi l'apollinee frondi, 

« Onor d'imperatori e di poeti. » 25 

Del gran padre Alighier ti riso v venga. 

Quando, ramingo dalla patria e caldo 

D'ira e di bile ghibellina il petto, 

Per l'itale vagò guaste contrade 

Fuggendo il vincitor guelfo crudele, 30 

Simile ad uom t che va di porta in porta 

Accattando la vita. Il fato avverso 

Stette contra il gran vate, e contra il fato 

Morello Malaspina. Egli all'illustre 

Esul fu scudo: liberal l'accolse 83 

L'amistà sulle soglie; e il venerando 

Ghibellino parea Giove nascoso 

Nella casa di Pelope. Venute 

Le fanciulle di Pindo eran con esso, 

14. etnei Dio : Amore. 

17. ftuel di Siracusa : Teocrito, U più grande dei bucolici greci. 

18. Esul di Ponto: Ovidio Nasone (43 av. C. — 17 d. C), relegato a Tomi 
sul mar Nero (il ponto Bussino). 

23. Cirrèe : All'ombra dei laureti di Cirra nella Focide presso il Parnaso, 
luogo sacro ad Apollo. 

25. Onor, ecc. : È un v. del Petrarca, P. i^ son. 205. 

28. Di bile ghibellina: Anche il Foscolo, nei Sepolcri, ricorda Tira del 
« ghibellin fuggiasco ». È ormai certo, per i più recenti studi, che Dante non 
fu mai un ghibellino, ma un guelfo di parte bianca. Si uni coi ghibellini 
solo temporaneamente dal 1302 al 1304 al tempo delle guerre mugellane ; 
ma ben presto se ne distaccò. 

32. Accattando la vita : « Per le parti quasi tu te alle quali questa lingua 
si stende^ peregrino, quasi mendicando, sono andato, mostrando, contro a 
mia voglia, la piaga della fortuna . . . Veramente io sono stato legno senza 
vela e senza governo» (Dante, Convivio, i, 3). Si ricordino anche i notissimi 
versi del Par., xvn, 58 : « Tu proverai si come sa di sale Lo pane altrui, e 
com'è duro calle Lo scendere e *1 salir per l'altrui scale ». 

34. Morello Malaspina : Dante esule fu ospi'e ed anche ambasciatore di 
Franceschino Malaspina, non di Moreno o Moroello, come ha dimostra o 
L. Staffetti, Cod. diplom. dant.^ disp. vii e vm. Per la forma, cfr. Nel 
Congresso di Udine, 30 : « Empio sovrasta il fato ... Ma contra il fato é 
Bonaparte ; e basta ». 

38. Nella casa di Pelope : Giove fu ospite una volta di Pelope , figlio di 
Tantalo, re di Lidia. 

39. Le fanciulle di Pindo : Sul Pindo abita van le Muse. Cfr. Manzoni, In 
morte di C. Imbonati: « Solo d'Ascra venian le fide ancelle, Esulando 
con esso », 



60 PARTE li. 

L'itala poesia bambina ancora 40 

Seco traendo, che gigante e diva 

Si fé' di tanto precettore al fianco; 

Poiché un nume gli avea tra le tempeste 

Fatto quest'ozio. Risonò il castello 

Dei cantici divini, e il nome ancora • 4i 

Del sublime cantor serba la torre. 

Fama è ch'ivi talor melodioso 

Errar s'oda uno spirto ed empia tutto 

Di riverenza e d'orror sacro il loco. 

Del vate è quella la magnanim'ombra, 50 

Che t l'atta dal desio del nido antico 

Viene i silenzi a visitarne; e grata 

Dell'ospite pietoso alla memoria, 

De' nipoti nel cor dolce e segreto 

L'amor tramanda delle sante Muse. 53 

E per Cornante già tutto Tavea, 

Eccelsa donna, in te trasfuso : # ed egli, 

Lieto all'ombra de' tuoi possenti auspici, 

Trattando la maggior lira di Tebe, 

Emulò quella di Venosa, e fece co 

Parer men dolci i savonesi accenti; 

Padre incorrotto di corrotti figli, 

Che prodighi d'ampolle e di parole 

Tutto contaminar d'Apollo il regno. 

Erano d'ogni cor tormento allora cs 

Della vezzosa Malaspina i neri 

Occhi lucenti; e corse grido in Pindo 

Che a lei tu stesso, Amor, cede ti un giorno 

Le tue saette, ne s'accorse l'arco 

44. Fatto quest'ozio : È il virgiliano. 1, 6 : « deus nobis haec otia fecit ». 
46. La torre : Una torre nel castello di Mulazzo si chiama ancora la 
torre di Dante. 

55. L'amor . . . delle sante Muse : La marchesa Anna Malaspina era in- 
scritta all'Arcadia in Roma, col nome di Fiorilla Deianeia e scrisse anche 
dei versi. 

56. Cornante: Cornante Eginetico, si disse in Arcadia l'ab. Carlo Inno- 
cenzo Frugoni di Genova (16'.>2-1768j. Il Frugoni" Calabro nei suoi versi la 
Malaspina, e volle che fosse inscritta in Arcadia quella gentildonna che era 
il fiore delle dame della corte borbonica di Parma al tempo del duca Fi- 
lippo e per breve tempo anch.3 di Ferdinando. 

59. La maggior lira di Tebe : Imitando Pindaro, il grande poeta Urico, nato 
presso Tebe a Cinocefale (522-442 av. C). 

60. DI Venosa : Di Orazio, nato a Venosa nell'Apulia. 

61. I savonesi accenti : Più dolcemente cantò che il poeta di Savona, Ga- 
briello Chiabrera (1552-1637). 

62. Padre incorrotto : Tanta lode non meritava invero il Frugoni, che in- 
corrotto non fu. Il M ne ebbe sempre grande stima, come si può vedere 
dal suo giovanile Saggio di poesie, Livorno , 1779 , ove lo chiama « poeta 
entusiasta, gigantesco, sorprendente » (p. xviii). 

63. Ampolle : Ricorda il v. 96 dell'Ari, poet. d 'Orazio : « Proicit ampullas 
et sesquipedalia verba ». 



ALLA MARCH. ANNA MALA&PINA DELLA BASTIA. dì 

Del già mutato arciero: e se il destino io 

Non s'opponea, nel tuo cor s'apria 

Da mortai mano la seconda piaga. 

Tutte allor di Mnemosine le figlie 

Fur viste abbandonar Parnaso e Cirra 

E calar su la Parma; e le seguia 75 

Palla .Minerva, con dolor fuggendo 

Le Cecropie ruine. E qui, siccome 

Di Giove era il voler, composto ai sauti 

Suoi studi il seggio, e degli spenti altari 

Ridestate le fiamme, d'Academo so 

Fé' riviver le selve, e di sublimi 

Ragionamenti risonar le vòlte 

D'un altro Peripato, che di gravi 

Salde dottrine, dagli eterni fonti 

Scaturite del ver, vincea l'antico. cs 

Perocché, duce ed auspice Fernando, 

D'un Pericle novel l'opra e il consiglio, 

E la beliate, l'eloquenza, il senno 

D'un' Aspasia miglior, scienze ed arti, 

Che le città fan belle e chiari i regni, co 

Suscitando, allegrar Febo e Sofia. 

Tu fulgid'astro dell'ausonio cielo, 

Pieno d'alto saver, splendesti allora, 

Dotto Paciaudi mio; nome che dolce 

72. La aeoonda plaga: Amore ebbe la prima piaga da mano mortale, da 
Psiche. 

73. Mnemosine : Questa dea ebbe da Giove nove figlie che si dissero le 
Muse (cfr. Musogonia, 27 e sgg.). 

75. La Parma : È il fiume che passa per la città omonima e noi quale le 
Muse cambiarono i luoghi ove più spesso dimoravano, il Parnaso e Cirra. 

77. Le Ceeropie mine : Le rovine d Atene, cosi dette da Cecrope, il fonda- 
tore di -quella città. 

78. Di Giove, ecc. : Cosi spesso si esprime Omero, ad es. nell'Iliade, i, 6 
(trad. M.), e ne\Y Odissea, vili, 105 (trad. Pindem.). 

80. D'Academo : Negli orti d'Academo, sul Censo presso Atene insegnava 
Platone (429 circa — 346 av. C), onde poi Academia fu detta la scuola di 
Platone. 

83. D'un altro Peripato : Peripato fu detto il luogo ove insegnò Aristotile 
(384-328 av. C.) nel Liceo d'Atene dall'abitudine che questo illuso fo aveva 
di disputare passeggiando {tzi^tzclt(^). Nuovo Peripato chiama l'università 
parmense. 

86. Fernando : Ferdinando di Borbone, duca di Parma (1751-1802). 

87. D'un Pericle novel: Del celebre ministro riformatore Guglielmo Du- 
Tillot (1711-1774). « Tamo per opera di Du-Tillot si dirozzarono ì costumi in 

auella bella parte d'Italia, e tanto vi prosperarono le buone arti che il regno 
i don Filippo ebbe fama del secol d'oro di Parma. Certo città né più eulta, 
né più dotta di Parma non era a quei tempi né in Italia , né forse anche 
altrove » (Botta, v, lib. i). 

89. Aspasia miglior : La marchesa Malaspina, che fu amicissima del Du- 
Tillot, il novello Periate. 

91. Febo e Sofia : La poesia e la scienza. 

94. Paciaudi : Paolo Maria Paciaudi, torinese (1710-1785), amico del Bodoni, 
fu uomo di grande erudizione e bibliotecario delia ducal biblioteca ai 
Parma. Era già morto da un anno quando il p. scriveva questi versi. 



C2 PARTA I\ 

Nell'anima mi suona, e sempre acerba, 05 

Così piacque agli dei, sempre onorata 

Rimembranza sarammi. Ombra diletta 

Che sei sovente di mie notti il sogno, 

E pietosa a posarti in su la sponda 

Vieni del letto ov'io sospiro, e vedi 100 

Di che lagrime amare io pianga ancora 

La tua partita; se laggiù ne 1 campi 

Del pacifico Eliso, ove tranquillo 

Godi il piacer della seconda vita, 

Se colà giunge il mio pregar, nò troppo 105 

S'alza s*u l'ali il buon desio, Torquato 

Per me saluta, e digli il lungo amore 

Con che fcuIsì per lui questa novella 

Di tipi leggiadria; digli in che scelte 

Forme più care al cu pid' occhio offerti no 

I lai del suo pastor fan dolce invito; 

Digli il bel nome che gli adorna, e cresce 

Alle carte splendor. Certo di gioia 

A quel divino rideran le luci, 

Ed Anna Malaspina andrà per l'ombre 115 

Ripetendo d'Eliso, e fia che dica: 

— Perchè non l'ebbe il secol mio! memoria 

Non sonerebbe sì dolente al mondo 

Di mie tante sventure. E, se domato 

Non avessi il livor (che tal nemico 120 

Mai non si doma, né Maron lo vinse 

Né il Meonio cantor), n n tutti almeno 

Chiusi a pietade avrei trovato i petti. 

Stata ella fora tutelar mio nume 

La parmense eroina; e di mia vita, 125 

Ch'ebbe dall'opre del felice ingegno 

Sì lieta aurora e splendido meriggio, 

Non forse avrebbe la crudel fortuna 

Né amor tiranno in negre ombre ravvolto 

L'inonorato e torbido tramonto. 130 

95. Sempre acerba: Gir. Virgilio, Ain. v, 49: « quam semper acerbum 
Seinper lionorntum (sic Dì voluistis) habebo ». 

109. Di tipi leggiadria : La splendida edizione bodoniana dell'Ambita. 

111. I lai, ecc. : I lamenti di Aminta. 

112. Il bel nome: Quello d'Anna Malaspina. 

120. Il livor : L'invidia de' nemici del Tasso che tanto maltrattarono ìa 
GerusaU mme liberata. 

122. Il Meonio cantor: Omero, cosi detto da Meone, suo favoloso padre. 
Omero Aristarco, Virgilio ebbe nemici Numitorio, Mevio ed altri. 

120. Amor tiranno : Allude all'amore, og«ri provato interamente leggenda- 
rio, del Tasso per Eleonora d'Este, sorella del duca di Ferrara. 

130. Tramonto : La lieta aurora fu segnata da' primi studi e dal Rinaldo, 
fi meriaqio dall' Aniinta edalla Gerusalemme, il tramonto dalie sventure 
degli ultimi anni, dalla Gonrntistata e dalla poco fortunata tragedia. 



Il Pericolo 



IN OCCASIONE DBLLB TURBOLENZE PAMOINK 
D'AVANTI IL 18 FRUTTIDORO ANNO V 



Il Monti in una lettera al Ministro dell'Interno del 4 luglio 1811 {Lett. 
ined. e sparse, Bert. e Mazz. n, p. 51) chiama il Pericolo « poemetto con- 
sacrato presso che tutto alla gloria del grande Napoleone, comandante su 
premo a quell'epoca delle armi francesi ». Il carme fu composto il 18 frut- 
tidoro dell'anno quinto della repubblica (4 settembre 171)7) in occasione dei 
gravi fatti che accompagnarono le turbolenze parigine di quel giorno, per 
cui il Direttorio soffocò una congiura che si era ordita contro la Repub- 
blica, carcerando ed esiliandone ì capi. 

Stendi, fido amor mio, sposa diletta, 
A quell'arpa la man, che la soave 
Dolce fatica di tue dita aspetta: 

Svegliami l'armonia ch'entro le cave 
Làtèbre alberga del sonoro legno, 5 

E de' forti pensi er volgi la chiave: 

Ch'io le vene tremar sento e l'ingegno, 
Ed agitarsi all'appressar del dio 
Sui crin l'alloro e di furor dar segno. 

Ove, Febo, mi traggi? ove son io? io 

Non è questa la Senna e la famosa 
Riva che tanto di veder desìo? 

Salve, o fiume che Tonda gloriosa 
Dell'Ilisso vincesti e dell' Eurota 
E fai quella del Tebro andar pensosa ! 15 

Qual t'è maniera di bell'opra ignota? 

1. Sposa diletta : la Musa. 

5. Del sonoro legno : Della lira. 

6 Volgi la chiave : Quest'immagine é già in Dante, Inf. xin, 58, ove Pier 
dello Vigne dice d'aver tenuto: « ambo le chiavi Del cor di Federico », e 
frequente è nel Petrarca, canz. Gentil mia donna, st. 2, 15: « Quel core 
onci hanno i begli occhi la chiave », e canz. n, st. 7,7: « Dolce del mio 
cuor chiave ». e meglio ancora nella canzone 111, st. 3, 2 sgg. : « Que' be^li 
occhi soavi che portaron le chiavi De' miei dolci pensier, mentr'a Dio 
piacque ». . 

7. Le vene tremar : È il dantesco : « Ch'ella mi fa tremar le vene e i polsi » 
(Inf. i, 88). 

9. Furor ; Estro poetico. 

10. Ove Febo, ecc. : Orazio, Od. Ili, in, 70: « Quo, Musa, tendisi », e il 
Parini, La gratitudine 301 : « Dove, o cetra % Non più ». 

14. Ilisso . . . Eurota: L 1 II isso é il fiume su cui è Atene ; sulT Eurota è 
S parta. 

15. Andar pensosa : Cosi il Petrarca nella canz. a Giacomo Colonna: « Fa 
tremar Babilonia e star pensosa ». 



C4 !>ARTE IL 

Qual fonte ascoso di saper ? qual'arte ? 
E chi, dovunque il sol volge la rota, 

Chi meglio parla al cor, verga le carte? 
Qual più bella ed al ciel terra gradita 20 

Della terra che in grembo ha Bonaparte ì 

Oh più che d'arnie, di valor vestita, 
Gallica Libertà, a cui sola diede 
La ragion di Sofia principio e vita! 

Di te tremano i troni; ed al tuo piede 25 

Palpitanti i tiranni pace pace 
Gridan, giurando riverenza e fede: 

Ma, se fede è sul labbro, il cor fallace 
Sol di sangue ragiona e di vendetta 
Che in re vili e superbi unqua non tace. 30 

Oh cara, oh santa Libertà, che stretta 
Di nodi ti rinfranchi, e vie più bella 
Da' tuoi mali risorgi e più perfetta ! 

Alma d'invidia e di vii odio ancella, 
Alma avara e crudel non ò tua figlia, 33 

Nò cui febbre d'orgoglio il cor martella. 

Libera è l'alma che gli affetti imbriglia, 
Libero l'uom cui ragion corregge 
E onor, giustizia, cortesia consiglia: 

Liberi tutti, se dover ne regge 40 

In pria che dritto e santità ne guida 
Più di costumi che poter di legge. 

Queste cose io volgea dentro la fida 
Mente segreta, allor che voce acuta 
In suon di doglia e di pietà mi grida: 43 

Ahi che nel petto de' miei figli è muta 
La virtù di che parli, pellegrino ! 
Disse; e in pianto la voce andò perduta. 

Mi volsi; e in volto che apparia divino 
Donna vidi seder, che della manca do 

Fa letto jal capo dolorato e chino. 

La destra in grembo dolcemente stanca 
Cade e posa. Degli occhi io non favello, 
Che son due rivi; e più piange, più manca 

Del conforto la voglia. Al pie sgabello 55 

Le fan rotti uu diadema. ed uno scetro, 

37. Corregge.: Govorna. 

50. Donna vidi seder : Bella prosopopea della Repubblica francese. 

54. Che son due rivi : Ricorda in qualche parte la prosopopea che il Leo- 
pardi nella famosa canzone fa dell' Italia che : « Siede in terra negle ta e 
sconsolata Nascondendo la faccia Tra le ginocchia, e piange ». 

56. Ed uno scettro : La Repubblica francese era sorta sulle rovine delia 
monarchia borbonica. 



IL PERICOLO. 65 

E di Bruto l'insegna è il suo cappello. 

Volea parlarle e dimandar; ma dietro 
Tomba aprirsi m'intesi, e la figura 
Mi sopravvenne d'un orrendo spetro. eo 

Impietrommi le membra la paura; 
E trema la memoria al rio pensiero, 
Che vivo nella mente ancor mi dura. 

Più che buio d'inferno ei fosco e fiero 
Portava il ciglio, e livido l'aspetto 65 

D'un cotal verde che moria nel nero. 

Dalle occhiaie, dal naso e dall'infetto 
Labbro la tabe uscia sanguigna e pesta, 
Che tutto gli rigava il mento e il petto; 

E scomposte le chiome in su la testa 70 

D'irti vepri parean selva selvaggia, 
Ch'aspro il vento rabbuffa e la tempesta. 

Striscia di sangue il collo gli viaggia, 
Che della scure accenna la percossa: 
Il capo ne vacilla, e par che caggia. 75 

Stracciato e sparso d'aurei gigli indossa 
Manto regal, che il marcio corpo e guasto 
Scopre al mover dell'anca e le scarne ossa, 

E de' vermi rivela il fiero pasto, 
Che nel putrido ventre cavernoso so 

Brulicando per fame avean contrasto. 

All'apparir che fece il tenebroso 
Regal fantasma, la donna affannata 
Il mesto sollevò ciglio pensoso; 

E a lui che intorno avidamente guata su 

Fra téma e sdegno: A che venisti, disse, 
O fatai di Capeto ombra spietata? 

57. Il suo cappello : fl berretto frìgio , simbolo della repubblica , di cui 
Bruto fu sino alla morte strenuo difensore. 

60. Orrendo spetro: È l'ombra terribile di Ugo Capeto, il capostipite dulia 
dinastia borbonica. Si noti quanto il p. si compiacesse di apparizioni di 
ombre, di paurose visioni. 

62. Trema la memoria : Bello ed efficace l'uso di questo verbo, nor indicare 
il tremito che il ricordo della paurosa visione produce in citi la racconta. 
Cfr. Dante, Inf. in, 132 : « La mente di sudore ancor mi ba^na ». 

06. Che moria, ecc. : Cosi Dante, Inf. xxv, 66 : « Che non e nero ancora 
e '1 bianco more ». 

67. Infetto : Maculato (lat.). 

69. Gli rigava : Dante, Inf. in, 67 : « Elle rigavan lor di sangue il volto », 
e il Parini, Il dono, dO : « E squallido e di lento Sangue rigato il giovane ». 

71. D'irti vepri: Di spinosi cespugli. — Selva selvaggia: Dantk, Inf. i,5: 
« Questa selva selvaggia ed aspra e forte ». 

73. Viaggia: Gira. Lo spettro di Capeto aveva la testa staccata dal busto. 

76. Aurei gigli : I gigli che erano nello stemma della casa di Borbone. 

7U. Il fiero pasto: Dante, Inf. xxxiii, 1 : « La bocca sollevò dal fiero 
pasto ». 

Monti. — Poesie. 5 



» 



GG TARTE II. 

Non rispose il crudel; ma obliquo fìsso 
Gli occhi no, ma degli occhi le caverne 
In ella; ed ella in lui gli occhi rifisse. <*) 

Così guatarsi entrambi ; e nell'interne 
Del cor làtèbre ognun si penetrava, 
Che il pensier per la vista ancor si scerne. 

I/un d'ira e l'altra di terror tremava. 
Superbamente alfin l'ombra si mosse, 95 

E a cadenza le lunghe orme alternava. 

Con feroce dispetto al piò chinosse 
Di quella dolorosa; il calpestato 
Scettro raccolse, ed alto in man lo scosse; 

Poi l'infranto diadema insanguinato 100 

Sui capo impose, e lo calcò sì forte, 
Che il crin ne giacque oppresso e imprigionato. 

Allor si féo gigante; e colle torte 
Vuote lucerne disfidar parea 
Europa e l'altre tre sorelle a morte. 105 

Facea tre passij e al terzo si volgea 
In sui calcagni eretto e sui vestigi; 
E ad ogni passo di terror crescea. 

È sacro a Libertà luogo in Parigi, 
Ove pose la dea suo trono immoto " no 

Quando sdegnosa ne balzò Luigi. 

Ivi seduti e liberi in lor vóto 
Stan cinquecento, che alle sante leggi 
Per cinquecento fantasie dan moto. 

tu che sulle carte il senno leggi n:s 

Di quel consesso che in Atene il crime 
Punia de' numi da' tremendi seggi, 

la severa maestà sublime 
Di quei coscritti che in muta terra 

88. Obliquo fisse, ecc. : Di sotto in su, con sguardo bieco. 

93. Per la vista: Per gli occhi. Cicerone, Leg. v: « Vultus indicat mo- 
res », e il Parini, L'educazione, 143: « 11 marchio ond'é il cor scoìto 
Lascia apparir nel volto ». 

9i. L'un d'ira: Ugo Capeto tremava d'ira nel veder calpestato lo scettro 
e infranta la corona della sua casa. 

96. Nota Parili onia imitativa di questo verso, che con la sua lentezza bene 
rappresenta il lento procedere dell ombra di Capeto. 

101. Impose: Pose sopra (lat.). 

103. Colle torte vuote lucerne : Colle torve incavate occhiaie. 

105. E l'altre tre sorelle : Asia, Affrica e America. 

111. Ne balzò Luigi : Luigi XVI fu detronizzato, poi decapitato il 21 gen- 
naio 1793. 

113. Stan cinquecento : I cinquecento rappresentanti del popolo nelP Assem- 
blea nazionale. 

116. Di quel consesso : Dell'Areopago, supremo e venerando tribunale di 
Atene. 

119. Di quei coscritti: Dei patres conscripti , i senatori di Roma. Si al- 
lude al Senato che dai sette colli di Roma {le sette cime) reggeva l'ampio 
impero romano. 



IL PERICOLO. 67 

Reggean col cenno dalle sette cime; 120 

Di questi, ond'io ti parlo, la mente afferra 
I magnanimi sensi e la grandezza, 
Ma non Tira, il furor, l'odio, la guerra. 

Qual delTEuripo è il flutto che si spezza. 
Contro gli scogli della rauca Eubòa, 125 

Tal di questi il fracasso e la fierezza: 

Nò diversa era Tonda c'i'anèa, 
O quella che soffrì di Serse il ponte 
Quando al cozzo d'Europa Asia correa. 

Improvviso, e sembiante ad arduo monte, 130 

Qui comparve lo spettro maledetto: 
Tremar gli scanni, e i crin rizzarsi in fronte. 

Stette in mezzo, girò torvo l'aspetto, 
E stendendo la man spolpata e lunga 
Con lo scettro toccò questo e quel petto. 135 

Come è scosso colui che il dito allunga 
Al leidense vetro che fiammeggia 
E par che snodi i nervi e li trapunga, 

Così del crudo ai colpi arde e vampeggia 110 

Ogni seno percosso, e amor, disio 
Dell'estinto tiranno i cuor dardeggia. 

E subito un tumulto, un mormorio, 
E d'accenti un conflitto e di pensieri 113 

Da quelle bocche fulminanti uscio; 

E parole di morte onde que' feri 
Yan susurrando, simiglianti a tuono 
Che iracondo del ciel scorre i sentieri: 

122. I magnanimi sensi : L'assemblea nazionale dapprima prese grandi e 
memorabili deliberazioni, ma poi usò spietatamente violento potere. 

121. Dell'Euripo : È lo stretto (oggi chiamato di Talami) che é fra le coste 
della Grecia centrale e l'Kubea (Negroponte). 

126. E la fierézza : Simile comparazione usò Danti:, Inf. vii, 22 : « Come 
fa Tonda là sopra Cari d di, Che si frange con quella in cui s'intoppa, Così 
convien che qui la gente riddi ». 

127. Onda cianea : Ciane fu una ninfa siciliana convertita in fonte (Ovidio, 
Altt. v, 409 e sgg.). 

128. A quella, ecc. : L'onda dell'Ellesponto su cui Serse, il re dei Persiani, 
che venne a combattere contro la Grecia, fece costruire un ponte per tra- 
ghettare il suo innumerabile esercito. 

130. Arduo : Alto. L'ombra di Ugo Capeto, simile ad alto monte , appare 
in mezzo all'Assemblea Nazionale. 

137. Al leidense vetro : La bottiglia di Leida che dà una forte scossa elet- 
trica a chi la tocca. Il Varano, Vis. ix, usa una simile comparazione : « Allei- 
la man mi strinse e sentii tocchi Come da un urto i nervi e dalle ardenti 
Fiamme che ferro elettrizzato scocchi ». 

112. I cuor dardeggia : 1 deputati cominciano a sentir desiderio dell'estinto 
tiranno, Luigi XVI, di rivedere cioè salire sul trono di Francia uno dei 
Borboni : « Si desiderava pertanto e dentro della Francia da non pochi 
uomini temperati, e fuori da tutte le potenze, che la repubblica si spegnesse, 
od il consueto reggimento, per quanto gl'interessi nuovi il permettessero, 
col mezzo dei Borboni si ristorasse » (Botta, v, p. 464). 



68 PARTE II. 

Tremò di Libertade il santo trono; 150 

Tremò Parigi, intorbidossi Senna 
Alle spade civili in abbandono: 
Ma di Vandèa le valli e di Gebenna 
Si rallegrar le rupi, ed un muggito 
Mandar di gioia alla mal vinta Ardenna. 155 

L'Istro udillo; e levò più ch'anzi ardito 
11 mozzo corno, e al suo scettrato augello 
♦ Fé' l'italo sperar nido rapito. 

L'udì Sebeto, e rise il suo bordello: 
Roma udillo, e la lupa tiberina 160 

Sollevò il muso e si fé' liscio il vello. 

Ma la vergine casta cisalpina 
Mise un sospiro, e a quel sospir snudati 
Mille brandi fuggir dalla vagina; 

Che al 4olor di costei, di Francia i fati 105 

. Visti in periglio, alzar la fronte i figli 
D'ira, di ferro e di pietade armati; 

E su i pugnali tuttavia vermigli 
Fèr di salvarla sacramento, tutti 
Arruffando feroci i sopraccigli. 170 

Di Sambra e Mosa i bellicosi flutti 
Risposero a quel giuro; e allor non tenne 
I rai la Donna di Parigi asciutti. 

153. 01 Vandea le valli e di Gebenna : La Vandea realista si rallegrò quando 
vide nel cuore di alcuni francesi entrare l'amore della monarchia. Le 7*upi 
di Gebenna sono gli alti monti della Linguadoca inferiore (Qévennes). 

155. Alla mal vinta Ardenna: 1 latini la dissero Arduenna: è a traverso 
alla Sciampagna. Non era colà ancora ben domata la parte dei realisti. 

150. L'Istro : U Danubio, qui per l'Austria. 

157. Mozzo oorno : Il corno era l'emblema dei fiumi: lo dice mozzo, per- 
ché l'Austria era stata fiaccata dalle sconfitte che le aveva fatto subire la 
Francia repubblicana. 

158. Nido rapito : La Lombardia, che, tolta da Napoleone all' Austria (la 
quale ha sullo stemma un'aquila bicipite incoronata), era stata da lui ordi- 
nata a repubblica col nome di Repubblica Cisalpina. 

159. Sebeto : Piccolo fiume che passa presso Napoli , qui per il regno di 
Napoli, di cui ben designa la corte: chiamandola « bordello », per le sco- 
stumatezze soprattutto di quella regina Carolina e del suo ministro Acton. 

160. La lupa tiberina : Una lupa è nello stemma di Roma. Intendi qui lo 
stato pontificio. 

161. La vergine . . . cisalpina: La Repubblica Cisalpina. 

169. Per di salvarla, ecc.: « Uscivano dalle diverse schiere dell'italico 
esercito minacce fierissime contro i nemici della libertà, come gli chiama- 
vano, contro gli amatori del nome reale, contro i minacciatori della costi- 
tuzione. Parlavano del voler marciare in Francia con le armi vincitrici per 
castigare i ribelli, descrivevano con patetiche parole le orribili congiure 
ordite nella patria loro contro la libertà, mentre essi col sangue e con di- 
sagi innumerevoli la libertà e la patria difendevano » (Botta, v, p. 465). 

171. Di Sambra e Mosa: Col nome di questi due fiumi del Nord della 
Francia sui confini con la Germania designa l'esercito che era alla frontiera 
dell'est. 

173. I rai . . . asciutti : Anche nella Bassvilliana, I, 111 : « Non tenne per 
pietade il ciglio asciutto ». Virgilio ha « siccis oculis », Properzio, IV, xi, 



IL PERICOLO. 69 

Chiudi la bocca, ohimè !, frena le penne, 
Loquace fama, e fra' nemici il pianto 175 

Deh non si sappia che colei sostenne. 

E voi che crudi della madre il santo 
Petto offendete, al suo tiranno antico 
Ricuperando la corona e il manto, 

Al suo tiranno, al suo tiranno, io dico; 180 

Che tentate infelici ? Ah ! se tal guerra 
Le danno i figli, che farà il nemico? 

Già non più vacillanti in su la terra, 
Acquistan piede e fondamento i troni; 
Già Lamagna, già l'avida Inghilterra ias 

Fan su la Senna di lor voce i tuoni 
Mormorar pili possenti, a cui risponde 
Il signor de' settemplici trioni. 

Già de' suoi vanni le dalmatich'onde 
Copre l'aquila ingorda, a cui cresciute 100 

Son l'ugne che del Po perse alle sponde; 

E alla sua vista pavide e sparute 
Cela le corna l'ottomana luna, 
E l'isolette dell'Egèo stan mute. 

Tradita intanto l'itala fortuna 195 

Di voi duolsi, di voi che libertade 
Le contendete non divisa ed una, 

E con furor che in basse alme sol cade, 
Tutto scoprendo all'inimico il fianco, 
In voi stessi volgete empi lo spade. 

Già non aveste il cor sì baldo e franco, 200 

Quando su 1' Alpi la tedesca e sarda 
Rabbia ruggiva; e non avea pur anco 

Di Bonaparte l'anima gagliarda 
Le cozie porte superate, e doma 



80 : « sicciis . . . genis », e il Parine Alla Musa, 1 : « Te il mercadante che 
con ciglio asciutto ». 

1S2 
pr 

185. L'avida, ecc. : v. la 11. 20 a p. 26. Cfr. 
contro l'Inghilterra : « Luce ti negni il sole 

188. Un signor, ecc. : Lo czar di Russia. — I settemplici trioni : Septem 
triones, indicano il settentrione, cioè l'impero di Russia. 

101. Del Po perse, ecc. : Accenna alle sconfitte che l'Austria ebbe a subire 
nelle campagne del 1791-'95-'96 nella Lombardia, delle quali si andava risto- 
rando coir occupazione dell' Istria, della Dalmazia e dell' Albania veneta 
V. Botta, v, lib. xin. 

193. L'ottomana luna : La mezzaluna che è nelle bandiere della Turchia, 

201. La tedesca e sarda rabbia: La tedesca rabbia è del Petrarca, canz. 
all'Italia, 35. L'uso dell'asi ratto per il concreto occorre spesso nei poeti greci 
e latini. Orazio, Od. 1, 3 : « Perrupit Acherontaherculeus labor », e il Pe- 
trarca nella stessa canz. : « il furor di lassù, gente ritrosa ». 



70 PARTE II. 

Di Piemonte la valle e la lombarda. 205 

Ei vi fé' tersa e lucida la chioma; 
Ei, pugnando e vincendo e stanco mai, 
De' vostri mali alleviò la soma: 

Ei vi fé' ricchi ed eleganti e gai, 
Ei vi fece superbi; e, se non basta, 210 

Ingrati e vili: e ciò fu colpa assai. 

Or dritto è ben se della tanta e vasta 
Sua fatica ed impresa una mercede 
Sì ria gli torna, e infamia gli sovrasta: 

Dritto è ben se l'Italia, che vi diede 215 

D'auro e d'arte tesori, or la meschina 
Aita indarno e libertà vi chiede. 

Potè, oh vergogna !, la virtù latina 
Domar la greca, e libere le genti 
Mandar, compenso della sua rapina: 220 

E voi, Franchi, di Bruto ai discendenti, 
Voi premio d'amistà, premio d'affanni, 
Sol catene darete e tradimenti? 

Deh ! non rida all'idea de' nostri danni 
La serva d'Europa, né di voi sia detta 225 

Fra gli amici quest'onta e fra' tiranni. 

Non più ^p.'egio di noi, non più negletta 
L'itala sorte, e fra voi stessi aperta 
Non più lite, per dio, non più vendetta ! 

servitù tra poco e dura e certa 230 

Voi pur v'avrete; e giusta fia la pena. 
Ha cuor villano, e libertà non merta, 

Chi l'amico lasciò nella catena. 

203. E la lombarda: Colla campagna d'Italia del 1791, per cui i Francesi, 
valicate le Alpi Cozie, vinsero gli Austro-Sardi (la tedesca e sarda rabbia) 
a Dego e a Millesimo. Il re di Sardegna, Vittorio Amedeo II, vinto, fu co- 
stretto all'armistizio di Cherasco del 28 aprile, seguito dalla pace di Parigi 
del 19 maggio 1796. 

215. D'auro e d'arte tesori : Quantità innumerevole di oggetti preziosi e 
di opere d'arte fu dall'Italia portata dai vincitori in Francia. Delle spoglia- 
zioni fatte soprattutto nel territorio della repubblica veneta parla il Botta, v , 
lib. xii : « Quanto di più bello e di più prezioso avevano prodotto gli scal- 
pelli od i pennelli, o le penne greche, latine ed italiane, era rapito dagli 
strani amici ». 

219. Libere le genti, ecc. : Al cadere del sec. ili av. C. il console romano 
T. Quinzio Flaminino, vinto Filippo V di Macedonia, si recò a' giuochi 
istillici e vi fece bandire da un araldo un decreto, col quale il popolo ro- 
mano concedeva la libertà a tutte le cittì greche. 

221. Di Bruto ai discendenti: Ai repubblicani d'Italia, discendenti dai ro- 
mani, di cui P.ruto fu il più ardente repubblicano. 



Le nozze di Cadmo e d' Ermione 



IDILLIO. 



Questo bellissimo idillio fu composto dal p. nel 1825 per le nozze di danna 
Elena Trivulzio col conte Pietro Scotti di Sarmato Piacentino, e di donna 
Vittoria Trivulzio col marchese Giuseppe Carandini modenese. Entrambe lo 
spose erano figlie del marchese Gian Giacomo Trivulzio, amicissimo del p. 
L'idillio si aggira in gran parta intorno ai vantaggi della scrittura rosi 
grandi per l'umana società. 

Il giorno che Ermi'on, di Citerea 
Alma prole e di Marte, iva di Cadmo 
All'eccelso connubio, e la seguia 
Tutta fuor Giuno, degli dèi la schiera, 
Gratulando al marito e presentando 5 

Di cari doni la beata sposa, 
Col delio Apollo a salutarla anch'esse 
Comparvero le Muse. Una ghirlanda 
Stringea ciascuna d'olezzanti fiori 
(Sempre olezzanti, perchè mai non muore io 

Il fior che da castalia onda è nudrito); 
E tal di quelli una fragranza uscia 
Ch'anco i sensi celesti inebbriava, 
E tutta odor d'Olimpo era la reggia. 
De' bei serti immortali adunque in prima 15 

Le divine sorelle incoronaro 
Dell'aureo letto nuz'ial la sponda; 
Indi al canto si diero e alle carole. 
Della danza Tersicore guidava 

1. Citerea: Venere, detta Citerea, perchè, nascendo dalla spuma del mare, 
giunse da prima all'isola di Citerà (oggi Cerigo presso la Laconia). 

2. Cadmo: Eroe mitico che fondò Tebe, introdusse in Grecia o dalla Fe- 
nicia o dall'Egitto l'alfabeto. 

4. Fuor Giuno : Giunone era sdegnata con Cadmo, perchè la sorella di lui 
Europa, era stata rapita da Giove che l'aveva insidiata sotto forma di toro. 
V. al v. 45. 

f>. Gratulando: Congratulandosi (lat. gratitlantex). 

7. Delio : Perchè aveva un tempio nèll' isola di Dolo, una delle Ci dadi. 
11. Castalia onda: Questa fonte-, sacra alle Muse, in cui fu mutata una 
ninfa amata da Apollo, era posta presso l'Elicona. Fu celebrata come ispi- 
ratrice de' poeti. Su di essa scrisse un som Bernardo Tasso « sian della 
greggia tua vaga pastore ». 

1 ( J. Tersicore: Una delle nove Muse, la dea della danza. 



72 PARTE II. 

I volubili giri; e in queste note ?o 

L'amica degli eroi Callìopea 

Col guardo in so raccolto il labbro apriva: 

Beltà, raggio di lui che tutto move, 
Tu che d'amor le fiamme accendi, e godi 
Star di vergini intatte e di fanciulli 25 

Nelle nere pupille, in guardia prendi 
Di Venere la figlia, e al tempo avaro 
Non consentir che le tue rose involi 
Alle caste sue gote. A lei concedi 
La non caduca gioventù de' numi, 30 

Ch'ella di numi è sangue; e come belle 
Tu festi, diva, d'Ermion le forme, 
Così virtude a lei fé' bello il core. 
Immenso della luce eterno fonte 
Vibra i suoi dardi il sole, e nelle cose 35 

Sveglia la vita; e tu, reina eterna 
De' cor gentili, se bontà vien teco, 
L'amor risvegli che stagion non perde; 
E spargi di perenne alma dolcezza 
Le perigliose d'Imeneo catene. 40 

Bacia queste catene, inclito figlio 
D'Agenore; le bacia, ed in vederti 
Genero eletto a due gran dii t'allegra; 
Ma cognato al tonante egioco Giove 
Non ti vantar, che l'alta ira di Giuno 45 

Costar ti farà caro un tanto onore. 
Pur, dove avvenga che funesto nembo 
Turbi il sereno de' tuoi dì, non franga 
L'avversità del fato il tuo coraggio, 
Che a so Tuom forte è dio. Tutte egli preme 50 

21. Calliopèa: La musa del canto epico, perciò detta ««arnica degli eroi». 
Cfr. Dante, Purg., 1, (« E qui Calhopéa alquanto surga »). 

23. Raggio, ecc: Dice la bellezza un raggio, un'emanazione, de « L'amor 
che move il sole e l'altre stelle» (Dantk, Par. XXXIII, 145). 

27. Di Venere la figlia : Era Ermione, come dicono i primi versi, figlia dì 
Venere e di Marte. 

28. Tue: Date da te (o Bellezza). 

34. Eterno fonte: Il Tasso, Ger. Lio., XV, 47 aveva detto: « U sol, de Tau 
rea luce eterno fonte ». 

35. Bardi: Frequente é nei poeti questa metafora, con cui si designano 
i raggi del sole. Cosi Dante, Purg., II, 55: « Da tutte parti saettava il giorno 
Lo sol, clfavea con le saette conte Di mezzo il ciel cacciato il Capricorno ». 

40. Imeneo : Dio delle nozze che, come dice il Parini nel Mattino , 400 : 
« Le salme accoppia, e con l'ardente face Regna la notte ». 

42. D'Agenore : Cadmo era figlio di Agenore e di Telefnssa. 

43. Due gran dii : Venere e Marte, genitori di Ermione. 

41. Egioco : « Cognome derivato a Giove dalla capra che lo allattò , non 
dall'egida, come altri pretendono. Che anzi l'egida non desunse altronde il 
suo nome che dalla pelle di quella capra, perché di essa ricoperse Giove il 
suo scudo, quando andò a combattere coi Giganti. . . ». (Mt.). 



LE NOZZE DI CADMO E D'ERMIONE. 73 

Sotto il pie le paure, e delle Parche 
Su ferrei troni alteramente assise 
Con magnanima calma i colpi aspetta. 

Così cantava. All'ultime parole, 
Di non lieto avvenire annunziatrici, 55 

Cadmo chinò pensoso il ciglio, e scura 
Nube di duolo d'Ermì'on si sparse 
Su la candida fronte. Anco de' numi 
Si contristar gli aspetti, ed un silenzio 
Ne segui doloroso. Allor la diva, co 

Col dolce lampo d'un sorriso intera 
Ridestando la gioia in ogni petto, 
Su l'auree corde fé* volar quest'inno: 

— Schietta confonda di petrosa vena 
Delle Muse la lode i generosi 65 

Spirti rallegra, e immortalmente vive 
L'alto parlar che dai profondo seno 
Trae dell'alma il furor che Febo inspira, 
Quando ai carmi son segno i fatti egregi 
De' valorosi, i peregri: i ingegni 70 

Trovatori dell'arte ondo si giova 
L'umana stirpe e si fa bello il mondo. 
Or di quante produsse arti leggiadre 
Il mortale intelletto, aura divina, 
Quale il canto dirà la più felice? 75 

Te, di tutte bellissima e primiera, 
Che con rozze figure arditamente 
Pingi la voce, e, color dando e corpo 
All'umano pensiero, agli occhi il rendi 
Visibile; ed in tale e tanta luce, so 

Che men chiara del sol splende la fronte, 
Ei vola e parla a tutte genti, e chiuso 
Nelle tue cifre si conserva eterno. 
Dietro ai portenti che tu crei smarrita 
Si confonde la mente, e perde l'ali 85 

L'immaginar. Qual già fuori del sacro 
Capo di Giove orrendamente armata 

51. Parche: Erano le tre sorelle Cloto, Lachesi, Atropo, divinità della vita 
umana, concordi nel volere del Fato. Virgilio, Eoi. IV, 47 : « concordes sta- 
bili fatorum mimine Parcae ». 

63. Quest'inno : Allo stesso modo nel Bardo, I : « e sulle pronte Corde so- 
nore fé volar quest'inno ». 

68. Il furor: L'ispirazione poetica. 

74. Aura divina : L'anima umana che Orazio, Sat. II, II, 79, chiama « di- 
vinai particulam aurae ». 

76. Te, ecc : La scrittura, di cui la mitologia fa inventore Cadmo. 

77. Con rozze figure: Coi segni dell'alfabeto. 
82. Et: Il pensiero. 



74 PARTE II. 

Balzò Minerva, ed il paterno telo, 

Cui nessuno de' numi in sua possanza 

Ardia toccar, trattò fiera donzella, jo 

E corse in Flegra a fulminar tremenda * 

I figli della terra, e fé* sicuro 

Al genitore dell'olimpo il seggio: 

Tal tu pure, verace altra Minerva, 

Dalla mente di Cadmo partorita, 93 

E nell'armi terribili del vero 

Fulminando, atterrasti della cieca 

Ignoranza gli altari, e la gigante 

Forza frenasti dell'error; che, stretta 

Sul ciglio all'uomo la feral sua benda, luo 

Di spaventi e di larve all'infelice 

Ingombrava il cerèbro, e sì regnava 

Solo e assoluto imperador del mondo. 

Tale è il mostro, cadmèa nobile figlia, 
A cui guerra tu rompi, e tanto hai tolto 105 

Già dell'impero, ch'ogni sforzo è indarno, 
Se il ciel non crolla, a sostenerlo in trono. 
Di selvaggia per te si fa civile 
L'umana compagnia; per te le fonti 
Del saper, dilatate in mille rivi 110 

E a tutte aperti, corrono veloci 
Ad irrigar le sitibonde menti. 
Per te più puro e in un di Dio più degno 
Si sublima il suo culto e con amore 
Al cor s'apprende da ragion dettato; 115 

Non da colei che in Aulide col sangue 
D'Ifigenia propizi invoca i venti, 
E, spinta in ciel la fronte e dell'eterno 
Le sembianze falsando, spaventosa 
Fra le nubi s'affaccia e cupo grida: 120 

Chiudi gli occhi, uman verme, e cieco adora. 



90. Ardia toocar: Ogni divinità aveva il suo fulmine (telo ì dardo); ma 
nessuna poteva maneggiare il fulmine di Giove, fuorché Minerva. Solo alia 




non est qui tractet », frequente anche nei poeti nostri. 

«3. Il seggio: Alla battaglia di Flegra, in cui i Giganti tentarono di de- 
tronizzare Giove, Minerva lo soccorso. Vedi Musogonia, 510. 

91. Tal tu pure, ecc. : L'apostrofe, non si dimentichi, è sempre diretta alla 
scrittura. 

116. Da colei: Dalla superstizione, a cagion della quale Agamennone, por 
avere propiziala navigazione per Troia, immolò in Aulide la figlia Ifigenia. Si 
ricordi che il p. compose anche un poemetto intitolato La superstizione, 
di cui si vedano specialmente i vv. 4 e sgg. 



LE NOZZE DI CADMO E D' RRMIONF 75 

Ma, d'alta sapienza uso amoroso 
E della prima idea diritto spiro, 
Filosofia, coll'armi adamantine 

Della scritta ragion l'orrenda larva 125 

Combatterà; vendicherà del nume 
Da quell'empia converso in crudo spettro 
L'oltraggiata bontade; e l'uom, per vie 
Tutte di luce, al suo divin principio 
Fatto più presso, si farà più pio, 130 

- E dirà seco: De' miei mali il primo 
E la prima mia morte è l'ignoranza. 

Tal era della diva il canto arcano, 
Della diva Calliope, a cui tutte 

Stanno dinanzi le future cose, ix> 

E, secondo che il tempo le rivolve 
Nel suo rapido corso, a tutte dona 
E forma e voce e qualitade e vita 
Con tal di sensi e di dottrine un velo 
Ch'occhio vulgar noi passa; onde agli stolti 
La delfica favella altro non sembra no 

Che canora follia. Povero il senno 
Che in quei deliri ascoso il ver non vede ! 
Nò sa quanta de' carmi è la potenza 
Su la reina opinion, che a nullo 
De' viventi perdona e a tutti impera ! 1 13 

Stava tacito attento alle parole 
Profetiche di tanta arte il felice 
Insegnatore; e nei segreto petto 
Dell'alto volo, a cui l'uman pensiero 
Le ben trovate cifre avrian sospinto, 150 

Pregustava la gioia, e della sorte 
Già tetragono ai colpi si sentia. 
Prese r le Muse da quei giorno usanza 

1S2. Uso amoroso: « Filosofia é uso amoroso di sapienzia, il quale mas- 
simamente é in Dio, perocché in lui é somma sapienza , e sommo amore e 
sommo atto ...» (Dante, Convivio). 

123. Della prima idea : Di Dio. 

124. Coll'armi adamantine : Non vuol dire di diamante, ma fortissime 
come il diamante, nel senso in cui l'usarono il Pahini, Bisogno , 7 : « Di 
valli adamantini, Cinge i cor la virtude » e Properzio, 111, IX, tt : « adamantina 
sub juga ». 

129. Al suo divin principio : A Dio. 

138. E forma e voce, ecc. : La poesia riveste di mirabili colori tutte le cose, 
come canta delle Muse nella Masc.heroniana I, 28. 

140. La delfica favella: La poesia. 

144. La reina opinion: L'opinione pubblica, che, secondo il p., é padro- 
neggiata dalla potenza de' carmi. 

152. Tetragono : Dante, Par, XVII, 20 : « avvegnach'io mi senta Ben te- 
tragono ai colpi di ventura ». 



76 PÀRTB II. 

Di far liete de' canti d'Elicona 

Degli eccelsi le nozze, ovunque in pregio 155 

Son d'Elicona i dolci canti. Or quale, 

Qual v'ha sponda che sia, come l'insubre, 

Dalle Grazie sorrisa e dalle Muse? 

Qual tempio sorge a queste dee più caro 

Che l'eretto da te, spirto gentile, la, 

Nelle cui vene del Trivulzio sangue 

Vive intero l'onor? Alto fragore 

D'oricalchi guerrieri e d'armi orrende 

Empiea, signor, le risonanti vòlte 

Delle tue sale un dì, scuola di Marte, 105 

Quand'il grand'avo tuo, fulmin di guerra, 

Delle italiche spade era la prima. 

Or che in regno di pace entro i lombardi 

Elmi la lidia tessitrice ordisce 

L'ingegnosa sua tela, e col ferrigno 170 

Dente agli appesi avidi brandi il lampo 

La ruggine consuma, a te concede 

Altra gloria e più bella e senza pianti, 

Senza stragi e rovine, il santo amore 

De' miti studi del silenzio amici, 175 

Che da Febo guidati e da Sofia 

Traggon l'uom del sepolcro e il fanno eterno. 

Qui dell'arte di Cadmo e della sua 

Imitatrice i monumenti accolti 

Di grave meraviglia empion la vista iso 

De' riguardanti: qui, di Pindo e Cirra 

158. Dalle Grazie, ecc. : Lieta del sorriso delle grazie, cioè dello splendore 
della bellezza. Cfr. Ad Anna Malaspina, 18. 

159 : ttual tempio : La casa del Trivulzio, che abbiam visto coltivare gli 
6tudi poetici. 

163. Oricalchi : Trombe guerresche. 

166. 11 grand'avo tuo : Gian Giacomo Trivulzio, che, espertissimo capitano, 
combatté per gli Aragonesi di Napoli, poi per Carlo vili. Fu maresciallo di 
Francia ed ebbe da Luigi XII il governo del ducato di Milano. Più tardi 
guidò gli eserciti francesi contro i Veneziani, clic vinse nel 1509 ad Agna- 
dello. Mori il 5 decembre 1518 a Chartres. 

169. La Lidia tessitrice : Aracne di Lidia, venuta superbamente a gara con 
Minerva di valentia nei lavori femminili e vinta, fu dalla dea irata conver- 
tita in ragno. 

171. Col ferrugigno dente : Come con un dente di ferro la ruggine corrode 
le armi. 

172. La ruggine consuma : Questi versine ricordano altri di Bacchilide, 
« E d'oziosi scudi Intra i ferrei legami Intesse le sue tele Aracne oscura: 
Ambitaglienti spade Giaccionsi e lame rugginose al suolo » (trad. di S. Cen- 
tofanti). 

176. Da Febo, ecc. : Guidati dall'amore del bello (Febo) e della scienza {Sofia). 

177. Traggon l'uom, ecc : Petrarca, Trionfo d. Fama 1, 9 : « Che trae Tuoni 
dal sepolcro, e'n vita il serba». 

179. Sua Imitatrice : La stampa. 

181. De' riguardanti: Allude alla biblioteca trivulziana, ricca di pregiati 
codici e di splendidi monumenti dell'arte tipografica. 



LE NOZZE DI CADMO E d'eRMIONE. 77 

Posti i gioghi in oblio, Tascrèe fanciulle 

Fermano il seggio, e grato a te le invia 

Il gran padre Alighier, che per te monde 

D'ogni labe contempla le severe 185 

Del suo nobil Convito alte dottrine. 

Odi il suon delle cetre, odi il tripudio 

Delle danze; ed Amor vedi, che gitta 

Via le bende, e la terza e quarta rosa 

Del tuo bel cespo ad Imeneo consegna: ìoo 

Ed allegro Imeneo nel più ridente 

Suol le trapianta che Panaro e Trebbia 

Irrigano di chiare onde felici; 

E germogli n'aspetta, che faranno 

Liete d'odori e l'una e l'altra riva 193 

Di generose piante ambo superbe. 

Or voi d'ambrosia rugiadose il crine, 
Il cui sorriso tutte cose abbella, 
Voi dell'inclita Bice al fianco assise, 
Grazie figlie di Giove, accompagnate 800 

Le due da voi nutrite alme donzelle; 
E vengano con voi l'arti dilette 
In che posero entrambe un lungo amore, 
L'animatrice delle tele e quella 
Che di musiche note il cor ricrea: 205 

Onde la vita coniugai sia tutta 
Di dolce aspersa e di ridenti idee, 
Smaglianti alle prime di natura 

185. D'ogni labe : D'ogni macchia, ossia del guasto orribile in cui trova- 
rono i codici. 

186. Alle dottrine : Il Trivulzio, il Monti e Gio. Antonio Maggi curarono 
un'edizione del Convivio di Dante, che usci prima a Milano nel 1826, poi a 
Padova nel 1827. 

179. La terza e quarta rosa : Allude alle nozze delle due figlie del Trivul- 
zio. Per la prima rosa> che fu donna Rosa Trivulzio andata sposa a don 
Giuseppe Poldi Pezzoli, compose la lirica II cespuglio delle quattro rose, e 
per la seconda rosa, donna Cristina Trivulzio sposa al conte Giuseppe Ar- 
chinto, Il ritorno d'amore al cespuglio delle quattro rose. 

192. Panaro : Modena designata dal fiume che passa per quella città, donde 
era il marchese Carandini sposo a una figlia del Trivulzio. — Panaro : Pia- 
cenza, donde era lo Scotti sposo all'altra figlia. 

196. Ambo superbe : Modena e Piacenza erano entrambe superbe di aver 
dato la culla ad illustri uomini. 

197. Ambrosia : Unguento odoroso che adoperavano gli dei. 

199. Dell'inclita Bice : Della contessa Beatrice Serbelloni, madre delle spose. 

202. Vengano con voi : U Foscolo, commentando Le Grazie, diceva : « Lo 
Grazie, deità intermedie tra il cielo e la terra , ricevono da* Numi tutti i 
doni ch'esse dispensano agli uomini ». 

205. Il cor ricrea: Con queste perifrasi designa la pittura e la musica. 

206. Onde : Usato col cong. in senso finale ha non pochi esempi ; ma col- 
rinfinito é assai raro, sebbene anche di quest'uso si trovino esempi : cfr. Fo- 
scolo, Inno alla nave delle Muse, 43 : « Onde posar nella toscana terra Le 
Muse ». 11 Foscolo l'usò anche in prosa. 



78 PARTE II. 

Vergini fantasie, che in piante e in fiori 

Scherzano senza legge e son più belle. 210 

E tu, ben nato idillio mio, che i modi 
Di Tebe osasti con ardir novello 
All'avene sposar di Siracusa, 
Vanne al fior de' gentili, a lui che fermo 
Nella parte miglior del mio pensiero 215 

Tien della vera nobiltà la cima 
E de' cortesi è re; vanne e gli porgi 
Queste parole: Amico ai buoni, il cielo 
Di doppie illustri nozze oggi beati 
Rende i tuoi lari, ed il canuto e fido 220 

De* suoi studi compagno all'allegrezza 
Che l'anima t'innonda il suo confonde 
Debole canto, che di stanco ingegno 
Dagli affanni battuto è tardo figlio; 
Ma non è tardo il cor, che come spira 2*3 

Riverente amistade, a te lo sacra. 
Questo digli, e non altro. E, s'ei dimani". 
Come del viver mio si volga il corso, 
Di' che ad umil ruscello egli è simile, 
Su le cui rive impetuosa e dura 230 

I fior più cari la tempesta uccise. 

211. Modi di Tebe: I nobili concetti di poesia civile quali spirano dagl'inni 
del poeta di Tebe, Pindaro. 

213. Avene di Siracusa : Le zampogne del poeta di Siracusa, Teocrito. 
Senso: Sposasti gli alti intendimenti di poesia civile alla dolcezza della poe- 
sia idillica. 

211. Al fior de' gentili : Ài Trivulzio. 

221. Dagli affanni battuto : Il p. negli ultimi anni della sua vita fu tor 
men tato da non pochi mali fisici e morali Cfr. V Introduzione, § IV. Troppo 




magmi e di suon 



Sermone 



ALLA MARCHESA ANTONIETTA COSTA DI QBNOVA 

NELLE NOZZE 
DEL MARCHESE BARTOLOMEO COSTA SUO FIGLIO 



Questo sermone fu composto nel 1825 e dedicato alla marchesa Aulo 
metta Costa di Genova, quando andò a nozze suo figlio Bartolomeo. Gli 
risposero in prosa e in versi tre letterati romantici, Giuseppe Compagnoni, 
Ambrogio Mangiagalli e Carlo Tedaldi Fores. « Ha come due parti ;T una 
negativa, positiva l'altra, il sermone si aggira tutto intorno alla questione 
allora tanto dibattuta fra classicisti e romantici sui criteri fondamentali 
del bello artistico. Nella prima il p. non combatte proprio tutto quel sistema 
che fu detto romantico, ma soltanto certe esagerazioni e specialmente quella 
del tetro e del pauroso nelle invenzioni poetiche; nella seconda poi movo 
da un principio in sé stesso vero, ed é che il linguaggio della poesia ha da 
essere come un visibile parlare, per dirlo con un bel modo di Dante, cioè 
le idee debbon pigliar forme sensibili, fantastiche; ma poi cade nello stra- 
nissimo errore d ammettere che ci sia come un abisso tra il vero e il 
bello, tra la scienza e la poesia, e di non riconoscere altri fantasmi ed al 
tri simboli poetici che quelli della Mitologia » (Puccianti). 

Audace scuoia boreal, dannando 
Tutti a morte gli dei, che di leggiadre 
Fantasie già fiorir le carte argive 
E le latine, di spaventi ha pieno 
Delle Muse il bel regno. Arco e faretra 
Toglie ad Amore, ad Imeneo la face, 
Il cinto a Citerea. Le Grazie anch'esse, 
Senza il cui riso nulla cosa è bella, 

1. Audace scuola boreal: Così designa la scuola romantica sorta in Italia, 
in parte per efficacia delle letterature tedesche {boreali). Questa scuola . 
voleva bandito dalla poesia l'uso dei miti. Oltre che le Lett. crit. sul Romant\ ' > 
del Manzoni si senta che cosa ne diceva un romantico convinto, ErmkS ' 
Visconti: « Ciò che un uomo ha detto perché lo sentiva, perché corrispon- • * v 
deva alle idee, osservazioni e passioni della sua vita reale, desta infalli- 
bilmente la simpatia, lo spettacolo della natura umana é sempre interes- 
sante. Non cosi i classicisti del miUe ottocento diciotto; essi non possono 
aver sentito quelle cose che si sforzano d'esprimere, si vede il letterato e 
non l'uomo. Cessiamo dunque dall'impinguare il catalogo de' poemi e dei 
drammi fondati sui miracoli dei numi Pagani, come la Semele di Schiller, 
e l'Urania di Manzoni, nelle invenzioni storiche non 'introduciamo più gli 
Dei aboliti a regolare gli eventi, come nel Camillo del nostro esimio sto- 
rico Botta ... ». (Dal Conciliatore, p. 93). 

3. Fiorir : In senso attivo, abbellirono, infiorarono. 

4. Di spaventi: Per V esempio degli scrittori inglesi e tedeschi era ve- 
nuto di moda anche presso di noi, ma assai meno che altrove, di spargerò 
la poesia di ben tristi immaginazioni, bufere paurose, lugubri notti, om- 
bre vagolanti. 

7. Il cinto a Citerea : U cinto a Venere col quale seduce gli animi, per- 
ché in esso « raccolte e chiuse Erano tutte le lusinghe » (Ombro, II- xiv, 
250, trad. M.). 

8. È bella: Anche il Foscolo chiùde il primo inno delle Grazie con 
questi vv. : « e da voi solo, Né dar premio potete altro più bello, Sol da 
voi chiederem, Grazie, un sorriso ». 



80 PARTE II. 

Anco le Grazie al tribunal citate 

De* novelli maestri alto seduti, io 

Cesser proscritte e fuggitivo il campo 

Ai lemuri e alle streghe. In tenebrose 

Nebbie soffiate dal gelato arturo 

Si cangia (orrendo a dirsi !) il bel zaffiro 

Dell'italico cielo; in procellosi 15 

Venti e bufere le sue molli aurette; 

I lieti allori dell' aonie rive 

In funebri cipressi; in pianto il riso; 
E il tetro solo, il solo tetro è bello. 

E tu fra tanta, ohimè ! strage di numi so 

E tanta morte d'ogni allegra idea, 
Tu del ligure olimpo astro diletto, 
Antonietta, a cantar nozze m'inviti? 
E vuoi che al figlio tuo, fior de' garzoni, 
Di rose còlte in Elicona io sparga 25 

II talamo beato ? Oh me meschino ! 
Spenti gli dei che del piacere ai dolci 
Fonti i mortali conducean, velando 
Di lusinghieri adombramenti il vero, 

Spento lo stesso re de' carmi Apollo, 30 

Chi voce mi darà lena e pensieri 

Al subbietto gentil convenienti? 

Forse l'austero genio inspiratore 

Delle nordiche nenie ? Ohimè ! che, nato 

Sotto povero sole e fra i ruggiti 35 

De' turbini nudrito, ei sol di fosche 

Idee si pasce e le ridenti abborre, 

E abitar gode ne' sepolcri e tutte 

In lugubre color pinger le cose. 

Chiedi a costui di lieti fiori un serto, 40 

Onde alla sposa delle Grazie alunna 

12. Immuri: Le ombre dei morti che di notte, spettri paurosi, spaven- 
tavano i viventi. 

13. Arturo : È una stella dell'Orsa maggiore, qui vale per il settentrione. 
17. Aonie : Aonia era una parte della Beozia, o v'era l' Elicona] sacro alle 

Muse. 

22. Del ligure Olimpo, ecc. : Tu astro fulgente di bellezza fra le donne 
genovesi. 

25. Di rose, ecc. : Tasso, Ger. Lib. 111 1 : « di rose colte in Paradiso ». 

31. Chi voce mi darà: Ariosto, Ori. Fur. in, 1: « Chi mi darà la voce e 
le parole Convenienti a si nobile soggetto? 

34. Nordiche nenie: Nenie erano i canti funebri dei romani, qui s'inten 
dono i melanconici canti dei poeti settentrionali. 

35. Sotto povero sole: Dante, Purg. xvi, 2: « sotto pover cielo », e il 
Tasso, Ger. Lib. vii, 44: « Sotto povero ciel luce di luna » e Orazio, Od 1, 

XXXV. 

41. Onde, ecc. : V. la n. 206 a p. 77. 
— Delle Grazie : V. la n. 143 a p. 17. 



SERMONE. 81 

Fregiarne il crin: che ti darà? Secondo 

Sua qualitade naturai, null'altro 

Che fior tra i dumi del dolor cresciuti. 

Tempo già fu, che, dilettando, i prischi 45 

Dell'apolli neo culto archimandriti 
Di quanti la natura in cielo e in terra 
E nell'aria e nel mar produce effetti 
Tanti numi crearo; onde per tutta 
La celeste materia e la terrestre 50 

Uno spirto, una mente, una divina 
Fiamma scorrea, che l'alma era del mondo. 
Tutto avea vita allor, tutto animava 
La bell'arte de' vati. Ora il bel regno 
Ideal cadde al fondo. Entro la buccia 55 

Di quella pianta palpitava il petto 
D'una saltante Driade; e quel duro 
Artico genio destruttor l'uccise. 
Quella limpida fonte uscia dell' urna 
D' un'innocente Naiade; ed, infranta 60 

L'urna, il crudele a questa ancor die morte. 
Garzon superbo e di so stesso amante 
Era quel fior; quell'altro al sol converso, 
Una ninfa a cui nocque esser gelosa. 
Il canto che alla queta ombra notturna 65 

Ti vien sì dolce da quel bosco al core 
Era il lamento di regal donzella 
Da re tiranno indegnamente offesa. 

44. Dumi: Spine, metaf. le angoscia. 

45. Dilettando: Gli antichi miti non furono creati dai primi poeti {del- 
l'apollineo culto archimandriti), ma furono opera del popolo clie ne fece 
il fondamento della sua religione. Da questo verso il p. incomincia a rim- 
piangere le vaghe fantasie mitologiche ormai cacciate dair « artico genio 
destruttor ». Tenendo conto della diversità dell'indole e dell'intenzione dei 
vari poeti si cfr. colTode Alla primavera del Leopardi coll'ode Al au- 
tunno del Carducci specialmente dal v. 89 in poi. 

57. Driade: Ninfa dei boschi. Con immagini simili aveva detto nell'ode \ 
In occasione del parto della Vice Regina, 97: « Delle celesti Driadi Sotto 
la man già senti Dentro il materno cortice Scaldarsi i petti algenti; Già 
porgonsi, già saltano Fuor della buccia in lor natia beltà ». 

60. Naiade: Ninfa delle fonti e dei fiumi. 

61. Il crudele: L'artico genio. 

62. Garzon: Narciso, bellissimo figlio di Cefìso, nume della Beozia e 
delia ninfa Leriope, che, innamorato della propria immagine riflessa in 
una fonte, s'annegò in essa e fu convertito in fiore. 

61. Dna ninfa : Clizia gelosa dell' amore che Apollo ebbe per un' altra 
ninfa, Leucotoe, fu mutata in girasole. 

67. Di regal donzella : Di Filomela, sorella di Progne, moglie di Tereo, 
re della Tracia: essendo stata da questo violata, fu dagli dei mutata in 
usignolo, Tereo in uuupa e Progne, che per vendicarsi di Tereo gli aveva 
dato per cibo le carni del figliuoletto Iti, in rondine. Cosi i poeti latini, i 
mito grafi greci invece dissero Filomela cangiata in rondine e Progne in 
usignuolo. Il Monti segue la versione latina. 

Monti. — Poesie. 6 



82 PARTE 11. 

Quel lauro, onor de' forti e de' poeti, 

Quella canna ohe iischia, e quella scorza ?o 

Che ne' boschi sabéi lagrime suda, 

Nella sacra di Pindo alta favella 

Ebbero un giorno e sentimento e vita. 

Or d'aspro gelo aquilonar percossa 

Dafne morì; ne' calami palustri 75 

Più non geme Siringa; ed in quel tronco 

Cessò di Mirra l'odoroso pianto. 

Ov'è l'aureo tuo carro, maestoso 
Portator della luce, occhio del mondo? 
Ove l'Ore danzanti ? ove i destrieri so 

Fiamme spiranti dalle nari ? Ahi misero ! 
In un immenso, inanimato, immobile 
G-lobo di foco ti cangiar le nuove 
Poetiche dottrine, alto gridando: 
Fine ai sogni e alle fole, e regni il vero. so 

Magniiìco parlar ! degno del senno 
Che della Stoa dettò l'irte dottrine, 
Ma non del senno che cantò gli errori 
Del fìgliuol di Laerte e del Pelide 
L'ira e fu prima fantasia del mondo. 90 

Senza portento, senza meraviglia 
Nulla è l'arte de' carmi; e mal s'accorda 
La meraviglia ed il portento al nudo 
Arido vero che de' vati è tomba. 

(59. Onor ecc.: V. la n. 25 a p. 59. 

70. Quella scorza : La scorza della pianta che tra i Sabei dell'Arabia Ve 
lice stilla un'odorosa resina. La pianta fu detta mirra dal nome della 
ti glia incestuosa di Cinira che fu mutata in essa. 

75. Dafne: Ninfa inseguita da Apollo che l'amava, e da lui convertita 
in lauro. 

76. Siringa: N nfa inseguita dal dio Pane e mutata in canna palustre. 

79. Occhio del mondo : Cfr. Ovidio, Met. iv, 227 e Dantk, Purg. xx , 13*2 
che chiama il sole e la luna « occhi del cielo ». 

80. L'ore danzanti : Le ore che corrono x danzano e volano sono già nel 
Parini, All'inai. Alce, 101 :j« i piedi e l'ali Provan tralor le vergini Ore », 
e nel Foscolo, Sepolcri, 6: « E quando vaghe di lusinghe, innanzi A me 
non danzeran l'ore future ». 

— I destrieri: Del Sole. Si noti l'artificio di questi sdruccioli, che, se 
provano, come dice un arguto critico: « che nessuno al pari del Monti 
ha avuto un orecchio cosi musicale ». c'insegnano anche che « la dolcezza 
del verso deve sentirsi non neU'orecchio, ma nell'ani ma ». 

87. Stoa: Nel Pecile , portico (ItoI = portico) di Atene, insegnò la sua 
filosofia Zenone di Cizico (310-260 av. C), il capo della scuola stoica. Chiama 
irte le dottrine degli stoici perchè severe, rigide, insegnando essi a di- 
sprezzare onori, piaceri, fortune. 

90. Del Pelide ecc.: Omero cantò gli errori di Ulisse, il figlio di Laerte, 
ncir Odissea e l'ira del Pelide Achille nell'Iliade. 

94. De' vati è tomba : In questi versi é il concetto fondamentale del carme: 
il vero scompagnato dalle vaghe forme dell'arte, il nudo vero, non può 
piacere. K in questo appunto erra il p. , perchè indissolubile è il legame 
tra il bello e il vero, tra la scienza e la poesia, e nell'arte c'è qualchecosa 
di più grande della maraviglia e del portento. 



SERMONE. 83 

Il mar, che regno in prima era d'un dio 95 

Scotitor della terra e dell'irate 

Procelle correttore, il mar, soggiorno 

Di tanti divi al navigante amici 

E rallegranti al suon di tube e conche 

Il gran padre Oceano ed Amfìtrite, 100 

Che divenne per voi ? Un pauroso 

Di sozzi mostri abisso. Orche deformi 

Cacciar di nido di Nereo le figlie, 

Ed enormi balene al vostro sguardo 

Fùr più belle che Dori e Galatea. 103 

Quel Nettunno che rapido da Samo 

Move tre passi, e al quarto è giunto in Ega; 

Quel Giove che al chinar del sopracciglio 

Tremar fa il mondo, e allor ch'alza lo scettro 

Mugge il tuono al suo piede e la trisulca 110 

Folgor s'infiamma di partir bramosa; 

Quel Pluto che al fragor della battaglia 

Fra gl'immortali dal suo ferreo trono 

Balza atterrito, squarciata temendo 

Sul suo capo la terra e fra i sepolti 115 

Intromessa la luce, eran pensieri 

Che del sublime un dì tenean la cima. 

Or che giacquer Nettuno e Giove e Pluto 

Dal vostro senno fulminati, ei sono 

Nomi e concetti di superbo riso, 120 

Perchè il ver non v'impresse il suo sigillo, 

96. Scotitor della terra rjCosi Omero chiama Nettuno, Enosigeo, 'Evo*^^- 

99. Tube . . . oonche: Trombe ... : conchiglie marine (lat.). 

100. Anfitrite: Figlia dell'Oceano e di Doride era la consorte di Nettuno. 
105. Dori e Galatea: Dori o Doride, figlia dell'Oceano e di Teti, moglie 

di Nereo da cui ebbe le cinquanta Nereidi: Galatea era una delle Nereidi 
amata dal ciclope Polifemo. 

107. Ega: Omero, II. xin, 12 e sgg. che il M. traduce: « Tre passi fece 
E al quarto giunse alia sua meta in Ege » ed anche nell'Ori, xn, 480. Col 
nome di Ege si chiamavano in Grecia varie città, nelle quali Nettuno era 
adorato, ma qui s'intende la dimora propria del dio, in fondo al mare. 

10S. Al chinar ecc. : Questa bellissima immagine del Giove Olimpico che 
al tremar del ciglio scuote il mondo fu prima di Omero, II. 1, 700, poi 
piacque per la sua sublimità a molti poeti che la rpresero. Cosi Orazio, 
Od. t ni, 1, 8: « Cuncta supercilio moventis », Virgilio, Aen. ix, 106: « to- 
tum nutu tremefecit Olympum », il Petrarca Trionfo d. Etern. 55: « Quei 
che il mondo governa pur col ciglio » e il Manzoni, Natale: « Le avverse 
forze tremano Al mover del suo ciglio ». Fidia in tale atto modellò il suo 
Giove posto nel tempio d'Olimpia. 

110. Trisulca: Dalle tre punte (quae facit tres suicos, tre ferite), Ovidio, 
Met. 11, SIS, e Virgilio, Georg, ni, 439 « dextra trisulcis ignibus armata ». 

116. Intromessa la luce: Omero, II. xx, 75 (trad. M.j: «Tremoline Pluto, 
il re de' sepolti, e, spaventato, Die un alto grido e si gettò dal trono, Te- 
mendo non gli squarci la terrena Volta sul capo il crollator Nettunno, Ed 
intromessa colaggiù la luce, Agli Dei non discopra ed ai mortili Le suo 
squallide bolge ...» passo imitato da Virgilio, Aen. vili, 3(59. 

118. Or che giacquer : Or che per opera di voi, romanticisti, furono de 
risi e cacciati dalla poesia i nomi degli dei pagani. 



84 PARTE IX. 

E passò la stagion delle pompose 

Menzogne achòe. Di fé quindi più degiu 

Cosa vi torna il comparir d'orrendo 

Spettro sul dorso di corsier morello 125 

Venuto a via portar nel pianto eterno 

Disperata d'amor cieca donzella, 

Che abbracciar si credendo il suo diletto, 

Stringe uno scheltro spaventoso, armato 

D'un ormolo a polve e d'una ronca; 130 

Mentre a raggio di luna oscene larve 

Danzano a tondo, e orribilmente urlando 

Gridano: pazienza, pazienza. 

Ombra del grande Ettorre, ombra del caro 

D'Achille amico, fuggite, fuggite, ix> 

E povere d'orror cedete il loco 

Ai romantici spettri. Ecco ecco il vero 

Mirabile dell'arte, ecco il sublime. 

Di gentil poesia fonte perenne 
(A chi saggio v'attigne), veneranda 11 y 

Mitica dea ! Qual nuovo error sospinge 
Oggi le menti a impoverir del bello 
Dall'idea partorito e in te sì vivo 
La delfica favella? E qual bizzarro 
Consiglio di Maron chiude e d'Omero n:> 

A te la scuola, e ti consente poi 
Libera entrar d'Apelle e di Lisippo 

133. Pazienza, pazienza: S'accenna qui all' Eleonora , novella -romantica 
di Augusto Bttrger, un tempo ammirata come modello insuperabile di li- 
rica dalla scuola romantica. Eleonora, innamorata di Guglielmo, che é sol 
dato negli eserciti di Federico il Grande, invano ne aspetta il ritorno; un 
cavaliere la porta in groppa del suo cavallo per andare in traccia del- 
l'amante. Arrivano ad un cimitero, ove al guerriero si sfasciano attorno 
le membra: « In ischeletro il corpo si solve I/una man l'oriolo da polve 
L'altra mano la falce mostrò . . . Tutte a raggio di luna, le larve Intrec- 
ciaron la ridda, e con voci Spaventose, con urli feroci « Pazienza, pazienza 
gridar», (trad. di A. Zardo). 

131. Ombra ecc.: Bene il Casini riferisce qui le sgg. parole del De San 
ctis: «Questi endecasillabi che simulano l'impeto dei decasillabo, rivelano 
un soverchio studio di armonia imitatrice, 1 anima raccolta tutta ed ob- 
bliata nell'orecchio ». 

135. D'Achille amioo: Patroclo che, vestito delle armi d'Achille, é ucciso 
da Ettore. 

13C. E povere d'orror: E non abbastanza spaventose quanto i romantici 
/ori* ebbero. 

110. A chi saggio ecc.: Il p., in realtà mezzo classico e mezzo romantico, 
/>ur difendendo l' uso della mitologia, ne condannava l'abuso. Si legga la 
lettera al Tedaldi Fores del 30 nov. 1825 (Episc. Resnati, p. 2W) t che può 
servir di commento a questo passo. 

141. Mitica dea: La Mitologia. 

111. La deifica favella: La poesia. 

117. D'Apelle e di Lisippo: Col nome del grande pittore greco, Aitile, si 
designa la pittura e con quello dello scultore Lisippo la scultura. Senso : 
« Perché a te, o mitologia, si consente di dar materia alla pittura e alla 
scultura e si vieta alla poesia» » 



SERMONE. 85 

Nell'officina? Non è forse ingiusto 

Proponimento, all'arte che sovrana 

Con eletto parlar sculpe e colora 150 

Negar lo dritto delle sue sorelle? 

Dunque di Psiche la beltade, quella 

Che mise Troia in pianto ed in faville, 

In muta tela in freddo marmo espressa, 

Sarà degli occhi incanto e meraviglia; 155 

E se loquela e affetti e moto e vita 

Avrà ne' carmi, volgerassi in mostro? 

Ah, riedi al primo officio, bella diva; 

Riedi, e sicura in tua ragion col dolce 

Delle tue vaghe fantasie l'amaro igo 

Tempra dell'aspra verità. No '1 vedi? 

Essa medesma, tua nemica in vista 

Ma in segreto congiunta, a sé t'invita 

Che, non osando timida ai profani 

Tutta nuda mostrarsi, il trasparente 165 

Mistico vel di tue figure implora: 

Onde, mezzo nascosa e mezzo aperta, 

Come rosa che al raggio mattutino 

Vereconda si schiude, in più desio 

punger i cuori ed allettar le menti. 170 

Vien, che tutta per te fatta più viva 

Ti chiama la natura. I laghi, i fiumi, 

Le foreste, le valli, i prati, i monti, 

E le viti e le spiche g i fiori e l'erbe 

E le rugiade, e tutte alfin le cose, r,3 

Da che fùr morti i numi onde ciascuna 

Avea nel nostro immaginar vaghezza 

Ed anima e potenza, a te dolenti 

152. Psiche: Vergine bellissima amata' da Amore. 

— queUa : EleDa, la figlia di Tindaro, che, rapita da Paride a Menelao, 
re di Micene, fu causa di tanti lutti ai Troiani e ai Greci che per lei pu- 
gnarono all'assed o di Troia. 

154. Espressa: Rappresentata. 

157. Volgerassi in mostro ? « E se Psiche, se Elena, come ho detto io nel 
Sermone, sono belle in marmo ed in tela, perchè noi potranno essere egual- 
mente e più animate dalla poesia da cui prendono affetti e parole da mute e 
i nsensate che il marmo e la tela ce le presentano? » ( Lete. cit. al Te d aldi Fores). 

162. In vista: In apparenza. 

166. Implora : Cioè la verità chiede alla mitologia il suo trasparente veli 
per essere manifestata ai profani. Nella mitologia , vuol dire il p. , si na 
scondono alte e belle verità. 

167. Onde mezzo nascosa ecc.: Poliziano, Stanze 1, 78 : « Ma vie più lieta 
più ridente e bella Ardisce aprire il seno al sol la rosa ». Ariosto, Ori. 
Fur. x, 11 e meglio ancora, quasi coi medesimi versi del M. , il Tasso, 
Oer. Lib. xvi, 14 « la rosa. . . Che mezzo aperta ancora e mezzo ascosa 
Quanto si mostra men, tanto è più bella ». 

176. Da che : Da Quel tempo in cui. Cfr. Petrarca, sest. A qualunque ani- 
male*. « Et io da che comincia la bell'alba», e Foscolo, Inno III alle Gra- 
tie % 219: « Da che più lieti mi floriano gli anni ». 



80 PARTE li. 

Alzati la voce e chieggono vendetta. 

E la chiede dal ciel la luna e il sole iso 

E le stelle, non più rapite in giro 

Armonioso e per l'eterea vòlta 

Carolanti, non più mosse da dive 

Intelligenze, ma dannate al freno 

Della legge che tira al centro i pesi; 185 

Potente legge di Sofia, ma nulla 

Ne* liberi d'Apollo immensi regni, 

Ove il diletto è prima legge e mille 

Mondi il pensiero a suo voler si crea. 

Rendi dunque ad Amor l'arco e gli strali, ioo 

Rendi a Venere il cinto; ed essa il ceda 
A te, divina Antonietta, a cui 
(Meglio che a Giuno nel meonio canto) 
Altra volta l'avea già conceduto 
Quando novella Venere di tua 195 

Folgorante beltà nel vago aprile 
D'amor l'alme rapisti, e mancò poco 
Che lungo il mar di Giano a te devoti 
Non fumassero altari e sacrifìci. 
Tu donna di virtù, che all'alto core 200 

Fai pari andar la gentilezza e sei 
Dolce pensiero delle Muse, adopra 
Tu quel magico cinto a porre in fuga 
Le danzanti al lunar pallido raggio 
Maliarde del norte. Ed or che brilla 203 

Nel tuo larario d'Imeneo la face, 
Di Citerea le veci adempi, e desta 
Ne' talami del figlio, allo splendore 
Di quelle tede, gl'innocenti balli 
Delle Grazie mai sempre a te compagne. 210 

183. Da dive intelligenze : Dagli angeli, che, secondo Dante, muovono i cieli. 

185. Dante chiamò il centro della terra il punto « al qual si traggon di 
ogni parte i pesi ». S'accenna alla legge della gravitazione universale. 

186. Di Sofia : Della scienza. 

1SU. « Il poeta ha ragione di sostenere che la poesia deve essere rap- 
presentata sotto imagini sensibili, ma erra affermando che queste possono 
essere somministrate dalia mitologia soltanto, e che la poesia sia ribelle 
alla verità scien tinca » (Mestica). 

103. A Giuno nel meonio canto: Nell'Iliade (il meonio canto, v. la n. 122 
a p. 62) Giunone, per vincere con le lusinghe l'animo di Giove, ottiene da 
Venere il cinto che racchiude tutte le dolcezze e gli artifizi d'amore. Cfr. 
anche la descrizione del cinto d'Armida che é nella Oer. Lib. del Tasso, 
xvi, 21. 

litè. Il mar di Giano: Il mar ligure, detto di Giano da Genova che si cre- 
deva fondata da Giano. 

200. Donna di virtù: Dante, Inf. n, 76, cosi chiama Beatrice. 

205. Maliarde del norte : Le paurose streghe dei poeti romantici stranieri. 

206. Larario : Era il tempietto ove eran riposti ì piccioletti dei Lari pro- 
tettori della casa. 

2D9. Di quelle tede: Delle faci nuziali. 



PARTE III. 

POEMETTI 



In morte di Ugo Bassville 



CANTICA 



\J 



Questo poemetto storico, che é senza dubbio V opera del M. più univer- 
salmente nota e più ammirata, trae argomento da un luttuoso fatto avve- 
nuto in Roma il 13 gennaio del 1793. Nicola Giuseppe Ilugou di Bassville, 
nato in Abbeville nella Piccardia inferiore il 7 febbraio 1753 , studioso di 
lettere e scrittore di varie opere in prosa e in versi, andato come isti- 
tutore in Olanda, nel Belgio, in Germania e in Svizzera, ardente propu- 
gnatore della monarchia agi inizi della rivoluzione e divenuto più tardi 
non meno ardente repubblicano (come a non pochi accadde in quella tu- 
multuosa età), travolto dalle vicende di questa sua vita fortunosa, era ve 
nuto nell'estate del 1792 a Napoli segretario della legazione francese. Di là 
di sua iniziativa andò a Roma, per farvi attiva propaganda repubblicana, e 
si presentò insieme col vicemaggìore di vascello Carlo La Flotte al card. 
Francesco Saverio Zelada, segretario di Stato, con una lettera del ministro 
di Francia a Napoli, Makau, imponendogli di sostituire su gli editìzi fran- 
cesi in Roma gli stemmi repubblicani a quelli regi. Ad un rifiuto del car- 
dinale essi risposero con minacce e il giorno dopo ardirono in una città 
di sentimenti antirivoluzionarii e, come egli stesso ebbe a dire e a scrivere 
inèlevable, uscire in carrozza sul corso con un nastro tricolore sui cap- 
pelli. La folla, inferocita li inseguì, il Bassville tentò di sfuggire all'ira di 
quelli animi esasperati, riparando nella casa del banchiere Stefano Moutte, 

*4n via Frattina, ma, assalita la casa, vi fu ucciso con un colpo di pugnale 

' nel ventre. 

Attinse il concetto fondamentale di questo suo poemetto dalla Mes- 
siade del Klopstock , dove appunto é rappresentata 1* ombra di Giuda 
che i demoni guidano a contemplare i luoghi ove si compie il suo tradi- 
mento, poi da lungi le fanno vedere la beatitudine celeste e infine la spro- 
fondono nell'abisso infernale. I primi due canti furono pubblicati nel mag- 
gio del 1793, il terzo nel giugno, il quarto nell'agosto. Più tardi, cambiate 
interamente le sue idee politiche, sconfessò questo suo poemetto repub- 
blir.ano, arrivando perfino a chiamarlo, nella lettera a Francesco Saitì, « una 
miserabile rapsodia ». Gir. l'Introduzione. Il 16 ottobre 1797 la Bassvil- 
liana fu bruciata sulla piazza dei Mercanti per ordine del circolo della 
Istruzione pubblica e si cantò: « Empio cantor, che i palpiti D'irrequieto 
affanno Sei condannato a molcere Al sordido tiranno ». 

CANTO PRIMO. 

Contenuto. In questo primo canto il p. immagina che la divina giustizia 
conceda all'anima di Bassville il suo perdono, a condizione che per ammenda 



88 PARTE III. 

vada a contemplare gl'infiniti' mali che la rivoluzione andava seminando in 
Francia. Un angelo l'accompagna. Vedono sul tempio di S. Pietro un che 
rubino che lo difende e a lui s' inchinano. Vanno a Marsiglia , dove con 
orrore vedono un* empia scena di un carnefice ucciso perchè si era rifiu- 
tato di decapitare Cristo sulla croce. Vanno poi a visitare altre regioni 
della Francia e per tutto trovano lutto e nefandezze. Freme l' anima di Ugo ; 
Ha l'angelo gii dice che più tremendi spettacoli dovrà ancora vedere. 

Già vinta dell'inferno era la pugna, 
E lo spirto d'abisso si partìa 
Vota stringendo la terribil ugna. 

Come lion per fame egli ruggia 
Bestemmiando l'Eterno, e le commosse 5 

Idre del capo sibilar per via. 

Allor timide l'ali aperse e scosse 
L'anima d'Ugo alla seconda vita 
Fuor delle membra del suo sangue rosse; 

E la mortai prigione ond'era uscita 10 

Subito indietro a riguardar si volse 
Tutta ancor sospettosa e sbigottita. 

Ma dolce con un riso la raccolse 
E confortolla l'angelo beato 
Che contro Dite a conquistarla tolse. 15 

E, Salve, disse, spirto fortunato, 
Salve, sorella del bel numer una, 
Cui rimesso è dal cielo ogni peccato. 

Non paventar: tu non berai la bruna 
Onda d'Averno, da cui volta è in fuga 20 

1. La pugna: Fra un angelo e un demonio che immagina il p. si siano 
prima disputati il possesso deU'anima di Ugo. 

2. E lo spirto: Il demonio: Questa lotta fra l'angelo e il demonio per 
il possesso d'un' anima é frequente nelle leggende medievali ed é materia 
di versi bellissimi in Dante, Inf. xxvn, 112-129 e Purg. v, 103-129. 

4. Come lion ecc.: Ariosto, Ori. Fur. xviii, 178: « Come impasto leone 
. . . Che lunga fame abbia smacrato e asciutto », versi che risalgono a Vir 
gilio, Aen. ix, 339: « Impastus ceu piena leo per ovilia turbans (Suadet 
enim vaesana fames) manditque trahitque Molle pecus ... ». 

5. E le commosse : « Tot Erynnis sibilat hydris » disse Virgilio [Aen. vii, 
447] da cui sembra che il nostro poeta abbia preso il sibilo dei serpenti che 
attribuisce al demonio in luogo ai crini, nel modo appunto che si dipin- 
gono le Furie. Il movimento di queste serpi non é che la poetica espres- 
sione dello sdegno di Satana nel vedersi tolta la preda, ed e imitazione di 
Ovidio, che nel quarto delle Metam. [v. 491] cosi descrisse il moversi di 
Tisifone : « . . . motae sonuere colubrae : Parsque iacent humeris, pars cir- 
cum tempora lapsae Sibila dant, saniemque vomunt, linguasque coru- 
scant ». (Mt.). 

10. Mortai prigione: Il corpo che il Petrarca chiama in parecchi luoghi 
ora terreno carcere, ora bella prigione, or&prigionc e il Varano, vis. vili : 
« Usci dal career suo l'anima mia ». 

11. Subito ecc.: Dante, Inf. 1, 22: « E come quei, che con lena affannata 
Uscito fuor del pelago alla riva, si volge all'acqua perigliosa e guata. » 

15. Dite: V. alla p. 20 la n. 41. 
— Tolse: Si assunse. 

17. Del bel numer una: Una delle anime beate. Petrarca, P. ii, canz. vili, 
14 : « Vergine saggia, e del bel numer una ». 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 89 

Tutta speranza di miglior fortuna. 

Ma la giustizia di lassù, che fruga 
Severa e in un pietosa in suo diritto, 
Ogni labe dell'alma ed ogni ruga, 

Nel suo registro adamantino ha scritto, 25 

Che all'amplesso di Dio non salirai 
Finché non sia di Francia ulto il delitto. 

Le piaghe intanto e gl'infiniti guai, 
Di che fosti gran parte, or per emenda 
Piangendo in terra e contemplando andrai. 30 

E supplicio ti fia la vista orrenda 
Dell'empia patria tua la cui lordura 
Par che del puzzo i firmamenti offenda; 

Sì che l'alta vendetta è già matura, 
Che fa dolce di Dio nel suo segreto 85 

L'ira oad'ò colma la fatai misura. 

Cosi parlava; e riverente e cheto 
Abbassò l'altro le pupille, e disse: 
Giusto e mite, o Signor, è il tuo decreto. 

Poscia l'ultimo sguardo al corpo affisse 40 

Già suo consorte in vita, a cui le vene 
Sdegno di zelo e di ragion trafisse ; 

Dormi in pace, dicendo, di mie pene 
Caro compagno, infin che del gran die 
L'orrido squillo a risvegliar ti viene. 15 

21. Tutta speranza: Non andrai all'inferno, ove, come dice Dante, Inf, in, 
9, si deve lasciare ogni speranza. 

22. Fruga: Questo verbo può avere il doppio significato di castigare e di 
stimolare: Dante, Inf. xxx , 70: « La rigida giustizia che mi fruga » e 
Purg. ni, 3: « Rivolti al monte, ove ragion ne fruga ». 

24. Tabe . . . ruga : Tabe vale macchia (lat.) : e non habentem maculanti 
neque rugam », dice S. Paolo, e r Ariosto, Ori. Fur. xn, S2, dice che la 
Virtù va attorno collo specchio, « Che fa veder nell'anima ogni ruga ». 

25. Adamantino: Immutabile. V. la n. 124 a p. 75. 
27. Ulto: Vendicato (lat). 

29. Di che fosti ecc. : « Knea, raccontando i mali delia sua patria, disse, 
Quorum pars magna fui |i«;n. n, 6'; e aveva ben ragione di dirlo. Ma che 
ha egli fatto questo Bassv. per meritare l'onore di uri detto cosi magnifico 1 
perché ingrandirlo a spese del vero 1 » (Mt.). Cosi il p. stesso si accorgeva 
di questa sproporzione tra la realtà storica e V immagine poetica , diletto 
frequente nei poemetti di lui. 

33. Par che ecc. : Petrarca, son. Fiamma dal del, li : « Or vivi si, ch'a 
Dio ne venga il lezzo ». 

35. Che fa dolce ecc. : La quale, nel segreto della mente di Dio, ne placa 
l'ira, perché é certo che il peccato sarà punito. È lo stesso concetto che ó 
in questi versi di Dante, Purg. xx, 94 : « O Signor mio, quando sarò io lieto 
A veder la vendetta, che nascosa Fa dolce l'ira tua nel tuo segreto? ». 

30. Giusto e mite: Come nel Salmo cxviii, 137 :« Giusto se* tu, o Signore, 
e retti sono i tuoi giudizi ». 

40. Poscia l'ultimo ecc. in modo consimile il Varano, Vis. v, 513 fa da 
un'anima guardare e salutare il corpo : « Die un guardo e dir addio parve 
al suo frale ». 

41. Gran die: Il giorno dei giudizio universale, cosi lo chiama anche 
Dante, Purg. i, 75: « La veste che *1 gran di sarà si chiara ». 



90 PARTE UL 

Lieve intanto la terra e dolci e pie 
Ti sian l'aure e le piogge, e a te non dica 
Parole il passeggier scortesi e rie. 

Oltre il rogo non vive ira nemica, 
E nell'ospite suolo, ov'io ti lasso, 50 

Giuste son l'alme, e la pietade è antica. 

Torse, ciò detto, sospirando il passo 
Quella mest'ombra, e alla sua scorta dietro 
Con volto s'avviò pensoso e basso; 

Di ritroso fanciul tenendo il metro, &> 

Quando la madre a' suoi trastulli il fura, 
Che il pie va lento innanzi e l'occhio indietro. 

Già di sua veste rugiadosa e scura 
Copria la notte il mondo, allor che di ero 
Quei duo le spalle alle romulee mura. oc 

E nel levarsi a volo ecco di Piero 
Suir altissimo tempio alla ior vista 
Un cherubino minaccioso e fiero; 

Un di quei sette che in argentea lista 
Mirò fra i sette candelabri ardenti G5 

Il rapito di Patmo evangelista. 

Rote di fiamme gli occhi rilucenti 
E cometa che morbi e sangue adduce 
Parean le chiome abbandonate ai venti. 

Di lugubre vermiglia orrida luce 70 

46. Lieve intanto ecc. : Antica classica deprecazione : Sit Ubi terra lcvis, 
che soleva scriversi sui sepolcri colle iniziali S. T. T. L. Cfr. PaPvIni, iva* 
Vinci. Nice, 119 : « Attenderò che dicami Vale passando e ti sia lieve il suol ». 

49. Rogo: Gli antichi cremavano i cadaveri sul rogo: qui vale morte. 

50. Nell'ospite suolo: a Roma. 

51. E basso: Chi va pensando tiene il volto basso, cogli occhi cioè volti 
a terra. 

55. Il metro: Il modo. 

57. Che il pie ecc.: Cosi il Petrarca, Trionf. d'Amore iv. 166: «Che *1 
pie va innanzi, e l'occhio torna indietro », ripreso anche dal Tasso, Ger. 
Lib. iv, 55. Nota anche la naturalezza di questa bella similitudine. 

59. Copria ecc.: Virgilio, Aen. 11, 250: Vertitur interea coelum et ruit 
oceano nox Involvens umbra magna terramque polumque » e Stazio, Tcb. in: 
« Nox subiit . . . nigroque polos irivolvit amictu ». 

62. Sull'altissimo ecc.: Sulla sommità del tempio di S. Pietro in Roma. 

64. Un di quei ecc. : Apocalisse, i, 12 e sgg. : « Io Giovanni ... mi trovai 
nell'isola che si chiama Patmos ... e rivolto che fui, vidi sette candelieri 
d'oro, e in mezzo ai sette candelieri uno simile al Figliuolo dell'uomo, 
vestito di abito talare, e cinto il petto con fascia d'oro: ed aveva nella de- 
stra sette stelle ... le sette stelle sono i sette angeli delle chieso: . . . e i 
sette candelieri sono le sette chiese ». 

66. Il rapito ecc.: Giovanni evangelista relegato dall'imperatore Domi 
ziano nell'isola di Patmo, una delle Sporadi nel mare Egeo. Rapito in estasi 
ebbe la visione a cui qui si accenna. 

67. Rote ecc. : Apocalisse, i, li: « occhi come fuoco fiammante » e Dante, 
Inf. in, 99: « Intorno agli occhi avea di fin ni me rote ». 

68. E cometa: Virgilio, Aen. x, 272: « Non secus ac liquida Si quando 
nocte cometae sanguinei lugubre rubont ». 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 91 

Una spada brandia, che da lontano 
Rompea la notte e la rendea più truce; 

E scudo sostenea la manca mano 
Grande così, che da nemica offesa 
Tutto copria colTombra il Vaticano, 75 

Come aquila che sotto alla difesa 
Di sue grand'ali rassicura i figli 
Che non han l'arte delle penne appresa, 

E, mentre la bufera entro i covigli 
Tremar fa gli altri augei, questi a riposo so 

Stansi allo schermo de' materni artigli. 

Chinarsi in gentil atto ossequioso 
Oltre volando i due minori spirti 
Dell'alme chiavi al difensor sdegnoso. 

Indi veloci in men che noi so dirti 85 

Giunsero dove gemebondo e roco 
Il mar si frange tra le sarde sirti. 

Ed al raggio di luna incerto e fioco 
Vider spezzate antenne, infrante vele, 
Del regnator libecchio orrendo gioco, 00 

E sbattuti dall'aspra onda crudele 
Cadaveri e bandiere; e disperdea 
L'ira del vento i gridi e le querele. 

Sul lido intanto il dito si mordea 
La temeraria Libertà di Francia, 
Che il cielo e Tacque disfidar parea. 95 

Poi del suo ardire si battea la guancia, 

73. E scudo ecc. : Di questo sublime dinamico si ha un esempio in Ombro 
II. vii, 268, ove é detto dello scudo d'Aiaee che era cosi grande da parere 
« mobile torre ». Nel Tasso, Ger. Lib. vii, 82, lo scudo con cui un angelo 
protegge Raimondo é « Grande che può coprir genti e paesi Quanti ve 
n'ha fra '1 Caucaso e l'Atlante ». « La poesia ama molto di vestire le idee 
astratte d'immagini allegoriche e sensibili ». (Mt.). 

76. Com'aquila: Questa similitudine é tolta al Dcuteron. xxx, 11. «Allude 
all'imperturbabile tranquillità delia Chiesa romana nei tempo che altrove 
si tremava tanto al rumore delle armi francesi ». (Mt.). 

83. Minori : Intendi del cherubino : essi fanno atto d'ossequio al difensore 
dell'autorità pontificia (ai cherubino). 

87. Sarde sirti: Le coste della Sardegna. Anche cjui col suoao delle si- 
bilanti si cerca /l'imitare il rumore dell'onde che si frangono sul lido ; ma 
ciò sente d'artif/zio. 

90. Del regnator ecc.: « Anche I'Ariosto (xix, 51] disse: «E sol del mar 
tiran libecchio resta ». Il che vale lo stesso che regnatore , per denotare 
il predominio di questo vento sopra quel mare ». (Mt.). 

93. I gridi e le querele : La Francia, prevedendo una guerra vicina colla 
Spagna e coli' Inghilterra , aveva ordinato una spedizione contro la Sarde- 

§na ; ma la fiotta, comandata dall'ammiraglio Truguet, tentò invano per 
uè volte al principio del 1793 di prendere Cagliari, e , sempre costretta a 
partire da furiose tempeste, ebbe a subire gravi perdite e dovette ripa- 
rarsi a Tolone. 

97. SI battea ecc. : Si pentiva dolorosamente d' aver tanto osato contro 
l'Inghilterra. Battersi la guancia è frase efficace per significare disperata 
pentimento, clic usò anche I'Ariosto, Ori. Fur. i, 6: « battersi ancor de* 



92 PARTE IIL 

Venir mirando la rivai Brettagna 
A fulminarle dritta al cor la lancia. 

E dal silenzio suo scossa la Spagna 100 

Tirar la spada anch'essa e la vendetta 
Accelerar d'Italia e di Lamagna: 

Mentre il Tirren che la gran preda aspetta 
Già mormora e si duol che la sua spuma 
Ancor non va di franco sangue infetta, 105 

E Tira nelle sponde invan consuma, 
Di Nizza inulto rimirando il lutto 
Ed Oneglia che ancor combatte e fuma. 

Allor che vide la ruina e il brutto 
Oltraggio la francese anima schiva, 110 

Non tenne il ciglio per pietade asciutto; 

E il suo fido condottier seguiva 
Vergognando e tacendo, infin che sopra 
Kur di Marsiglia alla spietata riva. 

Di ferità, di rabbia orribil opra 115 

Ei vider quivi, e Libertà che stolta 
In Dio medesmo l'empie mani adopra. 

Videro, ahi vista !, in mezzo della folta 
Starsi una croce col divin suo peso 
I e temmiato e deriso un'altra volta, 120 

E a pie del legno redentor disteso 
Uom coperto di sangue tuttoquanto, 

folle ardir la guancia ». Dante con frase non meno pittorica disse: « bat- 
tersi Tanca» e il Poliziano, personificando il Furore, fa che « si batta la 
coscia ». 

102. Lamagna: Aferesi di Alemagna; ma qui sta per l'Austria. 

103. La gran preda: La flotta francese che dovrà distruggere. 

107. Di Nizza il lutto: Il generale Anselmo nel 1792, aiutato dalla flotta 
dell* ammiraglio Truguet, aveva assalito e conquistato Nizza e il suo 
contado. 

108. Ed Oneglia: Nello stesso anno queir ammiraglio bombardò Oneglia 
sulla riviera ligure di ponente : « L'armata francese . . . cominciò a trarre 
furiosamente contro la città. Quando poi per il fracasso, per la rovina, per 
le ferite e per le morti l'ammiraglio credè che lo sgomento avesse fatto 
fuggire i difensori , sbarcò le genti che aveva a bordo , le quali , unite ai 
marinari, s'impadronirono della città, e la posero miserabilmente a sangue, 
a sacco, ed a nioco ». (Botta, v, lib. 11, p. 54). 

111. Schiva: Sdegnosa, non, come vuole il Bertoldi, « pudica ». Schiva 
per sdegnosa è nel Tasso, Ger. Lib. x , 30: « Non sdegnar, gli rispondo, 
anima schiva » : se ne ha esempio anche nel Petrarca. 

113. Vergognando: V. la n. 13 a p. 8. 

115. Di ferità : « Tra le molte scelleraggini nella Francia commesse prima 
della morte di Bassvilie. quella per private lettere e pubblici avvisi fu di- 




a tanta empietà, fosse da loro barbaramente trucidato » (M .). 

— Folta: Folla, sostantivamente. 

110. Col dlvin ecc.: Con Gesù Cristo. 

120. Bestemmiato e deriso: Daxtk, Purg. xx, 88:* Vegfriolo (Cristo) un'al 
tra volta esser deriso ... E tra nu »vi ladroni esser anciso ». 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 93 

Da cento punte in cento parti offeso. 

Ruppe a tal vista in un più largo pianto 
L'eterea pellegrina; ed una vaga ito 

Ombra cortese le si trasse a canto. 

Oh tu cui sì gran doglia il ciglio allaga, 
Pietosa anima, disse, che qui giunta 
Se* dove di virtude il fio si paga. 

Sostati e m'odi. In quella spoglia emunta 130 

D'alma e di sangue (e l'accennò), per cui 
Sì dolce in petto la pietà ti spunta, 

Albergo io m'ebbi: manigoldo fui 
E peccator, ma l'infinito amore 
Di quei mi valse che morì per nui. 133 

Perocché dal costoro empio furore 
A gittar strascinato (ahi ! parlo taccio ?) 
De' ribaldi il capestro al mio Signore, 

Di man mi cadde l'esecrato laccio, 
E rizzarsi le chiome, e via per l'ossa ho 

Correr m'intesi e per le gote il ghiaccio. 

Di crudi colpi allor rotta e percossa 
Mi sentii la persona, e quella croce 
Fei del mio sangue anch'io fumante e rossa; 

Mentre a lui che quaggiù manda veloce us 

Al par de' sospir nostri il suo perdono 
Il mio cor si volgea più che la voce. 

Quind'ei m'accolse Iddio clemente e buono. 
Quindi un desir mi valse il paradiso, 
Quindi beata eternamente io sono. 150 

Mentre l'un si parlò, l'altro in lui fiso 
Tenea lo sguardo, e sì piangea, che un velo 
Le lagrime gli fean per tutto il viso; 

Simigliante ad un fior che in su lo stelo 
Di rugiada si copre in pria che il sole 155 

Co' raggi il venga a colorar dal cielo. 

Poi, gli amplessi mescendo e le parole, 
De' propri casi il satisfece anch'esso, 

130. Spoglia emunta: Il corpo privo della vita. Emunto di lena disse 
Dante, zmunto di vigore, d'orgoglio, d'amore disse l'Ariosto. 

137. Ahi parlo ecc.1 : Virgilio, Aeri. 111, 39: « Eloquar an sileamt 0. 

140. E rizzarsi ecc. : Virgilio, 18: «ste te runtque comae » e iv, 280: « ar- 
rectaeque horrore comae ». 

— E via per l'ossa ecc. : Virgilio, Aen. 11, 120 : « gelidusque per ima cu- 
currit Ossa treraor ». 

142. Rotta e percossa ecc.: Dante, Purg. Ili, 118 : « Poscia ch'io ebbi rotta 
la persona ». 

151. Mentre l'un ecc. : Dante, Inf. v, 139: « Mentre che l'uno spirto que- 
sto disse L'altro piangeva si ... ». 

158. Anch'esso: Ugo Bassville. 



94 PARTE III. 

Siccome fra cortesi alme si suole. 

E questi, e l'altro, e il cherubino appresso, igo 

Adorando la croce e nella polve 
In devoto cadendo atto sommesso, 

Di Dio cantaro la bontà che solve 
Le rupi in fonte ed ha sì larghe braccia 
Ohe tutto prende ciò che a lei si voi ve. 165 

Sollecitando poscia la sua traccia 
L'alato duca, l'ombre benedette 
Si disser vale e si baciaro in faccia. 

Ed una si rimase alle vedette, 
Ad aspettar che su la rea Marsiglia ito 

Sfreni l'arco di Dio le sue saette. 

Sovra il Rodano l'altra il voi ripiglia, 
E via trapassa d'Avignon la valle 
Già di sangue ci vii fatta vermiglia; 

D'Avignon che, smarriti il miglior calle, 175 

Alla pastura intemerata e fresca 
Dell'ovile roman volse le spalle, 

Per gir co' ciacchi di Parigi in tresca 
A cibarsi di ghiande, onde la Senna, 
Novella Circe, gli amatori adesca. iso 

Lasciò Garonna addietro, e di Gebenna 
Le cave rupi e la pianura immonda 
Che ancor la strage camisarda accenna. 

Lasciò l'irresoluta e stupid'onda 



160. E l'altro: Il carnefice. 

103. Solve le rupi ecc.: Allude al miracolo delle acque che al toccar della 
verga di Mosé scaturirono dalla rupe del monte Horeb, miracolo che é 
simbolo dell'infinito potere della grazia divina suir animo del peccatore. 
Solve; Scioglie (lat.). 

163. Ciò che ecc.: Dante, Purg. in , 122: « Ma la bontà infinita ha si 
gran braccia, Che prende ciò , che si rivolge a lei », 

166. Traccia: Cammino, cosi in Dante, Par. vili, 148 :« Onde la traccia 
vostra é fuor di strada », e nel Foscolo, A Luigia Pallavicini, 60, parlando 
d'un cavallo: « Zampa che caccia Polve e sassi in sua traccia ». 

169. Ed una: L'anima del carnefice. 

171. Sfreni: scocchi. 

174. Fatta vermiglia: Il territorio d'Avignone, dopo fiere contese fra i 




>ppiata 
gnata da terribile strage. 

175. Il miglior calle: La via del bene sotto il dominio ecclesiastico. 

17S. Ciacchi: Porci, cosi designa i rivoluzionari parigini. 

180. Novella Circe: Parigi (la Senna) adesca con lusinghe i suoi amatori, 
facendoli divenire porci, come già Circe fece tramutando in porci i suoi 
amanti. 

183. La strage camisardi: I Camisardi, specie di calvinisti, fra lo Qéven- 
nes (Le cave rupi di Gebenna) e la Garonna, cioè nella Linguadoca infe- 
riore, al principio del sec. xvin infierirono crudelmente contro i catto- 
lici, ma p >i furono interamente disfatti dal maresciallo di Villars nel 1703. 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 95 

D' Arari a dritta, e Ligeri a mancina, 185 

Disdegnoso del ponte e della sponda. 

Indi varca la falda tigurina, 
A cni fé' Giulio dell'augel di Giove 
Sentir la prima il morso e la rapina. 

Poi Niverno trascorre, ed oltre move ìoo 

Fino alla riva u* d'Arco la donzella 
Fé* contra gli Angli le famose prove. 

Di là ripiega inverso la Rocella 
Il remeggio dell'ali, e tutto mira 
li suol che Taquitana onda flagella. 105 

Quindi ai celtici boschi si rigira 
Pieni del canto che il chiomato bardo 
Sposava al suon di bellicosa lira. 

Traversa Normandia, traversa il tardo 
Sbocco di Senna e il lido che si fiede 200 

Dal mar britanno infino ai mar piccardo. 

Poi si converte ai gioghi onde procede 
La Mosa e al piano che la Marna lava, 

185. Arari: Cosi i latini; oggi é la Saona, di cui chiama irresoluta e stu- 
pida l'onda, perché Giulio Cksark {De Bello Gali. 1, cap. 3) la disse scor- 
rente « incredibili lenitate ». 

— Ligeri: Il Liger dei latini, oggi Loira. 

156. Disdegnoso ecc. : Virgilio, Aen. vili , 728: « pontem indignntus 
Araxes ». 

157. La falda tigurina: Pagus tigurinus chiama Cksare nel De D. G. 1, 
12 il luogo dove disfece l'esercito degli Elvezi. « Il poeta nostro adunque, 
ragionevolmente supponendo che fosse l'Arar! medesimo il lermine di quel, 
territorio, appella il campo di battaglia falda tigurina, che é quanto dire 
lembo, estremità del tigurino distretto ». (Mt.). 

158. L'augel ecc. : L'aquila che era sulle insegne dell'esercito romano e 
che anche Virgilio, Aen. 1, 394 chiama: « Iovis àles ». 

189. Il morso: Questa metafora é frequente nei poeti. Valga questo es. 
di Dantk, Par. vi, 94: « E quando il dente longo Dardo morse La santa 
Chiesa ». 

190. Niverno: Lat. Nivernum, 0£gi Nivers. 

191 . D'Arco ecc. Dove Giovanna d'Are nel 1 120 liberò Orleans dall'assedio 
degl'Inglesi e fece incoronare re di Francia Carlo VII. 

193. La Rocella: È citta con porto sull'Atlantico. 

194. Il remeggio dell'ali: Frase virgiliana, Aen. 1, 300: « Volat ille per 
aera magnum Remigio alarum ». 

196. Il suol ecc. : Tutta la Francia occidentale fra la Brettagna e la Di- 
scaglia, quella parte della Francia che é bagnata dal golfo che i latini dis 
sero Sinus aquxtanicus. 

197. Il chiomato bardo: Bardi si dissero i cantori presso gli antichi po- 
poli celti. Essi eccitavano al valore , cantando le gesta degli eroi e perciò 
dice « bellicosa » la lira a cui sposavano i loro canti. « L'epiteto poi di 
chiomato é proprio di loro per due ragioni , e perché abitavano quella 
parte della Gallia , che appellavasi cornata e perchè , scrive Burmanno , 
praecipue alebant comam ». (Mt.). 

199. Il tardo ecc. : La foce della Senna all' Havre , per la quale questo 
fiume lentamente entra nel mare. 

200. E il lido : La costa settentrionale della Francia dalla Manica al mar 
del Nord, che é battuta {si fiede, si ferisce) dall'onde del mare. 

202. Si converte ecc. : Si volge ai monti Faueilles, da cui nasce la Mosa. 

203. Al piano ecc. : Alla Sciampagna attraversata dalla Marna. 



96 PARTE III. 

E orror per tutto, e sangue e pianto "vede. 

Libera vede andar la colpa, e schiava 205 

La virtù, la giustizia, e sue bilancie 
In man del ladro e di vii ciurma prava, 

A cui le membra grave-olenti e rance v 
Traspaiono da' sai sdruciti e sozzi, 
Nò fur mai tinte per pudor le guance. 210 

Vede luride forche e capi mozzi, 
Vede piene le piazze e le contrade 
Di fiamme, d'ululati e di singhiozzi. 

Vede in preda al furor d'ingorde spade 
Le caste chiese, e Cristo in sacramento 215 

Fuggir ramingo per deserte strade, 

E i sacri bronzi in flebile lamento 
Giù calar dalle torri e liquefarsi 
In rie bocche di morte e di spavento. 

Squallide vede le campagne ed arsi 220 

I pingui cólti, e le falci e le stive 
In duri stocchi e in lance trasmutarsi. 

Odi frattanto risonar le rive 
Non di giocondi pastorali accenti, 
Non d'avene, di zuffoli e di pive, 225 

Ma di tamburi e trombe e di tormenti: 
E il barbaro soldato al villanello 
Le méssi invola e i lagrimati armenti. 

E invan si batte l'anca il meschinello, 
Invan si straccia il crin disperso e bianco 230 

In su la soglia del deserto ostello: 

Che non pago d'avergli il ladron franco 
Rotta del caro pecoril la sbarra, 



208. Grave - olenti : Puzzolenti: « Vocabolo latino, fratello del bene olenti , 
che con tanta grazia adoperò I'Ariosto in quel verso « Sparge per l'aria i 
bene olenti spirti ». (Mt ). 

213. D'ululati ec •. : Non giusta mi pare la censura che a questo verso 
mosse Giovanni Della Valle nel suo commento al presente poemetto: « Gli 
ululati e i singhiozzi non si vedono, ma si odono, si sentono ». AUo stesso 
modo si dovrebbe trovare errato il verso dantesco: « Parlare e lagriniar 
vedraimi insieme » ? che ognuno sa doversi intendere , come qui il v. del 
Monti, per figura di zeugma. 

21S. Liquefarsi ecc.: Fondersi in cannoni. 

221. Colti: Campi coltivati. 

— Stive: Manichi dell'aratro, qui per tutto le pai\i dell'aratro fatte 
di ferro. 

222. Trasmutarsi: Virgilio, Georg. 1, 508: « Et curvae rigidum falces con- 
flantur in ensem ». 

226. Tormenti: In lat. vale macchine da guerra, qui cannoni. 

228. Lagrimati :« Perchè ad allevarli costan fatiche e sacrifizi ». (Bertoldi)» 

229. Si batte ecc. : V. alla p. 91 la n. 97. 

231. Deserto ostello: L'abituro vuoto, perché il ladron franco ha rapito 
al pastore i figliuoli per la coscrizione militare. 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 07 

I figli, i figli strappagli dal fianco; 

E del pungolo invece e della marra 235 

D'armi li cinge dispietate e strane, 
E la ronca converte in scimitarra. 

All'orbo padre intanto ahi ! non rimane 
Chi la cadente vita gli sostegna, 
Chi sovra il desco gli divida il pane. 210 

Quindi lasso la luce egli disdegna, 
E brancolando per dolor già cieco 
Si querela che morte ancor non vegna; 

Nò pietà di lui sente altri che l'eco, 
Che cupa ne ripete e lamentosa zio 

Le querimonie dall'opposto speco. 

Fremè d'orror, di doglia generosa 
Allo spettacol fero e miserando 
La conversa d'Ugon alma sdegnosa, 

E si fé' dei color ch'il cielo è quando 250 

Le nubi immote e rubiconde a sera 
Par che piangano il dì che va mancando. 
' E tutta pinta di rossor com'era 
Parlar, dolersi, dimandar volea, 
Ma non usciva la parola intera; 255 

Che la piena del cor lo contendea; 
E tutta volta il suo diverso affetto 
Palesemente col tacer dicea. 

Ma la scorta fedeì, che dall'aspetto 
Del pensier s'avvisò, dolce alla sua 260 

Dolorosa seguace ebbe sì detto: 

Sospendi il tuo terror, frena la tua 
Indignata pietà, che ancor non hai 
Nell'immenso suo mar volta la prua. 

S'or sì forte ti duoli, oh ! che farai, 205 

Quando l'orrido palco e la bipenne . . . 



210. fili divide, ecc. Geremia, iv, 4 : « Nec erat qui frangeret eis panem ». 

242. E brancolando: Dante, Inf. xxxiii, 72: « ond'io mi diedi Già cieco 
a brancolar sovra ciascuno ». 

245. Che cupa: Ariosto, Ori. Fur. xxvn, 117: « Ecco perla pietà che gli 
n'avea Da' cavi sassi rispondea sovente », e il Parini, nel Giorno dice della 
Vergine Cuccia : « . . . aita, aita Parea dicesse, e dall'aurate volte A lei l'im- 
pietosita Eco rispose ». Con paròle simili anche nella Feron. i, 469. 

250. E si fé' del color ecc. : Dante, Par ad. xxvn, 28 : « Di quel color, che 
per lo sole avverso, Nube dipinge da sera e da mane ». 

252. Par che piangano ecc. : Reminiscenza dantesca (Purg. vili, 6): « Che 
paia il giorno pianger che si muore ». 

257. lì suo diverso affetto : I suoi vari sentimenti. 

255. La parola intera : In modo consimile già Virgilio, Aen. n, 790 : 
« Lacrimantem et multa volente m Dicere deseruit ». 

266. La bipenne : Scure a due tagli: la ghigliottina. 

Monti. — Poesie. 7 



03 PARTE III. 

Quando il colpo fatai . . . , quando vedrai ? . . . 

E non finì; che tal gli sopravvenne 
Per le membra immortali un brividio, 
Che a quel truce pensier troncò le penne; 270 

Sì che la voce in un sospir morio. 

CANTO SECONDO 

Contenuto. — L'angelo ed il Bassville arrivano a Parigi la mattina del 
21 gennaio. Tutto vi ò silenzio e squallore: le ombre de' Druidi vengono a 
sbramare il loro feroce desio di sangue nello spettacolo del maggiore dei 
delitti e stimolano i loro nipoti alla morte del re di Francia, il buono e 
infelice Luigi xvi. Iddio libra LI fato della rea Parigi e il regicidio fa dalla 
sua parte traboccar la bilancia. Il re é tratto al supplizio e le ombre di 
quattro feroci regicidi lo spingano sotto la mannaia. La terra trema a si 
grande delitto, solo i Francesi ne sono lieti. L'anima del re ucciso sale al 
cielo ; ove le vanno incontro V anime dei beati che furono difensori deUa 
religione e del trono , e fra l' altre l' anima del Bassville le si fa innanzi 
piangendo. 11 re le domanda chi sia e perchè pianga. 

Alle tronche parole, all'improvviso 
Dolor che di pietà l'angel dipinse, 
Tremò quell'ombra e si fé' smorta in viso; 

E sull'orme così si risospinse 
Del suo buon duca che davanti andava 5 

Pien del crudo pensier che tutto il vinse. 

Senza far motto il passo accelerava, 
E l'aria intorno tenebrosa e mesta 
Del suo volto la doglia accompagnava. 

Non stormiva una fronda alla foresta, io 

E sol s'udia tra' sassi il rio lagnarsi 
Siccome all'appressar della tempesta. 

Ed ecco manifeste ai guardo farsi 

267. Quando vedrai : « Reticenze che preparano l' animo all' orribile ar- 
gomento del secondo canto ». (Mt.). 

270. Troncò le penne: Personifica il pensiero, come fa spesso Dante, ad 
es. nel Piirg. ix, 9. Cosi il Nostro personificò la vista nel son. Sopra sé 
stesso, 4 dicendo : « il valor visivo Già piega Tali alla sua sera addutto ». 
2. Dipinse : Questo efficace verbo usa spesso Dante per significare un 
improvviso mutarsi di colore sul volto per effetto d'un forte senso di pietà 
o ai vergogna: Inf. xxiv, 132: « E di tanta vergogna si dipinse », e Inf. iv, 
20 : « 1/ angoscia delle genti Che son quaggiù nel viso mi dipigne Quella 
pietà che tu per tema senti ». 

6. Il vinse : Virgilio, Aen. iv, 474 ha « evicta dolore » e Dante, Inf. ni, 
33 « E che gent'é, che par nel duol si vinta 1». 

7. Senta far motto : « Un gran dolore é sempre senza parole : Il silenzio 
di quest'angelo che addolorato cammina dinanzi all'ombra senza far motto 
rassomiglia molto a quello degli angeli di Milton, che dopo il fallo di Adamo 
abbandonano la guardia del paradiso terrestre, e tornano in cielo taciturni 

ìa nel- 
mare 

e il gorgogliare de'" torrenti e delle fonti : « Pare che in queir universale 
quiete delle cose la natura mediti il suo dolore , che poi scoppia più vio- 
lento » (Mt.)- 




IN MORTE DI UGO BASS VILLE. 99 

Da lontano le torri, ecco l'orrenda 

Babilonia francese approssimarsi. 15 

Or qui vigor la fantasia riprenda 
E Tira e la pietà mi sian la Musa 
Ohe all'alto e fiero mio concetto ascenda. 

Curva la fronte e tutta in sé racchiusa 20 

La taciturna coppia oltre cammina; 
E giunge alfine alla città confusa^ 

Alla colma di vizi atra senTTna, 
A Parigi, che tardi e mai si pente 
Della sovrana plebe cittadina. 

Sul primo entrar della città dolente 25 

Stanno il Pianto, le Cure e la Follia 
Che salta e nulla vede e nulla sente. 

Evvi il turpe Bisogno e la restia 
Inerzia colle man sotto le ascelle, 
L'una all'altra appoggiati in sulla via. 30 

Evvi l'arbitra Fame, a cui la pelle 
Informasi dall'ossa e i lerci denti 
Fanno orribile siepe alle mascelle. 

Vi son le rubiconde Ire furenti, 
E la Discordia pazza il capo avvolta 35 

Di lacerate bende e di serpenti. 

Vi son gli orbi Desiri, e della stolta 
Ciurmaglia i Sogni e le Paure smorte 
Sempre il crin rabbuffate e sempre in volta. 

Veglia custode delle meste porte io 

15. Babilonia francese : Parigi , che il p. chiama la Babilonia francese 
dall'antichissima città della Meso pò tamia, che nella Bibbia ci appare come 
una vera sentina d' ogni vizio. Si ricordi che il Petrarca chiama avara 
Babilonia la Roma dei papi del tempo suo. 

16. Riprenda : Dante, Purg. 1, 7 : « Or qui la morta poesia risurga ». 

22. Sentina: Dicesi veramente il fondo della nave; ma si usa anche per 
ricettacolo di delitti e di vizi. 

23. Mal : A suo danno. 

25. Sul primo entrar : Seguendo i canoni poetici d'allora, il p. usa frequenti 
personificazioni, e talvolta ne abusa. Queste sono ricalcate su Virgilio, Aen. 
VI, 273 : « Vestibulum ante ipsum primisque in faucibus Orci Luctuset ultri- 
ces posuere cubilia Curae : Pallentesque nabitant Morbi, tristisque Senectus 
Et Metus et malesuada Fames, et turpis P:jrestas : Terribiles visu formae : 
Letumque, Labosque ; Tum consanguiueus Leti Sopor, et mala mentis Gau- 
dia, mortiferumque adverso in limine BeUum, Ferreique Eumenidum tha- 
lami, et Discordia demens, Vipereuin crines vittis innexa cruentis ». 

30. L'uno all'altro, ecc. : Stanno in atto di disperato abbandono, perché il 
bisogno é triste conseguenza dell'ozio. 

31. L* arbitra Fame : Padrona dell' uomo che spinge al male. Ricorda il 
Parini. che dice del Bisogno :« Oh tiranno signore De' miseri mortali, oh 
male, on persuasore Orribile di mali », e Claudiano, In Rufinum 1, 31, che 
la chiama « imperiosa fames », e Orazio, Od. 111, xxiv, 42, che dice : « Ma- 
gnum pauperies opprobrium iubet Quidvis et facesse et pati ». 

32. Informasi dall'ossa: Dante, Purg. xxm, 23: « Pallida nella faccia e 
tanto scema Che dall'ossa la pelle s'informava ». È anche nella Bibbia. 

39. In volta: In movimento. 



100 PARTE III. 

E le chiude a suo senno e le disserra 
L'ancella e insieme la rivai di Morte; 

La cruda, io dico, furibonda Guerra 
Che nel sangue s'abbevera e gavazza 
E sol del nome fa tremar la terra. 45 

Starile intorno l'Erinni, e le fan piazza 
E allacciando le van l'elmo e la^nmgìkr-" 
Della gorgiera e della gran corazza; 

Mentre un pugnai battuto alla tanaglia 
De' fabbri di Oocito in man le caccia, 50 

E la sprona e l'incuora alla battaglia. 

Un'altra furia di più acerba faccia, 
Che in Flegra già del cielo assalse il muro 
E armò di Briareo le cento braccia; 

E Diagora poscia e d'Epicuro 55 

Dettò le carte ed or le franche scuole 
Empie di nebbia e di blasfema impuro, 

E con sistemi e con orrende fole 
Sfida l'Eterno, e il tuono e le saette 
Tenta rapirgli e il padiglion del sole. eo 

Come vide le facce maledette, 
Arretrossi d'Ugon l'ombra turbata, 
Che in inferno arrivar la si credette: 

E in quel sospetto sospettò cangiata 
La sua sentenza, e dimandar volea 65 

<i2. Ancella ... e rivai di Morte : La Guerra ben si dice ancella di Morte, 
perché valida aiutatrice di lei nelle stragi, e rivale perché fa maggiore uc- 
cisione che tutti gli altri mali. 

16. Le Erinni : Le Furie. 

50. Db' fabbri ecc. : Dei demoni. Il pugnale era stato fabbricato in Inferno. 

52. Un'altra furia: L'empietà. 

53. Che in Flegra: I giganti, figliuoli della Terra e di Titano, di cui il 
più forte era quello che gli dei chiamarono Briareo e i mortali Egeone , 
si ribellarono a Giove, ma furono da lui vinti in Flegra, luogo della Tes- 
saglia. Briareo aveva forza straordinaria, 100 braccia e 50 teste, come dice 
Virgilio, Aen. x, 565: « Ae^aeon . . . centum cui brachia dicunt Centenas- 
que man us, quinquaginta oribus igneis Pectoribus arsisse ». 

55. Di Diagora ... ed Epicuro : Diagora di Melo (circa il 450 a C.) negò 
l'esistenza di Dio, tanto che fu soprannominato l'Ateo: « perlochè gli Ate- 
niesi, inorriditi di queste massime, lo cercarono a morte » (Mt.). Epicuro 
(312 270 av. C.) relegava gli dei fuori del mondo in una completa impassi- 
bilità e noncuranza delle cose dell'universo, il che equivale a sopprimerli 
allatto : « La dottrina di questo filosofo é passata in un pessimo proverbio, 
e, risuscitata nei dolci versi di Lucrezio e in tanti libri francesi , é dive 
nuta una delle più fatali alla purità della morale evangelica »(Mt.). Cfr. 
la fine dell' Invito d'un solitario ad un cittadino. 

57. Blasfema : Bestemmia. 

60. Il padiglione del sole : Frase biblica, Salmi, xviii, 5 : « ha posto nel 
sole il suo padiglione ». 

61. Sospetto sospettò : Non bello ; é modellato su infiniti esempi di poeti 
di tutti i tempi. Cosi I'Ariosto disse : « Ma fu quell'avvertenza inavvertita » 
e Dantk : « Io credo, ch'ei credette ch'io credesse », ripetuto dall'ARiosTO 
cosi : lo creclea e credo, e creder credo il vero ». 



IN MORTE DI UGO BASS VILLE. 101 

Se fra l'alme perdute iva dannata. 

Quindi tutta per téma si stringea 
Al suo conducitor, che pensieroso 
Le triste soglie già varcate avea. 

Era il tempo che tolto al procelloso 70 

Capro, il sol monta alla troiana stella 
Scarso il raggio vibrando e neghittoso, 

E compito del dì la nona ancella 
L'officio suo, il governo abbandonava 
Del timon luminoso alla sorella: 73 

Quando chiuso da nube oscura e cava 
L'angel coll'ombra inosservato e q ueto 
Nella città di tutti i mali entrava. 

Ei procedea depresso ed inquieto 
Nel portamento, i rai celesti empiendo so 

Di largo ad or ad or pianto segreto; 

E l'ombra si stupia, quinci vedendo 
Lagrimoso il suo duca e possedute 
Quindi le strade da silenzio orrendo. 

Muto de' bronzi il sacro squillo, e mute 85 

L'opre del giorno, e muto lo stridore 
Dell'aspre incudi e delle seghe argute: 

Sol per tutto un bisbiglio ed un terrore, 
Un domandare, un sogguardar sospetto, 
Una mestizia che ti piomba al core; 90 

67. Quindi tutta ecc. Dante, Inf. ix, 51: « Ch'i 'mi strinsi al poeta per 
sospetto » ed anche Purg. vili, 41. 

72. Vibrando ecc. : Perifrasi del 21 gennaio 1793 . giorno della decapita- 
zione di Luigi xvi, avvenuta sette giorni dopo la morte del Iiassville. 
« Quattro sono le circostanze che qui si toccano. La prima é, che in quel 
giorno computasi dagli astronomi il passaggio del sole dal segno di Ca- 
pricorno a quello d'Aquario : la seconda che, stando il sole sul Capricorno, 
ì nostri mari sono, più che in altro tempo, agitati dalle tempeste; la terza 
che nella costellazione d'Aquario favoleggiavasi collocato da Giove il ra- 
pito troiano Ganimede ; onde troiana stella giustamente vien detta ... La 
quarta finalmente si é che, dimorando il sole in questo segno, il clima no 
stro é si freddo , che attenendoci alle nostre sensazioni , senza le quali il 
criterio poetico sarebbe tradito , il raggio solare è più scarso e pigro> del 
solito . . . » (Mt.) Cfr. Dante, Inf. xxiv, 1 : « In quella parte del giovinetto 
anno Che il sole i crin sotto l'Aquario tempra, E già le notti a mezzo '1 
di sen vanno ». 

73. La nona ancella : U supplizio di Luigi xvi avvenne poco dopo le dieci, 
ma « il poeta fa che l'angelo coll'ombra entri dentro Parigi poco dopo le 




80. I rai celesti: S'intenda gli occhi dell'angelo: raggi per orchi non è 
nuovo; ma non par bello il dire che i raggi si empiono di pianto. 

S2. Quinci . . . quindi : Da una parte ... e dall'altra. 

87. Seghe argute : Stridenti seghe, come già disse Virgilio, Georg. i, 143 : 
« Tunc ferri rigor , atque argutae lamina serrae ». Arguto è proprio di 
suoni acuti: l'Ariosto lo disse delle trómbe, il Sannazaro delle cicale, il 
Caro delle spole e de' telai, il Parini lo disse delle sue commosse reliquie. 



102 PARTE III. 

E cupe voci di confuso affetto, 
Voci di madre pie, che gl'innocenti 
Figli si serran trepidando al petto; 

Voci di spose, che ai mariti ardenti 
Contrastano l'uscita e sulle soglie k» 

Fan di lagrime intoppo e di lamenti. 

Ma tenerezza e carità di moglie 
Vinta è da furia di maggior possanza, 
Che dall'amplesso coniugai gli scioglie. 

Poiché fera menando oscena danza 100 

Scorrean di porta in porta affacendati 
Fantasmi di terribile sembianza; 

De' Druidi i fantasmi insanguinati, 
Che fieramente dalla sete antiqua 
Di vittime nefande stimolati, 103 

A sbramarsi venian la vista obliqua 
Del maggior de' misfatti onde mai possa 
La loro superbir semenza iniqua. 

Erano in veste d'uman sangue rossa; 
Sangue e tabe grondava ogni capello, no 

E ne cadea una pioggia ad ogni scossa. 

Squassan altri un tizzone, altri un flagello 
Di chelidri e di verdi anfesibene, 
Altri un nappo di tòsco, altri un coltello. 

E con quei serpi percotean le schiene 115 

E le fronti mortali, e fean, toccando 

03. Trepidando ecc.: « Nessun atto in natura palesa tanto l'amor ma- 
terno, siccome questo, e son pochi i poeti, che non siansi occupati di que- 
sta delicata pittura » (Mt.). Virgilio, Aen. vii , 518 : « Et trepidae matres 
presserò ad pectora natos », Ariosto, Ori. Fur. xxvn, 101 : « Si strinser le 
madri i figli al seno ». Anche il M. nel Bardo, 1 dice: « Di Vertinga le 
madri e di Gunsburgo si stringean trepidando i figli al seno ». 

96. E di lamenti : Cosi nel vi dell'Iliade, ove Andromaca dissuade Ettore 
dal tornare alla pugna e nel 11 dell'Eneide, ove simile tentativo fa Creusa 
col marito. 

07. Carità: Amore (lat.). 

103. Druidi : « Adoravano il dio Eso e il Dio Teutate, che erano il Marte 
e il Mercurio dei Romani; e le vittime più gradite erano i prigionieri ne- 
mici, i cittadini, i fratelli e, qualche volta , le mogli e i figliuòli . . . Con 
tutta ragione adunque ne vengono qui introdotti gli spettri a piangere ed 
infiammare i non degeneri lor discendenti al maggior de* delitti di cui 
potessero contaminarsi » (Mt.). 

106. La vista obliqua: Occhio torvo, indizio di ferità d'animo. Orazio, 
Ep. 1, xiv, 37: « Obliquo oculo mea commoda limat ». 

108. Semenza : I loro discendenti. In tal senso V usò Dante , Inf. x, 94 : 
e Deh, se riposi mai vostra semenza ». 

109. Erano in veste ecc. : Simile descrizione Virgilio nel vi dell'Aera., 570 
fa di Tisifone e delle altre Furie « le quali d'accordo percuotono le anime 
de* condannati all'inferno nella guisa che fanno qui i Druidi le teste e le 
schiene dei Francesi, onde porli in furore » (Mt.). 

113. Chelidri . . . Anfesibene : I Chelidri sono serpenti velenosi che vanno 
sempre diritti, le anfesibene sono serpentelli che gli antichi credevano aves- 
sero due teste. 



1 



IN MORTE DI L'GO BASSVILLE. 103 

Con gli arsi tizzi, ribollir le vene. 

Allora delle case infuriando 
Uscian le genti e si fuggia smarrita 
Da tutti i petti la pietade in bando. 120 

Allor trema la terra oppressa e trita 
Da cavalli, da rote e da pedoni; 
E ne mormora l'aria sbigottita; 
Simile al mugghio di remoti tuoni, 
Al notturno del mar roco lamento, 125 

Al profondo ruggir degli aquiloni. 

Che cor, misero Ugon, che sentimento 
Fu allora il tuo, che di morte vedesti 
L'atro vessillo volteggiarsi al vento? 

E il terribile palco erto scorgesti, 130 

Ed alzata la scure, e al gran misfatto 
Salir bramosi i manigoldi e presti; 

E il tuo buon rege, il re più grande in atto 
D'agno innocente fra digiuni lupi, 
Sul letto de* ladroni a morir tratto; 135 

E fra i silenzi delle turbe cupi 
Lui sereno avanzar la fronte e il passo 
In vista che spetrar potea le rupi? 

Spetrar le rupi e sciorre in pianto un sasso; 
Non le galliche tigri. Ahi ! dove spinto ho 

L' avete, crude ? Ed ei v'amava ! oh lasso ! 

Ma piangea il sole di gramaglia cinto, 
E stava in forse di voltar le rote 
Da questa Tebe che l'antica ha vinto. 

121. Allor trema ecc. Virgilio, Aen. xn, 145: « tremit excita tellus ». 

— Trita: Calpestata. 

127. Che cor, misero ecc. : Cosi Virgilio, Aen. iv, 408: « Quis tibi tunc , 
Dido, cernenti talia sensusl », ripreso dall'ARiosio, Ori. Fur. xxxvi, 7: 
« che cor, duca di Sora, che consiglio Fu allora il tuo . . . 1 » e 11 M. stesso 
nel Prometeo 11, 837: « Misero Prometeo, che cor, che mente Fu allor la 
tua che andar vedesti in nebbia Quelle care sembianza » , e anche nel 
Bardo, iv. 

130. Il terribile palco : Il palco della ghigliottina. 

— Erto : Eretto : Dante, Inf. xxxiv, 13 : « Altre stanno a giacere, altre 
stanno erte ». 

135. Il letto ecc. : U palco infame ove i ladroni lasciano, diremo col Fo- 
scolo, i loro delitti. 

136. Sereno ... la fronte e il passo : Accus. di relazione. Rassegnato alla 
sua triste sorte e con dignitosa calma Luigi xvi sali il patibolo. 

137. In vista ecc. : Con un aspetto che potea commuovere dì pietà per 
fino le rupi. 

140. Le galliche tigri : I Francesi dai cuori di tigri. 

142. Ma piangea ecc. : Cosi nella morte di Giulio Cesare, secondo Virgilio 
Georg. 1, 467, il sole « caput obscura nitidum ferrugine texit ». « Sembra 
legge tra i poeti ricevuta di non descrivere mai qualche grande ed orri- 
bile avvenimento senza il soccorso dei deliqui solari » (Mt.). 

141. Ha vinto : La moderna Tebe, Parigi, ha vinto per le sue nefandezze 
l'antica, celebre per i delitti de' discendenti di Laio, re di quella città. 



104 PARTE III. 

Piangevan l'aure per terrore immote, 1*5 

E l'anime del cielo cittadine 
Scendean col pianto anch'esse in su le gote; 

L'anime che costanti e pellegrine 
Per la causa di Cristo e di Luigi 
Lassù per sangue diventar divine. 150 

Il duol di Francia intanto e i gran litigi 
Mirava Iddio dall'alto, e giusto e buono 
Pesava il fato della rea Parigi. 

Sedea sublime sul tremendo trono; 
E sulla lance d'or quinci ponea 155 

L'alta sua pazienza e il suo perdono, 

Dell'iniqua città quindi mettea 
Le scelleranze tutte, e nullo ancora 
Piegar de' due gran carchi si vedea. 

Quando il mortai giudizio e l'ult un'ora ìeo 

Dell'augusto infelice alfin v'impose 
L'Onnipotente. Cigolando allora 

Traboccar le bilance ponderose: 
Grave in terra cozzò la mortai sorte, 
Balzò l'altra alle sfere, e si nascose. 1G5 

In quel punto al feral palco di morte 
Giunge Luigi. Ei v'alza il guardo, e viene 
Fermo alla scala, imperturbato e forte. 

Già vi monta, già il sommo egli ne tiene, 
E va sì pien di maestà l'aspetto ito 

Ch'ai manigoldi fa tremar le vene. 

E già battea furtiva ad ogni petto 
La pietà rinascente, ed anco parve 

146. L'anime ecc. : Le anime beate, che il Petrarca, P. ih, canz. n, 44 
disse: « L'anime che lassù son cittadine »: anche Dante, V. N. xxxiv, 2 
aveva detto : « questa donna era fatta de li cittadini del cielo ». 

150. Diventar divine : Le anime di coloro che furono tratti a morte per 
la loro costante fede in Cristo e per il loro incrollabile amore allamonar 
chia. Queste ombre che vengono, mosse da pietà, ad assistere al regicidio 
ricordano gli spiriti che nella Messìade del Klopstock vengono a vedere sul 
Calvario l'agonia di Gesù Cristo. 

155. Lance : Bilancia (lat.). Tutto questo passo é imitato da Omero, II. vili 
87 e sgg. ed anche dal lib. xxn, 270 e sgg., ove, mentre Ettore ed Achille 
combattono insieme, Giove ne bilancia le sorti. Cosi Virgilio, Aen. xii, 270 
e sgg., fa che Giove bilanci le sorti di Turno e d'Enea pugnanti fra loro. 

160. Il mortai giudizio : La condanna di morte. 

163. Ponderose : Pesanti, aggravate dal peso. 

164. La mortai sorte : Il cumulo delle colpe di Parigi. 

165. L'altra: L'altro piattello della bilancia ove Iddio aveva postola sua 
pazienza e il suo perdono. 

169. Già il sommo ecc. : Già é in cima alla scala. Sommo come sostant. 
é già in Dante, Inf. ni, 11 : « vid'io scritte al sommo d'una porta ». 

173. La pietà rinascente : Quando Luigi xvi fu sul palco disse ai circo- 
stanti : « Francesi, io muoio innocente ; perdono ai miei nemici , desidero 
che la mia morte . . . , » e parve che il popolo a quelle parole incominciasse 



i 



' V0* -"W*»» 



IN MORTE DI UGO BASSV1LLE. 105 

Che del furor sviato avria l'effetto. 

Ma fìer portento in questo mezzo apparve: 175 

Sul patibolo infame all'improvviso 
Asceser quattro smisurate larve. 

Stringe ognuna un pugnai di sangue intriso; 
Alla strozza un capestro le molesta; 
Torvo il cipiglio, dispietato il viso, iso 

E scomposte le chiome in su la testa, 
Come campo di biada già matura 
Nel cui mezzo passata è la tempesta. 

E sulla fronte arroncigliata e scura 
Scritto in sangue ciascuna il nome avea, 183 

Nome terror de* regi e di natura. 

Damiens l'uno, Ankastrom l'altro dicea, 
E l'altro Ravagliacco; ed il suo scritto 
Il quarto colla man si nascondea. 

Da queste Dire avvinto il derelitto ìoo 

Sire Capeto dal maggior de' troni 
Alla mannaia già facea tragitto. 

E a quel giusto simil che fra' ladroni 
Perdonando spirava ed esclamando: 
Padre, padre, perchè tu m'abbandoni? 195 

Per chi a morte lo tragge anch'ei pregando, 
Il popol mio, dicea, che sì delira, 
E il mio spirto, signor, ti raccomando. 

In questo dir con impeto e con ira 
Un degli spettri sospingendo il venne 200 

Sotto il taglio fatai; l'altro ve '1 tira. 

Per le sacrate auguste chiome il tenne 

a commuoversi; ma il generale Santerre fece coprire dallo strepito dei 
tamburi le ultime parole del re. 

181. Arroncigliata: Contratta, rugosa. 

187. Damiens: Roberto Francesco Damiens attentò alla vita di Luigi xv 
nel cortile di Versailles la sera del 5 gennaio 1757. 

— Ankastrom : Gian Giacomo Ankastrom, ex capitano nell'esercito svedese, 
uccise Gustavo in re di Svezia in una festa di ballo a Stockliolm la notte 
dal 15 al 16 marzo 1792. 

188. Ravagliacco: Francesco Ravaillac assassinò in Parigi Enrico IV, re 
di Francia, il 14 maggio 1610. 

ISO. Il quarto ... si nascondea : Questo che si nasconde colla mano la 
scritta che ha sulla fronte, forse perché frate domenicano, è Giacomo Cle- 
ment che il primo agosto 1589 uccise a Saint-Cloud Enrico III, re di Francia. 

190. Dire : Appellativo delle Furie. 

191. Sire Capeto: Luigi XVI, cosi detto perché discendente, ma non in 
linea diretta, da Ugo Capeto. Era cosi chiamato , dopoché la Convenzione, 
abolita la monarchia, ebbe vietato ai nobili di portare il loro nome genti- 
lizio. Veramente egli apparteneva alla famiglia di Borbone. 

195. Padre, padre: «E intorno all'ora nona sclamò Gesù ad alta voce, di- 
cendo : « Dio mio, Dio mio, perchè mi hai abbandonato ì * {Matteo, xxvii, 46). 

198. TI raccomando : « E Gesù sclamando ad alta voce, disse : Padre, nelle 
mani tue raccomando il mio spirito : e ciò dicendo spirò » [Luna xxiti, 46). 



106 PARTE III. 

La terza furia, e la sottil rudente 
Quella quarta recise alla bipenne. 

Alla caduta dell'acciar tagliente soó 

S'aprì tonando il cielo, e la vermiglia 
Terra si scosse e il mare orribilmente. 

Tremonne il mondo, e per la meraviglia 
E pel terror dal freddo al caldo polo 
Palpitando i potenti alzar le ciglia. 210 

Tremò levante ed occidente. Il solo 
Barbaro celta, in suo furor più saldo, 
Del ciel derise e della terra il duolo; 

E di sua libertà spietato e baldo 
Tuffò le stolte insegne e le man ladre 215 

Nel sangue del suo re fumante e caldo; 
E si dolse che misto a quel del padre 
Quello pur anco non scorreva, ahi rabbia !, 
Del regal figlio e dell'augusta madre. 

Tal di l'ioni un branco, a cui non abbia 220 

L'ucciso tauro appien sazie le canne, 
Anche il sangue ne lambe in su la sabbia; 

Poi ne' presepi insidiando vanne 
La vedova giovenca ed il torello, 
E rugghia, e arrota tuttavia le zanne; 223 

Ed ella, che i ruggiti ode al cancello, 
Di doppio timor trema, e di quell'ugne 
Si crede ad ogni scroscio esser macello. 

Tolta al dolor delle terrene pugne 
AprivaC intanto la grand'alma il volo, 230 

203. Rudente : Lat. corda di nave , qui per la corda che teneva la scure 
sospesa sul capo del paziente. 

208. Tremonne 11 mondo: Questa partecipazione di tutto il mondo al tre 
mendo delitto é tolta dal poema ai Klopstock. « Ma », benissimo osserva 
lo Zumbini, p. 15 e sgg., « quel prodigioso, quella partecipazione dell 1 uni- 
verso ad uno spettacolo umano non si adattano cosi perfettamente al sog- 
getto storico del poema italiano, come si adattavano ai soggetti veramente 
colossali del Paradiso Perduto, e della Messiade ». 

209. Dal freddo al caldo polo: Da una parte all'altra della terra. Fu già 
osservato, che entrambi i poli sono freddi , ma il matematico Gioacchino 
Pessu ti , allora professore nell'Archiginnasio romano, in una Nota alla 
Bassvilliana , Roma, Salvioni, 1793, strenuamente direse questa frase del 
M., che del resto anche altri poeti usarono. 

212. Celta : Cosi chiama i Francesi dagli antichissimi abitatori della G al- 
ila, i Celti. 

215. Le stolte Insegne : Le insegne repubblicane , il berretto frigio e le 
coccarde tricolori. 

219. Figlio . . . madre : 11 delfino di Francia . . . Maria Antonietta. 

223. Presepi : Stalle (lat.). 

226. Ed ella: La giovenca, che trema di doppio timore, cioè per sé e 
per il suo torello. 

228.' Ad ogni scroscio ecc. : Reminiscenza ariostesca, Ori. Fur. i, 31: « Ad 
ogni sterpo che passando tocca, Esser si crede air empia fera in bocca ». 

230. La grand'alma : La grande anima di Luigi XVI. 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 107 

Che alla prima cagion la ricongiugne. 

E ratto intorno le si fea lo stuolo 
Di quell'ombre beate, onde la fede 
Stette e di Francia sanguinossi il suolo. 

E qual le corre al collo e qual si vede 233 

Stender le braccia, e chi l'amato volto 
E chi la destra e chi le bacia il piede. 

Quando repente della calca il folto 
Ruppe un'ombra dogliosa, e con un rio 
Di largo pianto sulle guancie sciolto, 2 10 

Me, gridava, me me lasciate al mio 
Signor prostrarmi. Oh date il passo. E presta 
Al piò regale il varco ella s'aprio. 

Dolce un guardo abbassò su quella mesta 
Luigi: e, Chi sei? disse; e qual ti tocca 215 

Rimòrso il core? e che ferita è questa? 

Alzati, e schiudi al tuo dolor la bocca. 

CANTO TERZO. 

Contenuto. L'ombra del Bassville narra al re la sua line dolorosa, il suo 
pentimento e chiede infine perdono della sua stolta audacia. Luigi volentieri 
gli perdona, lo abbraccia e lo prega di portar notizia della sua beatitudine 
alle sue regali congiunte e d raccomandare al papa la religione tanto com- 
battuta in Francia. Ciò detto, sale al cielo, mentre una turba di spettri 
paurosi vagola attorno al patibolo e fra gli altri i quattro regicidi ricor- 
dati nell'altro canto, inoltre il Voltaire, il Diderot, l'Hélvetius, il Rousseau, 
il D'Alembert, RaynaL ed altri ancora a cui qui il p. rimprovera d'aver se- 
minato negli animi colle loro opere il dubbio che condusse poi all'ateismo. 
Fiere parole rivolge contro i giansenisti per le divisioni colle quali tanto 
avevano turbato la Chiesa. 

La fronte sollevò, rizzossi in piedi 
L'addolorato spirto, e, le pupille 
Tergendo, a dire incominciò: Tu vedi, 

Signor, nel tuo cospetto Ugo Bassville, 
Della francese libertà mandato 5 

Sul Tebro a suscitar le ree scintille. 

Stolto, che volli coll'immobil fato 
Cozzar della gran Roma, onde ne porto 
Rotta la tempia e il fianco insanguinato; 

231. Alla prima ragion: A Dio, che é, dice Dante nel Convivio, ni, 2 : 
« prima cagione di ciascuna forma sustanziale ». 

237. E chi le bacia ecc. : Ariosto, Ori. Fur., xliv, 97 : « Uno il saluta, un 
altro se gl*incbina, Altri la mano, altri gli bacia il piede ». 

239. Un'ombra dogliosa: L'ombra del Bassville. 

241. Me, gridava ecc. : Virgilio, Aen. 11, 427 : « Me, me ; adsum qui feci. . . ». 

1. La fronte sollevò : Cosi Dante incomincia l'episodio del conte Ugolino 
nel xxxiii délVInf. : « La bocca sollevò ». 

7. Coli* lrnmobU fato : Reminiscenza dantesca : « Che giova nella fata dar 
di cozzo » [Inf. ix, 97). 

9. Rotta ... la tempia : Rammenta il verso dì Dante, Par. xvii, 6C : « Ella, 
non tu n'avrai rossa la tempia ». 



103 PARTE III. 

Che di Giuda il leon non anco è morto; io 

Ma vive e rugge, e il pelo arruffa e gli occhi, 
Terror d'Egitto e d'Israel conforto; 

E se monta in furor, l'aste e gli stocchi 
Sa spezzar de' nemici, e par che gridi: 
Son la forza di Dio, nessun mi tocchi. 15 

Questo leone in Vaticano io vidi 
Far coll'antico e venerato artiglio 
Securi e sgombri di Quirino i lidi ; 

E a me, che. nullo mi temea periglio, 
Fé' con un crollo della sacra chioma 20 

Tremanti i polsi e riverente il ciglio. 

Allor conobbi che fatale è Roma, 
Che la tremenda vanità di Francia 
Sul Tebro è nebbia che dal sol si doma, 

E le minacce una sonora ciancia, 23 

Un lieve insulto di villana auretta 
D'abbronzato guerriero in su la guancia. 

Spumava la tirrena onda suggetta 
Sotto le franche prore, e la premea 
Il timor della gallica vendetta; .30 

E tutta per terror dalla scillea 
Latrante rupe la selvosa schiena 
Infìno all'Alpe l'Appennin scotea. 

Taciturno ed umil volgea l'arena 
L'Arno frattanto, e paurosa e mesta 33 

Chinava il volto la regal Sirena. 

Solo il Tebro levava alta la testa, 
E all'elmo polveroso la sua donna 

10. Di Giuda il leon : Espressione biblica : « Catulus leonis Iuda » {Genesi, 
xlix, 97), e altrove. 

12. Terror d'Egitto: Cioè dei nomici della Chiesa, perché dagli Egiziani 
furono gl'Israeliti tenuti soggetti fino al tempo di Mosé. 

16. Questo leone : Intendi il sommo pontefice Pio VI. 

18. Di Quirino i lidi : Il Lazio, dal nome di Romolo quando fu assunto in 
cielo. 

20. Con un crollo, ecc. : È una reminiscenza poco opportuna del crollo 
delle chiome di Giove nel 1 deìV Iliade: l'immagine che in Omero é sublime, 
ha qui un effetto ben inferiore alla sua grandezza. 

21. Tremanti i polsi, ecc. : Dante, Inf. i, 9: « Ch'ella mi fa tremar le vene 
e i polsi », e Purff. i, 51 : « Riverenti mi le' le gambe e il ciglio ». 

22. Allor conobbi, ecc. : « Egli non vi trovò , come sperava, la Roma di 
Giugurta, e convinto, fino dai primi giorni di sua comparsa, deU 'insupera- 
bile affezione del popolo aUa religione ed al pontefice, ebbe a dire e a scri- 
vere che Rome était inélévable » (Vicchi, voi. I, p. 70). 

31. Dalla Scillea, ecc. : Dallo stretto di Messina (ove gli antichi favoleg- 
giarono che Scilla, amata da Glauco, fosse mutata da Circe, che n'era ri- 
vale, in un mostro latrante spaventosamente) fino alle Alpi l'Appennino tre- 
mava tutto alle minacce francesi. 

35. L'Arno : Firenze. 

36. La re gal Sirena : Napoli. 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 109 

In Campidoglio rimettea la cresta: 

E, divina guerriera in corta gonna, «u» 

Il cor più che la spada all'ire e all'onte 
Di Rodano opponeva e di Garonna ; 

In Dio fidando, che i trecento al fonte 
D'Arad prescelse, e al Madian ita altero 
Fé* le spalle voltar, rotta la fronte; r 

In Dio ridando, io dico, e nel severo 
Petto del santo suo pastor, che solo 
In saldo pose la ragion di Piero. 

Dal suo pregar, che dritto spiega il volo 
Dell'Eterno all'orecchio e sulle stelle 50 

Porta i sospiri della terra e il duolo, 

I turbini fur mossi e le procelle 
Che del Varo sommersero l'antenne 
Per le sarde e le còrse onde sorelle. 

Ei sol tarpò del franco ardir le penne; 55 

L'onor d'Italia vilipesa e quello 
Del borbonico nome egli sostenne. 

E cento volte sul destili tuo fello 
l'agno di pianto i rai. Per lo dolore 
La tua Roma fedel pianse con elio. 60 

Poi, cangiate le lagrime in furore, 
Corse urlando col ferro, ed il mio petto 
Cercò d'orrende faci allo splendore; 

E spense il suo magnanimo dispetto 
Sì nel mio sangue, ch'io fui pria di rabbia, 65 

Poi di pietade miserando obbietto. 

Eran sangue i capei, sangue le labbia, 
E sangue il seno; fé' del resto un lago 
La ferita, che miri, in su la sabbia. 

E me, cui téma e amor rendean presago 70 

Di maggior danno, e non avea consiglio, 

' 37. Di Rodano ... e di Garonna : Della Francia. 

45. Rotta la fronte: Nel cap. VII del libro dei Giudici è detto che quando 
eli Amolcciti e i Madianiti erano accampati nella valle di lezrael, Iddio or- 
dinò a Gedeone che al fonte di Arad si scegliesse trecento guerrieri, i quali, 
al grido : La spada del Signore e di Gedeone, ruppero le schiere nemiche. 

47. Suo pastor : Pio VI, che difese i diritti della chiesa. 

50. Porta i sospiri, ecc. : Reminiscenza tassesca, Ger. Lib. 7, Il : « al cielo 
Riporta de' mortali i preghi e '1 zelo ». 

53. Del Varo : V. la n. a p. 57. 

57. Del borbonico nome : Pio VI difese l'onoro dei Borboni di Napoli. 

62. Corse urlando, ecc. : V. V Introduzione al poema. 

64. Magnanimo : Certo non fu magnanimo dispetto quello che guidò il po- 
polaccio ad uccidere il Bassville, ma l'anima pentita dell'ucciso non poteva 
parlare diversamente. 

68. Un lago : Dante, Purg. v, 83 : « e li vid'io, Delle mie vene farsi in terra 
laco ». 

71. Majgior danno : La strage che temeva della moglie e del Aglio. 



iJ 



110 PARTE III. 

» 

Più che la morte combattèa l' immago 

Deirinnocente mio tenero figlio 
E della sposa, ahi lasso !; onde paura 
Del lor mi strinse non del mio periglio. 

Ma, come seppi che paterna cura 
Di Pio salvi gli avea, brillommi il core 
E il suo sospese palpitar natura. 

Lagrimai di rimorso; e sull'errore 
Che già lunga stagion l'alma travolse so 

La carità poteo più che il terrore. 

Luce dui ciel vibrata allor mi sciolse 
Dell'intelletto il buio, e il cor pentito 
Al mar di tutta la pietà si volse. 

L'ali apersi a un sospiro; e l'infinito 85 

Amor nel libro, dove tutto è scritto, 
11 mio peccato cancellò col dito. 

Ma giustizia mi niega al ciel tragitto, 
E vagante ombra qui mi danna, intanto 
Che di Francia non vegga ulto il delitto. 90 

Questi me'l disse, che mi viene accanto 
(Ed accennò '1 suo duca) e che m'ha tolto 
Alla fiumana dell'eterno pianto. 

Tutte drizzaro allor quell'alme il volto 
Al celeste campion, che in un sorriso 5 

Dolcissimo le labbra avea disciolto. 

Or tu, per l'alto sir del paradiso 
Che al suo grembo t'aspetta e il ciel disserra 
(Proseguì l'ombra più infiammata in viso), 

Per le pene tue tante in sulla terra, 100 

Alla mia stolta fellonia perdona 
Né raccontar lassù che ti fei guerra. 

Tacque; e tacendo ancor dicea: Perdona; 
E l'affollate intorno ombre pietose 

71. E della sposa: Elisabetta Colson, da cui aveva avuto il figlio Orlando, 
che terminò la sua bella carriera militare col grado di maresciallo di campo 
avuto nel 1816 : costui mori nel 1857, cambiato il nome Hugou in quello 
di 1 lussuri de Hassvillc. 

77. Salvi li avea: Pio VI nella notte fatale del 13 gennaio 1793 fece con- 
durre la Colson e il figlio Orlando sotto buona scorta a Napoli dopo averli 
regalati di 7U scudi (Virciu, voi. I, p. 76). 

81. La carità, ecc.. Verso foggiato su quello famoso di Dante: « Poscia 
più che il dolor potè il digiuno ». 

81. Al mar, ecc. : A Dio. Dantk (/>?f. vili, 7) chiama «mar di tutto il senno » 
Virgilio. Si allude al pentimento dei Bassville sul punto di morte: avrebbe 
«indie detto: « je meurs la viciimc d'un fou », alludendo al Makau o al 
La Flotte che l'aveva accompagnato nella temeraria impresa. 

93 Alla fiumana : All'Acheronte. Ricorda versi danteschi : « La fiumana 
onde il mar non ha vanto » {Inf. n, 109) e « Della regina dell'eterno 
pianto » (Inf. IX, 41). 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. Ili 

Concordemente- replicar: Perdona. 105 

Allor l'alma regal con disiose 
Braccia si strinse l'avversaria al seno, 
E dolce in caro favellar rispose: 

Questo amplesso ti parli, e noto appieno 
Del re, del padre il core e dell'amico no 

Ti faccia, e sgombri il tuo timor terreno. 

Amai, potendo odiarlo, anco il nemico; 
Or m'è tolto il poterlo, e l'alma spiega 
Più larghi i voli dell'amore antico. 

Quindi là dove meglio a Dio si prega 115 

Il pregherò, che presto ti discioglia 
Del divieto fatai che qui ti lega. 

Se i tuoi destini intanto la tua voglia 
Alla sponda giammai ti torneranno 
Ove lasciasti la trafitta spoglia; 120 

Pel» me trova le due che là si stanno 
Mie regali congiunte, e che gli orrendi 
Piangon miei mali ed il più rio non sanno. 

Lieve sul capo ad ambedue discendi 
Pietosa vision (se la tua scorta 125 

Lo ti consente), e il pianto ne sospendi. 

Di tutto che vedesti annunzio apporta 
Alle dolenti: ma del mio morire 
Deh ! sia l'immago fuggitiva e corta. 

Pingi loro piuttosto il mio gioire, 130 

Pingi il mio capo di corona adorno 
Ohe non si frange né si può rapire. 

Di' lor che feci in sen di Dio ritorno, 
Ch'ivi le aspetto, e là regnando in pace 
Le nostre pene narreremci un giorno. 135 

Vanne poscia a quel grande, a quel verace 
Nume del Tebro, in cui la riverente 

105. Perdona: Si noti la ripetizione efficacissima della stossa rima. 

111. Timor terreno : Il timore che hai di non esser perdonato per il male 
che tu hai fatto in terra. 

114. Dell'amore antico : In cielo non mi é dato più di odiare i miei nemici, 
ma più vivo dell'amore che per loro sentii in terra é quello che ora sento 
per essi. 

117. Del divieto fatai : Il divieto di salire al cielo, prima che fosse punito 
il regicidio. 

110. Alla sponda, ecc. : A Roma. 

128. Mie regali congiunte : Le due zie di Luigi XVI che fino dal 1791 ave- 
vano trovato scampo in Roma. 

123. Il più rio : La morte sul patibolo. 

128. Ma del mio morire, ecc. : Pietoso e delicato pensiero questo di Luigi XVI 
che vuole si accenni fuggevolmente della sua morte alle zie, perchè troppo 
cocente dolore non le conturbi. 

132. Né si può rapire : La corona de* beati che ne adornava il capo non 
si poteva spezzare né rapire come quella che in terra aveva avuta. 



112 PARTE III. 

Europa affissa le pupille e tace; 

Al sommo dittator della vincente 
Repubblica di Cristo, a lui che il regno no 

Sortì minor del core e della mente: 

Digli che tutta a sua pietà consegno 
La franca fede combattuta; ed egli 
Ne sia campione e tutelar sostegno. 

Digli che tuoni dal suo monte, e svegli 113 

L'addormentata Italia, e alla ritrosa 
Le man sacrate avvolga entro i capegli, 

Sì che dal fango suo la neghittosa 
Alzi la fronte, e sia delle sue tresche 
Contristata una volta e vergognosa. 130 

Digli che invan l'ibere e le tedesche 
E Tarmi alpine e l'angliche e le prusse 
Usciranno a cozzar colle francesche, 

Se non v'ha quella onde Mosè percusse " 
Amalecco quel dì che i lunghi preghi 153 

Sul monte infino al tramontar produsse. 

Salga egli dunque sull'Orebbe, e spieghi 
Alto le palme; e, s'avverrà che stanco 
Talvolta il polso al pio voler si nieghi, 

Gli sosterranno il destro braccio e il manco ìeo 

GÌ' imporporati Aronni e i Calebidi 
De' quai soffolto e coronato ha il fianco. 

Parmi de' nuovi Amaleciti i gridi 

140. Repubblica di Cristo : La Chiesa. 

147. Entro 1 capegli : Petrarca, P. Ili, canz. II, 14 : « Le man l'avess*io av- 
volte entro i capegli ! ». 

148. SI ohe dal fango, ecc. : Petrarca, tot ci. 23: « Si chela neghittosa esca 
dal fango ». 

151. L'ibere e le tedesche, ecc. : Allude ai collegati contro la repubblica 
francese che invano, secondo il p. (e non fu cattivo profeta), avrebbero coz- 
zato con Tarmi di Francia, se Pio VI non avesse pregato il Dio degli eserciti, 
perché concedesse a loro la vittoria. 

152. Le alpine : Piemontesi. 

154. Quella onde Mosè, ecc. : Quella verga, colla quale Mosé, salito sul- 
l'Or eh in compagnia di Aronne e di Hur , tenendo le mani alzate al cielo, 
otteneva da Dio la vittoria per i suoi; ma, stancandosi egli, bisognava che 
Aronne e Hur gli reggessero le braccia fino al tramonto del sole, quando 
i nemici furono interamente sconfìtti (Esodo, xvn, 813). Anche il Filicaia, 
nella canz. « E fino a quando inulti », adoperò la stessa immagine biblica per 
Innocenzo XI pregante Iddio a sterminare i Turchi : « Ei dafl'Esquilio colle 
Ambo in ruina deU'oryibil Geta Mosé novello estolle A te le braccia, che 
da un lato regge Speme, e Fede dall'altro ». 

155. Amalecco : Gli Amaleciti che in Raphidim assalirono gli Israeliti con- 
dotti da Giosuè. 

156. Produsse : Protrasse (lat.). 

161. GÌ imporporati Aronni e i Calebidi : « S'intendono i cardinali, de' quali 
sono immag ne Aronne e Hur ligi o di Caleb » (Mt.). 

162. Sotfolto: Sorretto (lat.). 

163. Nuovi Amaleciti : Intendi i nemici della Chiesa ; poiché per Israele an - 
che altrove s'intende la Chiesa, i nuovi Amaleciti sono i rivoluzionari ne- 
mici di essa. 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 113 

Dall'Olimpo sentir, parmi che Pio 

Di Francia, orando, ei sol gli scacci e snidi. ics 

Quindi ver* lui di tutto il dover mio 
Sdebiterommi in cielo, e, flnch'ei vegna, 
Di sua virtù ragionerò con Dio. 

Brillò, ciò detto, e sparve; e non è degna 
Ritrar terrena fantasia gli ardori no 

Di ch'ella il cielo balenando segna. 
/ Qua! si solleva il sol fra le minori 

Folgoranti sostanze, allor che spinge 
V_. Sulla fervida curva i corridori! 

Che d'un solo color tutta dipinge 175 

L'eterea volta, e ogni altra stella un velo 
Ponsi alla fronte e di pallor si tinge; 

Tal fiammeggiava di sidereo zelo, 
E fra mille seguaci ombre festose 
Tale ascendeva la bell'alma al cielo. iso 

Rideano al suo passar le maestose 
Tremule figlie della luce, e in giro 
Scotean le chiome ardenti e rugiadose. 

Ella tra lor d'amore e di desiro 
Sfavillando s'estolle, infin che, giunta iss 

Dinanzi al trino ed increato Spiro, 

Ivi queta il suo volo, ivi s'appunta 
In tre sguardi beata, ivi il cor tace 
E tutta perde del desio la punta. 

Poscia al crin la corona del vivace 190 

Amaranto immortai e su le gote 
Il bacio ottenne dell'eterna pace. 

r 173. Folgoranti sostanze : Stelle. 
•sjt 174. Fervida curva : L'eclittica, lungo la quale spinge i suoi cavalli il Sole. 
J Questa stessa similitudine ha usato più brevemente il Petrarca, P. ut, 
canz. in. 69 : « Si come *1 sol co* suoi possenti rai Fa subito sparir ogni 
altra stella ... ». 

178. Sidereo zelo : Celeste ardore. 

182. Le figlie . . . della luce : Le stelle. 

183. Le chiome ardenti e rugiadose : 1 raggi delle stelle sono ardenti fin 
che non arrivano alla rugiada, ma s'illanguidiscono quando passano attra- 
verso a quella. Ha quindi ragione il Della Valle, p. Ili a dire : « Le parole 
ardenti e rugiadose hanno un che di ripugnante tra loro , perché, se le 
chiome delle steUe sono rugiadose, come possono essere ardenti ? La rugiada 
che sta sopra un corpo, ne spegne l'ardore, se vi é ». 

187. S'appunta : Si fissa nella contemplazione della Trinità (il tiHno e in 
creato Spiro). Appuntarsi in tal senso é dantesco, Purg. xv, 49 :« Perché 
s'appuntano 1 vostri desiri », e Par. xxvi, 7 «... e di' ove s'appunta L'a- 
nima tua », e ancora Par. xxix, 12. 

187. Del desio la punta : Dante, Par. xxn, 25 : « Io scava come quei che 
in sé reprime La punta del desio ». 

191. Amaranto immortai : I poeti chiamano immortale questo flore, perché 
conserva a lungo il suo coloree* madefactus aqua revirescìt (Plinio, xxi, 8). 
Nella Musog. 5, il p. cosi lo canta : « . . . quel che verno Unqua non teme, 
l'amaranto eterno ». 

Monti. — P csie. fi 



114 PARTE III. 

E allor s'udirò consonanze e note 
D'ineffabil dolcezza, e i tondi balli 
Ricominciar delle stellate rote. 195 

Pia veloci esultarono i cavalli 
Portatori del giorno, e di grand'orme 
Stampar l'arringo degli eterei calli. 

Gioiva intanto del misfatto enorme 
L'accecata Parigi; e sull'arena 200 

Giacea la regal testa e il tronco informe; 

E il caldo rivo della sacra vena 
La ria terra bagnava, ancor più ria 
Di quella che mirò d'Atreo la cena. 

Nuda e squallida intorno vi venia 205 

Turba di larve di quel sangue ghiotte, 
E tutta di lor bruna era la via. 

Qual da fesse muraglie e cave grotte 
Sbucano di Minèo l'atre figliuole, 
Quando ai fiori il color toglie la notte, 210 

Ch'ir le vedi e redire e far carole 
Sul capo al viandante sovra il lago, 
Finche non esce a saettarle il sole; 

Non altrimenti a volo strano e vago 
D'ogni parte erompea l'oscena schiera; 215 

• Ed ulular s'udiva, a quell' immago 

Che fan sul margo d'una fonte nera 
I lupi sospettosi e vagabondi 
A ber venuti a truppa in sulla sera. 

Correan quei vani simulacri immondi 220 

Al sanguigno ruscel, sporgendo il muso 
L'un dall'altro incalzati e sitibondi. 

Ma in guardia vi sedea nell'arme chiuso 

200. E sull'arena giaoea, ecc. : Reminiscenza virgiliana (Aen. 11, 557) : « la- 
cet ingens litore tremens, Avulsumque humeris caput, et sine nomine cor- 
pus ». 

204. DI quella, ecc.: Di Micene che vide il fiero pasto delle carni del figlio 
di Tieste ammannite a lui dal fratello Atreo, per punirlo d'avergli sedotta 
la moglie. 

209. Di Mineo, ecc. : Le civette che gli antichi favoleggiarono figlie di 
Mineo re di Tebe, convertite in nottole per aver dispregiato il culto di Bacco. 

210. auando ai fiori, ecc. : Virgilio, Aen. vi, 271: « ubi caelum condidit 
umbra iuppiter et rebus nox abstulit atra coiorem », e Ariosto, Ori. Fur. n, 
54, e il Tasso, Ger. Lib. x, 5 : « Poi, quando l'ombra oscura al mondo toglie 
I vari aspetti, e i color tinge in negro ». 

211. Redire : Tornare indietro (lat.). 

221. Correano, ecc.: Anche nell'Odissea xi intorno alla fossa scavata nel 
l'Inferno da Ulisse, piena del sangue delle vittime, accorrono i morti, m;* 
l'eroe colla spada in mano vieta loro di bere di quel sangue, come fa qui 
il cherubino che colla spada caccia via le ombre dal sangue dei re. Ma più 
che all'Odissea s'è ispirato al Parad. perà, del Milton, ii, 609 e segg. 

Vani simulacri: Cosi Dante chiamò le ombre vane fuor che nell'aspetto, 
e Virgilio, Aen. vi, 292: « tenues sine corpore vitas ». 



IN MORTE DI UGO BASSYILLE. 115 

Un fiero cherubin, che, steso il brando, 

Quel barbaro sitar rendea deluso. 825 

E le larve a dar volta, e mugolando 
A stiparsi, e parer vento che rotto 
Fra due scogli si vada lamentando. 

Prime le quattro comparian che sotto 
Poc'anzi al taglio dell'infame scure 230 

L'infelice Gapeto avean tradotto. 

Di quei tristi seguian l'atre figure 
Che d'uman sangue un dì macchiar le glebe 
Là di Marsiglia nelle selve impure. 

Indi a guisa di pecore e di zebe 235 

Venia lorda di piaghe il corpo tutto 
D'ombre una vile miserabil plebe: 

Ed eran quelli che fecondo e brutto 
Del proprio sangue fecero il mal tronco 
Che. dio di libertà sì amaro il frutto. 210 

Altri forato il ventre ed altri ha cionco 
Di capo il busto, e chi trafitto il lombo, 
E chi del braccio e chi del naso è monco; 

E tutti intorno al regio sangue un rombo, 
Un murmurc facean, che cupo il fiume 213 

Dai cavi gorghi ne rendea rimbombo. 

Ma lungi li tenea la punta e il lume 
Della celeste spada, che mandava 
Su i foschi ceffi un pallido barlume. 

Scendi, pì'eria dea, di questa prava 250 

Masnada i più famosi a rammentarme, 
Se l'orror la memoria non ti grava. 

Dimmi, tu che li sai, gli assalti e l'arme 
Onde il soglio percossero e la fede, 
E di nobile bile empi il mio carme. 2:3 

225. Sitir: Aver sete(lat). 

229. La quattro : I quattro regicidi Ankastrom , Ravaillac , Damicns e 
Clement. 

234. Là di Marsiglia : Il più rinomato collegio druidico era quello di Mar- 
siglia che fu distrutto da Cesare. Dei loro sacrifizi cruenti cosi disse Cesare, 
De Bello Gali., \i x 16 : « Pro victimis homines immolant aut se immolaturos 
vovent administrisque ad ea saci ificia druidibus utuntur , quod , prò vita 
hominis nisi hominis vita reddatur, non posse deorum immortaiium numen 
placari arbitrantur, publiceque eiusdem generis habent insti tuta sacrifteia ». 

235. Zebe: capre. 

238. Ed eran, ecc. : Bene osserva qui il Della Valle, p. 113, che questi fu- 
rono i precursori della rivoluzione dell *89, che per esser morti tutti avanti 
alla rivoluzione stessa, non poterono fecondare del loro sangue l'albero 
della libertà. Meglio si sarebbe detto dei G rondini e dei Giacobini. 

241. Cionco : Troncato. Si noti che simili a questa sono le pene de' semi 
natori di discordie civili e domestiche e di scismi in Dante, Inf. xxvm. 
250. Pierla dea : La Musa, cosi detta dal monte Pierio in Tessaglia, ove la 
Muse nacquero da Giove e da Mnemosine. 



110 PARTE III. 

Capitano di mille alto si vede 
Uno spettro passar lungo ed arcigno, 
Superbamente coturnato il piede. 

E costui di Ferney Tempio e maligno 
Filosofante, ch'or tra' morti è corbo vgo 

E fu tra' vivi poetando un cigno. 

Gli vien seguace il furibondo e torbo 
Diderotto, e colui che dello spirto 
Svolse il lavoro e degli affetti il morbo. 

Vassene solo l'eloquente ed irto 2(x> 

Orator del Contratto, e al par del manto 
Di sofo ha caro l'afrodisio mirto; 

Disdegnoso d'aver compagni accanto 
Fra cotanta empietà, che al trono e all'ara 
Fé' guerra ei sì, ma non de' santi al santo. 270 

Segue una coppia nequitosa e rara 
Di due tali accigliate anime ree, 
Che il diadema ne crolla e la tiara. 

L'ima raccolse dell'umane idee 
L'infinito tesoro e l'oceano 273 

Ove stillato ogni velen si bee. 

Finse l'altra del fosco americano 
Tonar la causa, e regi e sacerdoti 
Col fulmine ferì del labbro insano. 

£.9. Di Ferney, ecc. : Francesco Maria Arouet di Voltaire (1694-1778), vis- 
suto per lo più a Ferney presso Ginevra. Fra moltissime altre opere scrisse 
anche tragedie, per cui ó qui detto che ha « coturnato il piede », dal co- 
turno, calzare che portavano sulla scena gU attori greci. Lo dice empio e 
maligno filosofante, perché fu ateo e preparatore della rivoluzione. IIPà- 
rini, nel Giorno, 370, lo disse : « Della Francia Proteo multiforme . . . che 
sai con novi modi Imbandir ne* tuoi scritti eterno cibo Ai semplici palati ». 

261. Poetando un cigno : Il Voltaire compose anche dei poemi epici, VHèn 
riade e la Pulcelle d'Orléans che il Monti tradusse. 

263. Diderotto: Dionigi Diderot (1713- 1784) che dice furibondo per l'ardore 
ch'ei pose soprattutto neir Enciclopedia, a cui per trenta anni lavorò coi 
D'Alembert e con altri a promuovere le dottrine materialistiche. — Colui 
ohe, ecc. : Hélvetius (1715-1771)di cui cosi dice il Monti: « Ne' suoi discorsi 
De V Esprit si attribuiscono alla materia le operazioni deU 'anima, e si vuol 
mostrare che gli uomini non sono retti che dalla voluttà e dall' tote- 

266. Orator, ecc. : Gian Giacomo Rousseau (1712-1778), autore del Contratto 
sociale. « Va solo, perché non fu propriamente degli Enciclopedisti; ha caro 
il mirto di Venere {Afrodite), per le ardenti Lettere a Giulia; è disdegnoso 
d'aver compagni cosi empi, perché fu tutt'altro che ateo, come mostra la 
Professione di fede del vicario savoiardo » (Bertoldi). 

267. Sofo: Filosofo. 

271. Nequitosa: Malvagia. 

273. Il diadema ... e la tiara : La monarchia ... e il papato. 

274. L'una: Giovanni Le Rond d'Alembert (1717-1783), celebre matematico 
e scrittore dell 1 Enciclopedia, in cui versò infinito tesoro di molta dottrina, 
ma anche un oceano d'ateismo e di idee materialistiche. 

277. L'altra: Guglielmo Tommaso Francesco Raynal (1713-1796), che nel 
1770 pubblicò la stoì*ia filosofica, ove, presa la difesa degli Americani, inveì 
contro re e sacerdoti. 



IN MORTE DI UGO B A SS VILLE. 117 

Dove te lascio, che per l'alto roti sso 

Sì strane ed ampie le comete, e il varco 
D'ogni delirio apristi a' tuoi nipoti ? 

E te che contro Luca e contro Marco 
E contro gli altri duo così librato 
Scocchi lo strai dal sillogist'arco ? 2S5 

Questa d'insania tutta e di peccato 
Tenebrosa falange il fronte avea 
Dal fulmine celeste abbrustolato; 

E della piaga il solco si vedea 
Mandar fumo e faville; e forte ognuno 2*.)o 

Di quel tormento dolorar parea. 

Curvo il capo ed in lungo abito bruno 
Venia poscia uno stuol quasi di scheltri, 
Dalle vigilie attriti e dal digiuno. 

Sul ciglio rabbassati ha i larghi feltri, 2jò 

Impiombate le cappe, e il pie sì lento, 
Che le lumache al paragon son veltri. 

Ma sotto il faticoso vestimento 
Celan ferri e veleni; e qual tra* vivi, 
Tal vanno ancor tra' morti al tradimento. 3-jo 

Dell'ipocrite d'Ipri ei son gli schivai 
Settator tristi, per via bieca e torta 
Con Cesare e del par con Dio cattivi. 

Sì crudo è il nume di costor, sì morta, 
Sì ripiena d'orror del ciel la strada, :ix> 

Che a creder nulla e a disperar ne porta. 

280. Dove te lasci', ecc. : Come dimentico Pietro Bayle (1617-1706) che noi 
l\'nsieri diversi a proposito d'una cometa apparsa nel 1680 sostenne dot- 
trine scettiche e nel Dizionario storico e critico seminò Aere obbiezioni con- 
tro ogni principio religioso 1 

283. E te, ecc. : Nicola Fréret (16S8-1749), a cui si attribuirono, ma ingiu- 
stamente, la Lettera di Trasibulo a Leucippo e l'Esame degli apologisti 
nella religione cristiana, ove si combatte l'autenticità degli Evangeli. 

291. Dolorar: Sentir dolore e al tempo, stesso esprimerlo. È usato come 
neutro : Dante, Inf. xxvn, 131 : « La li anima dolorando si partio », e Fo- 
scolo. Inno alla nave delle Muse, 21 : « Invan la Dea liti e montagne Do 
tarando cercò ». 

292. Curvo 11 capo : Bei verso che nella sua lentezza rappresenta il lento 
muoversi della nuova schiera che s'avanza. 

206. E 11 pie. ecc. : È facile capire che qui s'è ispirato a Dante che fa cam- 
minare lenti sotto le cappe di piombo gr ipocriti {Inf. xxiii). 

299. Celan ferri, ecc. : Cosi la Frode nell'Ariosto cela sotto la veste il col- 
tello avvelenato. 

301. DeU'lpocrito, ecc. : I Giansenisti, seguaci {settatori) di Cornelio Gian- 
senio (1585-1638), vescovo d'Ipres in Francia, che s'allontanarono dalla fede 
cattolica per alcune loro opinioni sulla Grazia. Li dice ribelli al principe 
e a Dio {cattivi anche Dante chiama gli angeli ribelli a Dio). 

304. Si crudo, ecc. : Dicevano i Giansenisti che alcuni precetti di Dio. 
secondo le presenti forze degli uomini, sono impossibili ad osservarsi: tal 
dottrina conduceva, dice il p., a non credere e a disperare della propria 
salvazione. 



118 PARTE III. 

Per ior sovrasta al pastoral la spada, 
Per lor tant'alto il soglio si sublima 
Ch'aitine è forza che nel fango cada. 

Di lor empia fucina uscì la prima 310 

Favilla, che segreta il casto seno 
Della donna di Pietro incende e lima. 

Nò di tal peste sol va caldo e pieno 
Borgofontana, ma d'Italia mia 
oNe bulica e ne pute anco il terreno. 3:3 

Ultimo al fier concilio comparia, 
E su tutti gigante sollevarse 
Coiromero sovran si discopria 

E colle, chiome rabbuffate e sparse, 
Colui che al discoperto e senza téma 320 

Venne contro l'eterno ad accamparse; 

E ne sfidò la folgore suprema, 
Secondo Capaneo, sotto lo scudo 
D'un gran delirio ch'ei chiamò sistema. 

Dinanzi gli f uggia sprezzato e nudo 323 

De' minor spettri il vulgo: anche Cocito 
N'avea ribrezzo, ed abborria quel crudo. 

Poich'ebber densi e torvi circuito 
Il cadavere sacro, ed in lui sazio 
Lo sguardo, e steso sorridendo il dito; 330 

Con Aera dilettanza in poco spazio 
Strinsersi tutti, e diersi a far parole, 
Quasi sospeso il sempiterno strazio. 

A me (dicea l'un d'essi), a me si vuole 
Dar dell'opra l'onor, che primo osai 333 

Spezzar lo scettro e lacerar le stole. 

A me piuttosto, a me che disvelai 
De' potenti le frodi (un altro grida) 
E all'uom dischiusi sul suo dritto i rai. 

Perchè l'uom surga e il suo tiranno uccida, 310 

307. La spada: L'autorità temporale é superiore alla spirituale, come so 
stenne il giansenista Pasquale Quesnel nel libro La sovranità dei re difesa. 

312. Della donna, ecc. : Della Chiesa. 

314. Borgofontana: Certosa nel bosco di Villers-Cotcrets, a 16 o 17 miglia 
da Parigi, ove nel 1621 si raccolsero i Giansenisti a formulare le loro dot- 
trine. 

320. Colai, ecc. : Gian Battista Mirabaud a cui fu falsamente attribuito 
il Sistema della natura, ove si nega audacemente resistenza di Dio : lo fa 
giganteggiare fra gli altri per la maggiore empietà. 

323. Secondo Capaneo : Chiama il Mirabaud secondo Capaneo dal primo 
che fu uno dei sette re che assediarono Tebe, e di cui Dante, neìl'Inf. xiv, 
68, fa punito e non domo l'animo superbamente empio e disdegnoso. 

326. Anohe Cocito : Perfino l'inferno aveva ribrezzo della Bua empietà. 

329. Il cadavere sacro : Di Luigi XVI. 

310 il suo tiranno, ecc. : li principe che tiene soggetto tirannicamente 
l'uomo. 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 119 

UoVè (ripiglia un altro) in pria dal fianco 
De l'eterno timor tòrgli la guida. 

Questo fé* lo mio stil leggiadro e franco 
E il sai samosatense onde condita 
L'empietà piacque e l ? uom di Dio fu stanco. 345 

Allor fu questa orribil voce udita: 
F fei di più, che Dio distrussi: e tacque; 
Ed ogni fronte apparve sbigottita. 

Primamente un silenzio cupo nacque, 
Poi tal s'intese un mormorio profondo, 350 

Che lo spesso cader parea dell'acque 

Allor che tutto addormentato è il mondo. 

CANTO QUARTO. 

Contenuto. — Continua la narrazione del viaggio del Bassville. A domanda 
di questo, l'angelo gli spiega come Raynal, sebbene ancor vivo , sia tra le 
ombre che volteggiano attorno al cadavere di Luigi XVI. Intanto dal cielo 
scendono tre cherubini, angeli di terrore, di morte e di sventura, e si pon- 
gono a fianco dell'altro cherubino che è a guardia del corpo del re ucciso. Le 
ombre maledette fuggono. La Fede e la Carità vengono a raccogliere il san- 
arne del re in vasi istoriati che rappresentano gli avvenimenti più terribili 
della rivoluzione e li porgono ai cherubini. Questi, saliti in cielo, versano 




piang, 

dall'aspra tenzone. — Questo canto, straricco di personificazioni simboliche, 
in cui é tutto un movimento di spiriti fra cielo e terra e una successione 
di fatti prodigiosi, é ispirato più che gli altri alla Messiade di Klopstock. 

Batte a voi più sublime aura sicura 
La farfalletta dell'ingegno mio, 
Lasciando la città della sozzura. 

E dirò come congiurato uscio 
A dannaggio di Francia il mondo tutto: 5 

Tale il senno supremo era di Dio. 

342. Dell'eterno, ecc. : La guida del timor di Dio. Perché l'uomo non ob- 
bedisca più al suo principe, è d'uopo estirpargli daU 'animo ogni fede re- 
ligiosa. 

344. Il sai , ecc. : Lo, spirito che anima i festivi Dialoghi di Luciano di 
Sani osata nella Siria. È chiaro che si allude al Voltaire che per l'arguzia 
del suo stile si suol chiamare il Luciano moderno. 

346. Allor fu questa, ecc. : Dante, Inf. y iv, 79: « Intanto voce fu per me 
udita ». 

347. I* fei di più, ecc. : Queste parole son dette dal più empio di tutti, il 
Mirabaud. 

1. Batte, ecc. : Si leva a volo più alto, attraverso a un aere più spirabile, 
cioè passa a trattare argomenti meno terribili. 

2. La farfalletta, ecc. : Dante, Purg. i, I : « Per correr miglior acqua alza 
le vele Ormai la navicella del mio ingegno, Che lascia dietro a sé mar si 
crudele ». 

3. La città, ecc. : Parigi, sentina di vizi e di sozzure. 

5. Dannaggio: Danno (Dante, Inf. XXX, 136: « E quale é quei che suo 
dannaggio sogna » ). Allude alla coalizione delle nazioni contro la Francia 
repubblicana con cui esse intesero , ma invano , di punirla del regicidio. 



120 PARTE III. 

Canterò Tira dell'Europa e il lutto, 
Canterò le battaglie ed in vermiglio 
Tinto de' fiumi e di due mari il flutto. 

E d'atro pianto andar bagnato il ciglio io 

La bell'alma vedrem, di che la diva 
Mi va cantando l'affannoso esiglio. 

Il bestemmiar di quei superbi udiva 
La dolorosa; ed accennando al duce 
La fiera di Renallo ombra cattiva, — 15 

Come, disse, fra' morti si conduce 
Colui? Di polpe non si veste e d'ossa? 
Non bee per gli occhi tuttavia la luce? 

E l'altro: la sua salma ancor la scossa 
Di morte non sentì; ma la governa 20 

Dentro Marsiglia d'un demón la possa; 

E l'alma geme fra i perduti eterna- 
mente perduta: né a tal fato è sola, 
Ma molte che distingue ira superna. 

E in Èrebo di queste assai ne vola 20 

Dall'infame congrèga, in che s'affida 
Cotanto Francia, ahi stolta!, e si consola. 

Quindi un demone spesso ivi s'annida 
In uman corpo, e scaldane le vene, 
E siede e scrive nel senato e grida; 30 

Mentre lo spirto alle cocenti pene 
D'Averno si martira. Or leva il viso, 
E vedi all'uopo chi dal ciel ne viene. 

Levò lo sguardo: ed ecco all'improvviso, 
Là dove il cancro il pie d'Alcide abbranca 35 

9. Di due mari: Del Mediterraneo e dell'Atlantico. Questi argomenti non 
furono trattati dal p. che abbozzò soltanto il quinto canto, ove avrebl o 
dovuto parlarne. 

11. La bell'alma: L'anima del Bassville. — La diva: La Musa. 

12. Esiglio: V. il C. 1, 22-26 di questo poemetto. 

13. Di quei superbi: Dei regicidi e degli scrittori rivoluzionari. 

18. Non bee, ecc. : Dante, In£ x, 69: « Non fiere gli occhi suoi lo dolce 
lomel ». 

19. La sua salma, ecc. : Tutta questa invenzione , per cui é in Inferno 
l'anima del Raynal ancor vivo, è dantesca. Cfr. Inf. xxxiii, 129 e sgg., ove 
é detto che l'anima di Branca Doria é in Inferno mentre il corpo suo è sulla 
terra governato da un diavolo. 

22. Eterna . . . mente : Frequente é nei poeti questo spezzamento dell'av- 
verbio. I poeti latini e greci dividevano cosi anche le parole non composte 
per la figura che dicevano anastrofe. 

24. Distingue ira superna: Lo sdegno di Dio punisce in modo speciale. 

26. Dall'infame, ecc. : Dall'Assemblea nazionale. 

31. Mentre, ecc. : Non pochi dei membri dell'Assemblea nazionale scri- 
vono, gridano, s'agitano in quel consesso , mentre le anime loro gemono 
nell'Inferno. 

35. Là dove il canoro, ecc. : Fra la costellazione del Cancro e quella d'Er- 
cole, cioè presso l'Orsa maggiore. 



IN MORTE DI UGO BA.S8 VILLE. 121 

E discende la via del paradiso, 

Ecco aprirsi del ciel le porte a manca 
Su i cardini di bronzo; e una virtude 
Intrinseca le gira e le spalanca. 

Risonò d'un fragor profondo e rude 40 

Dell'olimpo la volta, e tre guerrieri 
Calar fùr visti di sembianze crude. 

Nere sul petto le corazze, e neri 
Nella manca gli scudi, e nereggianti 
Sul capo tremolavano i cimieri; 45 

E furtive dell'elmo e folgoranti 
Scorrean le chiome della bionda testa 
Per lo collo e per l'omero ondeggianti. 

La volubile bruna sopravvesta 
Da brune penne ventilata addietro 50 

Rendea rumor di pioggia e di tempesta 

Del sopracciglio sotto l'arco tetro 
Uscian lampi dagli occhi, uscia paura, 
E la faccia parea bollente vetro. 

Questi, e l'altro campion seduto a cura 55 

Dell'estinto Luigi, angeli sono 
Di terrore, di morte e di sventura. 

Venir son usi dell'Eterno al trono, 
Quando acerba a' mortai volge la sorte 
E rompe la ragion del suo perdono. t>u 

D'Egitto il primo l'incruente porte 
Nell'arcana percosse orribil notte 
Che fùr de' padri le speranze morte. 

L'altro è quel che sul campo estinte e rotte 

38. E una virtude, ecc. : E una forza eh 'è in loro le apre, come in Omkro, 
II. v, 74tt e vili, 303, le porte del cielo si aprono da se stesse. 
40. Nota l'ani ionia imitativa di questo bel verso. 

50. Da brune, ecc. : Cosi in Dante, Purg. vili, 28 , sono descritti alcuni 
angeli : « Verdi . . . Erano in veste, che da verdi penne Percosse traén die- 
tro e ventilate ». Per queste e per altre apparizioni del poema si noti, come 
dice lo Zumbini, p. 19. che: « Quel prodigioso e quella partecipazione del- 
l'universo ad uno spettacolo umano non si adattano così perfettamente col 
soggetto storico del poema italiano, come si adattavano ai soggetti vera- 
mente colossali del « Paradiso Perduto » e del « Messia ». 

53. Uscia a, ecc. : La descrizione di questi angeli di morte é modellata su 

3uella degli angeli vendicatori che fa il Varano, nella Vis.. 1 : al v. 268 dice 
'uno di questi : « Par che dalla fronte cada Gruppo di lampi al suol per 
cencr farne ». . 

51. Bollente vetro: Frase tolta a Danti:, Purg. xxvn, 40. 

60. Rompe la ragion, ecc. : La sorte rende vana la misericordia di Dio. 

61. D'Egitto, ecc. : È l'angelo che in una sola notte sterminò tutti i pri- 
mogeniti dell'Egitto, perche Faraone lasciasse partire gli Ebrei. Questi, per 
volere d'Iddio, avevano tinto le porte delle loro case col sangue dell'agnello, 
per distinguerle da quelle degli Egiziani. Varano, Vis. 1. 562: « L'altro, che 
agita in aria ì vanni arditi, E quel, che nella notte in Ciel segnata, Lo squal- 
lor mise negli Egizi liti, E scannò i primi figli ... ». 

64. L'altro: L'angelo che sterminò l'esercito di Sennacheribbo, re d'As- 



122 PARTE III. 

Lasciò le forze che il superbo Assiro 66 

Contro Fumile Giuda avea condotte. 

Dalla spada del terzo i colpi uscirò, 
Che di pianto sonanti e di mina 
Fischiar per l'aure di Sion s'udirò, 

Quando la provocata ira divina 70 

Al mite genitor fé' d'Absalone 
Caro il censo costar di Palestina. 

L'ultimo fiero volator garzone 
Uno è de* sei cui vide l'accigliato 
Ezechiello arrivar dall'aquilone, 75 

In mano aventi uno stocco affilato 
E percotenti ognun che per la via 
Del Tau la fronte non vedean segnato. 

Tale e tanta dal ciel se ne venia 
Dei procellosi arcangeli possenti so 

La terribile e nera compagnia; 

Come gruppo di folgori cadenti 
Sotto povero ciel, quando sparute 
Taccion le stelle e fremon l'onde e i venti. 

Il sibilo sentì delle battute 83 

Ale Parigi; ed arretrò la Senna 
Le sue correnti stupefatte e mute. 

Vogeso ne tremò, tremò G-ebenna 
ri il Bebricio Pirene, e lungo e roco 
Corse un lamento per la mesta Ardenna. od 

Al lor primo apparir dièr ratto il loco 

Siria, che era andato ad assediare Gerusalemme. Varano, Vis. 1, 271: « L'al- 
tro, cui scritto su le ciglia apparse Sterminator, colle man preste e fiere 
Di Siloé in riva il sangue assiro sparse ». 

70. Quando, ecc. David (il mite genitor d'Apsalonne) per orgoglio aveva 
fatto il censo d'Israele e Iddio lo punì. « Mandò l'Angelo a Gerusalemme 
per flagellarla ... E) alzando Davidde i suoi occhi, vide l'Angelo del Signore, 
che stava tra cielo e terra, e aveva in mano la spada insanguinata volta 
contro Gerusalemme » (Paralip. 1, cap xxi). Varano, Vis. cit. « Questo nella 
Giudea, mentr'egli offerse In sacrifizio a Dio vittime tante, La strada all'aura 
venenate aperse Del buon re sciolto in pianto agli occhi avante ». 

74. Uno, ecc. : Ezechiele nel cap. ix della sua Visione narra che dalla 
parte dell'aquilone, gli apparvero sei angeli portanti ciascuno in mano uno 
strumento dì morte. In mezzo a loro era un altro angelo con un calamaio 
appeso ai fianchi che per comando di Dio andava segnando con un Tau (T) 
le fronti dei buoni che erano afflitti per le colpe della citta. Gli altri angeli 
sterminavano tutti coloro che non eran segnati con questo T. 

83. Sotto povero ciel: V. la n. al v. 35 del Sermone sulla Mitologia» 

81. Taccion, ecc. : Le stelle pallide (sparute) son povere di luce. Catacresi» 
come quella per cui Dante, Inf. i, 60, dice che « il sol tace ». 

86. Arretrò: Con senso transitivo. Virgilio, Aen. vili, 240: « refluitque 
exterritus amnis ». 

88. Vogeso: I monti Vosgi. 

89. Il Bebricio, ecc. : « Ai monti Pirenei il poeta dà l'aggiunto di Bebricio, 
perché il loro nome vuoisi derivato da Pirene , figlia di Bebrice, la quale 
ebbe in essi la tomba dopo di essere stata violata Uà Ercole e straziata dallo 
fiere » (Mt.). 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 123 

L'assetate del Tartaro caterve, 

Un grido alzando lamentoso e fioco. 

Come fugge talor delle proterve 
Mosche lo sciame che alla beva intento 05 

Sul vaso pastoral brulica e ferve, 

Che al toccar della conca in un momento 
Levansi tutte, e quale alla muraglia, 
Qual si lancia alla mano e quale al mento; 

Tal si dilegua l'infernal ciurmaglia; iod 

Ed altri una pendente nuvoletta 
D'ira sbulìando a lacerar si scaglia; 

Sovra il mar tremolante altri si getta, 
E sveglia le procelle; altri s'avvolve 
Nel nembo genitor della saetta; 105 

Si turbina taluno entro la polve, 
E tal altro col guizzo del baleno 
Fende la terra e in fumo si dissolve. 

Dal sacro intanto orror del tempio useièno 
Di mezzo all'atterrate are deserte 110 

Due donne in atto d'amarezza pieno. 

L'una velate e l'altra discoperte 
Le dive luci avea, ma di gran pianto 
D'ambo le gote si parean coverte. 

Era un vei bianco della prima il manto, 115 

Che parte cela e parte all'intelletto 
Rivela il corpo immaculato e santo. 

Una veste inconsutile di schietto • 
Color di fiamma l'altra si cingea, 
Siccome il peilican piagata il petto. 120 

E nella manca l'una e l'altra dea 
E nella dritta in mesto portamento 
Una lucida coppa sostenea: 

E sculto ciascheduna un argomento 
Avea di duolo, in bei rilievi espresso 125 

W. Come fugge, ecc. : Similitudine che ha at'.into a quella d 'Omero, II. ti, 
614 (trad. M.), ove si descrive uno sciame di mosche che ronzano d'estate 
intorno alle secchie del latte. 

106. Si turbina: Si avvoltola come un turbine fra la polvere che solleva. 

110. Atterrate, ecc. : Gli altari abbandonati dai fedeli e atterrati da- 
gli atei. 

112. L'una, ecc. : La Fede porta gli occhi velati, perché non tutte le ve- 
rità del Dogma sono manifeste, porta un velo bianco per indicare la sua 
purezza, e il velo le cela soltanto una parte del corpo, perché mentre al- 
cune delle verità dogmatiche sono manifeste, altre invece sono inintelligibili 
aU'uomo. 

118. Inconsutile: Non cucita. 

120. Siccome il peilican, ecc. : Erroneamente si credeva un tempo che il 
pellicano si lacerasse il- petto per nutrire del suo sangue i figli. Il pellicano 
e quindi simbolo della carità. 

125. Espresso: Rilevato (lat.). 



124 PARTE III. 

Di nitid'oro e di forbito argento. 

In una sculto si vedea con esso 
11 Aglio e la consorte un re fuggire, 
Pensoso più di lor che di so stesso; 

E un dar subito all'arme ed un fremire 130 

Di cruda plebe, e dietro al fuggitivo, 
Siccome veltri dal guinzaglio, uscire; 
Poi tra le spade ricondur cattivo 
E tra Tonte quel misero innocente, 
Morto al gioire ed al patir sol vivo. 135 

Mirasi dopo una perversa gente 
Cercar furendo a morte una regina, 
Dir non so se più bella più dolente; 

Ed ancisi i custodi alla meschina, 
E per rabbia delusa, orrendo a dirsi! ho 

. Trafitto il letto e la regal cortina. 

V'era l'urto in un'altra ed il ferirsi 
Di cinquecento incontra a mille e mille, 
E dell'armi il fragor parea sentirsi. 

Formidabile il volto e le pupille, 145 

La Discordia scorrea tra l'irte lance, 
Tra la polve, tra '1 fumo e le faville 

E i tronchi capi e le squarciate pance, 
Agitando la face che sanguigna 
De' combattenti scoloria le guance. 159 

Vienle appresso la Morte che digrigna 
I bianchi denti, ed i feriti artiglia 

1*27. Con esso : Pleonasmo. 

128. Un re fuggire : « La fuga di Luigi XVI a Varennes tentata nella notte 
del 21 giugno 1781. È noto eh egli e la sua famiglia furono riconosciuti a 
Saìnte-Menehould, inseguiti e ricondotti a Parigi nel giorno 25 dello stesso 
mese » (Mt.). 

129. Pensoso, ecc. : Verso d'ispirazione petrarchesca, P. in, canz. 11, 101 : 
« Pensoso più d'altrui che di sé stesso ». 

130. Fremire : È il gridare delle bestie feroci , detto qui bene della plebe 
inferocita contro il re. 

132. Siccome veltri, ecc. : Dante, Jnf. xin, 126 : « Come veltri che uscisscr 
di catena ». 

133 Cattivo: Arrestato (lat.). 

135. Morto, ecc. : Armida cosi risponde ad Eustazio innamorato nella Cher. 
Lib. iv, 36 : « Cosa vedi, signor, non pur mortale, Ma già morta ai diletti, 
al duol sol viva ». 

136. Mirasi dopo, ecc. : « Nella giornata del 6 di ottobre 1789 una torma 
di scellerati, uomini e donne, venuti a Versailles, entrarono nel castello 
reale, uccisero le guardie, s'introdussero per una scaletta nella stanza in cui 
poc'anzi dormiva la regina, e trovato il letto ancor tiepido, ma non lei, che 
all'udire l'orrendo trambusto erasi occultamente sottratta, quello per atroce 
rabbia trapassarono con più colpi di pugnale o di lancia » (Mt.). 

142. V'era l'urto, ecc. : « La giornata del 10 agosto 1792, nella quale si se- 
gnalarono per la loro fedeltà, di cui tutti rimasero vittime, i pochi Sviz- 
zeri (900) "che erano a guardia delle Tuileries, combattendo contro alle mi- 
gliaia di furibondi venuti ad assaltare quella regia abitazione » (Mt.). 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 125 

Con la grand' unghia antica e ferrugigna; 

E pria l'anime felle ne ronciglia 
Fuor delle membra, e le rassegna in fretta 155 

Fumanti e nude all'infernal famiglia; 
Poi, ghermite le gambe, ne si getta 
I pesanti cadaveri alle spalle, 
Né più vi bada, e innanzi il campo netta. 

Dietro è tutto di morti ingombro il calie: ico 

IL sangue a fiumi il rio terreno ingrassa, 
E lubrico s'avvia verso la valle. 

Scorre intorno il Furor coll'asta bassa, 
Scorre il Tumulto temerario, e il Fato 
Ch'un ne percuote ed un ne salva e passa; 105 

Scorre il lacero Sdegno insanguinato, 
E TOrror co' capelli in fronte ritti, 
Come l'istrice gonfio e rabbuffato. 

Al fine in compagnia de' suoi delitti 
Vien la proterva Libertà francese; no 

Ch'ebbra il sangue si bee di quei trafitti. 

E son sì vivi i volti e le contese, 
Che non tacenti, ma parlanti e vere 
Quelle immagini credi e quell'offese. 

Altra scena di pianto, onde il pensiere 175 

Rifugge e in capo arricciasi ogni pelo, 
Nella terza scultura il guardo fere. 

Sacro all'inclita donna del Carmelo 
Apriasi un tempio, e distendea la nott<» 
Sul primo sonno de' mortali il velo : iso 

Se non che dell'oscure artiche grotte 
Languian le mute abitatrici al cheto 
Raggio di luna indebolite e rotte. 

Strascinavasi quivi un mansueto 
Di ministri di Dio sacro drappello, 185 

Ch'empio dannava popolar decreto. 

Un barbaro di lor si fea macello: 

153. Ferruglgna: Del colore del ferro irrugginito. 

151. Ronciglia: Trae fuori con un ronciglio o uncino ; lo usa Dante, I/if. xxi, 
75 : « E poi di roncigliarmi si consigli ». 
155. Rassegna: Consegna. 
1G2. Lubrico: Sdrucciole vole. 

174. Offesa: Ferite. 

175. Saoro, ecc. : « La chiesa del Carmine in Parigi era stata convertita 
in una prigione per rinchiudervi i vescovi ed i sacerdoti che avevan rifiu- 
tato di prestare giuramento alla Costituzione. La maggior parte di essi fu 
trucidata nel giardino annesso alla chiesa dagli emissari di coloro che reg- 
gevano il Municipio dì Parigi, nel giorno 2 di settembre nel 1792 » (Mt.). 

182. Le mute abitatrici: Le pallide stelle, che anche sopra ha detto che 
tacevano, come chiama « cheto » il raggio della luna. 



120 PARTE HI. 

Ed ei, che schermo non avean di scudo 
Al calar del sacrilego coltello, 

Pietà, Signor, porgendo il collo ignudo, 193 

Signor, pietà, gridavano: e venia 
In quella il colpo inesorato e crudo. 

Gadean le teste, e dalle gole uscia 
Parole e sangue, per la polve il nome 
Di Gesù gorgogliando e di Maria. 195 

E l'un su l'altro si giacean, siccome 
Scannate pecorelle; e fean ribrezzo 
L'aperte bocche e le riverse chiome. 

La luna il raggio ai visi esangui in mezzo 
Pauroso mandava e verecondo, 200 

A tanta colpa non ben anco avvezzo; 

Ed implorar parea d'un vagabondo 
Nugolo il velo ed affrettar raminga 
Gli atterriti cavalli ad altro mondo. 

Chi mi darà le voci ond'io dipinga 205 

Il subbietto feral che quarto avanza, 
Sì ch'ogni ciglio a lagrimar costringa? 

Uom d'affannosa ma regal sembianza, 
A cui, rapita la corona e il regno, 
Sol del petto rimasta è la costanza, 210 

Venia di morte a vii supplizio indegno 
Chiamato, ahi lasso!, e ve '1 traevan quelli 
Che fur dell'amor suo poc'anzi il segno. 

Quinci e quindi accorrean sciolte i capelli 
Consorte e suora ad abbracciarlo, e gli occhi 215 

Ognuna avea conversi in due ruscelli. 

Stretto al seno egli tiensi in su i ginocchi 
Un dolente fanciullo; e par che tutto 
Negli amplessi e ne* baci il cor trabocchi, 

E sì gli dica: Da' miei mali istrutto 220 

Apprendi, figlio, la virtude e cògli 
Di mie fortune dolorose il frutto. 

Stabile e santo nel tuo cor germogli 
Il timor del tuo Dio, nò mai d'un trono 

104. Parole e sangue : Dante, Inf. xin, 43 : « Cosi di quella scheggia usciva 
insieme Parole e sangue ». 

200. Verecondo: Vergognoso. 

206. Che quarto, ecc. : Che resta ancora quarto. Perché lo spettacolo del 
supplizio di Luigi XVI, che é il soggetto della quarta scultura, e più ter- 
ribile degli altri, dubita il p. d'aver lena bastante per poterlo cantare. 

218. Un dolente, ecc. : Il figlioletto di Luigi XVI. Commovente e bella è 
questa scena, sebbene sia una ripetizione più particolareggiata dell'altra de- 
scrizione del supplizio del re che e nel canto 11. 

220. E sì ali dica, ecc. : « Il poeta in queste terzine pose in versi alcune 
sentenze del testamento di Luigi XVI » (Mt.). 



IN MORTE DI UGO BASSVILLE. 127 

Mai lo stolto desir l'alma t'invogli. 225 

E se l'ira del ciel si tristo dono 
Faratti, il padre ti rammenta, figlio: 
Ma serba a chi l'uccide il tuo perdono. 

Questi accenti parea, questo consiglio 
Profferir l'infelice, e chete intanto 230 

Gli discorrean le lagrime dal ciglio. 

Piangean tutti d'intorno: e dall'un canto . 
Le fiere guardie impietosite anch'esse 
Sciogliean, poggiate sulle lance, il pianto. 

Cotai sul vaso acerbi fatti impresse 233 

L'artefice divino; e, se vietato, 
Se conteso il dolor non gliel avesse, 

Il resto de' tuoi casi effigiato 
V'avria pur anco, re tradito, e degno 
Di miglior scettro e di più giusto fato. , 210 

E ben lo cominciò: ma l'alto sdegno 
Quel lavoro interruppe, e alla pietate 
Cesse alfin l'arte ed all'orror l'ingegno. 

Poiché, di doglia piene e d'onestate, 
Si fùr l'alme due dive a quel feroce 215 

Spettacolo di sangue approssimate, 

Sul petto delle man fero una croce; 
E, sull'illustre estinto il guardo fise, 
Senza moto restarsi e senza voce, 

Pallide e smorte come due recise 250 

Caste viole due ligustri occulti 
Cui né l'aura, né l'alba ancor sorrise, 

Poi con lagrime rotte da' singulti 
Baciar l'augusta fronte, e ne serraro 
Gli occhi nel sonno del Signor sepulti; 255 

Ed, il corpo composto amato e caro, 
Vi pregar sopra l'eterno riposo, 
Disser l'ultimo vale, e sospiraro. 

E quindi in riverente atto pietoso 
Il sacro sangue, di che tutto orrendo 260 

Era intorno il terreno abbominoso, 

Nell'auree tazze accolsero piangendo; 
Ed ai quattro guerrier vestiti a bruno 
Le presentar spumanti; una dicendo: 

225. Mai lo stolto, ecc.: Virgilio, Georg. 1, 37: « Nec t ibi regnano i veniat 
tam dira cupido ». 

231. Discorrean: Scorrean giù (lat.). 

213. Ed all'orror, ecc. : L'arte e l'ingegno del divino artefice furon vinti 
dalla pietà dei casi del re infelice e dall orrore del terribile delitto. 

245. Due dive: La Fede e la Carità. 

251. Ligustri: Gigli. 

263. Ai quattro guerrieri: Ai quattro angeli di morto. 



• ,'-r 



128 PARTE UT. 

Sorga da questo sangue un quaicheduno sgs 

Vendicator, che col ferro e col foco 
In segua chi lo sparse: né veruno 

Del delitto si goda, né sia loco 
Che lo ricovri: i flutti avversi ai flutti, 

I monti ai monti, e Tarmi all'armi invoco. ero 
Il tradimento tradimento frutti: 

L'esiglio, il laccio, la prigion, la spada 
Tutti li pena e li disperda tutti. 

E chi situi più sangue per man cada 
D'una virago, ed anima funebre -275 

A dissetarsi in Acheronte vada. 

E chi, riarso da superba febre, 
Del capo altrui si fea^sgabetttral soglio 
Sul patibolo chiuda le palpebre, 

E gli emunga il carnefice l'orgoglio : ssa 

Né ciglio il pianga; né cor sia, che fuora 
Del suo tardi morir, senta cordoglio. 

La veneranda dea parlava ancora; 
E già fuman le coppe, e a quei campioni 

II cherubico volto si scolora; *s:> 
Pari a quel della luna, allor che proni 

Ruota i pallidi raggi e in giù la tira 
Il poter delle tessale canzoni. 

E Tocchio sotto Telmo un terror spira, 
Che buia e muta l'aria ne divenne, 203 

E tremò di quei sguardi e di quell'ira. 

Dei quattro opposti venti in su le penne 
Tutti a un tempo fèr vela i cherubini, 
Ed ogni vento un cherubin sostenne. 

Già il sol levava lagrimoso i crini 293 

205. Sorga, ecc.: Virgilio, Aen. iv,625: « Exor.are aliquis nostris ex os- 
sibus ultor, Qui face Dardanidos ferroque sequare colono» . . . Li torà lito- 
ri bus contraria fluctibus undas Imprecor, arma armis ». 

275. Una virago : La nobile fanciuUa Carlotta Corday di Caen in Norman- 
dia, viscontessa d'Orfet, donna di virili sensi {virago] attinti alla storia e 
ai forti esempi di Roma antica. Uccise 11 13 luglio 1793 Gian Paolo Marat, 
il più sanguinario e ardente giacobino nel periodo del Terrore. 

277. E ohi, ecc. : Massimiliano Robespierre (n. ad Arras nel 1759) che col 
favore della plebe iniziò il Terrore il 10 marzo 1793. Accusato di aspirare 
alla dittatura {al soglio), fu dalla Convenzione dichiarato fuori della legge 
ed ebbe emunto l'orgoglio sul patibolo il 27 luglio del '01. 

286. Proni: Inclinati, bassi. 

288. Tessale canzoni: La Tessaglia, per ricordo della maga Medea, era 
ritenuta dai poeti la sede delle più celebri incantatrici. Canzoni ha qui il 
senso di carmina (incantesimi). 

293. Fer vela: Immagine tolta dall'arte marinaresca: spiegaron le ali. 

295. Già il sol. ecc. : Perifrasi del tramonto del sole: dai Mauri o Mau- 
ritani, antichi abitatori delle coste dell'Affrica settentrionale, designa l'O- 
ceano Atlantico in cui tramonta il sole. Nella Musog. 358 chiama 17 Oceano 
Atlantico « Tonda in cui si corca il sole ». 

Lagrimoso: Per le spaventose cose da lui visto nel suo corso, 



IN MORTE DI UGO BÀSSVILLE. 129 

Nell'onde maure, e dal timon. sciogliea 
Impauriti i eorridor divini; 

Che la memoria ancor retrocedea 
Dal veduto delitto; e chini e mesti 
Espero all'auree stalle i conducea; 300 

Mentre la notte di pensier funesti 
E di colpe nutrice e di rimorsi 
Le mute riprendea danze celesti : 

Quando per l'aria cheta erte levòrsi 
Le quattro oscure vision tremende, 305 

E Tuna all'altra teoea vólti i dorsi. 

Giunte là dove la folgore prende 
L'acuto volo e furibonda il seno 
Della materna nuvola scoscende, 

In versero le coppe; e in un baleno 310 

Imporporossi il cielo e delle stelle 
Livido fessi il virginal sereno. 

In versero le coppe; e piobber quelle 
11 fatai sangue, che tempesta roggia 
Par di vivi carboni e di fiammelle. 315 

Sotto la strana rubiconda pioggia 
Ferve irato il terren che la riceve, 
E rompe in fumo: e il fumo in alto poggia, 

E i petti invade penetrante e lieve 
E le menti mortali, e fa che d'ira 220 

Alto incendio da tutte si solleve. 

Arme fremon le genti, arme cospira 
L'orto e l'occaso, l'austro e l'aquilone, 
E tutta quanta Europa arme delira. 

300. Espero : La stella di Venere che spunta la sera (inzipoì). — i: li, cioó 
i cavalli del sole. 

302. E di colpe, ecc. : Anche il PARiNinel Giorno la dice* di tenebre in- 
volta e di perigli » {Notte, 4), alla sua ombra, aggiunge, passeggia le vie il 
« sospettoso adultero ». 

301. Leverai: Si levarono. Ertk, ritte in piedi (V. la n. a p. 103). 
307. Là dove, ecc. : Nell'alta aria da cui parte il fulmine. 

309. Scoscende: Dante, Inf. xiv, 133: « Se subito la nuvola scoscende ». 

310. Inversero, ecc. : Rovesciarono le tazze effigiate. Anche il Varano, 
Via. vii, Immagina che un Angelo salga al cielo, versi in un turibolo 1 
lampi deirira divina e poi lo rovesci si che una strìscia dell'ira di Dio 
scenda sulla terra a produrre il terremoto di Lisbona. Questa immagina- 
zione, come forse anche quella del Monti, risale all'Apocalisse, cap. vili: 
« Accepit Angelus thuribulum, et implevit illud de igne altaris, et misitin 
terram ; et facta sunt tonitrua, et voces. et fulgura, et terremotus magnus ». 

314. Roggia: Rossa infuocata: dal latino rubens e rubeus. L'usa spesso 
Dante, come nel Pitrg. ni, 17 : « Fiammeggiava roggio », e nel Par. xiv, 87. 

322. Arme fremon : V. la nota 53 alla p. 27. 

324. Europa, ecc.: Le più forti nazioni d'Europa, Austria, Russia, Prus- 
sia, Inghilterra, a cui si aggiunsero l'Annover, la Spagna e il Piemonte, nel 
1794 si collegarono in armi contro la francese repubblica, temendone gli 
eccessi. Delirare: E qui transit., noi senso che la in latino. Cfr. Orazio, 

Monti. — Poesie. 



130 PARTE ni. 

QuincTescono del fier settentrione 325 

L'aquile bellicose, e coll'artiglio 
Sfrondano il franco tricolor bastone. 

Quinci move dell'anglico coviglio 
11 biondo imperator della foresta 
Il tronco stelo a vendicar del giglio. 330 

Al fraterno ruggito alza la testa 
L'annoverese impavido cavallo 
E il campo colla soda unghia calpesta. 

D'altra parte sdegnosa esce del vallo 
E maestosa la gran donna ibera 335 

Al crudele di Marte orrido ballo; 

E, scossa la cattolica bandiera, 
In su la rupe pirenea s'aflaccia, 
Tratto il brando e calata la visiera ; 

E la celtica putta alto minaccia, 310 

E l'osceno berretto alla ribalda 
Scompiglia in capo e per lo fango il caccia. 

Ma del prisco valor ripiena e calda 
La sovrana dell'Alpi in su l'entrata 
Ponsi d'Italia, e ferma tiensi e salda; 313 

E alla nemica la fatai giornata 
Di Guastalla e d'Assietta ella rammenta 
E l'ombra di Beilisle invendicata, 

Kp. in . 146 : « Quidquid delirant reges », e Carducci, Al Clitunno, 134 : 
« Ei delirare- atroci Congiungimenti di dolor con Dio ». 

326. L'aquile bellicose: « L'aquila é l'arme delle tre grandi monarchie del 
nord, Austria, Russia e Prussia » (Mt.j. 

327. Il franco, ecc. : L'albero della liberta che aveva tre colori , bianco, 
rosso e azzurro. 

329. Il biondo, ecc. : Il p. si piace di riprendere qui il v. 87 della Bellezza 
dell'Universo: « L'arme dell'Inghilterra é un leone, quella dell 'Eie Morato, 
ora regno di Annover, é un cavallo. Il p. chiama fraterno il ruggito del 
Leone d'Inghilterra, rispetto al Cavallo d 'Annover, perché ambedue questi 
stati appartengono alla casa di Brunsviek » (Mt.). 

330. A vendicar del giglio A vendicare la monarchia di Francia la cui 
arma erano i gigli d'oro. 

333. Colla soda unghia, ecc.: Virgilio, Aen. vili, 596: « Quadrupedante 
putrem sonitu quatit ungula campum ». 
335. La gran donna, ecc. : La Spagna. 
337. Cattolica: I re di Spagna, da Ferdinando d'Aragona in poi, si dissero 

C*Q.ttOl\PÌ 

310. Celtica putta: Cosi con efficace dispregiativo designa la Repubblica 
francese. 

311. L'osceno berretto: Il berretto frigio. 
314 La sovrana ecc * Il Piemonte. 

347. Di Guastalla e d'Àssietta: « Nella battaglia che avvenne il giorno 19 
di novembre dell'anno 1734 a Guastalla, i Francesi, in quell'anno medesimo 
già _ 
rotta 



gna 




Nel 1747 il cavaliere di Belle-IsJe, fratello del maresciallo di questo nome, 
volendo segnalarsi con qualche impresa, tentò di penetrare in Italia per le 
Alpi dalla parte di Susa. Ma giunto al passo dell'Assietta s'incontrò coi Pie- 



IN MORTE DI UGO BASSVILLK. 131 

Che rabbiosa s'aggira e si lamenta 
In vai di Susa e arretra per paura 350 

Qualunque la vendetta ancor ritenta. 

Mugge fra tanto tempestosa e scura 
Da lontan Tonda della sarda Teti, 
Scoglio del franco ardire e sepoltura. 

Mugge Tonda tirrena irrequieti 353 

Levando i flutti, e non aver si pente 
Da pria sommersi i mal raccolti abeti. 

Mugge Tonda d'Atlante orribilmente, 
Mugge Tonda britanna; e al suo muggito 
Rimormorar la baltica si sente. 3G0 

Fin dall'estremo americano lito 
Il mar s'infuria, e il lusitan n'ascolta 
Nel buio della notte il gran ruggito. 

Sgomentassi, ristette, e a quella volta 
Drizzò l'orecchio di Bassville anch'essa 3G3 

L'attonit 'ombra in suo dolor sepolta. 

Palpitando ristette: e alla convessa 
Region sollevando la xjupilla 
Traverso all'ombra sanguinosa e spessa, 

Aide in su per la truce aria tranquilla ero 

Correr spade infocate; ed aspri e cupi 
N'intese i cozzi ed un clangor di squilla. 

Quindi gemere i boschi, urlar le rupi 
E piangere le fonti e le notturne 
Strigi solinghe, e ulular cagne e lupi; 373 

E la quiete abbandonar dell'urne 
Pallid'ombre fur viste, e per le vie 

montcsi die lo attendevano, difesi da altissime e ben munite trincee La 
pugna fu micidiale e disperata ; i Piemontesi, quantunque minori di numero,, 
avevano il vantaggio dei luo«o, e per ben due ore fecero macello dei Fran- 
cesi, a' quali soprastavano. Il cavaliere di Belle-Isle diede non ordinarie 
prove di valore e Analmente ricevette l'ultimo colpo ...» (Mt.). 

350. Arretra . In senso transit., fa tornare indietro. 

353. La sarda Teti: Il mar di Sardegna. Per la terza volta accenna alla 
distruzione della flotta francese sulle coste di Sardegna avvenuta nel 17W2. 

357. I mal raccolti abeti: Le navi raccolte a suo danno. Mal, come spesso 
in Dante, vale con lor danno. Cfr. anche Parini, A Silvia, 53: « Poi che la 
spola e il frigio Ago e gli studi cari Mai si recaro a tedio ». 

360. La baltica: L'onda del mar Baltico. 

302. Il lusitano: 11 Portoghese, così detto dai Lusitani, antichi abitatori 
del Portogallo. 

367. Alla convessa region: Al cielo. 

370. Vide, ecc. : In questo passo imita Virgilio che nelle Georg, i, 476 e 
sgg., enumera i portenti che seguirono la morte di Cesare : « Vos quoque 
por lucos vulgo exaudita silentes Ignes, et simulacra modis pallencia miris, 
Visa sub obscurum noctis pecudesque locutae Infandum ! sistunt amnes 
tcrraeque deniscunt Et maestum illacrimat templis ebur aeraque sudane ». 

372. Clmgor di squilla : Suono di tromba. % 

374. E le notturne strigi, ecc. : Le strigi sono i gufi : Virgilio, Geora. i, 
470: « Obscenaeque canes importunaeque volucres Signa dabant ... ». 



132 PARTE III. 

Vagolar sospirose e taciturne; 

Starsi i fiumi, sudar sangue le pie 
Immagini de' templi, ed involato 3so 

Temer le genti eternamente il die. 

pietosa mia guida, che campato 
M'hai dal lago d'Averno, e che mi porti 
A sciogliere per gli occhi il mio peccato ; 

Certo di stragi e di sangue e di morti 3S3 

Segni orrendi vegg'io : ma come ? e d'onde ? 
E a chi propizie volgeran le sorti ? 

Al suo duca sì disse, e avea feconde 
Di pianto la francese ombra le ciglia. 
Vienne meco, e il saprai, l'altro risponde; 

Ed amoroso per la man la piglia. 



378. Vagolar : Vale andar vagando e si disse sempre di spiriti. Il Foscolo 
l'usò anche a proposito di persona viva nei Sepolcri^ 71 : « Forse tu fra 
plebei tumuli guardi Vagolando ove dorma il sacro capo Del tuo Parini 1 ». 

384. Sciogliere ... il mio pecoato : Come il solvere poenam dei latini vale 
qui scontare il peccato commesso. 

391. Qui rimase interrotta la cantica, probabilmente per le fortunose vi 
cende politiche d'allora che rendevano ormai impossibile al p. di continuare 
a rampognare la novella repubblica di Francia, che invece era riuscita vit- 
toriosa. Di questa interruzione ecco che cosa dice in una lettera del primo 
ottobre 1794 a Francesco Torti: « Ho anche voglia di mandarvi un saggio 
già stampato della, min Musogonia succeduta al sonno forse eterno del poema 
Bassvilliano.. Dico eterno, perché il rovescio delle vicende d'Europa distrugge 
tutto il mio piano, e non lascia più veruna speranza di fine al Purgatorio 
del mio povero eroe (Epist. ed. , Resnati , p. 86) e in un' altra lettera al 
Galeani Napione dice: « Quando io considero d'aver cacciato il povero 
Bassville in un Purgatorio, ove non é più redenzione, m'assale un timore 
che anche questa volta mi manchi l'acqua sotto la barca » (Lettere ined. e 
sparse, ed. Bert. e Mazz., I, p. 230). 



In morte di Lorenzo Mascheroni. 

CANTICA 



La cantica, che ha anche il nome di Mascheronìana, fu composta nel 1800 
e trae occasione dalla morte del Mascheroni avvenuta il 19 luglio di quel- 
l'anno, appena un mese dopo la battaglia di Marengo. — Lorenzo Macche- 
roni nacque a Castagneta in quel di Bergamo il 13 maggio 1750. Fattosi sa- 
cerdote, insegnò belle lettere e filosofia nel seminario di Bergamo, poi ma- 
tematiche nell'Università di Pavia. Nel 1797 fece parte del corpo legislativo 
in Milano, e nel '98 della Commissione universale di pesi e misure che si 
adunò a Parigi. Quando gli Austro-Russi occuparono la Lombardia, cadde 
in bassa fortuna, nella quale generosamente lo sovvenne il celebre matema- 
tico francese Lagrange. Mori, come abbiamo detto, in Francia ove si era 
rifugiato, senza poter rivedere l'Italia che Napoleone colla battaglia di Ma- 
rengo aveva liberato dagli Austro- Russi. Scrisse non poche opere di mate- 
matica e una bella cantica. L'invito , ch'egli mandò alla poetessa arcade 
Lesbia Cidonia, sotto il qua! nome si celava la contessa Paolina Secco -Suardo 
Grismondi di Bergamo, perché si ricordasse che aveva promesso al p. di 
andare a visitarlo a Pavia, ove le avrebbe fatto vedere le rarità scientifiche 
che erano racchiuse in quei ricchi musei universitari (11 poemetto insieme 
con altre poesie e prose inedite del Mascheroni é stato recentemente ristam- 
pato da C. Caversazzi, Bergamo, Arti Grafiche, 1903. In questo libro sono 
anche molte e buone notizie sul Mascheroni e sulla Grismondi). Il Monti 
preludendo a questa cantica, cosi dice del Mascheroni : « Insigne matema- 
tico, leggiadro poeta ed ottimo cittadino, egli ha giovato alla patria illu- 
strandola co' suoi scritti, conquistando nuove e pei egrine verità all'umano 
intendimento, provocando con gli aurei suoi versi il buon gusto sulla pri- 
mogenita e più sacra di tutte le arti, nella quale son pochi tuttavia i sani 
di mente e molti i farnetici e ciurmadori } egli ha giovato finalmente alla 
patria lasciandole l'esempio delle sue virtù ». Ma il compianto del Masche- 
roni gli serve anche d'occasione per fare un doloroso quadro delle sciagure 
d'Italia che i falsi repubblicani laceravano : « Guai a colui che a' di nostri 
ha occhi per vedere e non ha cuore per fremere o lagrimare ! Lettore, se 
altamente ami la patria e sei verace italiano , leggi : ma getta il libro, se 
per tua e nostra disavventura tu non sei che un pazzo demagogo o uno 
scaltro mercatante di libertà », e in una lettera del 18 agosto 1800 scriveva 
all'amico Bernardini : « Molti ne rimarranno scottati ; ma é giunto il tempo 
d'una onorata vendetta : e per Dio ! me la voglio prendere per istruzione 
della mia patria lacerata da tanti birbanti » (Epistolario Resnati, p. 100). Lo 
Zumbini, p. 76, ne diceva : « Si vede bene ch'egli dovette esser commosso 
più fortemente che mai dal suo soggetto, e posseduto da un dolore e da 
uno sdegno assai più veri, che non quelli di cui fece pompa per i delitti 
della rivoluzione francese e il supplizio di Luigi XVI » e giusto é il giudi- 
zio che ne dà (p. 189) :«.... questo poema a me sembra migliore della 
Bassvilliana ... ». In questa . . . é sempre minore l'esuberanza, minore il 
rimbombo, più castigatezza e temperanza in tutto. Nonostante tali ed altri 
più squisiti pregi, la « Mascheroniana » levò minor grido, ed ancor oggi e 
meno letta dell'altra cantica ». 

Contenuto. — S'apre il canto colla descrizione della morte del Mascheroni. 
Intorno al cadavere di lui stanno dolenti le sue pregiate virtù. L'anima sua, 
levatasi a volo verso il cielo, riceve invi o dalle più fulgenti stelle, ma, in- 
contrato lo spirito del matematico francese Borda, vien da quello condotta 
nella costellazione della Lira. Là trova lo Spallanzani e il Parini. il quale 
narra doglioso le sciagure che affliggono l'Italia e per le quali bramò morire. 



134 t*ARTE III. 



CANTO PRIMO. 

Come face al mancar dell'alimento 
Lambe gli aridi stami, e di pallore 
Veste il suo lume ognor più scarso e lento ; 

E guizza irresoluta, e par che amore 
Di vita la richiami, intìn che scioglie r> 

L'ultimo volo e sfavillando muore: 

Tal quest'alma gentil, che morte or toglie 
All'italica speme e su lo stelo 
Vital, che verde ancor fioria, la coglie, 

Dopo molto affannarsi entro il suo velo io 

E anelar stanca su l'uscita, alfine 
L'ali aperse e raggiando alzossi al cielo. 

Le virtù, che diverse e pellegrine 
La vestir mentre visse, il mesto letto 
Cingean, bagnate i rai, scomposte il crine, 13 

Della patria l'Amor santo e perfetto, 
Che amor di figlio e di fratello avanza, 
Empie a mille la bocca, a dieci il petto: 

L'Amor di libertà, belio se stanza 
Ha in cor gentile, e, se in cor basso e lordo, 23 

Non virtù, ma furore e scelleranza : 

L'Amor di tutti, a cui dolce è il ricordo 
Non del suo dritto, ma del suo dovere, 
E l'altrui bene oprando al proprio è sordo: 

Umiltà, che fa suo l'altrui volere: 25 

Amistà, che precorre al prego e dona, 

1. Come face: ecc.: Questa similitudine ha versi cosi belli che in un 
pranzo a cui era presente anche il Byron, furono ritenuti 1 più belli elio 
da un secolo si fossero composti in ogni lingua; ma non é nuova E già il 
Petrarca, Trionfo d. Morte, 1, 162 : « Se n'andò in pace l'anima contenta; 
A guisa d'un soave e chiaro lume Cui nutrimento a poco a poco manca ... », 
il Tasso, Ger. Lib. xiv, 22: « Come face rinforza anzi l'estremo Le fiamme 
e luminosa esce di vita », e Lorenzo de Medici, son. xxvi : « Come lucerna 
all'ora mattutina, Quando manca l'umor che '1 fuoco tiene, Estinta par, poi 
si raccende, e viene, Maggior la fiamma, quando al fin più inchina », il Va- 
rano, Vis., v, 510, I'Ariosto, Ori. Fm\, xxvt, 85, e il Marino, Ad., vii, 51. 

7. Quest'alma: L'anima del Mascheroni. 

9. Verde, ecc. : Aveva appena cinquanta anni. 

10. Velo: Il corpo che ben si dice velo dell'anima. 

13. Le virtù, ecc. : Le virtù del morto personificate cingono meste il 
letto. 

17. Avanza : Supera. 

21. AJ proprio è sordo: Bene é qui designato l'amore filantropico, che più 
che i diritti ricorda i doveri e sacrifica il proprio bene per quello degli 
altri. 

26. Precorre., ecc. : Dante dice della Madonna : « La tua benignità non pur 
soccorre A chi dimanda, ma molto fiate Liberamente al dimandar precorre ». 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 135 

E il dono asconde con un bel tacere: 

Poi le nove virtù che in Elicona 
Danno al muto pensier con aurea rima 
L'ali, il color, la voce e la persona : :ìo 

Colei che gl'intelletti apre e sublima, 
E col valor di fìnte cifre il vero 
Valor de' corpi immaginati estima: 

Colei che li misura, e del primiero 
Compasso armò di Dio la destra, quando 35 

Il grand'arco curvò dell'emispero, 

E spinse in giro i soli, incoronando 
L'ampio creato di fiammanti mura, 
Contro cui del caosse il mar mugghiando 

E crollando le dighe entro la scura io 

Eternità rimbomba e paurosa 
Fa del suo regno dubitar natura. 

Eran queste le dee che lamentosa 
Fean corona alla spoglia che d'un tanto 
Spirto di vita nel cammin fu sposa. r> 

Ecco il cor, dicea l'uria, in che sì santo 
Sì fervido del giusto arse il desiro: 
E la man pose al core, e ruppe in pianto. 

Ecco la dotta fronte onde s'aprirò 
Sì profondi pensieri, un'altra disse: 50 

E la fronte toccò con un sospiro. 

Ecco la destra, ohimè !, che li deferisse. 
Venia sclamando un'altra: e baci ardenti 
Su la man fredda singhiozzando affisse. 

Poggia intanto quell'alma alle lucenti 55 

Sideree rote, e or questa spera or quella 
Di sua luce l'invita entro i torrenti. 

Vieni, dicea del terzo ciel la stella: 

27. Con un bel tacere: Bene oppresse questo concetto il Manzoni n.'lla Pen- 
tecoste: « A cui fu dato in copia Doni con volto amico Con quel tacer pu- 
dico Che accetto il don ti fa », come dice la Bibbia, Matteo, vi, 2 : « Quando 
fai limosina, non far sonar la trombi dinanzi a te ». 

28. Le nove Virtù: Lo nove Muse. 

29. Danno al muto, ecc. : Fissano e danno vita al pensiero, come con versi 
ugual mento belli aveva detto della scrittura nelle Nozze di Cadmo e d'Er- 
mione. 

31. Colei : La matematica. 

34. Colei : La geometria. 

35. Armi di Dio, ecc. : Questi versi sono imitati dal Parad. Perd. de* Mil- 
ton, e. vii, 210 e sgg. Cfr. coi versi assai simili della Bell, deiruniv. 84 e s<rg. 

40. Crollando : Usato attivamente, come in Dante, Purg., v, M : « Sta come 
torre fermo che non crolla Giammai la cima uer soffiar di venti ». 

52. Li descrisse : Descrisse i pensieri delia ciotta fronte nelle sue opero 
scientifiche e letterarie. 

55. Poggia: Si leva a volo verso lo rotanti sfere celesti, ciascuna delle 
quali a sé l'invita. 

38. Del terzo oiel la stella : Venero, che secondo il sistema tolemaico é il 
terzo cielo e sede degli spiriti amanti, come vuole Dante. 



136 PARTE III. 

Qui di Valchiusa è il cigno, e meno altera 

La sua donna con seco e assai più bella; 60 

Qui di Bice il cantor, qui l'altra schiera 
De' vati amanti ; e tu, cantor lodato 
D'un'altra Lesbia, ascendi alla mia spera. 

Vien, di Giove dicea l'astro lunato: 
Qui riposa quel grande che su l'Arno 65 

Me di quattro pianeti ha coronato. 

Vien quegli occhi a mirar che il ciel spiamo 
Tutto quanto, e, lui visto, ebber disdegno 
Veder oltre la terra e s'oscurarno. 

Tu, che dei raggi di quel divo ingegno 70 

Filosofando ornasti i pensier tui, 
Vien; tu con esso di goder se' degno. 

Ma di rincontro folgorando i sui 
Tabernacoli d'oro apriagli il sole; 
E, vieni, ei pur dicea, resta con nui. 75 

Io son la mente della terrea mole, 
Io la vita ti diedi, io la favilla 
Che in te trasfuse la giapezia prole. 

Rendimi dunque l'im mortai scintilla 
Che tua salma animò; nelle regali so 

Tende rientra del tuo padre, e brilla. 

D'italo nome troverai qui tali 
Che dell'uman sapere archimandriti 

59. Di Va chiusa il cigno : il Peti arca clic amò Laura e. di lei innamorato, 
dimorò a limerò nella solitudine di Valchiusa presso Avignone. 

60. E assai più bella: Petrarca, P. ii, son. 34: « Ivi fra lor che il terzo 
cerchio serra La rividi più bella e meno altera ». 

61. Di Bice il cantor: Dante. 

63. D'un'altra Lesbia : Lesbia Cidonia. Cosi si chiamava in Arcadia la Gri- 
smondi, che qui dice seconda Lesbia, dalla prima che fu cantata da Ca 
tulio. 

64. L'astro lunato : Il pianeta Giove ha quattro satelliti o lune scoperte 
da Galileo {quel grande che su l'Arno Me di quattro pianeti ha coronato). 

67. Spiamo: Spiarono, investigarono. In tal senso l'usò il Foscolo nelle 
Grazie, Inno, 1, 12, pure di Galileo che sedeva a spiar l'astro Della loro 
regina. 

69. S'oscurarno : I suoi occhi ebbero a sdegno di vedere ancora di più a 
terra e divenne cieco. 

76. La mente: L'anima della terra. 

78. La Giapezia prole : Prometeo ed Epimeteo . tìgli di Giapcto , furono i 
creatori degli animali e il primo, tolta una favilla al sole, ne animò il corpo 
de .l'uomo, come il p. cantò nel Prometeo. 

80. Tua salma animò: « Il p. sc^ue u dottrina di Platone ... il quale pen- 
sava che le anime fossero state distribuite da Dio nei pianeti, donde per 




primi 

'81. Nelle regali tende: Nelle lucenti plaghe del sole che sopra ha chiamato 
con immagine simile : « tabernacoli d oro ». 

83. Archimandriti: Propriamente capi di mandria, ma qui vale principi, 
capi. Nella canz. Per un dipinto dell'Agricola rappree. te guattito donne 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 137 

Al tuo pronto intelletto impennar Tali. 

Colui che strinse nei suoi specchi arditi 85 

Di mia luce gli strali e fé' parere 
Cari a Marcello di Sicilia i liti; 

Primo quadrò la curva dal cadere 
De* proietti creata, e primo vide 
li contener delle contente sfere. oo 

Seco è il Calabro antico, che precide 
Alle mie rote il giro e del mio figlio 
La sognata caduta ancor deride. 

Qui Cassin, che in me tutto affisse il ciglio 
Fortunato così, ch'altri giammai 05 

Non fé' più bello del veder periglio; 

Qui Bianchin, qui Riccioli, ed altri assai 
. Del ciel conquistatori, ed Orfano 
L'amico tuo qui assunto un dì vedrai; 

Lui che primiero dell'intatto Urano 100 

Coi numeri frenò la via segreta, 
Orian degli astri indagator sovrano. 

Questi dal centro del maggior pianeta 
Uscian richiami, e: Vieni, anima dia, 

amate da Dante, Petrarca, ecc., chiama questi : « Dell'italiche Muse archi- 
mandriti ». 

84. Impennar l'ali : Dante, Par., xv, 54 : « All'alto volo ti vestir le piume ». 

85. Colui: Archimede siracusano, celebre matematico e fisico che in- 
ventò gli specchi ustorii, coi quali potè bruciare le navi dei Romani e ho 
assediavano Siracusa. 

87. Maroello: M. Claudio Marcello ebbe molto a penare per prendere Si- 
racusa che solo dopo tre anni d'assedio cadde in potere dei Romani nel 212 av . e. 

8S. Primo quadrò la curva : Archimede per primo trovò la quadratura 
della parabola. 

89. Primo vide: Primo trovò il rapporto fra il cilindro e la sfera iscritta. 
— Contente : è sincope di contenute, come in Dante, Inf., n, 77 e altrove. 

91. Il Calabro antico : Filolao, filosofo vissuto verso il 475 av. C. nella Ma- 
gna Grecia, di cui faceva parte l'odierna Calabria. — Precide : Tronca (lat.): 
Dante, Par., xxx, 28 : « Non é il seguire al mio cantar preciso ». 

92. AUe mie rote : Filolao primo insegnò il moto annuo de la terra in- 
torno al sole. — Del mio figlio: Uno scienziato non poteva che farsi bello 
della caduta di Fetonte che mal seppe « carreggiar » il carro di suo padre, 
il Sole. 

94. Cassin: Gian Domenico Cassini di Nizza (1625-1712), studiò le mac- 
chine solari e le parallassi del sole. 

96. Periglio: Prova, esperimento, nel senso quindi che talvolta ha in la- 
tino periculum. 

97. Bianchin : Monsignor Francesco Bianchini (1662-1729) di Verona, scien- 
ziato illustre, autore della Istoria universale provata con monumenti e 
figurata con simboli degli antichi. — Riociòli: Giambattista Riccioli (1598- 
1671) di Ferrara, astronomo insigne e autore della Cronologia reformata* 
opera eruditissima. 

98. Orlano: Barnaba Oriani (1762-1833), astronomo milanese, amico del 
Monti e del Mascheroni. 

100. Lui , che , ecc. : Con questi versi rese il p. la dovuta giustizia al- 
l'Oriani che per primo stabili la legge del moto di Urano, della quale sco- 
perta, approntandosi della sua modestia, si giovò, dandola per sua, l'astro - 
nomo francese Delhambre. 

101. Dia: Lucente: « Luce più dia, spera più dia, region dia, usò 



138 PARTE III. 

Par ch'ogni stella per lo ciel ripeta. 105 

Sì dolce udiasi intanto un'armonia, 
Che qual più dolce suono arpa produce 
Di lavoro mortai mugghio saria. 

E il sol sì viva saettò la luce, 
Che il più puro tra noi giorno sereno 110 

Notto agli occhi saria quando è più truce. 

Qual tra mille fioretti in prato ameno, 
Vago parto d'aprii, la fanciulletta, 
Disiosa d'ornar la tempia e il seno, 

Or su questo or su quel pronta si getta, 115 

Vorria tutti predarli, e li divora 
Tutti con gli occhi ingorda e semplicetta; 

Tal quell'alma trasvola, e s'innamora 
Or di quei raggio ed or di questo, e brama 
Fruir di tutti, e niun l'acqueta ancora: 120 

Perocché più possente a so la chiama 
Cura d'amore di quei cari in traccia 
Che amò fra' vivi e più fra gli astri or ama. 

Ella di Borda e Spallanzan la faccia 
E di Par in sol cerca; ed ogni spera 125 

N'inchiede, e prega che di lor non taccia. 

Ed ecco a suo rincontro una leggiera 
Lucida fiamma, che nel grembo porta 
Una dell'alme di cui fea preghiera. 

Qual fu suo studio in terra, ivi l'accorta 130 

Misurando del cielo alle vedette, 
L'arco che l'ombra fa cader più corta. 

— Oh mio Lorenzo ! — Oh Borda mio! — Fur detto 

Dante, xiv [3i|, xxin [ 107], xxvi ( lo] del Paradiso^ e dias luminis auras 
disse Lucrezio, lib. 1, v. 22 e altrove dia pabulo,, dia otia » (Mt.). 

107. Che qual, ecc. : Dante, Par., xxiii, 07 : « Qualunque melodia più dolce 
suona Quaggiù . . . Parrebbe nube che squarciata tuona ? Comparata al so 
nar di quella lira ». Qual indefinito é frequente nei poeti : Petrarca canz. 
alV Italia: « Qual io mi sia per la mia lingua s'oda ». 

118. Trasvola: Passa innanzi volando. 

122. Di quei cari, ecc. : L'anima del Mascheroni sente forte desiderio di 
rivedere fra gli astri coloro che tanto ebbe cari in terra, gli scienziati e i 
letterati a lui più amici. 

124. Borda: Bartolomeo Borda (1733-1799), matematico francese, amicissimo 
del Mascheroni che ne pianse la morte in una bella elegia composta nel 1799. 
— Spallanzan: Lazzaro Spallanzani (1729-1799), della provincia di Reggio Emi- 
lia, celebre naturalista, professore e direttore del museo dell'uni versila di 
Pavia. 

125 Parin: Giuseppe Parini (1729-1799), il celebrato autore delle Odi e del 
Giorno. 

128. Luoida fiamma: Si noti che anche per il modo di fare apparire queste 
anime il p. imita Dante che nel Paradiso raffigura le anime dei beati chiuso 
in lucenti fiammelle. 

131. Del cielo, ecc. : Dalle regioni più alte del cielo. 

132. L'arco, ecc. : Il meridiano. 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 139 

Queste, e non più, per lor, parole : il resto 

Disser le braccia al collo avvinte e strette. 133 

— Par ti trovo. — Pur giungi. — Io piansi mesto 
L'amara tua partita, e su latino 

Non vii plettro il mio duol fu manifesto. — 

— Io di quassù Tintesi, pellegrino 

Canoro spirto ; e desiai che ratto 110 

Fosse il voi che dovea farti divino. — 

— Anzi tempo, lo vedi, fu disfatto 
Laggiù il mio frale. — Il veggo, e nondimeno 
« Qual di te lungo qui aspettar s'è fatto ! — 

Così, confusi l'un dell'altro in seno, 113 

E alternando U parlar, spinser le piume 
Là dove fa la lira il ciel sereno ; 

D'Orfeo la lira, che il paterno nume 
D'auree stelle ingemmò, mentre volgea 
Sanguinosa la testa il tracio fiume, 150 

E, misera Euridice, ancor dicea 
L'anima fuggitiva, ed Euridice, 
Euridice, la ripa rispondea. 

Conversa in astro quella cetra elice 
Sì dolci suoni ancor, che la dannata 153 

Gente gli udendo si faria felice. 

Giunte a quell'onda d'armonia beata 
Le due celesti peregrine, un'alma 
Scoprir che grave al suon si gode e guata; 



131. Par lor: Da loro. 

135. Questo incontro affettuoso farà subito ricordare al lettore rincontro 
di Virgilio e Bordello nel vi del Purg. 

137. E su latino, ecc. : Allude all'elegia latina, che, come abbiamo detto, il 
Mascheroni compose per la morte del Borda. 11 plettro era una verghetta 
colla quale si suonavano le corde della lira. Qui vale per metonimia la lira 
stessa. 

141. Il vol^ La morte. 

142. Disfatto: Morto. Dante, Inf., vi, 42: « Tu fosti, prima ch'io disfatto, 
fatto ». 

148. D'Orfeo la lira: Orfeo fu mitico poeta di Tracia, amò la ninfa Euri- 
dice, mortala quale non volle cedere alle lusinghe delle altre donne tracio, 
le quali per vendetta lo fecero a brani in un'orgia bacchica e questi getta- 
rono neh'Ebro. Apollo collocò la sua lira fra gli astri e la Lira infatti è 
una costellazione che nasce tra settentrione e greco. — Il paterno nume: 
Apo lo che dalla musa Calliope aveva avuto Orfeo. 

149. Mentre volgea. ecc. : Virgilio, Georg., rv, 523 : « Tum quoque, mar- 
morea caput a cervice revulsum Gurgite quum medio portans Oeagrius 
Ilebrus volveret ... ». 

151. E misera Euridic3, ecc. : Virg., 1. e. « Enrydiccn vox ipsa et frigida 
lingua, Ah miseranti Eurydicen ! anima fugiente vocabat, Eurydicen toto 
referebant flamine ripae ». 

154. Elice : Trae fuori ,(lat.), Parini, Eduraz., 65 : « Quindi l'alta rettrice 
Somma virtude elice ». È pure frequente nel Petrarca , nel Tasso e nel 
Redi, son. x : « Forse dal volo a maggior volo elice ». 

158. Le due, ecc. : Il Mascheroni e ii Borda. 



140 PARTE III. 

Sovra un lucido raggio assisa in calma, 160 

L'un su l'altro il ginocchio e su i ginocchi 
L'una nell'altra delle man la palma. 

Torse ai due che veniéno i fulgid'occhi, 
Guardò Lorenzo, e in lei del caro aspetto 
Destarsi i segni dall'oblio non tocchi. igó 

Non assurse però ; ma con diietto 
La man protese, e balenò <T un riso 
Per la memoria dell'antico affetto. 

E ben giunto, lui disse: alfin diviso 
Ti se' dal mondo, da quel mondo u' solo 170 

Lieta ò la colpa ed il pudor deriso. 

Dopo il tuo dipartir dal patrio suolo, 
Io misero Parini il fianco venni 
Grave d'anni traendo e più di duolo. 

E poich'oltre veder più non sostenni 173 

Della patria lo strazio e la ruina, 
Bramai morire e di morire ottenni. 

Vidi prima il dolor della meschina 
Di cotal nuova libertà vestita, 
Che libertà nomossi e fu rapina. iso 

160. Calma : Voce spagnuola, che entrò nell'uso della nostra lingua nel 
cinquecento: veramente indica la tranquillità del mare, ma per traslato 
significò anche la tranquillità dell'animo. 

162. Delle man la palma: Nobile e bella ci é presentata dal p. la figura 
del Parini e tale si conserva in tutto il poema : « Il Parini . . . v'e atteggiato 
cosi da farci rammentare delle pagine che allo stesso consacrò il Foscolo 
nelT « Jacopo Ortis » : e nell'una dipintura come nell'altra quella immagine 
veneranda par che nobiliti tutto ciò che la circonda » (Zu.mmni, p. 195). 

163. Torse : Volse. 

166. Assurse: Si alzò. 

167. Balenò d'un riso : I poeti paragonano spesso il riso al lampo e al ba- 
leno. Il Petrarca nel son. Gli occhi dì ch'io ha « il lampeggiar dell'ange- 
lico riso », e nel Trionf. d. Morte, ti, 86, e il Tasso neìVAminta , 2: cosi 
Dante, Par. x vii, 17, ha: « raggiandomi d'un riso », e Pttrg., xxi, 114, ha: 
« il lampeggiar del riso », il Parini, nel Messaggio, 61 : « I labbri onde il 
sorridere Gratissimo balena », e woWEducaz., 10: « il riso saltella quasi 
lampo ardente fra i muscoli del viso ». 

169. Lui : A lui. È frequentissimo in Dante. 

170. D': dove. 

172. Il tuo dipartir: Nel 1798, dopo lo vit orie degli Austro-Russi in Italia, 
il Mascheroni esulò in Francia. 

174. Grave d'anni traendo : Il Parini soffri da vecchio gravi dolori alle 
gambe per cui a stento camminava e di questa sua infermità si duole special- 
mente nell'ode La caduta. Vien traendo il fianco chi per malattia o per 
fatica durata è affranto : Orazio, Ep. I, i, 9 : « . . . ridendus et ilia ducat », 
e Virgilio, Aen., v, 468 : « genua aegra trahentem » : il Petrarca nel son. 
Movesi il vecchierel, 6 : « Indi traendo poi l'antico fianco » , Tasso , Gcr, 
Lib., xn, 19 : « E per l'orme di lui l'antico fianco D'ogni intorno traendo », 
e ancora xn, 55 e xix, 28. 

177. Di morire ottenni : Mori infatti il 15 -agosto 1799 a Milano. 

180. Che libertà, ecc.: « Io amava la liberta (echi non l'amai), ma l'og- 
getto dell'amor mio era la libertà dipintami negli scritti di Cicerone e di 
Plutarco. Quella che trovai su gli altari in Milano mi parve una prostituta 
e ricusai d'adorarla » {Lett. al Bettinelli, p. 517, cit. dal Card.), e secondo 
quel che ne riferisce il primo biografo, il Cassi {Not. del Monti, p. 18 del 



IS MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 141 

Serva la vidi, e, ohimè !, serva schernita, 
E tutta piaghe e sangue al ciel dolersi 
Che i suoi pur anco, i suoi Tavean tradita. 

Altri stolti, altri vili, altri perversi, 
Tiranni molti, cittadini pochi, 185 

E i pochi o muti o insidiati o spersi. 

Inique leggi, e per crearle rochi 
Su la tribuna i gorgozzuli, e in giro 
La discordia co' mantici e co* fuochi, 

E l'orgoglio con lei, l'odio, il deliro, 190 

L'ignoranza, l'error, mentre alla sbarra 
Sta del popolo il pianto ed il sospiro. 

Tal s'allaccia in senato la zimarra, 
Che d'elleboro ha d'uopo e d'esorcismo; 
Tal vi tuona, che il callo ha della marra; 195 

Tal vi trama, che tutto è parossismo 
Di delfica mania, vate più destro 
La calunnia a filar che il sillogismo; 

Vile 1 e tal altro del rubar maestro 
A Caton si pareggia, e monta i rostri 200 

Scappato al remo e al tiberin capestro. 

Oh iniqui ! E tutti in arroganti inchiostri 
Parlar virtude, e se dir Bruto e Gracco, 
Genuzii essendo, Saturnini e mostri. 

voi. vili delle Opere del M. % Bologna, 1S2S) avrebbe detto: « sognai d'es- 
sere venuto alle nozze d'una bella e casta vergine, e mi sono svegliato nelle 
braccia d'una laida meretrice ». 

•187. Rochi : Quei demagoghi diventavano rochi per sostenere le inique 
leggi. Nello stesso senso nell'ode al Montgolfier, 51, disse: « rauche ipotesi ». 

191. Sbarra: La tramezza che separa ~i membri dell'assemblea dal pub 
blico degli spettatori. 

192. Cir. colla descrizione che fa nel Pericolo della demagogia repubbli 
cana nella Cisalpina. 

193. La zimarra: La 'toga di senatore. 

194. Che d'elleboro, ecc.: Che é pazzo, perché si credeva che l'elleboro 
guarisse la pazzia. — D'esorcismo : D'incantesimi, come si usano per gl'in- 
demoniati. 

196. Tal, ecc. : Abbastanza chiara é (ini l'allusione all'emulo del p., l'im- 
provvisatore romano Francesco Gianni (1750 -1822), gobbo, che da giovinetto 
lavorò di sarto. Più volte fra il gobbo improvvisatore, che pur aveva non 
comune ingegno, e il Monti di tanto superiore, arse aspra guerra (V. Intro- 
duzione, passim). Costui addentò il p. nel suo Proteone allo specchio, ove 
anche morse disonestamente la moglie dell'emulo; ma il Monti l'aveva as- 
salito con questo pungente epigramma: « Se sei sartore, come sci poeta, 
Poveri panni e disgraziata seta » , col quale epigramma rispondeva a un 
altro del Gianni non meno pungente : « Se canti in coro , come in Pindo 
canti, Povero Cristo e disgraziati santi ». 

197. Delfica mania: Era il Gianni preso da infrenabile mania di far versi. 
193. Tal altro: Giuseppe Lattanzi, nato a Nemi nel 1762 e morto a Roma 

nel 1822. Fu condannato a sette anni di galera per falsificazione di carte : 
cambiatagli la pena nella relegazione a Corncto, fuggì di là in Toscana. Per 
loschi favori fu nominato segretario dell'Accademia Virgiliana di Mantova. 
Ardente repubblicano, fu spia ed ebbe perciò un annuo" assegno dal Melzi. 
« Vero giornalista nel peggior significato della paro'a », come disse il Cantù, 
cambiati i tempi, lodò in un poema Napoleone. 

201. Genazii . . . Saturnini : Furono sanguinari tribuni di Roma antica. 



142 PARTE HI. 

Colmo era in somma de' delitti il sacco; 205 

In pianto il giusto, in gozzoviglia il ladro, 
E i Bruti a desco con Ciprigna e Bacco. 

Venne il nordico nembo, e quel leggiadro 
Viver sommerse; ma novello stroppio 
La patria n'ebbe e l'ultimo soqquadro. 210 

Udii di Cristo i bronzi suonar doppio, 
Per laudarlo, che giunto era il tiranno: 
Ahi ! che pensando ancor ne fremo e scoppio. 

Vidi il tartaro ferro e l'alemanno 
Strugger la speme dell'ausonie glebe 215 

Sì che i nepoti ancor ne piangeranno. 

Vidi chierche e cocolle armar la plebe, 
Consumar colpe che d' Atreo le cene 
E le vendette vincerian di Tebe. 

Vidi in cocchio Adelasio ed in catene 220 

Paradisi e Fontana. Oh sventurati ! 
Virtù dunnu'ebbe del fallir le pene? 

Cui non duol di Caprara e di Moscati ì 
Lor ceppi al vile detrattor fan fedo 

207. Con Ciprigna e Bacco : 1 falsi repubblicani (1 Bruti) gozzovigliavano 
con donne (Ciprigna é la dea Venere cosi detta perché aveva templi in Ci 
prò) e s'inebriavano. 

208. Il nordico nembo : Allude all'invasione degli Austro-Russi del 1798 che 
fece cessare quelle infami tresche repubblicane (quel leggiadro vivere dice 
il p. con bella ironia). 

209. Stroppio : Danno, rovina. 

210. Udii di Cristo, ecc.: Le campane suonavano a festa per l'entrata de 




rono tra vili contumelie abbattuti gli stemmi della Cisalpina, saccheggiati 
edifici pubblici, violati i domicili dei caporioni decaduti, confiscati i beni dei 
fuorusciti, requisiti burro, grano e bestie, proibite le mode francesi, ristabi- 
lita la censura, bruciate in piazza le pubblicazioni irreligiose, espulsi dagli 
impieghi quei che giurarono fede alla repubblica cisalpina » ( Vicchi, vi, p. 706). 
21 L Tartaro : il Russo. — L'alemanno : L'Austriaco. 

217. Chierche e cocolle : Preti e frati. 

218. D'Atreo le cene: Atreo, figliuolo di Pelope e d'Ippodamia, fu fratello 
di Tieste che gli rapi la moglie. Per vendicarsi Atreo diede a mangiare al 
fra cello i figliuoli di lui. 

220. Adelasio: Costui fu di Bergamo e membro del Direttorio Cisalpino. 




221. Paradisi e Fontana: Il conte Giovanni Paradisi di Reggio Emilia, 
membro anch'esso del Direttorio, allora deportato dagli Austriaci vincitori 
a Cnttaro. e il padre Gregorio Fontana delle Scuole Pie, filosofo e matema- 
tico inaiane, che fu membro del Consiglio Legislativo nella Cisalpina e perciò 
deportato anch'esso a Cantaro nel 1799. 

222. Virtù, ecc. : La virtù ebbe dunque le pene che erano invece dovute 
ai malvagi \ 

223. Caprara: Il conte Carlo Caprara di Bologna che fu pure condotto a 
Cattavo per aver fatto parte del Direttorio Cisalpino. — Moscati: 11 milanese 
Pietro Moscati (1739-1821), illustre medico e fisico , professore di anatomia 
all'università pavese, relegato anch'esso a Cattaro. 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 143 

Se amar la patria o la tradir comprati. 225 

Containi I Lamberti ! oh ria mercede 
D'opre onorate I ma di re giustizia 
Lo scellerato assolve e il giusto flede. 

Nella fiumana di tanta nequizia, 
Deh! trammi in porto, io dissi al mio Fattore; 230 

Ed ei m'assunse ali'immortai letizia. 

Né il guardo vinto da veduto orrore 
Più rivolsi laggiù, dove soltanto 
S'acquista libertà quando si muore. 

Ma tu, che approdi da quel mar di pianto, 233 

Che rechi? Italia che si fa? L'artiglia 
L'aquila ancora? pur del suo gran manto 

Tornò la madre a ricoprir la figlia? 
E Francia intanto è seco in pace? in rio 
Ci vii furore ancor la si periglia? 210 

Tacquesi; e tutta la pupilla aprio 
Incontro alla risposta alzando il mento, 
Compose l'altro il volto, e quel desio 

Fé' del seguente ragionar contento. 

CANTO SECONDO 

Contenuto. — 11 Mascheroni risponde al Par ini clic la patria é salva 
un'altra volta per opera di Napoleone, che dall'Egitto, ove di novelli allori 
s'era cinto la chioma, era ritornato in Francia e, riordinatala, aveva rido 
nato la libertà agli Italiani , vincendo i nemici a Marengo ; ma il Parin 
accigliato interrompe : Libertà, Di che guisa? Il poeta di Bergamo gli ri 
sponde che, se tanti malvagi ci sono, ci son pure dei buoni nella Cisalpina 
Intanto appare agli occhi de' poeti sbigottiti una mirabile visione : Dio in 
trono, fra mezzo a due cherubini, libra il fato degli uomini chiedenti pace. 
La bilancia ancora oscilla incerta, quando si levano a parlare la Giustizia 
e la Pietà. 

Pace, austero intelletto. Un'altra volta 
Salva è la patria: un nume entro le chiome 
La man le pose, e lei dal fango ha tolta. 

228. E il giusto, ecc. : Il p. coll'animo afflitto scriveva allora al Consta- 
bili : « Non é più possibile sortire dalla voragine di mali in cui siamo in 
solfati. Non comanda più altro che la forza, ed é l'avidità che dirige la 
lorza » (Due lett. ined. del Monti, Ferrara, Taddci, 1865). 

230. Al mio Fattore : a Dio. 

236. L'aquila: L'Austria che per arme ha l'aquila. 

238. La madre : La Repubblica francese tornò a proteggere la figlia, cioè 
la Repubblica cisalpina i 

239. Seoo : Con sé stessa. 

242. Alzando il mento : Si noti quest'atto che mostra il vivo desiderio di 
udire la risposta del Mascheroni sullo stato dell'Italia al tempo della sua 
morte. Ci piace di chiudere le note a questo canto colle seguenti parole 
dello Zumuini, p. 184: « Le . . . dipinture . . . diparti politiche, di nequizie 
e di miserie pubbliche, e specialmenie di personaggi che assunti in cielo 
non parlano di a'tro che dell'Italia, sono realtà viva, immediatamente colta 
e convertita in arte ». 

2. Un nume : Napoleone Bonaparte. 



144 PARTE III. 

Bonaparte . . . Rizzossi a tanto nome 
L'accigliato Parini, e la severa 5 

Fronte spianando balenò, siccome 

Raggio di sole che, rotta la nera 
Nube, nel fior che già parea morisse 
Desta il riso e l'amor di primavera. 

Il suo labbro tacea; ma con le fisse io 

Luci e con gli atti dell'intento volto 
Tutto, tacendo, quello spirto disse. 

Sorrise l'altro; e poscia in sé raccolto, 
Bonaparte, seguia, della sua figlia 
Giurò. la vita, e il suo gran giuro ha sciolto. 15 

Sai che col senno e col valor la briglia 
Messo alla gente avea che si rinserra 
Tra la libica sponda e la vermiglia. 

Sai che il truce ottomano e d'Inghilterra 
L'avaro traditor, che secco il fonte 20 

Già dell'auro temea ch'India disserra, 

Congiurati in suo danno alzar la fronte; 
E denso di ladroni un nembo venne 
Dall'Eufrate ululando e dall'Oronte. 

Egli mosse a rincontro, e no '1 rattenne 2-5 

Il mar della bollente araba sabbia; 

I vertici sfìdonne, e li sostenne. 
Domò dèi folle assalitor la rabbia: 

Jaifa e Gazza crollarno, e in Ascalona 

II britanno fellon morse le labbia. 30 

0. L'amor, ecc. : L'amore in chi lo vede si bello in primavera. 

12. Tacendo . . . disse : Petrarca. P. i, canz. vi : « La qua! tacendo io 
grido ». 

11. Della sua figlia : Della repubblica Cisalpina. 

17. Alla gente, ecc. : Con questa perifrasi designa gli Egiziani posti fra il 
mar Rosso (la sponda vermiglia) e il mare Affricano o dei Libi (antichi 
abitatori del nord-ovest dell'Affrica). « Qui l'autore accenna la spedizione 
in Egitto fatta da Napoleone affine di avere, colonizzando quel ricco paese, 
il vero punto d'appoggio onde rovesciare il dominio politico e mercantile 
degl'Inglesi nell'India » (Mg.). Questa spedizione vedila più ampiamente nar- 
rata nel e. v del Bardo. 

22. Congiurati, ecc. : L'Inghilterra si strinse in lega coi Turchi, non ap- 
pena Napoleone ebbe effettuato il suo viaggio in Egitto. 

24. Eufrate . . . Oronte : Fiumi, il primo d.lla Mesouotamia, il secondo della 
Siria, di là vennero in Egitto contro il Bonaparte due forti eserciti turchi, 
l'uno condotto da Gezzar pascià, l'altro da Mustafà pascià. 

26. Il mar, ecc. : Il gran deserto libico che Napoleone attraversò partendo 
dal Cairo con soli diecimila uomini, nonostanie le sofferenze che egli e i 
suoi soldati dovevano patire in quella marcia pericolosa, tormentati soprat- 
tutto dai terribili vortici del simoun. 

29. Jaf fa e Gazza crollarno : Passato il deserto e penetrato nelle fertili pia- 
nure di Gaza, questa gli si arrese e pochi giorni dopo anche Jaffa fu presa 
d'assalto e passato a fll di spada il presidio turco. — In Asoalona: Ascalona, 
dove Gezzar pascià si era chiuso nonostante i soccorsi che gli Inglesi (1/ 
britanno fellon) le portavano dal mare, fu strettamente assediata da Na- 
poleone. 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 145 

Ciò che il prode fé* poi sallo Esdrelona, 
Sallo il Taborre e Tonda che sul dorso 
Sofferse asciutto il piò di Bariona. 

Sallo il fiume che corse un dì retrorso, 
E il suol dove Maria, siccome è grido, 35 

Dell'uomo partorì l'alto soccorso. 

Doma del Siro la baldanza, al lido 
Folgorando tornò che al doloroso 
Di Cesare rivai fu sì mal fido. 

E di lunate antenne irto e selvoso 10 

Del funesto Abukir rivide il flutto 
E tant'oste che il piano avea nascoso. 

Ivi il franco Alessandro il fresco lutto 
Vendicò della patria, e l'onde infece 
Di barbarico sangue, sì che tutto 45 

Coprì la strage il lido, e lido fece: 
Quei che il ferro non giunse il mar sommerse, 
E d'ogni mille non campar li diece. 

Ahi gioie umane d'arfarezza asperse! 
Suonò fra la vittoria orrendo avviso 50 

Che in doglia il gaudio al vincitor converse. 

31. Esdrelona: Nei piani di Esdrelona aJe laide del Tabor, Napoleone 
sconfisse l'esercito di Damas pascià. 

32. E l'onda, ecc. : Il lago di Genezaret. sul quale Simone Bariona, che 
fu poi Pietro, il capo degli Apostoli, passò a piedi asciutti per muovere in- 
contro a Gesù [Matteo, xiv, 28 e sgg.). Là Napoleone mise in rotta un altro 
esercito turco. 

34. Sallo il fiume, ecc. : Il Giordano che gli Ebrei passarono a piedi 
asciutti, perchè le sue acque di sopra tornarono indietro (retrorso, lat.) e 
queUe di sotto entrarono nel Mar Morto (Giosuè, in, 14 e sgg.). Ivi pure 
Napoleone disfece altre schiere turche. 

35. Il suol, ecc.: Betlemme, ove Maria partorì Valto soccorso dciruma- 
nità, Gesù. Veramente non a Betlem ma a Nazareth Napoleone sconfisse un 
esercito turco. 

37. Al lido folgorando, ecc. : All'Egitto, ove l'avversario di Cesare, Pompeo, 
fu ucciso dai sicari di Tolomeo. Ve qualche reminiscenza dantesca, Par. vi, 
70 : « Da onde venne folgorando a Giuba », e tutto questo brano arieggia in 
qualche modo alla storia dell'aquila che Cacciaguida fa in questo canto del 
Paradiso. 

40. Lunate antenne Le navi turche hanno nelle loro bandiere la mezza- 
luna. — Irto e selvoso : Di navi era ispido e denso il golfo di Abukir ove 
l'ammiraglio inglese Nelson fra il 1.° e il 3 agosto 1798 aveva disfatto la flotta 
francese condotta dall'ammiraglio Bruyes. 

42. B tant'oste, ecc. : Cosi numeroso esercito che aveva coperto tutta la 
pianura. Questo esercito turco e inglese, comandato da Mustarà pascià, e da 
Sydney Smith, sbarcato sul lido, fu sterminato da Napoleone il 26 lu- 
glio 1799. 

43. Il franco Alessandro : Cosi per antonomasia chiama Napoleone dal nome 
del conquistatore dell'Asia, Alessandro Magno di Macedonia. 

41 Infece: Tinse (lat.). 

46. E lido fece : E i cadaveri formarono un lido al mare. 

47. Sommerse : Ben quindicimila turchi si annegarono nella confusione 
che nacque per salvarsi dalla strage. 

48. E d'ogni mille, ecc. : Dantb, Inf. t xxv, 33 : « Gliene die cento e non 
senti le diece ». 

Moktt. — Poesie, 10 



146 PARTE III. 

Narrò l'infamia di Scherer conquiso, 
E dal Turco, dall'Unno, e dallo Scita 
Desolato d'Italia il paradiso. 

Narrò da pravi cittadin tradita 55 

Francia, e senza consiglio e senza polo 
Del governo la nave andar smarrita. 

Prima assalse l'eroe stupore e duolo, 
Poi dispetto e magnanimo disdegno; 
E ne scoppiò da cento affetti un solo: eo 

La vendetta scoppiò, quella che segno 
Fu di Camillo all'ire generose 
E di lui che crollò de' trenta il regno. 

Così partissi; e al suo partir si pose 
Un vel la sorte d'oriente, e l'urna <s 

Che d'Asia i fati racchiudea nascose. 

Partissi: e di là dove alla diurna 
Lampa il corpo perd'ombra, la fortuna 
Con lui mosse fedele e taciturna, 

E nocchiera s'assise in su la bruna 70 

Poppa, che grave di cotanta spene 
Già di Libia fendea l'ampia laguna. 

Innanzi vola la vittoria, e tiene 
In man le palme ancor fumanti e sparse 
Della polve di Mentì e di Siene. 75 

La sentir da lontano approssimarse 
Le galliche falangi, ed ogni petto 
Dell'antico valor tosto riarse. 

Ella giunse, e a Massena, al suo diletto 

52. L'infamia di Soherer : Scherer, comandante dei Francesi in Italia , fa 
vinto a Verona dall'esercito degli Austro-Russi e, per ordine del Direttorio, 
fu costretto a cedere il comando a Moreau. 

53. Turco. . . Unno . . . Scita : 1 Turchi; gli Austriaci {Unni, propriamente 
Ungheresi) e i Russi, detti Sciti dal nome degli antichi abitatori dell'odierna 
Russia. 

55. Pravi cittadin : I cinque membri del Direttorio, inetti reggitori. 

56. Senza polo : Senza direzione. 

62. Di Camillo, ecc. : Camillo vendicò Roma, sconfiggendo quelli che poco 
anzi l'avevano vinta. 

63. E di lui, ecc. : Trasibulo che, presa Atene, pose fine al governo ari- 
stocratico dei Trenta. 

64. Si pose un vel : Si velò di mestizia la fortuna di Oriente, e veramente 
Kléber, che vi rimase, non fu pari alla grande impresa di difendervi le fatte 
conquiste. 

68. Perd'ombra : Dante, Purg. t xxx, 89 : « Pur che la terra, che perde om- 
bra spiri », e il Petrarca : « La 've il Sol perde non pur l'ombra o l'auro ». 

70. E nocchiera : Anche nel e. vii del Bardo immagina che la Fortuna 
segga sulla poppa della nave che porta dall'Egitto in patria Napoleone. 

72. Laguna : Qui per « mare », designando il mare Affricano. 

75. Menfi ... : Siene : A Mentì , citta del medio Egitto, e a Siene (oggi 
Assuan) dell'alto, Napoleone sconfisse i turchi. 

79. Ba Massena: Al generale Andrea Massena, che fronteggiava gli Au- 
striaci in Svizzera, riuscì a batterli nei Grigioni e a disfare a Zurigo i ge- 
nerali rus<*i Korsakoff e Suwaroff. 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 147 

Figlio gridò: Son teco. Elvezia e Francia so 

Udir quel grido e serenar l'aspetto. 

L'Istro udillo, e tremò. La franca lancia 
Ruppe gli ungari petti, e si percosse 
Il vinto Scita per furor la guancia. 

L'udir le rive di Batavia, e rosse 85 

D'ostil sangue fumar; e nullo forse 
De' nemici rediva onde si mosse; 

Ma vii patto il fiaccato Anglo soccorse: 
Frutto del suo valor non colse intero 
Gallia, ed obbliquo il guardo Olanda torse. 90 

Carca frattanto del fatai guerriero 
Il lido afferra la felice antenna: 
Ne stupisce ogni sguardo, ogni pensiero. 

Levossi per vederlo alto la Senna, 
E mostrò le sue piaghe. Egli sanolle, to 

Né il come lo diria lingua nò penna. 

Ei la salute della patria volle, 
E potè ciò che volle, e al suo valore 
Fu norma la virtù che in cor gli bolle. 

Fu di pietoso cittadin dovere, 100 

Fu carità di patria, a cui già morte 
Cinque tiranni avean le forze intere. 

Fine agli odi promise: e di ritorte 
Fu catenata la discordia, e tutte 
Della rabbia civil chiuse le porte. 105 

Fin promise al rigore; e ricondutte 
Le mansuete idee, giustizia rise 

82. L'Istro : li Danubio, inteso qui per l'Austria. 

84. La guancia : V. la n. a p. 91. 

85. Batavia : L'Olanda, dove gl'inglesi, condotti dal duca di York, furono 
battuti a Bergen dal generale francese Brune e, circondati nella palude del 
Zyp, furono costretti a capitolare. 

89. Non colse intero, ecc. : Gl'Inglesi, nonostante la stipulata capitolazione, 
non mantennero i patti e non consegnarono ai Francesi la flotta olandese 
di cui si erano impadroniti, per cui gli Olandesi si alienarono da loro. 

96. Lingua nò penna: Dante, Par., vi, 63: « Che noi seguiteria lingua 
né penna ». 

108. Cinque tiranni: « I membri del Direttorio esecutivo erano cinque; e 
sedevano allora Barras, l'abate Sieyès, Moulins , Roger-Ducos e Gonier ; 
l'uno più dell'altro incapaci di governare una nazione qual era allora la 
Francia » (Mg.). 

106. « La prima bisogna di Napoleone , fu , appena salito al consolato, 




peggiore 

fine di riordinare gli eserciti ...» (Mg.). Questi ratti e soprattutto l'opera 
del xrx Brumaio in cui Napoleone stabili il consolato, vedila narrata nel 
C. vi del Bardo. 

107. Giustizia rise : Nel e. vi del Bardo dice : « Giustizia racconciò le 
sperse Rotte bilancio, e dal furor segnate Cancellò le rubriche insangui- 
nate ». 



148 PARTE III. 

Su le sentenze del furor distrutte. 

Verace saggia libertà promise: 
E i delirii fui* quieti, e senza velo no 

Secura in trono la ragion s'assise. 

Gridò guerra; e per tutto il franco cielo 
Un fremere, un tuonar d'armi s'intese 
Che al nemico portò per Tossa il gelo. 

Invocò la vittoria: ed ella scese 115 

Procellosa su l'Istro, e l'arrogante 
Tedesco al piò d'un nuovo Fabio stese. 

Finalmente, d'un dio preso il sembiante, 
Apriti, alpe, ei disse: e Talpe aprissi, 
E tremò dell'eroe sotto le piante. 120 

E per le rupi stupefatte udissi 
Tal d'armi, di nitriti e di timballi 
Fragor, che tutti ne muggian gli abissi. 

Liete da lungi le lombarde valli 
Risposero a quel mugghio, e fiumi intanto 125 

Scendean d'aste, di bronzi e di cavalli. 

Levò la fronte Italia; e, in mezzo al pianto 
Che amaro e largo le scorrea dal ciglio, 
Carca di ferri e lacerata il manto, 

Pur venisti, gridava, amato figlio, 130 

Venisti, e la pietà delle mie pene 
Del tuo duro cammin vinse il periglio. 

Questi ceppi rimira e queste vene 
Tutte quante solcate. E sì parlando, 
Scosse i polsi, e suonar fé' le catene. 135 

Non rispose Teroe, ma trasse il brando, 
E alla vendetta del materno affanno 
In Marengo discese fulminando. 

Mancò alle stragi il campo ; l'alemanno 
Sangue ondeggiava; e d'un sol dì la sorte 140 

Valse di sette e sette lune il danno. 

117. A pie d'un nuovo Fabio : Di Giovali Vittorio Moreau, che in Germani?- 
{sull'Istro) batté più volte il maresciallo austriaco Kray, e alla fine, vinti 
i tedeschi alla battaglia di Hoenlinden il 2 dicembre, li costrinse ad accet- 
tare la pace di Lune ville. Lo paragona a Fabio Massimo, il vincitore di A 11 
nibale. 

120. Dell'eroe sotto le piante: Si allude alla discesa dell'Alpi , cantata dal 
p. nell'ode Alla liberazione d*ltalia ì ov'é anche una strofe assai simile a 
questi versi : « Treman l'Alpi e stupefatte Suoni umani replicar, B reterne 
nevi intatte D'armi e armati fiammeggiar ». 

122. Timballi : Tamburi. 

123 GU abissi : Le profonde val'ate alpine. 

131. E la pietà delle mie pene: Virgilio, Aen. vi, 687: « Venisti tandem, 
tuaque expectata parenti Vicit iter durum pietas ! ». 

137. Del materno affanno : Della dolorosa servitù della sua madre Italia. 

141. E d'un sol di la sorte, ecc. : E la grande vittoria di Marengo risarei 
il danno di molti mesi (sette e sette lune deve intendersi come numero in- 
determinato). 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 149 

Dodici ròcche aprir le ferree porte 
In un sol punto tutte, e ghirlandorno 
Dodici lauri in un sol lauro il forte. 

Così a noi fece libertà ritorno. — 145 

— Libertade? interruppe aspro il cantore 
Delle tre parti in che si parte il giorno: 

Libertà? di che guisa? Ancor l'orrore 
Mi dura della prima, e a cotal patto 
Chi vuol franca la patria è traditore. 150 

A che mani è commesso il suo riscatto? 
Libera certo il vincitor lei vuole, 
Ma chi conduce il buon volere all'atto? 

Altra volta pur volle, e fùr parole; 
Che con ugna rapace arpie digiune 155 

Fero a noi ciò che Progne alla sua prole. 

Dal calzato allo scalzo le fortune 
Migrar fùr viste, e libertà divenne 
Merce di ladri e furia di tribune. 

Veran leggi; il gran patto era solenne; 100 

142. Dodloi rooohe : Per l'armistizio concluso dopo La battaglia di Marengo, 
dodici fortezze dovevano esser consegnate subito a Napoleone. 

145. Alla fine di questa bellissima apoteosi delle vittorie napoleoniche fatta 
dal Mascheroni, mi piace di riferire le seguenti parole dello Zumbini, p. 184: 
« Quei loro discorsi {dei patriota italiani) . . . , rivelano un amor patrio 
quasi dantesco ; come sono eziandio di stampa dantesca quelle, direi, ras- 
segne di città italiane e quei particolari geografici che comunicano la mas- 
sima evidenza alle- cose descritte ». 

146. Il cantor, ecc. : Con questa perifrasi si designa il Parini, autore del 
Giorno, che, secondo l'idea prima del p., usci diviso nelle tre parti, il Mat- 
tino, il Mezzogiorno e la Sera, poi invece della Sera pose il Vespro e la 
Notte. Nota il bisticcio non bello del parti . . . parte. In compenso di ciò, 
osserva con (manta verità storica sia posta questa nobile invettiva contro 
gli eccessi della sfrenata libertà repubblicana in bocca di quell'austero spi- 
rito* 

149. Della prima : Della libertà delle repubbliche italiane prima dell'inva- 
sione degli Austro Russi, già sfolgorata dal p. nel e. 1. 

155. Arpie : Uccelli favolosi, simboli dell'ingordigia. Si allude ai falsire- 

{mbblicani. che con ugna rapace, rubarono, arricchirono, uccidendo cosi 
a Repubblica, come Progne, moglie di Tereo, pazza di gelosia, aveva uc- 
ciso il figlio Iti. 

159. « Milano s'era trasformata ; non pareva più la buona città d'una volta ; 
alla schiettezza subentrava lo spirito di raggiro, alla modestia la vanteria ; 
la marea, detta libertà, alterava la flsonomia del vivere ambrosiano » (De 
Castro, op. cit., p. 203). Un sonetto , uscito in un giornale del tempo, si 
chiudeva cosi : « Del pubblico la robba va in rovina, Briccon, falliti, coman- 
dan le feste, La repubblica é questa Cisalpina ». 

160. Il gran patto : Intendi la Costituzione della Repubblica Cisalpina, che 
fu calpestata dal Direttorio francese : « il quale trattava l'Italia più da paese 
di conquista che da federata repubblica » (Mg.). Il modo violento con cui 
fu cambiata la Costituzione, vedilo narrato dal Franchetti, op. cit., p. 364 
e sgg. Si era cercato anche un po' prima di concludere un trattato di al- 
leanza fra la Repubblica madre (cosi si diceva allora la Repubblica di Fran- 
cia), e la Repubblica figlia (la Cisalpina) a condizioni onerosissime per que- 
sta, tanto che il Consiglio dei Seniori della Cisalpina l'aveva respinta. Ma 
colla violenza si costrinse quel Consiglio ad accettarla il 1.° giugno 1798. Cfr. 
Franchetti, op. cit., p. 299. 



150 PARTR III. 

Ma fu calpesto. Si trattò; ma franse 
L'asta il trattato, e servi ne ritenne. 

Pietà gridammo; ma pietà non transe 
Al cor de' cinque; di più ria catena 
Ne gravarno i crudeli, e invan si pianse. ics 

Vota il popol per fame avea la vena; 
E il viver suo vedea fuso e distrutto 
Da' suoi pieni tiranni in una cena. 

Squallido, macro il buon soldato, e brutto 
Di polve, di sudor, di cicatrici, 170 

Chiedea plorando del suo sangue il frutto; 

Ma Tinghiottono l'arche voratrici 
Di onnipossenti duci e gl'ingordi alvi 
Di questori, prefetti e meretrici. 

Or di': conte all'eroe che ancor n'ha salvi 175 

Son queste colpe? e rifaran gl'Insubri 
Le tolte chiome andran più mozzi e calvi? 

Verran giorni più lieti o più lugubri? 
Ed egli, il gran campione, è come pria 
Circuito da vermi e da colubri? 180 

Sai come si arrabatta està genia, 
Che ambiziosa, obliqua, entra e penetra 
E fora e s'apre ai primi onor la via. 

163. Transe : Passa (lat.). Veramente questo latinismo non bello v*é per 
necessità di rima. 

164. De' oinque : De 1 cinque membri del Direttorio francese sopra ri- 
cordati. 

166. La vena : Le vene del popolo erano vuote di sangue, perché lo tor- 
mentava Ja fame. 

)71. Il fratto : Il soldo. 

172. Arche : Gli scrigni. 

173. Alvi : Ventri. 

174. Di queste diiapidazioni parla con italica fierezza il Botta, v, lib. xii, 
e meglio ancora il Franchetti, op. cit, p. 160, da cui togliamo le notizie 
sgg. : « Facciam che l'Italia vada superba (scriveva l'ammiraglio Truguet) 
di aver cooperato allo splendore della nostra marina ». Il Letourneur (uno 
dei cinque del governo, manda vagli una memorietta sugli immensi tesori 
della santa Gasa di Loreto, facile Dottino per un diecimila partigiani, ed 
aggiungeva : « Tentate l'impresa, se vi piace, e se trovate nell'esercito uno 
da ciò ». Ed il Garnot (che pur aveva mente ed animo più nobile di tutti) 
ingiungeva: € Con ogni rigore trattisi il Milanese. Vi si mettano taglie da 
pagarsi immediatamente nel primo terrore che incuterà il sopravvenire 
delle armi nostre e s'invigili che ne sia fatto buon uso ... ». Ed ancora : 
« Le milizie repubblicane restino ... a vivano in quel paese cosi fertile . . . 
Vi giungerete alla stagione dei raccolti: fate che all'esercito italico non oc- 
corrano sussidi da casa ». Infatti entrati in Milano il Massena, il Bonaparte 
e il Saliceti, vuotarono le casse non solo dello Stato, ma anche dell'Ospedale 
Maggiore, del Capitolo, della Metropolitana, dei Luoghi Pii ; manomisero 
perfino i depositi del Monte di Pietà ... ». 

175. Conte : Conosciute. Anche il Foscolo, nella sua oraz. a Bonaparte 
per il Congresso di Lione (§ 4), a proposito della violenza usata ai Cisalpini 
costretti ad accettare il trattato d'alleanza colla Francia, dice: « Dov'eri tu, 
liberatore, quando assediato da armati il Consiglio de' Seniori, fu astretto 
a scrivere la sentenza capitale della Repubblica , ratificando il Trattato di 
Alleanza perfidamente dai 5 despoti imposto ?...». 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 151 

Di Nemi il galeotto, e di Libetra 
Certo rettile sconcio che supplizio 185 

Di dotti orecchi cangiò l'ago in cetra, 

E quel sottile ravegnan patrizio 
Sì di frodi perito che Brunello 
Saria tenuto un Mummio ed un Fabrizio, 

Come in alto levarsi e fùr flagello im 

Della patria! Oh Licurghil oh Cisalpina, 
Non matrona, ma putta nel bordello 1 

Tacque; e l'altro riprese: La divina 
Virtù, che informa le create cose 
Ed infiora la valle e la collina, ivo 

D'acute spine circondò le rose, 
Ed accanto al frumento e al cinnamomo 
L'ispido cardo e la cicuta pose. 

Vedi il rio vermicel che guasta il pomo, 
Vedi misti i sereni alle procelle 200 

Alternar l'allegrezza e il pianto all'uomo. 

Penuria non fu mai d'ani .ie felle: 
Ma dritto guarda, amico, ed abbondante 
Pur la patria vedrai d'anime belle. 

Ve' quante Olona ne fan lieta, e quante 205 

Val-di-Pado, Panaro e il picciol Reno; 
Picciolo d'onde e di valor gigante. 

Reggio ancor non obblia che dal suo seno 
La favilla scoppiò d'onde primiero 
Di nostra libertà corse il baleno. 210 

Mostrò Bergamo mia che puote il vero 
Amor di patria, e lo mostrò Tardità 
Brescia sdegnosa d'ogni vii pensiero. 

Nò d'onorati spirti inaridita 
In Emilia pur anco è la semenza; 215 

Sterpane i bronchi, e la vedrai fiorita. 

Molti iniqui fùr posti in eminenza, 
E il saran altri ancor: ma chi gli estolle 
Forse ò quei che vede oltre all'apparenza? 

Mira l'astro del dì. Siccome volle 220 

Il suo fattore, ei brilla, e solve il germe 
Or salubre, or maligno, entro le zolle. 

218. Gli estolle : Lì fa salire agli alti uffici. 

220. Mira: « Con questa similitudine esplica il concetto anteriore: chi 
fermandosi alle apparenze, elesse alle cariche dello stato molti cattivi in 
mezzo a* buoni, operò come il sole , che non ha colpa se , abbassando gli 
stessi sguardi su le sostanze buone e cattive , fa nascere qua il flore, là il 
verme. La colpa é nella cattiva disposizione della materia a ricevere il rag- 
gio fecondatore, come fu nella cattiva disposizione dell'uomo, in apparenza 
onesto , ma in fatto malvagio , ad essere posto in eminenza » (Bertoldi). 



152 PARTE III. 

Su le sane sostanze e su le inferme 
Benefico del par gli sguardi abbassa; 
E s'uno al fior dà vita e l'altro al verme, 225 

Ciò vien dal seme che la terrea massa 
Diverso gli appresenta: egli sublime 
E discolpato lo feconda e passa. 

Or procede alle tue dimande prime 
La mia risposta. Di saper ti giova 230 

Se fia scevra d'affanno e senza crime 

La nuova libertade, se per prova 
Sotto il sacro suo manto un'altra volta 
Rapina, insulto e tirannia si cova. 

Dirò verace. E dir volea: ma tolta 235 

Da portentosa vision gli fue 
La voce che dal labbro uscia già sciolta. 

Il trono apparve dell'Eterno; e due 
Gli erano al fianco cherubin sospesi 
Su le penne, già pronti a calar giue. 240 

L'uno in sembianti di pietade accesi, 
Sì terribile l'altro alla figura 
Che n'eran gli astri di spavento offesi. 

Verde qual pruna non ancor matura 
Cinge il primo la stola, e qual di cigno 215 

Apre la. piuma biancheggiante e pura. 

Ondeggiavano all'altro di sanguigno 
Color le vestimenta, e tinto avea 
11 remeggio dell'ali in ferrugigno. 

Quegli d'olivo un ramoscel tenea, 250 

Questi un brando rovente; e fisso i lumi 
In Dio ciascun palpebra non battea. 

Dal basso mondo alla città de' numi 
Voci intanto salian gridando pace, 
Col sonito che fan cadendo i fiumi. 233 

Pace la Senna, pace l'Elba, pace 
Iterava l'Ibèro; ed alla terra 
Rispondean pace i cieli, pace, pace. 

228. Discolpato : Senza colpa. 

233. Un'altra volta : Dopo la battaglia di Marengo , che della Cisalpina . 
prima dell'invasione Austro Russa, aveva fatta ben dolorosa descrizione il 
Parini nel e. 1. 

241. L'uno . . . l'altro : L'un cherubino è angelo di pietà, l'altro di giu- 
stizia e di morte. 

249. In ferrugigno : Nel color del ferro arrugginito. 

250. D'olivo un ramoscel: Simbolo di pace. 
253. Alla città, ecc. : Al cielo. 

255. Sonito : Fragore (lat.). 

256. Senna . . . Elba . . . Ibero : Come altre volte, designa dal nome dei fiumi 
principali la Francia, la Germania e la Spagna . 

257. Iterava: Ripeteva (lat,). 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 153 

Ma guerra i lidi d'Albione, e guerra 
D'inferno i mostri replicar s'udirò, 2C0 

E l'inferno era tutto in Inghilterra. 

Sedea tranquillo l'increato Spiro 
Su l'immobile trono, e tremebondo 
Dal suo cenno pendea l'immenso empirò. 

La gran bilancia, su la qual profondo 253 

E giusto libra l'uman fato, intanto 
Iddio solleva; e ne vacilla il mondo. 

Quinci i sospiri, le catene, il pianto 
De' mortali ponea, quindi versava 
De' mortali i delitti ; e a nessun canto £70 

La tremenda bilancia ancor piegava. 
Quando due donne di contrario affetto 
Levarsi, e ognuna di parlar pregava. 

Chi si fùr elle, e che per lor fu detto 
Se mortai labbro di ridirlo è degno, 275 

L'udrà chi al mio cantar prende diletto 

Nel terzo volo dell'acceso ingegno. 

CANTO TERZO. 

Contenuto. — La Giustizia, innanzi al trono dell'Eterno, chiede vendetta 
sulla Francia e sull'Inghilterra, perchè questa compra coll'onore il sangue e 
procede di tradimento in tradimento, quella cangiò in furia terribile la li- 
bertà e permise che Robespierre la struggesse con orribili stradi. Sorge a 
parlare la Pietà ed essa vuole tregua ai furori e alle stragi e implora da 
Dio il perdono e la pace. E Dio commotte a Napoleone la pace la guerra. 
Intanto due cherubini scendono dal cielo a dare all'eroe la spada e l'olivo. 
Nella costellazione della Lira sopraggtungono il Verri e il Beccaria e s'av- 
viano ad un luogo verdeggiante e odorato, ove si stringono a colloquio col 
Parini e col Mascheroni, intorno ai mali che affliggono la patria. 

Duo virtù, che nimiche e in un sorelle 
L'una grida rigor, l'altra perdono, 
Care entrambe di Dio figlie ed ancelle, 

Ritte in piò, dell'Eterno innanzi al trono 

264. Empirò : Per empireo , cielo. Altrove ha detto deliro per delirio. 
e. 1, 190. 

2G5. La gran bilancia : Di questa immaginazione, attinta ad Omero, si com- 
piaceva assai il p. che, come abbiamo veduto, l'aveva usata anche nel e. 11, 
della Bas8vil., 151 e sgg. 

266. Libra : Pesa (lat )'. 

272. Due donne : La Pietà e la Giustizia , perciò dette « di contrario af- 
fetto ». 

277. Nel terzo volo : Nel terzo canto. E anche qui mi piace di chiudere 
le note a questo canto, che é tutta una magnifica pagina della storia d'Italia 
d'allora, colle parole dello Zumbini, p. 186 : « Sono caratteri e scene che 
tengono di quell'eterno storico, a cui il Monti attinse di rado, fu poeta 
insigne ; Dante attinse sempre, e fu grandissimo. Ad ogni modo nella « Ma- 
scheroniana » riesce più felicemente dantesco che non sia stato in altri suoi 
poemi ». 

2. L'una , . . l'altra : La Giustizia , . , la Pietà, 



154 TARTE III. 

Ecco a gran lite. Ad ascoltarle intenti 5 

Lascian l'arpe i celesti in abbandono: 

Lascian le sacre danze, e su lucenti 
Di crisolito scanni e di berillo 
Si locar taciturni e riverenti. 

D'ogni parte quotato era lo squillo 10 

Delle angeliche tube, il tuon dormiva, 
E il fulmine giacea freddo e tranquillo. 

Allor Giustizia, inesorabil diva, 
Incominciò: Sire del ciel, che libri 
Nell'alta tua tremenda estimativa 13 

Le scelleranze tutte e a tutte vibri 
Il suo castigo, e fino a quando inulti 
Fian d'Europa i misfatti e di ludibri 

Carco il tuo nome ? Ve' tu come insulti 
L'umano seme a tua bontade, e ingrato 23 

Del par che stolto nella colpa esulti ? 

Vedi sozzi di strage e di peccato 

I troni della terra e dalla forza 

II delitto regal santificato. 

Vedi come la ria ne' petti ammorza 25 

Di ragion la scintilla, e i sacri, eterni 
Dell'uom diritti cancellar si sforza: 

Mentre nuda al rigor di caldi e verni 
Getta la vita una misera plebe 
Che sol si ciba di dolor, di scherni; 30 

E a rio macello spinta, come zebe, 
Per l'utile d'un solo, in campo esangue 
L'itale ingrassa e le tedesche glebe. 

Di propria man squarciata intanto langue 
La peccatrice Europa, ed Anglia cruda 35 

L'onor ne compra, e coll'onore il sangue. 

Per lei Megera nell'inferno suda 
Armi esecrate, per lei tòschi mesce; 
Suo brando è l'oro; ed il suo Marte, Giuda. 

Che di Francia direm? A che riesce 40 

De' suoi sublimi scotimenti il frutto ? 

8. Crisolito . . . berillo : Pietre preziose. 

15. Estimativa : Giudizio. 

17. E fino a quando, ecc. : Filicaia Cam. per V assedio di Vienna : « E 
(Ino a quando inulti Fian, Signore, i tuoi servi ì ». 

31. Zebe : Capre. Dante, Inf., XXXII, 15 : « Me' foste state qui pecore o zebe ! ». 

37. Megera : Furia infernale. — Suda : Con significato attivo, apparecchia 
con sudore. 

39. Suo brando è l'oro, ecc. : Vuol significare che l'Inghilterra combatteva 
con eserciti assoldati ed anche corrompendo coir oro e col tradimento, di 
cui é simbolo Giuda. 

il. Sublimi scotimenti : Sublimi rivoluzioni, « Parola di cui non so se la 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 155 

Mira che agli altri e a sé medesma incresce. 

Pot^a col senno e col valor far tutto 
Libero il mondo, e il fece di tremende 
Follie teatro e lo coprì di lutto. 43 

Libertà che alle belle alme s'apprende, 
Le spedisti dal ciel, di tua divina 
Luce adornata e di verginee bende; 

Vaga sì che nò greca uè latina 
Riva mai vista non l'avea, giammai 50 

Di più cara sembianza e pellegrina. 

Commossa al lampo di que' dolci rai 
Ridea la terra intorno, ed io t'adoro, — 
Dir pareva ogni core, io ti chiamai. — 

Nobil fierezza, matronal decoro, 55 

Candida fede, e tutto la seguia 
Delle smarrite virtù prische il coro; 

E maestosa al fianco le venia 
Ragion d'adamantine armi vestita, 
Con la nemica dell'error Sofia. 60 

Allor mal ferma in trono e sbigottita 
La tirannia tremò; parve del mondo 
Allor l'antica servitù .finita. 

Ma tutte pose le speranze al fondo 
La delira Parigi, e libertate 05 

In Erinni cangiò, che furibondo 

Spiegò l'artiglio; e prime al suol troncate 
Cadder le teste de suoi figli, e quante 
Fùr più sacre e famose ed onorate. 

Poi, divenuta in suo furor gigante, 70 

L'orribil capo fra le nubi ascose, 
E tentò porlo in ciel la tracotante, 

moderna poesia italiana abbia in questo proposito proferito mai una più 
bella » (Zumbini, p. 17»). 

46. Libertà, ecc. : Verso foggiato su questo di Dante, Inf.. v, 100 : « Amor 
che al cor gentil ratto s'apprende ». Il M. nel suo Inno per il 21 gennaio 1799 
aveva cantato : « Oh soave dell'alme sospiro Libertà, che del Cielo sei figlia ». 

49. Né greca né latina riva : Né la libertà greca né la romana furono cosi 
vaghe come la libertà che Iddio donò alla Francia e all'Italia. 

60. Sofia : La sapienza. 

65. La delira Parigi : La pazza Parigi distrusse coi suoi eccessi rivolu- 
zionari le speranze che aveva destate la libertà. 

66. la Erinni : < Ecco la libertà che ho tanto vilipesa nella Bassvilliana. 
La Convenzione Nazionale era in quei miseri tempi una congrega, non di 
uomini, ma di furie, e la Francia tutta un inferno. Spento Robespierre, 
spenti quei codardi che spinsero al patibolo i più generosi, la Francia mutò 
fisonomia, e la Cantica fu interrotta ... Oh imbecilli 1 Chi siete voi che tac- 
ciate di schiavo il libero autore dell'Aristodemo f Lo conoscete voi bene ì Sa- 
pete voi che al pari della tirannide che porta corona, egli abborre quella 
che porta berretto ? » (Mt.). 

71. L'orribil capo, ecc. : Cosi in Omero, II. iv, 443, la Discordia nasconde 
il capo nel cielo e cammina sulla terra. 



156 PARTE III. 

E gli sdegni imitarne e le nembose 
Folgori e i tuoni, e culto ambir divino 
Fra le genti d'orror mute e pensose. 75 

Tutta allor mareggiò di cittadino 
Sangue la Gallia; ed in quel sangue il dito 
Tinse il ladro, il pezzente e l'assassino, 

E in trono si locò vile marito 
Di più vii liberta, che di delitti so 

Sitibonda ruggia di lito in lito. 

Quindi proscritte le città, proscritti 
Popoli interi, e di taglienti scuri 
Tutte ingombre le piazze e di trafìtti. 

voi che state ad ascoltar, voi puri 85 

Spirti del ciel, cui veggio al rio pensiero 
Farsi i bei volti per pietade oscuri; 

Che cor fu il vostro allor che per sentiero 
D'orrende stragi inferocir vedeste 
E strugger Francia un solo, un Robespiero? 90 

Tacque, e al nome crudel su l'aure teste 
Si sollevar le chiome agl'immortali, 
Frementi in suon di nembi e di tempeste. 

Gli angeli il volto si velar coll'ali, 
E sotto ai piedi onnipossenti irato 05 

Mugulò il tuono e fiammeggiar gli strali. , 

E già bisbiglia il ciel, già d'ogni lato 
Grida vendetta; e vendetta iterava 
Dell'Olimpo il convesso interminato. 

Carca d'ire celesti cigolava 100 

De' fati intanto la bilancia; e Dio, 

74. Culto . . . divino : Allude al culto della Dea Ragione^ decretato dalla 
Convenzione nazionale. 

76. Mareggiò: Ondeggiò come il mare. 

82. Proscritte le città : « I Lionesi, sospettati d'aver preso le armi, veni- 
vano ghigliottinati o moschettati a cinquantine e sessantine per giorno. Il 
terrore regnava in quella sfortunata città ; i commissari, spediti per punirla, 
resi fanatici, imbriacati dai versamenti di sangue, ad ogni grido comandato 
dall'angoscia, credeano veder rinascere la ribellione e scrivevano all'assem- 
blea convenzionale che gli aristocratici non erano per anco ridotti, che 
questi non aspettavano so non un'occasione per rialzare la testacene biso- 
gnava, per non aver più nulla a temere, t * "~ ^ 
zione e distruggere l'altra ... A Marsiglia 
giaciute. Ma tutta l'ira dei rappresentanti 
si continuava l'assedio » (Thiers, op. cit., xvn, p. G7). Simili eccessi avven- 
nero a Bordeaux e altrove. 

83. Taglienti scuri : Le ghigliottine. 

85. voi: Dante, Purg., 11, 1 : « O voi, che siete in piccioletta barca, 
Desiderosi d'ascoltar ... ». 

88. Che cor, ecc. : V. la n. a p. 102. 

90. Un Robespiero ? : V. la n. a p. 128. 

«4. Si velar coll'ali : Come nel son. a Giuda, gli angeli si velano colle ali, 
quando vedono il traditore. Cfr. anche colla « Mcssiade » del Klopstock, vii. 

06. Gli strali : I fulmini. 

101. La bilanoia : V. la n. a p. 10 1. 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 157 

Dio sol si stava immoto e riguardava. 

Surse allor la Pietade; e non aprio 
Il divin labbro ancor, che già tacea 
Di queir ire tremende il mormorio, 105 

Col dolce strale d'un sol guardo avea 
Già conquiso ogni petto. In questo dire 
La rosea bocca alfln sciolse la dea: 

Alte in mezzo de' giusti odo salire 
Di vendetta le grida, ed io domando 110 

Anch'io vendetta, sempiterno Sire. 

Anch'io cacciata dai potenti in bando, 
Batto indarno ai lor cuori, e inesaudita 
Vo scorrendo la terra e lagrimando. 

Ma, se i regnanti han mia ragion tradita, 115 

Perchè la colpa de' regnanti, padre, 
Negl'innocenti popoli è punita? 

Perchè tante perir misere squadre 
Per la causa de' vili ? Ahi ! caro i crudi 
Fanno il sacro costar nome di madre. 120 

Peccò Francia, gli è ver; ma, spenti i drudi 
D'insana libertà, perchè in suo danno 
Gemono ancora le nimiche incudi ? 

Dunque eterne laggiù Tire saranno? 
E solo al pianto in avvenir le spose, 125 

Solo al ferro e al furor partoriranno? 

Dunque Europa le guance lagrimose 
Porterà sempre? E per chi poi? Per una, 
Per due, per poche insomma alme orgogliose. 

Taccio il nembo di duol che denso imbruna 130 

Tutto d'Olanda il ciel; taccio il lamento 
Della prostrata elvetica fortuna. 

Ma l'affanno non taccio e il tradimento 
Che Italia or grava, Italia in cui natura 
Fé' tanto di bellezza esperimento. 133 

Duro il servaggio la premea; più dura 
Una sognata libertà la preme, 
Che colma de' suoi mali ha la misura. 

Su i cruenti suoi campi più non freme 
Di Marte il tuono; ma che vai, se in pace no 

115. Han mia ragion, ecc. : Non ascoltano la pietà. 

120. Di madre : Perché le misere madri vedevano sterminati dalle guerre 
i loro figli. Non credo che debba intendersi, come vuole il Bertoldi, che ma- 
dre sia qui la patria, anche perchè mi pare che questo verso sia bene spie- 
gato dai w. 125-6. 

123. Le nimiche inoudi: Le incudini su cui 1 nemici fabbricavano armi 
contro la Francia. 



158 PARTE IH. 

Pur come in guerra si sospira e geme? 

Prepotente rapina alla vorace 
Squallida fame spalancò le porte, 
E chi serrarle le dovea si tace. 

Meglio era pur dal ferro aver la morte. 145 

Che spirar nudo e scarno e derelitto 
Tra i famelici figli e la consorte. 

Deh sia fine al furor, fine al delitto , 
Fine ai pianti mortali, e della spada 
Péra una volta e de' tiranni il dritto! 150 

Paghi di sangue chi vuol sangue, e cada; 
Ma l'innocente viva, e dell'oppresso 
Il sospiro, Signor, ti persuada. 

La dea qui ruppe il suo parlar con esso 
Le lagrime sul ciglio; e chi per questa, 153 

Chi per quella fremea l'alto consesso, 

Qual freme d'aquilon chiuso in foresta 
Il primo spiro, allor che ciechi aggira 

I sussurri forier della tempesta. 

Mentre vario il favor ne' petti ispira igo 

Desia nze diverse, incerto ognuno 
Qual fia vittrice, la clemenza l'ira; 

Del ciel cangiossi il volto e si fé' bruno, 
E caligine in cerchio orrenda e folta 

II trono avvolse dell'Eterno ed Uno. 165 
E una voce n'uscì che l'ardua vòlta 

Dell'Olimpo intronava. Attenta e muta 
Trema natura e la gran voce ascolta. 

Cieli, udite, odi, terra, l'assoluta 
Di Dio parola. Tu che l'alto spegni 170 

Patrio delirio, e Francia hai resti tuta; 

Tu che vincendo moderanza insegni 
All'orgoglio de' re, cui tua saggezza 
Tolse la scusa di cotanti sdegni; 

142. Prepotente rapina : « Si comportavano nella Cisalpina come in un 
paese di conquista. Ne maltrattavano gli abitanti, ne esigevano gli alloggi 
che, in forza dei trattati, non erano ad essi dovuti, devastavano i luoghi 
ove abitavano, si facevano sovente lecite le requisizioni come in tempo di 
guerra^ carpivano danaro dalle amministrazioni locali , attignevano nelle 
casse civiche senza allegare alcuna specie di pretesto, eccetto il loro bene- 
placito » (Thiers, xl, p. 268). 

153. Ti persuada: A venire in suo soccorso. 

154. Con esso: pleonasmo. 

158. Spiro: Soffio. — Cleoni aggira: Qua e là volge in giro i suoi sussurri 
annunzianti vicina tempesta. 

161. Desianze diverse : Desideri diversi suscitano ne' cuori favore ora alla 
Pietà, ora alla Giustizia. 

170. Tu : Napoleone Bonaparte. 

171. Hai restituta: Hai ristorata la Francia nel suo buono stato. 



IN MORTB DI LORENZO MASCHERONI. 159 

Fa cor: quel Dio che abbatte ogni grandezza, 175 
Guerra e pace a te fida, a te devolve 
Il castigo d'Europa e la salvezza. 

Tu sei polve al mio sguardo, ed io la polve 
Strumento fo del mio voler. Qui tacque 
Colui che immoto tutto move e volve. i8f 

Qui sparve l'aita vision : poi nacque 
Per entro al negro vortice un confuso 
Romor d'ali e di pie, che di molt'acque 

Parea lo scroscio. Ma repente schiuso 
Fiammeggiò quel gran buio, e folgorando 185 

Due cherubini si calaro in giuso; 

Que' due medesmi del divin comando 
Esecutori, che nel pugno aviéno 
L'un d'olivo la fronda e l'altro il brando. 

Ratti a paro scendean come baleno, 100 

E due gran solchi di mirabil vista 
Parallelli traean per lo sereno. 

L'uno è pura di luce argentea lista; 
L'altro è. turbo di fumo che lampeggia, 
E sangue piove che le stelle attrista. itf5 

Di qua tutto sorriso il ciel biancheggia; 
Di là son tuoni e nembi, e in suon di pianto 
L'aria geme da lungi e romoreggia. 

Seguian coli'ali del vedere un tanto 
Prodigio stupefatti i due lombardi 200 

Coll'altro spirto di che parla il canto; 

Quando si vide a passi gravi e tardi, 
Dalla parte ove rota il suo viaggio 
La terra e obliqui al sole invia gli sguardi, 

Pensierosa salir l'ombra d'un saggio, 205 

176. Devolve: Affida. 

180. Tutto move : Dante, Par., i, 1, chiama Dio : « Colui che tatto move ». 

184. Parea lo soroscio : Immagine ossianesca. La ripete anche nella Palin- 
genesi politica : « con fracasso Simigliante di molte acque al fragore », e 
altrove. 

196. Di qua ... di là: Dalla parte ove passa il cherubino di pace . . . dal- 
l'altra ove passa quello di sterminio. 

199. Coli'ali, ecc. : Con gli occhi. 

200. I due lombardi : Il Mascheroni e il Parini. 

201. Coll'altro spirto : Col Borda. 

202. A passi gravi, ecc.: Dante, In/*., iv, 112: « Genti v'eran con occhi 
tardi e gravi ». Le anime di questi illustri lombardi che si stringono a col- 
loquio nel recesso verdeggiante e odorato ricordano i grandi dell'antichità 
che nel primo cerchio dell'Inferno dantesco si raccolgono in un « prato dì 
amena verzura ». 

203. Dalla parte, ecc. : Dalla parte del polo. « La terra inclinata ai poli di 
ventitré gradi e mezzo sull'eclittica, nella sua rotazione guarda appunto 
obliquamente il sole » (Mg.). 

206. D'un saggio: Di Pietro Verri di Milano (1728 1707), che scrisse lodate 
opere d'economia politica e di filosofìa. 



160 pàrtk m. 

Che, il dito al mento e corrugata il ciglio, 
Uom par che frema di veduto oltraggio. 

Dalla fronte sublime e dal cipiglio 
Nobilmente severo si procaccia 
Testimonianza il senno ed il consiglio. 210 

Come trasse vicino, alzò la faccia, 
Gl'insubri ravvisò spirti diletti, 
E mosse, prima che il parlar, le braccia. 

Allor si vide con amor tre petti 
Confondersi e serrarsi, ed affollarse 215 

Gli uni su gli altri d'amicizia i detti. 

Lo stringersi a vicenda e il dimandarse 
Tra quell'alme finito ancor non era, 
Che di note sembianze altra n'apparse; 

E corse anch'ella, ed abbracciò la schiera 220 

Concittadina. 11 volto avea negletto, 
Negletta la persona e la maniera; 

Ma la fronte, prigion d'alto intelletto, 
Ad ora ad or s'infosca, e lampi invia 
Dell'eminente suo divin concetto. 223 

Scrisse quel primo l'alta economia 
Che i popoli conserva, e tutta svolse 
Del piacer la sottile anatomia. 

Intrepido a librar l'altro si volse 
I delitti e le pene, ed al tiranno 230 

L'insanguinato scettro di man tolse. 

Poscia che le accoglienze, onde si fanno 
Lieti gli amici, s'iterar fra questi 
Che fur primieri tra color che sanno, 

2(W. Si procaccia, ecc. : La, fronte alta e la severità dell'aspetto fanno fede 
del senno dell'economista e filosofo lombardo. 

' 211. Come trasse vicino : Appena si avvicinò. Trarre per muoversi, avvi- 
cinarsi é già in Dante, Purg., 11, 70: « E come a messaggier che porta olivo, 
Traggo la gente ». 

219. Altra : L'ombra di Cesare Beccaria (1738-1784), milanese, autore del 
famoso libro Dei delitti e delle pene. 

223. Prigion, ecc. : Il Petrarca, P. I, canz. in, 7, chiama la mente « torre 
d'alto intelletto ». 

226. Quel primo : Il Verri. — L'alta economia : Il Verri scrisse le Medita- 
zioni su l'Economia politica. 

228. Anatomia: Scrisse anche un Discorso su l'indole del piacere e del 
dolore: chiama anatomia quest'opera per il minuto esame che vi fece del 
dolore , colla diligenza che usa chi studia minutamente la compagine del 
corpo umano. 

231. Di man, ecc. : Il Beccaria col libro Dei delitti e delle pene tolse ai 
re il potere di vita e di morte, perché per primo levò alto la voce contro 
la pena capitale e la tortura. 

232. Poscia che, ecc. : Dante, Purg., vii, 1 : « Poscia che l'accoglienze 
oneste e liete Furo iterate tre e quattro volte ... ». 

234. Tra color, ece. : Dante, Inf., iv, 131, chiama Aristotile « il maestro 
di color che sanno ». 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 161 

Disse Parini: Perchè irati e mesti 235 

Son tuoi sguardi, mio Verri? Ed ei rispose: 
Piango la patria; e chinò gli occhi onesti. 

E anch'io la piango, anch'io, con sospirose 
Voci soggiunse Beccaria; poi mise 
Su la fronte la mano, e la nascose. sio 

Di duol che sdegna testimon conquise 
Vide Borda quell'alme, e in atto umano 
Disse a tutte: Salvete; e si divise. 

Col salutar degli occhi e della mano 
Risposer quelle, e in preda alla lor cura 215 

Mosser tacendo per l'etereo piano. 

Come gli amici in tempo di sventura 
Van talvolta per via, né alcun domanda 
Per temenza d'udire cosa dura; 

Tale andar si vedea quell'onoranda 250 

Di sofl compagnia, curva le fronti, 
Aspettando chi primo il suo cor spanda. 

Luogo è d'Olimpo su gli eccelsi monti 
Di piante chiuso che non han qui nome, 
E rugiadoso di nettarei fonti, 255 

Ch'eterno il verde educano alle chiome 
Degli odorati rami, e i più bei fiori 
Di colei che fa il tutto e cela il come; 

Poi cadendo precipiti e sonori 
Tra scogli di smeraldo e di zaffiro 200 

Scendono a valle per diversi errori; 

E là danzando del beato empirò 
A inebriar si vanno i cittadini 
Dell'ambrosia che spegne ogni desiro. 

A quest'ermo recesso i peregrini 265 

Spirti avviarsi; e qui, seduti al rezzo 
Tra color persi, azzurri e porporini, 

237. Piango la patria : « 1 grandi spiriti italiani , stretti fra loro, hanno 
per unico pensiero, per unica passione la patria , e nemmeno il paradiso 
vale a mitigarne il dolore di vederla oppressa » (Zumbini, p. 186). 

243. Bene qui lo Zumbini, ib., fa notare la delicatezza dell'atto del Borda 
che « si ricordava di esser pur sempre uno straniero in mezzo ad Italiani, 
e che, pur amando l'Italia, non poteva amarla come questi. Intendeva quanto 
ci fosse di solenne, di santo, e, direi di geloso nel dolore dei figliuoli che 
piangevano il danno della madre comune ». 

251. Sofi: Sapienti. 

255. Rugiadoso, ecc. : Irrigato da fonti di nettare. 

256. Edùoano : Nel senso etimologico di far crescere, coltivare : Catullo, 
carme lxii : « . . . tamquam mitem educat uvam », e il Foscolo, Sepolcri, 55 : 
« Nel suo povero tetto educò un lauro », e al v. 125 : « Amaranti educavano 
e viole ». 

266. Rezzo : Ombra ove spira una fresca aria. 

267. Persi : Di colore scuro, tra il rossiccio e il n^ro. 

Monti. — Poesie, 11 



162 PARTE III. 

Fèr di so stessi un cerchio. tu che in mezzo 
Di lor sedesti, olimpia dea, nò Tira 
Temi del forte né del vii lo sprezzo, 270 

Tu verace consegna alla mia lira 
L'alte loro parole; e siano spiedi 
A infame ciurma che alle forche aspira 

Nò vale il fango che mi lorda i piedi. 

CANTO QUARTO. 

Contenuto. — U Verri racconta che l'amor di patria l'aveva spinto a ri v e 
dere la sua Milano e dei mali di questa fa una dolorosa descrizione. E quali 
rimedi poteva opporre a quei mali l'autorità, se essa era sfornita d'ogni 
potenza) chiede il Mascheroni. Deporsi, grida la fiera anima dei Parini. I] 
Verri riprende la sua narrazione, dicendo che, contristato dallo spettacolo di 
tanti mali, aveva lasciato Milano, non prima però di avere abbracciato, non 
visto, i suoi. Passa poi soipra le città lombarde. Pavia, Como, e a Bosisio 
vede il ricordo funeore che al Parini aveva inalzato il Marliani. Di là pas- 
sando sopra Bergamo ed altri paesi ancora e per tutto udendo il pianto 
delle afflitte genti, scende a Ferrara, ove vede presso una tomba un'ombra 
mesta, l'ombra dell'Ariosto, a cui chiede la cagione de' suoi sospiri. Anche 
questo canto spira tutto amor di patria e nobili sono le parole dì quei ma- 
gnanimi spiriti. Il p. ha saputo ritrarre con efficacia dantesca le qualità 
del loro animo e dei loro ingegno : cosicché la Mascher. ha tale contenuto 
morale e civile che per questa parte é certamente superiore ad ogni altro 
componimento del Monti. 

Sacro di patria amor, che forza acquista 
Ed eterno rivive oltre Favello 
(Cominciò l'alto insubre economista); 

Desio che pure ne' sepolti è bello 
Di visitar talvolta ombra romita 5 

Le care mura del paterno ostello, 

E con gli affetti della prima vita 
Le vicende veder di quel pianeta 
Che l'alme al fango per partir marita, 

Mi fean poc'anzi abbandonar la lieta 10 

Regì'on delle stelle: e il patrio nido 
Fu dolce e prima del mio voi la mèta. 

Per tutto armi e guerrier, tripudio e grido 
Di libertà; per tutto e danze e canti, 
Ed altari alle Grazie ed a Cupido, 13 

26U. Olimpia dea : La Verità cosi detta perché discesa dal cielo. 

272. Spiedi : E siano le loro parole armi per trafiggere ecc. 

274. Mi lorda i piedi: De' suoi nemici il p. cosi disse nel son. Padre Qui- 
riti: « Squadrali tutti ad uno ad uno, e vedi Ch'ei sono infami, non aventi 
il prezzo Neppur del fango che mi lorda i piedi ». 

3. L'alto, ecc. : Il Verri. 

8. Di quel pianeta : Della terra. 

9 Al fango, ecc. : Che unisce le anime al corpo. 
11. Patrio nido: Milano. 
15. Ed altari, ecc. : Cioè amori e adorazioni della bellezza muliebre. 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 163 

E operose officine, e di volanti 
Splendidi cocchi fervida la via, 
E care donne e giovinetti amanti, 

Sclamar mi fenno a prima giunta: Oh mia 
Gentil Milano, tu sei bella ancorai 20 

Ancor bella e beata è Lombardia! 

Poi nell'ascoso penetrai (che fuora 
Sta le più volte il riso e dentro il pianto), 
E venir mi credei nell'Antenòra, 

Nella Gaina, o s'altro luogo è tanto 23 

Maledetto in inferno ove raccoglia 
Tutte insieme le colpe Radamanto. 

Dell'albergo fatai guardan ia soglia 
Le Cabale pensose e l'Impostura 
Che per vestirsi la virtù dispoglia, 30 

La Fraude che si tocca il petto e giura, 
La fallace Amistà che sul tuo danno 
Piange e poi t'abbandona alla ventura. 

Carezzanti negli atti in volta vanno 
Le bugiarde Promesse accompagnate 35 

Dalle garrule Ciance e dall'Inganno. 

Sta fra le valve a piò profan vietate 
Il Favor, che bifronte or apre, or chiude, 
E dice all'un: Non puossi; e all'altro: Entrate. 

Su e giù sospinte le Speranze nude 40 

Van zoppicando, e inseguele per tutto 
Colei che tutte le speranze esclude. 

Con umil carta in man lurido e brutto 
Grida il Bisogno, e sua ragione apporta; 
Ma duro niego de' suoi gridi è il frutto: 45 

Che voce di ragion là dentro è morta, 

16. Di volanti . . cocchi fervida la via : Reminiscenza virgiliana, Georg,, in, 
107 : « volat vi fervidus axia ». 

22. Nell'ascoso, ecc.: Penetrai più addentro, non accontentandomi delle 
apparenze esteriori. 

24. Antenora . . . Caina : I due ultimi scompartimenti del ix cerchio del- 
l'Inferno dantesco, ove si puniscono i traditori della patria e dei parenti. 

27. Radamente- Con Minosse ed Eaco era, secondo gli antichi (Virgilio, 
Aen., vi, 566), giudice delle anime che scendevano all'Inferno. 

28. Dell'albergo fatai : Della funesta sede del governo. 

29. Le Cabale pensose : La cabala era una scienza chimerica dei rabbini 
ebrei, qui vale, come spesso nell'uso moderno, raggiro. È pensosa, perchè 
pone ogni suo studio e pensiero a ingannare. 

36. Garrule: Loquaci. 

37. Valve: Imposte d'una porta (lat.). 

38. Bifronte : A due facce. Sebbene anche (jui si debba notare che troppo 
frequenti sono nel nostro p. le personificazioni, si veda però quanto sia 
bella e vera questa personificazione del Favore. 

42. Colei: La. disperazione, la quale insegue per tutto le nude speranze 
zoppicanti (perché non arrivano a raggiungere la meta). 
46. Là dentro: Cioè nel palazzo del governo. 



ì 



^n/ 



164 PARTE III. 

/ E de' meni scaffali tra le borre 

U DormeUiustizia in gran letargo assorta; 

^ Nò dall'alto suo sonno la può sciórre 

Che il sonante cader di quella piova 50 

Che fé* lo stupro dell'acrisia torre. 

Quest'io vidi nell'antro in cui si cova 
Della patria il dolor, che con grand'arte 
Tutto giorno si affina e si rinnova; 

Tal che, guasta il bel corpo d'ogni parte, 55 

Trae già l'ultimo fiato e muore in culla 
La figlia del valor di Bonaparte. 

Circuisce la misera fanciulla 
Multiforme di mostri una congrega, 
Che la sugge, la spolpa e la maciulla: oj 

Il furto, ch'ai poter fatto è collega; 
Tirannia che col dito entro gli orecchi, 
Scostati, grida alla pietà che prega; 

Ignoranza che lósca fra gli specchi 
Banchetta, e l'osso che non unge arcigna 65 

Getta al merto giacente in su gli stecchi. 

E la patria frattanto, empia matrigna 
Nega il pane a' suoi figli, e a tal lo dona 
Stranier cui meglio si daria gramigna. 

Mossi più addentro il piede: e in logra zona 70 

Vidi l'inferma che Finanza ha nome, 
Che scheletro pareva e non persona. 

Colle man disperate entro le chiome 
Guarda i vuoti suoi scrigni, e stupefatta 
Cerca e non trova dell'empirli il come. 75 

Or la forza le invia fusa e disfatta 
La pubblica sostanza; or la meschina 
Perdendo merca e supplicando accatta. 

47. Borre : È ben detto delle carte dimenticate negli scaffali. Borra vera- 
mente si dice della cimatura del pelo de' pannilani degli ammassi di peli 
che servono ad imbottire cuscini, sedie odf altro. 

50. Quella piova, ecc. : La pioggia dell'oro. Giove, trasmutatosi in pioggia 
d'oro, potè entrare nella torre ove Acrisio, re d'Argo, aveva chiuso la figlia 
Danae di cui il dio s'era invaghito. 

52. Si oova: Si medita, si prepara. L'usò più volte i Parini. Caduta, 62: 

« colà dove nel muto Aere il destin de' popoli si cova », e il Nostro nella 

Mu8og onici, 45: < Necessità che brame Cova malvage sotto al tetro fonte », e 

anche i Petrarca, nel son. Fiamma del ciel: « Nido di tradimenti in 

\ cui si cova Quanto mal ... ». 

60. Maciulla : La stritola, verbo preso metaforicamente dalla maciulla o 
gramola che serve a dirompere il lino o la canapa. 

64. Fra gli speochi banchetta : Gavazza fra il lusso. 

65. L'osso che non unge : L'osso spolpato. 
70. Zona: Veste. 

76. Or la fona, ecc. : Ora la forza le riempie gli scrigni - colla ricchezza 
pubblica, per mezzo delle tasse che cosi distruggono la ricchezza. 

78. Supplicando aocatta : Chiede dei prestiti che le fanno perdere molto. Allude 
alle disastrose operazioni finanziarie t z. cui ricorrono i governi per far denari. 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 165 

Scorre a fiumi il danaro, e la rapina 
Di color mille e cento man l'ingozza so 

E giù nell'ampio ventre lo ruina 

Con sì gran fretta, che talor la strozza 
Tutto no 1 cape, e il vome, e vomitato 
Lo ricaccia nell'epa e lo rimpozza; 

Né del pubblico sazia anco il privato 85 

Aver divora; e il vede e lo consente 
Suprema e muta autorità di stato. 

Chiusa e stretta la forza prepotente, 
(Dolce interruppe allor Lorenzo) e in forse 
Di maggior danno, e inerme e dependente, oo 

Che far poteva autorità? — Deporse, 
Gridò fiero Parini: e, steso il dito, 
Gli occhi e la spalla brontolando torse. 

Strinse allora le labbia in sé romito 
Dei delitti il sottil ponderatore; 95 

E, Fu giusto, poi disse, il tuo garrito. 

Forza li vinse: e che può forza in core 
Che verace virtute in so raduna? 
Cede il giusto la vita e non l'onore; 100 

L'onor, su cui nò strale di fortuna, 
Né brando, né tiranno, nò lo stesso 
Onnipossente non ha possa alcuna. 

Qual madre, che del figlio intende espresso 
Grave fallo, si tace e non fa scusa, 105 

Ma china il guardo per dolor dimesso 

E tuttavolta col tacer l'escusa; 
Tal si fece Lorenzo, mansueta 
Alma cortese a perdonar sol usa. 

Ma col cenno del capo il fier poeta no 

Plause a quel dir, che il generoso fiele 
De' bollenti precordii in parte acqueta. 

84. Lo rimpozza : Lo rimette nei pozzo (metaf.) , cioè nel ventre (epa). 
< L'estimo censuario dello stato era di 157 milioni di scudi e la sua rendita 
di 21,800,000 scudi, pari a 179 milioni di lire milanesi. A norma dell'estimo 
i tributi della Cisalpina non avrebbero dovuto eccedere 64 milioni di lire 
milanesi, cioè 48 milioni di franchi. L'Austria medesima non soleva ritrarre 
più di 18 milioni di lire milanesi. Invece in due soli mesi, luglio e agosto 
del 1800, noi avevano dato 18 milioni » (De Castro, op. cit., p. 100). 

91. Daporse: Nobile e fiero grido questo, che ben s'addice a quell'altera 
e disdegnosa anima lombarda che sappiamo avere avuto il Parini. 

94. Romito: Tutto raccolto in sé stesso. Dante, Purg., vi, 72: € E l'om- 
bra tutta in sé romita ... ». 

95. Il sottil, ecc. : Il Beccaria. 

96. Garrito: Rimprovero. 
104. Espresso: Raccontato. 

107. Si noti quanta verità è In questa bella similitudine. 
112. Precordii : Le parti immediatamente vicine al cuore, ma qui 11 cuore 
stesso. 



166 * PARTE in. 

Aprì dì nuovo al ragionar le vele 
Verri frattanto, e, non ancor, soggiunse, 
Tutto scorremmo questo mar crudele. 115 

Poiché protetta la rapina emunse 
Del popolo le vene, e di ben doma 
Putta sfacciata il portamento assunse; 

La meretrice, che laggiù si noma 
Libertà depurata, iva in bordello 120 

Coi vizi tutti che dier morte a Roma. 

Alla fronte lasciva era cappello 
Il berretto di Bruto, ma di serva 
Avea gli atti, il parlare ed il mantello. 

E la seguia di drudi una caterva, 125 

Che da questa d'Italia a quella fogna 
A fornicar correa colla proterva. 

Altri, perduta nel peccar vergogna, 
Fuggi la patria no, ma il manigoldo; 
Altri è resto di scopa, altri di gogna: 130 

Qual repe e busca ruffianando il soldo; 
Qual è spia; qual il falso testimonio 
Vende pel quarto e men d'un leopoldo. 

Quei chiede un Robespier che il sangue ausonio 
Sparga, e le funi e la Senavra impetra 135 

Con questo che biscazza il patrimonio. 

V'ha chi ventoso raschiator di cetra, 
Il pudor caccia e sé medesmo in brago, 
E segnato da Dio corre alla Vetra. 

11G. Mar crudele: Dei mali affliggenti la patria. Dantjs, Purg., 1,3: «Che 
lascia dietro a sé mar si crudele ». 

120. Libertà depurata : Depurare significava in bocca dei furiosi demagoghi 
d'allora levare dalle pubbliche cariche tutti quelli che non erano sfrenati 
repubblicani come loro. 

183. Il berretto, ecc. : Il berretto frigio. 

126. Fogna: Cosi per dispregio chiama le altre parti d'Italia, dove « for- 
nicavano » colla sfacciata libertà 1 falsi amatori della repubblica. 

130. Resto, ecc. : Vili malfattori, avanzo de la soopa, cioè della fustiga- 
zione che s'infliggeva ai condannati, o avanzo della gogna o berlina, pena 
infamante per cui i rei sono esposti al pubblico, stretti da un collare di 
ferro. 

131. Repe : Striscia a guisa di serpente (lat.). 

133. Un leopoldo : Moneta austriaca coll'effigie dell'imperatore d'Austria, 
Leopoldo I. 

131. Ausonio : italiano. 

135. Le funi e la Senavra, ecc. : Divenuto pazzo, merita di essere mandato 
alla Senavra che era un manicomio fuori di Milano ove sarebbe, per do- 
mare il suo furore, legato con funi. Sì noti l'endiadi di funi e la Senavra 
per le funi della Senavra. 

136. Biscazza : Scialacqua al giuoco. 

137. Ventoso, ecc. : Anche qui balestra il Gianni che chiama ventoso per 
la sua burbanza. 

139. Segnato da Dio : Sì ricordi che il Gianni era gobbo. — Vetra: € Piazza 
In Milano ove sì faceva giustizia de' malfattori » (Mg.). 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 167 

V'ha chi saita in bigoncia dallo spago; 140 

V'ha chi versuto ciurmador le quadre 
Muta in tonde figure, e non è mago. 

Disse rea d'adulterio altri la madre, 
E di vile semenza di convento 
Sparso il solco accusò del proprio padre. 145 

Altri è schiuma di prete, e fraudolento 
De* galeotti arringator, per fame 
Va trafficando Cristo in sacramento. 

Tutto è strame, letame e putridame 
D'intollerando puzzo, e. lo fermenta 150 

Tutto quanto de' vizi il bulicame. 

E questa ciurma ell'è colei che addenta 
I migliori, colei che tuona e getta 
D'itala libertà le fondamenta? 

Oh inopia di capestri ! oh maladetta 155 

Lue cisalpina! oh patria! oh giusto Iddio! 
Perchè pigra in tua mano è la saetta? 

Terror mi prese a tanto; e, nell'oblio 
Del mio stato immortale, al patrio tetto, 
Per celarmi, tremante il pie fuggio. 160 

Oh mia dolce consorte! oh mio diletto 
Fratello! oh quanto nell'udir mi piacqui 
Da voi nomarmi coll'antico affetto, 

E ricordar siccome amai uè tacqui 
La pubblica ragion, sin che, già franta 165 

De' buon la speme, addio vi dissi, e giacqui! 

Piansi di gioia nel veder cotanta 
Carità della patria, e come intera 
De' miei figli nel cor la si trapianta. 

Ed io vana allor corsi ombra leggera, no 

l'IO. V'ha chi, ecc. : Ve chi di ciabattino diventa tribuno. 

141. Versuto ciurmadore: Astuto (lat. versutus) ingannatore. 

142. Muta, ecc. : Cambia le carte in mano, anche non essendo mago. 

145. Il solco : La via alla generazione : taccia qualcuno di quei demagoghi 
di bastardo, figlio di frate. 

146. altri, ecc. : « Fu in quei tempi di depravata libertà in cui si videro 
preti e frati apostatare tra le oscene danze intorno all'albero della libertà; 
o predicare intolleranti e feroci principii d'irreligione e di scostumatezza » 
(Mg.). 

151. De* vizi il bulicame: Tutto il bollente fiume dei vizi. Il Bulicarne era 
propriamente una fonte d'acqua bollente a Viterbo. Dante usò questa pa- 
rola nel senso di lago di sangue bollente {Inf. xn, 128, e xiv, 179). 

155. Oh inopia, ecc. : Oh scarsezza di funi da impiccare questi uomini cosi 
meritevoli della forca, il Foscolo nella orazione a Bonaparte (§ iv) aiferma 
che tutto in auella Repubblica era oro, briga x tremore, e sferza con ro 
venti parole i vizi, l'ignoranza, la malvagità di quei legislatori. 

158. Nell'oblio, ecc. : Dimentico di essere immortale. 

164. Siccome amai : Come amai il bene pubblico, né tacqui mai in sua 
difesa. 

166. Giacqui: Morii. 



108 PARTE III. 

E gli strinsi, e sentii tutta in quel punto 
La dolcezza di padre e più sincera. 

Ma il tenero lor petto al mio congiunto 
Ahi! quell'amplesso non intese, e invano 
Vivi corpi abbracciai spirto defunto. 175 

Mi staccai da' miei cari : e di Milano 
Ratto fuggendo, a quel sordo mi tolsi 
Delle lagrime altrui gonfio oceano. 

Città discorsi e campi ; e pria mi volsi 
Al longobardo piano ove superbe ìso 

Strinser catene al re de* Franchi i polsi, 

E il villan coll'aratro ancor tra l'erbe 
Urta le gallic'ossa, e quell'aspetto 
Par che '1 natio rancor gli disacerbe. 

\idì '1 campo ove Scipio giovinetto is5 

Contro i punici dardi allo spirante 
Padre fé' scudo del roman suo petto. 

Vidi l'uftiil Agogna intollerante 
Del suo fato novel: vidi la valle 
Cui nome ed ubertà fa la sonante 190 

Sesia. Di là varcai per arduo calle 
L'alpe che il nutritor di molte genti 
Verbano adombra colle verdi spalle. 

Quindi del Lario attinsi le ridenti 
Rive e la terra ove alla luce aprirsi 105 

I solerti di Plinio occhi veggenti; 

p]d or l'odi di Volta insuperbirsi. 
Che vita infonde pe' contatti estremi 

175. Spirto defunto : Nota quanto delicata immaginazione é questa del p. 
che fa che il Verri , inorridito da ciò che ha veduto, corra alla sua casa 
ad abbracciare i suoi cari. 

180. Al longobardo piano : A Pavia, ove il 21 febbraio 1525 il re di Francia, 
Francesco I, in aspra battaglia, fu fatto prigioniero dai soldati di Carlo V. 

184. Gli disaoerbe : Gli raddolcisca quell'odio che ebbe dalla nascita contro 
i vicini stranieri, Il Bertoldi intende « rancore » per « rozzezza di senti- 
menti », ma a torto mi pare. 

185. Il campo : Il luogo presso il Ticino ove avvenne la battaglia in cui 
il console Paolo Emilio rimase ucciso , sebbene gli facesse scudo del suo 
corpo il Aglio adottivo P. Cornelio Scipione. 

188. Agogna : Fiume che passi presso Novara (lo chiama umile per la sua 
piccolezza). Novara era stata distaccata dalla repubblica cisalpina e annessa 
alla Francia, come parte del dipartimento della Sesia. 

180. La valle, ecc. : La Val Sesia che é resa fertile e prende il nome 
dalla Sesia che l'attraversa. 

193. Verbano : Cosi i latini dicevano il lago Maggiore. 

194. Lario : Il lago di Como che gli antichi chiamavano Lario, celebre per 
le sue ridenti rive. 

195. La terra, ecc. : Como, ove nacque il grande naturalista Plinio il vec- 
chio (23-79 d. C), che dice avere avuto « occhi solerti », perché bene ad- 
dentro scrutò nei segreti della natura. 

197. Volta: In Como nacque anche il sommo fisico Alessandro Volta 
(1745-1827). 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 169 

Di due metalli (maraviglia a dirsi!) 

Nei membri già di pelle e capo scemi £00 

Delle rauche di stagno abitatrici, 
E di Galvan ricrea gli alti sistemi. 

I placidi cercai poggi felici 
Che con dolce pendio cingon le liete 
Dell'Eupili lagune irrigatrici ; 205 

E nel vederli mi sclamai: Salvete, 
Piagge dilette ai ciel, che al mio Parini 
Foste cortesi di vostr'ombre quete, 

Quando ei fabbro di numeri divini, 
L'acre bile fé' dolce e la vestia 210 

Di tebani concenti e venosi ni. 

Parea de* carmi tuoi la melodia 
Per quell'aure ancor viva, e l'aure e Tonde 
E le selve eran tutta un'armonia. 

Parean d'intorno i fior, l'erbe, le fronde 215 

Animarsi e iterarmi in suon pietoso: 
Il cantor nostro ov'è ? chi lo nasconde ? 

Ed ecco in mezzo di ricinto ombroso 
Sculto un sasso funebre che dicea: 

Al SACRI MANI DI PAR1N RIPOSO. . 220 

199. Di due metalli : 11 Volta perfezionò la teoria del magnetismo animale 
per mezzo dell'invenzione della pila, che sprigiona l'elettricità col contatto 
di due metalli, lo zinco ed il rame. 

201. Di stagno abitatrici : Le rane, che vivono nelle acque stagnanti, scor- 
ticate e prive del capo, al contatto della pila saltano come se fossero vive. 
Questa esperienza di magnetismo animale fu fatta da Luigi Galvani (1737- 
1798). 

205. Eupili : Il lago di Pusiano in Brianza che gli antichi dissero Eupili 
e i cui ridenti dintorni cosi cantò il Parini, che era nato li presso, a Bosi- 
sio : « Colli beati e placidi Che il vago Eupili mio Cingete con dolcissimo 
lasensibil pendio. . . ». 

208. Cortesi, ecc.: Il Foscolo nei Sepolcri, 69, d'un tiglio che avrebbe 
dovuto ombreggiare l'urna del Parini, dice che va fremendo : « Perchè non 
copre . . ., l'urna del vecchio Cui già di calma era cortese e d'ombra ». Il 
Parini, Od. i, 41, dice che all'ombra degli alberi di quelle piagge dilette 
trovava « un caro albergo sereno ». 

209. Fabbro di numeri, ecc. : Artefice di versi divini. Numeri (lac.) vale 
armonie. Fabbro è usato dai poeti in senso nobile per artefice. Dante, 
2urg.,x, 99 : « E per lo fabbro loro a veder care », e xxvi, 117 : « Fu mi- 
glior fabbro del parlar materno ». 

210. L'acre bile : Raddolcì nei versi armoniosi l'ira contro la mollezza 
degli aristocratici che flagellò nel Giorno. 

211. Di tebani, ecc. : Di armonie pindariche (che Pindaro fu di Cinocefale 
presso Tebe) e oraziane (Orazio naca uè in Venosa). 

212. Tuoi : Perché fra le ombre che l'ascoltavano era anche quella del 
Parini. 

220. Ai sacri mani. ecc. : L'avv. Rocco Marliani in una sua villa, detta 
Amelia, ad Erba presso il lago di Pusiano, fece erigere un monumento fu- 
nebre al Parini, amico suo. La tomba era ombreggiata da lauri, e da un 
organo sotterraneo usciva un mesto suono che empieva di melanconici pen- 
sieri l'animo del passeggiere. Sul monumento erano incisi i versi dell ode 
pariniana, II Messaggio: « Qui ferma il passo, e attonito Udrai del tuo can- 
tore Le commosse reliquie Sotto la terra argute sibilar ». 



170 PARTE III. 

E donna di beltà che dolce ardea 
(Tese l'orecchio, e fiammeggiando il vate 
Alzò l'arco del ciglio, e sorridea) 

Colle dita venia bianco-rosate 
Spargendolo di fiori e di mortella, 225 

Di rispetto atteggiata e di pietate. 

Bella la guancia in suo pudor; più bella 
Su la fronte splendea l'alma serena, 
Come in limpido rio raggio di stella. 

Poscia che dati i mirti ebbe a man piena, 230 

Di lauro, che parea lieto fiorisse 
Tra le sue man, fé* ai sasso una catena ; 

E un sospir trasse affettuoso, e disse : 
Pace eterna air amico: e te chiamando 

I lumi al cielo sì pietosi affisse, 235 
Che gli occhi anch'io levai, certa aspettando 

La tua discesa. Ah qual mai cura quale 
Parte d'olimpo ratteneati, quando 

Di que' bei labbri il prego erse a te l'ale ? 
Se questa indarno l'udir tuo percuote, 210 

Qual altra ascolterai voce mortale? 

Riverente in disparte alle devote 
Ceremonie assistea colle tranquille 
Luci nel volto della donna immote 

Uom d'alta cortesia, che il ciel sortille, 245 

Più che consorte, amico. Ed ei, che vuole 

II voler delle care alme pupille, 
Ergea d'attico gusto eccelsa mole, 

Sovra cui d'ogni nube immacolato 

Raggiava immemor del suo corso il sole. 250 

E Amalia la dicea dai nome amato 
Di costei, che del loco era la diva 
E più del cor che al suo congiunse il fato. 

Al pio rito funebre, a quella viva 

221. Donna ut beltà : Amalia, moglie del Marliani. 

222. Tese l'orecchio : « Per mezzo di questi atti vuole il p. significare 
l'ammirazione vivissima che della bellezza femminile ebbe sempre il Pa- 
nni » (Bertoldi). 

826. E di pietate: Dante, Purg., x,78: « Di lagrime atteggiata e di do- 
lore ». 

230. A man piena : Virgilio, Aen, vi, 883 : « Manibus date lilla plenis », 
ripetuto da Dante, Purg., xxx, 21. 

215. Uom, ecc. : Il Marliani. 

216. Che vuole, ecc. : che ha la stessa volontà espressa dalle care pupille 
di lei. 

218. D'attioo gusto: Di gusto squisito, perché i Greci, di cui gli Attici 
erano i più colti, ebbero innato il gusto dell' eleganza. — Mole : La villa 
Amelia. 

253. Del oor : Del marito. 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 171 

Gara d'amor mirando, già di mente 255 

Del mio gir oltre la cagion m'usciva. 

Mossi al fine; e quei colli ove si sente 
Tutto il .bel di natura abbandonai, 
Vorme segnando al cor contrarie e lente. 

Vagai per tutto: nel tugurio entrai 260 

Dell'infelice e il ricco vidi in grembo 
Dell'aure case più infelice assai. 

Salii, discesi, e risalii lo sghembo 
Sentier di balze e fiumi; e, il mio cammino 
Oltre l'Adda affrettando ed oltre il Brembo, 265 

Alla tua patria giunsi, o pellegrino 
Di Bergamo splendor che qui m'ascolti; 
E mesta la trovai del repentino 

Tuo dipartire e lagrimosi i volti 
Su la morta di Lesbia illustre salma, . 270 

Che al cielo i vanni per seguirti ha sciolti. 

Brillò di gaudio a quell'annunzio l'alma 
Dell'amoroso geometra, e uscire 
Parve alcun poco dell'usata calma. 

E già surto partia, per lo desire 275 

Di riveder quel volto che le penne 
Di Pindo ai voli gli solea vestire; 

Ma dignitosa coscienza il tenne 
E il narrar grave di quell'altro saggio, 
Che, precorso un sorriso, così venne sso 

Seguitando il suo dir: Dritto il viaggio 
Di là volsi al terren che il Mella irriga, 
Ricco d'onor, di ferro e di coraggio. 

Quindi al Benàco che dal vento ha briga 
Pari al liquido grembo d'Amfitrite 285 

259. L'orme segnando, ecc. : Partendo di là , sebbene il core volesse che 
rimanessi ivi. Cfr. il v. 57 della Bassvill. 1 e la nota appostavi. 

263. Sghembo : Tortuoso. 

266. Pellegrino: Insigne, raro : Tasso, Oer. Lib., vi. 26: « Quando in leg- 
giadro aspetto e pellegrino », e Petrarca, P. I, son. 159 : « Leggiadria sin- 
gulare e pellegrina ». Questi a cui si rivo 1 gè é il Mascheroni. 

270. Lesbia: V. la n. 63 a p. 136 e V Introduzione a questo poemetto. 

276. Che le penne, ecc. : Che gli destava l'estro poetico. 11 Pindo in Tes - 
saglia era sacro ad Apollo , dio della poesia. Anche Dantk, Par., xv, 53, 
dice di Beatrice : « colei Ch'all'altó volo ti vesti le piume ». 

278. Ma dignitosa, ecc.: Cosi Dante, Purg., in, 8: « Odi gnitosa coscienza 
e netta ». 

280. Precorso un sorriso : Avendo prima sorriso. 

282. Al terren, ecc. : Il bresciano che é attraversato dal Mella. 

284. Benàco: Gli antichi chiamarono Benàco il lago di Garda. Questo lago 
é non di rado agitato da fiere tempeste (Virgilio, Georg, n, 160). — Ha 
briga : Reminiscenza dantesca, Par., vin, 68 : « il golfo Che riceve da Euro 
maggior briga ». 

2S5. Grembo d'Amfitrite : Il mare : Amfltrite era la consorte di Nettuno. 



172 PARTE ITI. 

Quando irato Aquilon Tonde castiga. 

Quindi al fiume ove tardi diffinite 
Fur l'italiche sorti, e non del duce 
Ma de' condotti il cor vinse la lite.. 

E l'Adige seguii Ano alia truce 200 

Adria, ove stanchi già del lungo corso 
Trenta seguaci il re de' fiumi adduce. 

Tutto insomma il paese ebbi trascorso 
Che alla manca del Po tra '1 mare e '1 monte 
Sente de' freni cisalpini il morso. 295 

E di dolore, di bestemmie e d'onte 
Per tutto intesi orribili favelle, 
Che le chiome arricciar ti fanno in fronte : 

Pianto di scarna plebe a cui la pelle 
Si figura dall'ossa, e per le vie 300 

Famelica suonar fa le mascelle: 

Pianto d'orbi fanciulli e madri pie 
D'erba e d'acque cibate, onde di mulse 
E d'orzo sagginar lupi ed arpie; 

Pianto d'attrite meschinelle avulse 303 

Ai sacri asili e con tremanti petti 
Di porta in porta ad accattar compulse: 

Pianto di padri, ahi lassi!, a dar costretti 
L'aver, la dote, e tutto, anche le poche 
Care memorie de' più sacri affetti : 3io 

Cupi sospiri e voci or alte or fioche 
Di tutte genti, per gridar pietade 
E per continuo maledir già roche. 

D'orror fremetti; e venni alla cittade 
Che dal ferro si noma. dalle Muse 315 

Abitate mai sempre alme contrade, 

887. Al fiume, ecc. : All'Adige, ove lo Scherer, generalissimo de* Francesi in 
Italia, nel 1799 fu sconfitto dagli Austro-Russi presso Verona. V. al v. 52 del 
canto ii. 

288. E non del duce : La vittoria non l'ottennero gli Austriaci per merito 
del duce, ma per il valore dei soldati. 

290. Truce Adria: Tempestoso Adriatico. 

292. Trenta seguaoi : Il Po, massimo dei fiumi italiani, e per ciò detto « re 
de* fiumi » (V. la n. 38 a p. 31), porta al mare trenta affluenti. Anche Dante, 
Inf. v, chiama gli affluenti del Po : « i seguaci sui ». 

294. Tra '1 mare e '1 monte : A sinistra del Po, tra le Alpi e l'Adriatico. 

295. De' freni, ecc. : Cosi é circoscritto il territorio della Repubblica ci- 
salpina. 

299. A cui la pelle, ecc. : V. la n. 31 al e. n della Bassvilì. 

303. Mulse: Acque con miele. 

304. Sagginar: Ingrassare. 

305. Avulse : Strappate (lat.). 

306. Ai sacri asili: Ai monasteri. 

307. Compulso: Spinte (lat.). 

314. Alla oittade, ecc. : A Ferrara. 

316. Alme: Alimentatrici d'illustri uomini. 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 173 

Onde tanta pei mondo si diffuse 
Itala gloria e tal di carmi vena 
Che non Ascra, non Ohio la maggior schiuse, 

D'onor, di cortesia nutrice arena, 320 

Come giaci deserta ! e dal primiero 
Splendor caduta, e di squallor sol piena! 

Questi sensi io volgea nel mio pensiero, 
Quando un'ombra m'occorse alla veduta 
Mesta sì, ma sdegnosa e in atto altero. 325 

Sovresso un marmo sepolcral seduta 
Stava l'afflitta, e della manca il dosso 
Era letto alla guancia irta e sparuta. 

Ombrata avea di lauro non mai scosso 
La spaziosa fronte e sui ginocchi 330 

Epico plettro, che dall'aura mosso 

Dir fremendo parea: Nessun mi tocchi. 
Ver' lei mi spinsi, e dissi: tu che spiri 
Dolor cotanto e maestà dagli occhi, 

Soddisfami d'un detto a' miei desiri; 335 

Parlami '1 nome tuo, spirto gentile, 
Parlami la cagion de' tuoi sospiri; 

Se nulla puote onesto prego umile. 

CANTO QUINTO. 

Contenuto. — In questo ultimo canto 1 ombra dell'Ariosto, parlando al 
Verri, rimprovera all'Italia i suoi vizi. Intanto una spaventosa inondazione 
dei fiumi Reno e Panaro devasta le campagne di Ferrara, e le popolazioni 
spaventate fuggono, ma i loro lamenti non ascolta il governo che solo prov- 
vede ad arricchire sé stesso. L'ombra dell'Ariosto, contristata da si terribile 
vista, manda un grido e sparisce, e il Verri continua il suo viaggio e passa 
per Bologna, Modena e Reggio. Mentre egli narra il suo viaggio agli altri 
spiriti lombardi, le sue parole gli sono troncate sul labbro da una voce che 
srida : « Pace ai mondo ». Questo grido viene da un eroe che, cinto di splen- 
dida luce, esce dalla Senna, colla spada nel fodero e un ramoscello d'olivo 
in mano che olire all'Inghilterra, l'implacabile nemica dell Europa. Ne esul- 
tano le divinità del mare e a una nuova vita si ridesta il Commercio. 

310. Asora . . . Chio : Ascra in Beozia fu patria di Esiodo, Chio nell'isola 
omonima fu una delle sette città (per altri undici) che si disputarono la 
gloria di aver dato i natali ad Omero. Allude alla splendida corte degli 
Estensi a Ferrara ove poetarono i nostri massimi poeti, l'Ariosto e il Tasso. 

324. Un'ombra: Lodovico Ariosto. 

327. E della manca, ecc.: Dante, Purq., vii, 107: « L'altro vedete che ha 
fatto alla guancia Della sua palma, sospirando letto ». 

329. Non mai soosso : Intatto , perché sempre verde é rimasta la gloria 
dell'Ariosto. 

331. Dall'aura, ecc. : I plettri che suonano mossi dall'aura sono remini- 
scenza ossianesca. 

335. Soddisfami, ecc.: Dante, Inf., x, 6: Parlami e satisfami a' miei 
desiri ». 

336. Parlami il nome tuo : Parlare é qui usato transit. Cosi nel Petrarca, 
canz. Di pensier in pensier: « e parlo cose manifeste e conte », e nel Fo- 
scolo, Sepolcri, 259 : « Le fea parlar di Troia il di mortale ». 

338, Se nulla, ecc. : Se qualche cosa può ottenere ... ». 



174 PARTE III. 

Non mi fece risposta quell'acerbo, 
Ma riguardommi colla testa eretta 
A guisa di leon queto e superbo. 

Qual uomo io stava che a scusar s'affretta 
Involontaria offesa, e più coll'atto & 

Che col disdirsi umil fa sua disdetta. 

£ lo spirto parea quei che distratto 
Guata un oggetto e in altro ha l'alma intesa, 
Finché dal suo pensier sbattuto e ratto 

Gridò con voce d'acre bile accesa: io 

«Oh d'ogni vizio fetida sentina, 
«Dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa 

Ch'or questa gente or quella è tua reina 
Che già serva ti fu? Dove lasciasti, 
Poltra vegliarda, la virtù latina? 15 

La gola e '1 sonno ti spogliar de' casti 
Primi costumi, e fra l'altare e '1 trono 
Co' tuoi mille tiranni adulterasti; 

E mitre e gonne e ciondolini e suono 
Di molli cetre abbandonar ti fenno 20 

Elmo ed asta e tremar dell'armi al tuono. 

Senza pace tra' figli e senza senno, 
Senza un Camillo, a che stupir, se avaro 
Un'altra volta a' danni tuoi vien Brenno? 

Or va' ! coltiva il crin, fatti riparo 25 

Delle tue psalmodie; godi, se puoi, 
D'aver cangiato in pastoral l'acciaro ! 

Tacque ciò detto il disdegnoso. I suoi 
Liberi accenti e al crin gli avvolti allori, 
De' poeti superbia e degli eroi, 30 

1. Acerbo : Superbo : in tal senso é usato da Dante, Inf\ t xxv, 1S : « Ov'é, 
ov'è l'acerbo ? » 

3. A guisa di leon, ecc. : Reminiscenza dantesca, Purg. t vi, 66 : « A guisa 
di leon quando si posa ». 
6. Disdetta: Ritrattazione. 
9. Sbattuto e ratto : Scosso e rapito (lat.). 
11-12. Son due versi dell'ARioSTO, Ori. Fin*., xvn, 76. 
13. Ch'or questa gente, ecc.: Lo stesso concetto é nel son. All'Italia del 
Guidiccioni : « Vedrai, che quei che i tuoi trionfi ornaro , T'han posto il 
giogo e di catene avvinta ». 

15. Poltra vegliarda : Pigra vecchia. 

16. La gola . ecc. : Petrarca, P. ih, son. I : « La gola e '1 sonno e l'o- 
ziose piume Hanno dal mondo ogni ver tu sbandita ». 

19. E mitre e gonne, ecc. : Enumera le varie cagioni che divezzarono dal 
l'armi gl'Italiani. 

24. Brenno : Un invasore straniero, con allusione ai novelli invasori fran- 
cesi discendenti dal gallico Brenno vinto dal romano Camillo. 

26. Psalmodie : Canti dei salmi. « Pur troppo », cosi narra il De Castro 
(p. 38), « un invasore straniero, il Suwaroff , ai parroci che si lamentavano 
delle ruberie commesse dai soldati nella Cisalpina rispose : « Inezie, cantate 
un tedeum e tatto é finito ». 

30. De* poeti , ecc. : È con leggiera alterazione il v. del Petrarca, P. I, 
son. 205 : « Onor d'imperatori e di poeti ». 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 175 

M'eran già del suo nome accusatori, 
All'intelletto mio manifestando 
Quel grande che cantò Tarmi e gli amori. 

Perch'io, la fronte e '1 ciglio umil chinando, 
gran vate, sclamai, per cui va pare 35 

D'Achille -all'ira la follia d'Orlando ! 

Ben ti disdegni a dritto, e con amare 
Parole Italia ne rampogni, in cui 
Dell'antico valore orma non pare. 

Ma dimmi, padre: chi da' marmi bui 40 

Suscitò l'ombra tua ? — Concittadino 
Amor, rispose; e dirò come il fui. 

Fra i boati di barbaro latino 
Son tre secoli ornai ch'io mi dormia 
Nel tempio sacro al divo di Cassino. 43 

Pietosa cura della patria mia 
Qui concesse più degna e taciturna 
Sede alla pietra che il mio fral copria. 

Fra il canto delle Muse alla diurna 
Luce fui tratto; e la mia polve anch'essa 50 

Riviver parve e s'agitò nell'urna. 

Ma desto non foss'io, che manomessa 
Non vedrei questa terra e questi marmi 
Molli del pianto di mia gente oppressa ! 

Oh qualunque tu sia, non dimandarmi 55 

Le sue piaghe, per Dio!, ma trar m'aita 
Di lassù la vendetta a consolarmi. 

31. Del suo nomò, ecc. : Dante, Inf. x, 61 : « Le sue parole e il modo della 
pena M'avevan di costui già detto il nome ». 

33. L'armi e gli amori: Cosi comincia l'Orlando Furioso: « Lo donne, i 
cavallier, l'armi, gli amori, Le cortesie, l'audaci imprese io canto ». 

35. Va pare: Non é inferiore ['Orlando (che canta la follia d'Orlando) 
ali 1 Iliade (che canta l'ira d'Achille). 

37. A dritto : A ragione. 

40. Da' marmi bui : Dalla tomba. 

41. Concittadino amor: Amor di patria. 

42. Come il fui : Sott. suscitato. 

43. I boati, ecc. : Chiama boati per dispregio i canti latini dei frati. 

45. L'Ariosto nel 1533 fu sepolto nella chiesa de' Benedettini in Ferrara : 
la dice sacra al divo di Cassino x perchè ognun sa che S. Benedetto, isti 
tutore dell'ordine dei Benedettini, fondò il monastero di Monte Cassino. 

47. Taciturna sede: Nel 1801, nel giorno anniversario della morte del- 
l'Ariosto, le sue ossa furono solennemente trasportate dalla Chiesa di S. Bene- 
detto allo Studio pubblico, dove furono collocate in faccia alla seconda sala 
della Biblioteca. 

48. JPral: Sincope di fragile, corpo. È agg. usato in forza di sostantivo. 

49. Fra il canto, ecc. : Per due giorni si solennizzò quel trasporto delle 
ossa dell'Ariosto e si ebbero in quell'occasione non poche prose e poesie. 

54. Molli, ecc. : « Dantesco più felicemente che altrove, come già dissi, il 
Monti assume qui eziandio quella forma di sdegno più moderna, che nelle 
nostre memorie nazionali fa cosi venerati e cari i nomi di Michelangelo e 
dell'Alfieri » (Zumbini, p. 18S). 



176 PARTE III. 

Di ragion, di pietade hanno schernita 
I tiranni la voce; e fu delitto 
Supplicare e mostrar la sua ferita. co 

Fu chiamato ribelle ed interditto 
Anche il sospiro, e il cittadin fedele 
Or per odio percosso, or per profìtto: 

E le preghiere intanto e le querele 
Derise e storpie gemono alle porte 63 

Inesorate di pretor crudele. 

Mentr'egli sì dicea, ferinne un forte 
Muggir di fìumi che tolte le sponde 
S'avean sul corno, orror portando e morte. 

Stendean Reno e Panar le indomit'onde 70 

Con immensi volumi alla pianura; 
E struggendo venian le furibonde 

La speranza de' campi già matura. 
Co' piangenti fìgliuoi fugge compreso 
Di pietade il villano e di paura; 70 

Ed, uno in braccio e un altro per man preso, 
Ad or ad or si volge e studia il passo 
Pel compagno tremando e per lo peso; 

CJ^alto il flutto l'insegue, e con fracasso 
Le capanne ingoiando e i cari armenti so 

Fa vortice di tutto e piomba al basso. 

Ed allora un rumor d'alti lamenti, 
Un lagrimare, un domandar mercede, 
Con voci che farian miti i serpenti. 

Ma non le ascolta chi in eccelso siede 83 

Correttor delle cose, e con asperso 
Auro di pianto al suo poter provvede. 

Mentre che d'una parte in mar converso 

59. E fu delitto, ecc. : Molti reclami si fecero a Napoleone ; ma i domina 
tori se ne irritarono fortemente : « (Napoleone) delle parole assai brusche 
rivolse .... all'Aldini e al Serbelloni (che gli avevano portato i reclami degli 
Italiani), quando li ammise alla sua presenza; venne ripetendo che tutto 
noi dovevamo alla Francia , che la Cisalpina era sorta e si conservava per 
inerito suo ; e ciò valeva molti milioni » (De Castro, p. 100). 

61. Interditto: Vietato (lat.). 

66. Inesorate: Che non si lasciano smuovere dalle preghiere. — Pretor: 
Magistrato in genere, giudice. 

69. Sul corno : « « La ragione di attribuir le corna di toro ai numi, si 
ha nello Scoliaste di Sofocle , il quale dice che rappresentansi i fiumi col 
capo taurino per significare il muggito con cui sboccano nel mare » (Mt.). 
Il Testi, nell'ode al Montecuccoli, dice d'un fiume che « estolle il corno 
torbido obliquo », Orazio, Od., IV, xiv, 25 : « tauriformis volvitur Au- 
ndus ». 

78. Pel compagno tremando, tee: Virgilio, Aen.II, 729: « parit rque co- 
ìnitique onerique timentem ». 

85. In eccelso : In alto, i governanti. 

86. Con asperso, ecc.: Provvede al suo poter • coll'oro bagnato del pianto 
dei miseri a cui e stato tolto dalle tasse esorbitanti. 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 177 

Geme il pian ferrarese, ecco un secondo 

Strano lutto dall'altra e più diverso. so 

In terra, in mare e per lo ciel profondo 
Ecco farsi silenzio; il sol tacere 
All'improvviso e parer morto il mondo. 

Le nubi in alto orribilmente nere, 
Altre stan come rupi, altre ne miri od 

Senza vento passar basse e leggere. 

Tutti dell'aure i garruli sospiri 
Eran queti, e le foglie al suol cadute 
Si movean roteando in presti giri. 

D'ogni parte al coperto le pennute iou 

Torme accorrono, e in téma di salvarse 
Empion il ciel di querimonie acute. 

Fiutan l'aria le vacche, e immote e sparse 
Invitan sotto alle materne poppe 
Mugolando i lor nati a ripararse. 105 

Ma con muso atterrato e avverse groppe 
L'una all'altra s'addossano le agnello, 
Pria le gagliarde e poi le stanche e zoppe. 

Cupo regnava lo spavento; e in quelle 
Meste sembianze di natura il core ilo 

L'appressar già sentia delle procelle: 

Quando repente udissi alto un rumore 
Qual se a tuoni commisto giù da' monti 
Vien di molte e spezzate acque il fragore. 

Quindi un grido: Ecco il turbo: e mille fronti 115 
Si fan bianche; e le nebbie e le tenèbre 
Spazza il vento sì ratto, che più pronti 

Vanno appena i pensier. S'alza di crebre 
Stipe un nembo e di foglie e di rotata 
Polvere che serrar fa le palpebre. 120 

Mugge volta a ritroso e spaventata 
Dell'Eridano l'onda, e sotto i piedi 
Tremar senti la ripa affaticata. 

Ruggiscono le selve; ed or le vedi 

00. E pia diverso : Più orribile. Cfr. Dante, Inf., vi, 13 : « Cerbero, fiera 
crud le e diversa », e il Tasso, Oer. Lib. t xv, 47 : « Fiera, serpendo, orribile 
e diversa ». 

92. Il sol tacere : V. la n. 219 a p. 45. 

100. Le pennute torme : Le schiere degli uccelli. 

103. Fiutan, ecc. : Anche Virgilio, Georg., 1, 375, dice che la vacca annusa 
Tariti all'avvicinarsi della tempesta : « bucula castani Saspiciens patulis cap- 
tavit naribus auras »: 

106. Avverse : Rabbuffate. 

113. Di crebre, ecc. : Un nuvolo di dense legna secche. 

119. Di rotata polvere : Di polvere aggirata dal turbine. 

123. Affaticata: Battuta dalle onde inturiate del fiume. 

Mojrn. — fresie. H 



178 PARTE III. 

Come fiaccate rovesciarsi in giuso 123 

E inabissarsi se allo sguardo credi: 

Or gemebonde rialzar diffuso 
L'enorme capo, e giù chinarlo ancora, 
Qual pendolo che fa l'arco aU'insuso. 

Batte il turbo crudel l'ala sonora, 130 

Schianta, uccide le messi e le tra voi ve, 
Poi con rapido vortice le vora; 

E tratte in alto le diffonde e solve 
Con immenso sparpaglio. Il crin si straccia 
Il pallido villan, che tra la polve 135 

Scorge rasa de' campi già la faccia 
E per l'aria dispersa la fatica 
Onde ai figli la vita e a so procaccia, 

E percosso l'ovil, svelta l'aprica 
Vite appiè del marito olmo, che geme uo 

Con tronche braccia su la tolta amica. 

Oh giorno di dolor ! giorno d'estreme 
Lagrime ! E crudo chi cader le vede 
E non le asciuga, ma più rio le spreme ! 

E chi le spreme? Chi in eccelso siede 145 

Correttor delle cose, e con ór lordo 
Di sangue e pianto al suo poter provvede. 

Poi che al duol di sua gente ogni cor sordo 
Vide il cantore della gran follia 
E di pietà sprezzato ogni ricordo, 150 

Mise un grido e sparì. Mentre fuggia, 
Si percotea l'irata ombra la testa 
Col chiuso pugno e mormorar s'udia. 

Già il sol cadendo raccogliea la mesta 
Luce dal campo delia strage orrenda; 155 

Ed io, com'uom che pavido si desta 

Nò sa ben per timor qual via si prenda, 

127. Diffuso : Colle frondi sparpagliate dalia forza del turbine. 

129. Qual pendolo, ecc. : Come un pendolo che, oscillando intorno al pro- 
prio asse, segna un arco airinsù. 

130. Batte, ecc. : Bella descrizione dello strepito che fri impetuosa bufera. 
132. Vora: Divora, trascina con sé (lat.). Virgilio, Georg., il, 441: « Quas 

animosi Euri franguntque feruntque », e Dante, Inf. f ix, 69 dico d un vento 
impetuoso : « Che IL r la selva e senza alcun rattento Li rami schianta, ab- 
batte e porta fuori ... ». 

135. Il pallido villan : Dante, Inf. 9 xxiv, 7 : « Lo villanallo a cuilaroba 
manca Si leva e guarda, e vede la campagna, Biancheggiar tutta, ond'ei si 
batte Tanca, Ritorna a casa e qua e là si lagna ». 

139. Peroosso: Ucciso. In tal senso l'usò il Petrarca, TrUmf. d. Fani., i, 
64: « Poi quel Torquato che *1 flgliuol percusse ». 

145. Chi in eocelso : Ripete i vv. 85-87. 

118. Di sua gente : Del popolo ferrarese. 

119. Il cantore, eco. : L* Ariosto. 



IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 179 

Smarrito errava, e alla città giungea 
Che spinge obliqua al ciel la Garisenda. 

Cercai la sua grandezza; e non vedea ico 

Che mestizia e squallor, tanto che appena 
Il memore pensier la conoscea. 

Ne cercai l'ardimento; e nella piena 
De' suoi mali esalava ire e disdegni 
Che parean di lion messo in catena. 1C5 

Ne cercai le bell'arti e i sacri ingegni 
Che alzar sublime le facean la fronte 
E toccar tutti del sapere i segni; 

Ed il felsineo vidi Anacreonte 
Cacciato di suo seggio; e da profani no 

Labbri inquinato d'eloquenza il fonte. 

Vidi in vuoto liceo spander Paicani 
Del suo senno i tesori, e in tenebroso 
Ciel la stella languir di Canterzani; 

E per la notte intanto un lamentoso 175 

Chieder pane s'udia di poverelli 
Che agli orecchi toglieva ogni riposo. 

Giacean squallidi, nudi, irti i capelli, 
E di lampe notturne al chiaror tetro 
Larve uscite parean dai muffi avelli. iso 

Batte la fame ad ogni porta, e dietro 
Le vien la febbre e l'angoscia e la dira 
Che locato il suo trono ha sul feretro. 

Mentre presso al suo fin l'egro sospira, 

158. Alla oittà : A Bologna, designata dal nome della sua torre Garisenda, 
antichissima torre pendente che porta il nomo di coloro che nel U10 la 
costruirono, Filippo e Oddo Garisendi. 

164 Esalava * Alosta*av& 

169. Il felsineo . . . Anacreonte : Da Felsina, antico nome etrusco di Bolo- 
gna, chiama felsineo il bolognese conte Lodovico Savioli (172U-18U1) senatore 
e poeta pregiato delle canzonette intitolate Amori, per le quali é paragonato 
ad Anacreonte, dolcissimo poeta, autore di eleganti odi amorose. Ardente 
repubblicano, fu privato dell'insegnamento della storia universale che aveva 
in quello studio. Fu poi mandato dalla Cisalpina come deputato a Parigi e 
nel 1803 ai comizi di Lione. Fu membro del corpo legislativo e poi profes- 
sore di diplomazia a Bologna ovo mori nel 1804. 

172. Liceo : L'università di Bologna, cosi detta dal famoso Liceo ove in- 
segnò Platone. — Paicani : Luigi Paicani Caccianemici (1748-1802), professore 
di logica e poi di fisica e di matematica nell'università di Bologna. Andò 
deputato al comizi di Lione e mori a Milano nel 1803. 

174. Canterzani: Sebastiano Canterzani (1731-18iy) professore d'anatomia, 
poi di ottica e di tìsica nell'università di Bologna. 

175. « Il bisogno batteva alle porte delle nostre case. U frumento era sa- 
lito a 160 lire la soma, e 150 il grano turco, e in Milano si fecero delle col- 
lette in ciascuna parrocchia onde tenere il pane ad un prezzo limitato p.r 
i poveri » (De Castro, p. 98). 

182. La dira, ecc. : La morte. 

184. L'egro: L'infelice. Bella dipintura deUe prepotenti spogliazioni di 
quei tempi di sfrenata libertà. « Il protettorato francese continuò a pagarsi 
con buoni milioni. La tassa mensile di due milioni per il mantenimento 



180 PARTE III. 

Entra la forza e grida: Cittadino, i& 

Muori, ma paga: e il miser paga e spira. 

Oh virtù ! come crudo è il tuo destino l 
Io so ben che più bello è mantenuto 
Pur dai delitti il tuo splendor divino: 

So che sono gli affanni il tuo tributo: 190 

n Ma perchè spesso al cor che ti rinserra. 

Forz* è il blasfema proferir di Bruto ? 

Con la sventura al fianco su la terra 
Dio ti mandò, ma inerme ed impotente 
De* tuoi nemici a sostener la guerra; 195 

E il reo felice e il misero innocente 
Fan sull'eterno provveder pur anco 
Del saggio vacillar dubbia la mente. 

Come che intorno il guardo io mova e '1 fianco, 
Strazio tanto vedea, tante ruine, 800 

Che la memoria fugge e il dir vien manco. 

Langue cara a Minerva e alle divine 
Muse la donna del Panar, né quella 
Più sembra che fu invidia alle vicine : 

Ma sul Crostolo assisa la sorella 205 

Freme, e Tira premendo in suo segreto 
Le sue piaghe contempla e non favella. 

Freme Emilia; e col fianco irrequieto 
Stanca del rubro fiumicel la riva 

delle truppe venne man mano crescendo a quattro milioni e mezzo. Per 
sopperirvi si decretarono nuove sovraimposte ; la fondiaria sali a cenfotto 
denari per fondo ! Otto milioni furono levati fra i ricchi . . . (Dk Castro, 
pag.98). 

192. Il blasfema, ecc. : La bestemmia di Bruto che la virtù é un nome 
vano. Secondo Cassio Dione, avrebbe dotto : « virtù miserabile, eri una 
parola nuda io ti seguiva come tu fossi una cosa ; ma tu sottostavi alla 
fortuna ». Il Leopardi, nel Bruto minore, gli fa dire : « Stolta virtù , Je 
cave nebbie, i campi Dell'inquiete larve Son le tue scole , e ti si volge a 
t2rgo II pentimento ». 

193. Con la sventura, ecc. : Socrate disse : « Gli Dei hanno mandata la 
virtù sulla terra accompagnata dalla sventura », sentenza che il p. riporta 
anche in una Lett. al Bettinelli, consolandosi delle persecuzioni che sof 
friva. 

197. Pan. ecc. : Fanno dubitare perfino al sapiente che esista la prov- 
videnza di Dio. 

199. Come che, ecc.: Da qualunque parte. Dante, Inf. vi, 5: « come 
ch'io mi mova, E come ch'io mi volga e ch'io mi guati ». 

201. E il dir, ecc. : Dante, Inf., iv, 147: « Che molte volte al fatto il dir 
vien m no ». 

203. La donna, ecc. : Modena. Fu centro di cultura e vi fiorì una scuola 
di buoni poeti nel sec. xvin. 

205. Crostolo : Fiume che scorre presso Reggio Emilia, detta qui sorella 
di Modena. 

209. Stanca : Affatica, percuotendola t la riva del Rubicone {Il rubro fiu- 
micel), che scorre tra Ravenna e Rimini. Al tempo del dominio romano, 
segnava il confina delle Gallie e Cesare lo varcò, sebbene il senato gli avesse 
assegnato il governo d >lle Gallie, e non potesse quindi passarlo. . 



IN" MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 181 

Che Cesare saltò, rotto il decreto. 210 

£ de' gemiti al suon che il ciel feriva, 
D'ogni parte iracondo e senza posa 
L'adriaco flutto ed il tirren muggiva. 

Ripetea quel muggir l'Alpe pietosa, 
E alla Senna il mandava, che pentita 215 

Dell'indugio pareva e vergognosa. 

E spero io ben che la promessa aita 
Piena e presta sarà, che la parola 
Di lui che diella non fu mai tradita: 

Spero io ben che il mio Melzi, a cui rivola «co 

Della patria il sospiro ... E più bramava 
Quel magnanimo dir; ma nella gola 

Spense i detti una voce che gridava: 
Pace al mondo: e quel grido un improvviso 
Suon di cetere e d'arpe accompagnava. 

Tutto quanto l'olimpo era un sorriso 225 

D'amor; nò dirlo né spiegarlo appieno 
Pur lingua lo potria di paradiso. 

Si rizzar tutte e quattro in un baleno 
L'alme lombarde in piedi; e ver' la plaga, 
D'onde il forte venia nuovo sereno, 230 

Con pupilla cercàro intenta e vaga 
Quest'atomo rotante ove dell'ire 
E degli odii sì caro il fio si* paga. 

E largo un fiume dalla Senna uscire 
Vider di luce, che la terra inonda 235 

E ne fa parte al ciel nel suo salire. 

Tutto di lei si fascia e si circonda 
Un eroe, del cui brando alla ruina 
Tacea muta l'Europa e tremebonda. 

Ed ei l'amava: e, nella gran vagina 210 

217. La promessa aita : Descritti i mali di ogni parte della repubblica ci- 
salpina, il p. implora l'aiuto pronto e sicuro della Francia. 

219. Di lai : in Napoleone , che aveva dato promessa di aiutare la Ci- 
salpina. 

220. Il mio Malzi : « Francesco Melzi d'Eril (1753-1816), in appresso duca 
di Lodi, fu uno dei più saggi e più illuminati cittadini di Milano. Ripara- 
tosi a Parigi per l'invasione degli Austro-Russi, fu dopo la battaglia di Ma- 
rengo nominato da Bonaparte vicepresidente della Repubblica Italiana, che 
governò per quattro anni con molto senno e prudenza * (Mgj.). 

229. Vèr 'la plaga, ecc. : Verso la regione del ciclo da cui veniva tutto 
quello splendore. 

231. vaga : Desiderosa. 

232. Quest'atomo, ecc. : La terra che è un atomo nell'immensità dell'universo 
e che pure é teatro di tante ire e di tanti odii. Anche Dante, sorridendo della 
piccolezza della terra veduta dai cieli, ne chiamala parte emersa : « l'aiuola 
che ci fa tanto feroci» (Air., xxn, 151), e il Tasso, Ger. Lib., xni, 10 : « Quanto 
ò liv la cagion ch'a la virtude Umana é colà giù premio e contrasto ! ». 

238. Del oui brando, eco. : Al veloce e possente vibrar della cui spada. 



182 PARTE III. 

Rimesso il ferro, offrì l'olivo al crudo 
Avversario maggior della meschina; 

E col terror del nome e coll'ìgnudo 
Petto e col senno disarmollo, e pose 
Fine al lungo di Marte orrido ludo. 215 

Sovra il libero mar le rugiadose 
Figlie di Dori uscir, che de' metalli 
Fluttuanti il tonar tenea nascose: 

Drimo, Nemerte, e Glauce de' cavalli 
Di Nettuno custode, e Toe vermiglia 250 

Di zoofiti amante e di coralli; 

Galatea che nel sen della conchiglia 
La prima perla invenne, e Doto e Proto, 
E tutta di Nereo l'ampia famiglia: 

Tra cui confuse de' Tritoni a nuoto 255 

Van le torme proterve. In mezzo a tutti 
Dell'onde il re da' gorghi imi commoto 

Sporge il capo divino, e, al carro addutti 
Gli alipedi immortali, il mar trascorre 
Su le rote volanti e adegua i flutti. 2go 

Cade al commercio, che ritorte abborre. 
Il britannico ceppo; e per le tarde 
Vene la vita che languia ricorre. 

Al destarsi, al fiorir delle gagliarde 
Membra del nume, la percossa ed egra «35 

Europa a nuova sanità riarde; 

Nuova lena le genti erge e rintegra. 

241. Al crudo, ecc. : Ali Inghilterra, a cui Napoleone aveva off rta la pace 
che fu conclusa col trattato d'Amiens il 27 marzo 1802, ma per breve tempo. 

245. Di Marte, ecc. : Alla guerra. Ludo è parola lat. e vale giuochi, eser- 
cizi. Poliziano, Stanze, I, 1 : « Le magnanime pompe e i neri ludi », e il 
Foscolo, A Luigia Pallavicini, 42, ha: « i ludi aspri di Marte ». Anche un 
altro poemetto del M., il Bardo, incomincia col verso : « Quando al terzo 
di Mart » orrido ludo ». 

247. Tiglie di Dori: Le Nereidi; v. alla n. 14 a p. 8. — Metalli fluttuanti: 
I cannoni delle navi da guerra. 

249. Drimo. Nemerte e Glauce : Son tutte divinità del mare. 

250. Toe : Ninfa marina, come Galatea che più sotto ricorda. 

251. Zoofiti: Corpi appartenenti in parte al regno animale e in parte al 
vegetale. 

253. Invenne : Trovò (lat.). — Doto e Proto : Altri dei marini. 

256. Proterve : Audaci. 

257. Dell'onde U re : Nettuno. — Da' gorghi, ecc. : Richiamato dal fondo 
delle acque. 

258. Sporge : Virgilio, Aen., 1. 125 e sgg. «... imis Stagna refusa vadis 
graviter commotus . . . summa placidum caput extulit unda ». 

259. Gli alipedi : V. la n. 15 a p. 8. 

260. Adegua : Splana. Cfr. Virgilio , Aen., i, 146 : « et temperat aequor 
Atque rotis summas levibus perlabitur undas ». 

262. Tarde: Affievolite, perché povere di sangue. 

265. Del nume : Del commercio. 

267. Rintegra: Riporta nel loro stato primiero. 






IN MORTE DI LORENZO MASCHERONI. 183 

E tu di questo, o patria mia, se saggio 
Farai pensiero, andrai più ch'altri allegra; 

E le piaghe tue tante e l'alto oltraggio 270 

Emenderai, che fòrti anime ingorde 
Di libertà più ria che lo servaggio, 

Anime stolte, svergognate e lorde 
D'ogni sozzura. Or fa che tu ti forba 
Di tal peste, e il passato ti ricorde, 275 

E voi che in questa procellosa e torba 
Laguna di dolore il piò ponete, 
Onde il puzzo purgarne che n'ammorba; 

Voi ch'alia mano il temo vi mettete 
Di conquassata nave (e tal vi move 2S0 

Senno e valor, che in porto la trarrete) ; 

Voi della patria le speranze nuove 
Tutte adempite ; e di giustizia il telo 
Animosi vibrando, udir vi giove 

Che disse in terra e che poi disse in cielo 885 

Lo scrittor dei delitti e delle pene: 
Ei di parlarvi, e voi, rimosso il velo, 

D'ascoltar degni il ver che v'appartiene. 



271. Anime ingorde : Cosi chiama i demagoghi che rovinarono la Cisalpina, 
anime avide d'una libertà peggiore assai della servitù. 

274. Ti forba : Ti pulisca. Uguale espressione in Dante, Inf mì xv, 69 : « Da' 
lor costumi fa che tu ti forbì ». 

276. B voi, ecc. : Rivolge la parola a' nuovi magistrati che governarono 
la Cisalpina dopo la battaglia di Marengo. 

278. Onde . . . purgarne : Costruzione non buona ; v. la n. 206 a p. 77. 

279. Il temo : 11 timone (lat.). 

283. Il telo: Il dardo (lat.). Il dardo della giustizia é la pena. 

284. Vi giove : Vi piaccia. In tal senso latino è frequente nei nostri poeti 
e prosatori : Petrarca, canz. xxn, 24 : « e il rimembrar mi giova », e 
Dante, Inf., xvi, 84 : « Quando ti gioverà dicere : « lo fui », e Boccaccio, 
Dee. } g. V, nov. 5: « A me per quella similmente gioverà d'andare alquanto 
spaziandomi ». 

286 Lo scrittor, ecc. : Il Beccaria. 

287. Rimosso il velo. Tolti gl'impedimenti che vi vietavano d'udire la ve- 
rità. Anche questo poemetto, come gli altri del nostro p., rimase, non si sa 
perché, interrotto. 



La Feroniade. 



Ora/io nella Hatira V del lib. 1, 24. dice che in compagnia di dolci amici 
lavò ora manusque nelle pure acque della fonte di Feronia nei dintorni di 
Terracina (l'antica Anxur). In quella stessa fonte il Monti, andando un giorno 
a caccia col principe Luigi Braschi-Onesti, si lavò, e di qui ebbe origine 
questo bellissimo poemetto epico-idillico tutto spirante sapore virgiliano. 
Intendimento del p., che assai spesso nel 1784 accompagnava il papa Pio VI 
e il suo nipote, principe Braschi, nelle frequenti visite alle paludi pontine, 
fu di celebrare Popera veramente grande iniziata da quel papa, il prosciu- 
gamento delle paludi pontine. « Si mostrava Pio VI coi pittori, cogli scultori, 
cogli antiquari e con altri artisti, sovranamente munifico ; ma le grandiose 
fabbriche, i porti di mare e le strade larghe, interminabili , costituivano 
la sua vera passione . . . Ek ttrizzavasi . . . per le 0[ ere colossali, p r i pro- 
getti audaci e per ciò che sembrava impossibile, o non era mai stato ten- 
tato o non si era mai potuto compire. II genio quindi lo persuase ad in- 
traprendere il prosciugamento delle paludi pontine e cioè di quella pesti - 
1 nte laguna di 180 miglia quadrate , intorno e dentro alla quale, a' tempi 
dei Volsci, innalzavansi 23 città di cui non sono rimaste adesso che Terra- 
cina, Segni, Anzio, Piperno e altre poche dei circondari di Roma e di Vel- 
letri » (Vicchi, ii, p. 245). Diresse i lavori l'ingegnere bolognese Gaetano 
Rappini; ma, venuta la bufera repubblicana, i lavori rimasero interrotti. 
Insigni pregi di forma ha il poemetto, sicché ben meritò di essere detto dal 
Carducci: « lavoro squisito della florida gioventù e della vecchiezza ro- 
busta del gran poeta, la più vivace fronda che mano italiana cogliesse dalla 
pianta del sempre fiorente Omero » {Le poesie liriche di V. AT, p. V). Lo 
Zumbini (p. 20V) notò giustamente al Carducci che più che da Omero sono 
evidenti le imitazioni frequentissime dalle Georg, di Virgilio, il poemetto 
che più si confaceva per l'argomento al contenuto del poemetto montiano. 
E il sottile critico continua : « Cosi dicendo , ho presenti al pensiero non 
solo le moltissime reminiscenze virgiliane e le qualità conformi d'immagini 
e di stile, ma ancor quella certa somiglianza d'intendimenti e di affetti, che 
il poeta italiano volle avere col sommo Latino . . Senza dubbio, line im- 




ebbe sempre sulle labbra e sul cuore. Se qualche difetto vi si vuol trovare, 
questo é soltanto di contenuto: il fatto moderno, il prosciugamento delle 

galudi, non ha alcun rilievo e la mitologia a piene mani diffusa, le esu- 
eranti descrizioni tolgono al lavoro il pregio delle giuste proporzioni, di» 
fetto questo comune a quasi tutti i poemetti del Monti ». Il metro è il verso 
sciolto, magistralmente usato, tantoché lo Zumbini (p. 217) disse : « Certa- 
mente ... il Monti si dimostra qui non pure il miglior fabbro di versi 
sciolti, ma uno altresì dei più delicati artisti che siano stati in tutti i secoli 
della nostra letteratura ». 

Contenuto. — Il p., che si é proposto di cantar della ninfa Feronia, 




cosi viveva giocondamente Feronia, quando Giove , invaghitosene e, presa 
forma di fanciullo, ne gode i favori. Il dio, presago delle sventure che do 
vranno coglierla, in compenso la fa immortale e dea adorata dai popoli 
circonvicini. Giunone gelosa s'accorge di questi furtivi amori di Giove con 
Feronia, scende in preaa al furore dal cielo e assale con minacce ed ingiurie 
la. ninfa infedele. Poi prega i fiumi Ufente, Astura, Ninfeo, Amaseno ed al- 
tri a fare la sua vendetta, ed essi, con orribile fragore, straripano e deva- 
stano tutto il paese ali intorno, uccidendo molti degli abitanti, altri costrin- 
gendo a fuggire: perirono nella spaventosa inondazione, infelici amanti, 
Timbro e Larìna. 



LA FERONIADE 185 



CANTO PRIMO. 

I lunghi affanni ed il perduto regno 

Di Feronia dirò, Diva latina 

Che del suo nome fé' beata un giorno 

Di Saturno la terra. Ella per fiere 

Balze e foreste errò gran tempo esclusa 5 

Da' suoi santi delubri, e molto pianse 

Dai superbi disdegni esercitata 

D'una diva maggior che Tinseguia, 

Finché novelli sacrifìci ottenne 

Sugli altari sabini e le fùr resi io 

Per voler delle Parche i tolti onori. 

Ma qual de' numi l'infelice afflisse, 
E lei, ch'era pur diva, in tanto lutto 
Avvolgere potéo ? Fu la crudele 
Moglie di Giove e un suo furor geloso. 15 

Tu che tutte ne sai l'alte cagioni, 
Tu le mi narra, o Musa, e dall'oblio 
Traggi alla luce il memorando fatto 
Non ancor manifesto in Elicona. 
E, se dianzi di nuove itale note 20 

2. feronia : « È fama che , alloi quando Licurgo ebbe date agli Spartani 
quelle sue famose leggi, alcuni di essi non potendone sostenere l'asprezza, 
si mettessero in nave e partissero per ricercare altrove un'altra patria. E 
vuoisi che stanchi del lungo e infruttuoso viaggiare per mare, facessero 
voto agli dei, che, su qualunque spiaggia lor fosse accaduto di metter piede, 
ivi avrebbero fermata la propria stanza. Quindi portati in Italia ai campi 
Pometini, pigliarono terra; dissero Feronia il suolo su cui erano sbarcati, 
poiché per mare era loro avvenuto di essere qua e là trasferiti {ut huc uiuo. 
f'errcntur) ; ed alla divinità di Feronia eressero un tempio. Queste sono 
presso a poco le parole colle quali Dionigi d'Alicarnasso (A. R. II, 49) rac- 
conta l'origine di questa divinità. Il tempio, di cui fa menzione lo storico, 
sorgeva in vicinanza del fiume Ufente, verso il monte Circeo o di Terra 
cina . . . Oltre la fontana vi aveva un lago ed un bosco assai celebre, i cui 
alberi racconta vasi che non fossero mai tocchi dal fulmine » (Mg.). 

4. Di Saturno, ecc. : L'Italia, che anche Virgilio, Georg. , 11, 173 chiama : 
« Saturnia tellus ». 

7. Esercitata: Perseguitata (lat.). Virgilio, Aen. t v, 725: « Care magis, 
nate, Iliacis exercite fatis », e Ariosto, Ori. Pur., xxxiv, 39. 

8. D'una diva, ecc. : Di Giunone. 

12. Ma qual, ecc. : Omero, IL, 1, 10 (trad. M.) : « E qual de' numi ini- 
micoUH ». 

15. E un suo, ecc. : « Veramente nelle peripezie che seguitano, si vede 
sempre la mano di quella implacabile, che, proprio come neir « Eneide » e 
specie nel primo libro, ricorre all'aiuto di altri dei, e muove terra e cielo 
per vendicarsi di Feronia. E Feronia rende quasi immagine di Enea, pre- 
destinata com'era, nonostante l'indefessa persecuzione di tanta nemica, a 
far grandi cose in quel Lazio, la cui fama durerebbe quanto il mondo » 

(ZUMBINI, p. 20G). 

19. Non ancor, ecc.: Non ancora cantato da altri poeti. 

20. Se ... di nuove itale note, ecc. : Anche nella canz. Per Vonom. della 
mia donna, 11, aveva chiamato sé stesso: « llcantor che di care itale note 
Vesti l'Uà di AchUle ». 



186 PARTE III. 

L'ira vestendo del Pelide Achille 

Alcuna meritai grazia o mercede, 

Su questi carmi, che tentando or regno, 

Di quel nettare, o dea, spargi una stilla 

Che dal méonio fonte si deriva ; 25 

Non già quando con piena impetuosa 

Gl'iliaci campi inonda, e tal che gonfi 

Dell'alta strage Simoenta e Xanto 

Al mar non ponno ritrovar la via, 

Ma quando lene mormorando irriga 30 

] feacii giardini; e dolce rendi 

Su le mia labbra la pimplea favella. 

Là dove impósto a biancheggianti sassi 
Su la circèa marina Ansuro pende, 
E nebulosa il piede aspro gli bagna 35 

La pomezia palude, a cui fan lunga 
Le montagne lepine ombra e corona, 
Una ninfa già fu delle propinque 
Selve leggiadra abitatrice, ed era 
11 suo nome Feronia. I laurentini io 

Boschi e quei che la fulva onda nudrisce 
Del sacro fiume tiberin, quantunque 



25. Meonio fonte : Omero, detto meonio, dalla Meonia, che fa parte della 
Lidia o da Meone suo padre. 

27. Gl'iliaci, ecc. : Cioè quando canta le fragorose cruenti battagli©. 

28. Simoenta e Xanto : Fiumi scorrenti nella pianura a pie dei colle ove 
fu Troia. 

29. Ritrovar la via : Impedita la corrente dai cadaveri degli uccisi, non 
potevano i corpi correre al mare. Virgilio, Aen., v, 807 : « gemerentque 
repleti Amnes, nec reperire viam atque evolvere posset In mare se Xantus ». 

31. I feaoii giardini: Allude al giardino d'Alcinoo, re dei Feaci, ove, dice 
Omero, Od., vii, 172, scaturivano « due fonti Che non taccion giammai: 
luna per tutto Si dirama il giardino, e l'altra corre, Passando dal cortil 
sotto la soglia, Sin davanti ai palagio » (trad. del Pindem.). 

32. Pimplea : Poetica, che le Muse avevano anche il nome di Pimplee dal 
monte Pimpla nella Macedonia, alle falde del quale scorreva una fontana 
a loro sacra. 

33. Imposto, ecc.: Traduce letteralmente il verso oraziano {Sat., 1, 1, 2G): 
« Impositum saxis late candentibus Anxur ». 

31. Ansuro : Oggi Terracina presso il monte Circello {Circeo). Secondo la 
tradizione, fu detta Marina Circèa dall'incantatrice Circe che ivi dimorava 
in un'isola, come dicono Omero (0^., x, 135), e Virgilio (Aen., 111, 386) ; 
maun'altra tradizione vuole che il promontorio Circello fosse prima un'isola, 
congiunta poi, per le alluvioni, alla terraferma. 

35. Aspro : Roccioso. 

36. La pomezia palude : « Palude pontina, da Pometia, citta che ora chia- 
masi- Affera, la quale diede il nome di pometina alla vasta pianura che è cir- 
condata a settentrione dalle montagne lepine, e si stende fino al mare to- 
scano e al monte Circeo. Questa pianura coll'andare del tempo fu detta 
pomptina, pontina » (Mg.). 

40. Laurentini : Di Laurento, antichissima città del Lazio, oggi Torre di 
Paterno, a sedici miglia da Roma. 

41. La fulva onda, ecc.: Gli antichi poeti chiamavano il Tevere biondo, 
fiavus o fulvus, dalle sue acque limacciose. 



1 



LA FER0N1ADE. 187 

Di Canente superbi e di Pomona, 

Non videro giammai forme più care. 

Qual verno fiore che segreto nasce O 

In rinchiuso giardin , né piede il tocca 

Di pastor nò di greggia; amorosetta 

L'aura il molce, di sue tremule perle 

L'alba l'ingemma, e lo dipinge il sole 

Di sì vivo color, che il crine e il seno 50 

D'ogni donzella innamorata il brama; 

Tal di Feronia la beltà crescea. 

Era diletto suo di peregrine 

Piante e di fiori in suolo estranio nati 

L'odorosa educar dolce famiglia, 55 

Propagarne le stirpi, e cittadina 

Dell'ausonio terren farne la prole. 

Sotto la mano della pia cultrice 

Ricevean nuove leggi e nuova vita 

Le selvatiche madri, e, il fero ingegno 00 

Mansuefatto e il barbaro costume, 

Del ciel cangiato si godean superbe. 

Ed essa la gentil ninfa sagace 

Con lungo studio e paziente cura 

I tenerelli parti ne nudria, C3 

Castigando i ritrosi e a culto onesto 

Traducendo i malnati. Essa il rigoglio 

Ne correggeva ed il non casto istinto; 

Essa gli odii segreti e i morbi e i sonni 

E gli amor ne curava e i maritaggi, 70 

Securo a tutti procacciando il seggio 

E salubri ruscelli ed aure amiche; 

43. Canente : Moglie di Pico, re del Lazio, figlio di Saturno. Per la sua 
derivazione da cano, Canente vale « la ninfa che canta il futuro ». 

41. Forme, ecc. : Il Tasso, Ger.. Lib. t iv, 29, dice d'Armida : « Argo non 
inai, non vide Cipro Delo D'abito o di beltà forme .si care ». 

45. Verno: Primaverile (lat.). Orazio, Od., II. xix.9: «verni flores ». 

51. Il brama : Questa bella similitudine è attinta a Catullo, lxii, 39: « Ut 
flos in saeptis secretus nasci tur hortis, Tgnotus pecori, nullo contusus ara- 
tro, Quem mulcent aurae, iirmat sol, educat imber; Multi illum pueri, 
multae optavere puellae ..., imitato, come ognun sa, dall'ARiosTO, Ori. 
Fur.y I, 42. 

54. In suolo, ecc. : Fiori esotici. 

55. rami glia : V. la n. 84 a p. 41. 

60. Le selvatiche madri : Le piante silvestri. 

64. Studio: Si dice bene spesso dell'attenzione profonda dell'animo nel 
fare alcunché. 

67. Essa il rigoglio, ecc. : « Ella é lina vaghissima creatura , quando va 
pei campi, educatrice di piante e di fiori, e anche più quando col suo sor- 
riso, cresce beatitudine al padre degli uomini e degli dei. Una creatura 
siffatta é di ogni tempo, e il poeta moderno, pur guardando ad esempi an- 
tichi, può riuscire, come di ratto é riuscito al Monti, a farne una tutta 
nuova e tutta sua » (Zumbini, p. 209). 



183 PAUTK III. 

Nò vìoalrli ardia co* morsi acuti 

D'Orizia il rapitor, che irato altrove 

Volgea le furie e con le forti penne 73 

L'antiche flagellava àppule selve 

di Lucrino i risonanti lidi. 

Ma chi potria di tutti a parte a parte 
11 sesso riferir, la patria, il nome? 
V'era la rosa, che mandar primieri so 

Di Damasco i giardini e di Mileto; 
Quella rosa che poi, nel fortunato 
Grembo traslata dell'ausonia terra, 
Fu pestana nomata e prenestina. 
Sua sorella minor, ma di più grido, 83 

Le fioriva da canto la modesta 
Licnide figlia delle ambrosie linfe, 
Di chele Grazie un dì le belle membra 
Lavar di Citerèa, quando dai primi 
Ruvidi amplessi di Vulcan si sciolse. oo 

Altro amor di Ciprigna in altra parte 
L'amaraco olezzava. In su la sponda 
L'avean del Xanto le sue rosee dita 
Piantato ; e il petto e le divine chiome 
Adornarsi di questo ella solea, 93 

Quando desire la pungea di farsi 
Al suo fero amatore ancor più bella. 

Ecco prole gentil d'egizia madre 
Vivace aprirsi su l'allegro stelo 

74. D'Orizia il rapitor, ecc.: Borea, il vento gelido di tramontana, di cui 
v. la n. 89 a p. 11. 

76. Appule selve: I boschi della Puplia. 

77. Di Lucrino: Del lago Lucrino presso Baia nella Campania, nell'in- 
terno del golfo di Pozzuoli. Sul molo che Augusto vi aveva fatto costruire, 
con grande fragore, battevano lo onde del mare sospinte dal vento. 

81. Damasco: La città, principale della Siria. — Mileto: Capitale riol- 
l'Ionia. 

84 fu pestana nomata, ecc.: « Le rose di Pesto, paese della Terra di La- 
voro nel regno di Napoli, sono andate in proverbio. Di quelle di Prenesw, 
città del Lazio, ora Palestrina, scrive Plinio {St. Nat., xxi, 4), che erano 
state fatte celeberrime da' Romani e che erano l'ultime a cessar di fio- 
rire . . . Virgilio nel quarto della Georg. , v. 119, vorrebbe avere spazio di 
cantare i rosai di Pesto due volte fecondi : « canerem biferique rosaria Pac- 
sti » (Mg.). 

87. Lionide : La licnide dioica dai bianchi fiori e dall'alto fusto. — ri- 
glia, ecc. : « La circostanza qui toccata dal poeta é registrata da Ateneo, 
nel lib. xv dei suoi Dipnosofisti nel modo seguente : « . , . Ex aqua natam 
esse in qua Venus lavit postquam cum Vulcano concubuisset » (Mg.). 

92. L'amaraco: « Che chiamavasi persa o maggiorana, colla quale gli 
antichi componevano l'unguento detto amaracino, tenuto in grandissima 
pregio . . ., era singolarmente caro a Venere, non solamente per essere a lei 
dedicati tutti i profumi, ma anche perchè questo aveva la facoltà di volgere 
in fuga l'animale uccisore di Adone » (Mg.). 

97. Al suo fero amatore : A Marte. 



LA FEROmADH. 189 

Il sonnifero loto, e il molle acanto 100 

Che alla soave colocasia gode 

Intrecciar le sue fronde. Ecco il portento 

Dell'arte che talor vince natura, 

Il superbo ranuncolo; un dì vile 

Mal noto flore, ed or per l'opra e il senno 105 

Di Feronia, che molto amor gli pose, 

Fatto sì bello, che il diresti rege 

Degl'itali giardini. Aleppo e Cipro, 

Candia, Rodi e Damasco in umil pompa 

Il mandàro alla diva; ed ella, esperta iii> 

De' botanici arcani immantinenti 

Di variate polveri ne sparse 

L'ima radice, che le bebbe, e a lui 

Di ben cento color tinse le chiome. 

E tale or questo di bell'arte tiglio 115 

Di donzelle non solo e di fiorenti 

Spose, a cui lode è la beltà nudrirc, 

Ma di matrone ancor cura e desio, 

Ne' romani teatri, e ne' conviti 

Alle antiche patrizie il petto adorna, 120 

Ove Amor spegne la sua face e ride. 

Ma più cara alle Grazie ed alla casa 
Man di Feronia, con più pio riguardo 
Educata tu cresci, mammoletta; 
Tu, che negli orti cirenei dal fiato 120 

100. Loto : « La descrizione del loto può vedersi in Plinio. ... il qua 1^ ne 
fa, sapere ch'esso sorge in Egitto allorché si ritirano le aeque del Nilo. 11 
Sonno rappresentasi ordinariamente dagli scultori e dai pittori con questo 
liore sopra la testa. Il medesimo Plinio rammenta la colocasia e la dice 
Aegypto nobilissima. Anche Vacamo é pianticella egiziana » (Mg.). Anche 

Virgilio, Egl., x, 20. dice la colocasia « mixta ridenti acantho ». 

L'acanto non é qui l'albero che, per quel che sembra dal v. 119, 11 della 
Georg, di Virgilio, corri>ponderebbe all'odierna acacia, ma quell'erba sil- 
vestre che volgarmente si chiama brancorsina. 

104. Banuncolo : « L'autore con uno dei consueti anacronismi, di cui gio- 
vasi la poesia, trasporta all'età di Feronia ciò che avvenne assai dopo i 
tempi della mitologia. I primi ranuncoli furono portati in Europa dai cro- 
ciati nei secoli XII e XIII, ma vi rimasero negletti e quasi incogniti ... Il 
sultano Maometto IV fece venire da Candia, da Cipro, da Rodi, d'Aleppo, 
da Damasco, le radici ed i semi di tutte le più belle varietà di ranuncoli, 
che da Costantinopoli inviate qui in varie parti d'Europa divennero l'orna- 
mento dei giardini ...» (Mg.). 

109. Pompa: È qui nel suo senso etimologico di processione, corteo: 
Tasso, Ger. t,ib. t in, 12: «Seguir la pompa fonerai poi volle », e il Parini, 
Alla Musa, 11 : « Né donna che d'amanti osi gran pompa ». 

119. Rei romani teatri : Intendi del tempo del poeta, ove le aristocratiche 
signore si facevano mirare col petto ornato di bellissimi ranuncoli e seb- 
bene ormai « antiche », e quindi abbia per loro Amore spenta la face, cioè 
non destino più amore, stringono intorno a loro liete amicizie. 

125. Negli orti cirenei : Il Mg. cita a questo proposito un passo di Ateneo 
(Dipnosofisti, lib. xv) : « le rose che nascono presso Cirene sono odorosissime, 
onde colà è pur molto soave l'unguento rosato : anche l'odore delle viole e 
degli altri fiori vi é esimio e divino ». 



100 PARTE ITT. 

Generata d'Amore e dallo etesso 

Amor sul colle pallantèo tradutta, 

Di Zefiro la sposa innamorasti, 

E del suo seno e de* pensier suoi primi 

Conseguisti l'onor. Pudica e cara 139 

Nunzia d'aprii, deh ! quando per le siepi 

Dell'ameno Cernobbio in sul mattino 

Isabella ed Emilia alme fanciulle 

Di te fan preda e festa, e tu beata 

Vai fra la neve de' virginei petti 133 

Nuove fragranze ad acquistar, deh ! movi, 

Mammoletta gentil, queste parole: 

Di primavera il primo fior saluta 

Di Cernobbio le rose, onde s'ingemma 

Della regale Olona il paradiso 110 

Che di bei fior penuria unqua non soffre. 

Felice l'aura che vi bacia e tutta 

Di ben olenti spirti in voi s'imbeve, 

E felice lo stelo onde vi venne 

Sì schietta leggiadria: ma mille volte 115 

Più felice e beato, al par de' numi, 

Chi con man pura da virtù guidata, 

Dispicciarvi saprà dalla natia 

Fiorita spina e d'Imeneo sull'ara 

Con amoroso ardor farvi più belle: 150 

Che senza amor non è beltà perfetta, 

Né mai perfetto amor senza virtude. 

127. Sul colle pallantèo : Sul colle Palatino di Roma, cosi detto da Pallante 
antenato degli Arcadi, seguaci di Evandro. 

128. Di Zefiro la sposa : Flora. 

130. Conseguisti l'onor: Ciò significa che la mammoletta é il primo dei 
fiori a spuntare a primavera, cosicché subito dopo la dice « nunzia d'aprii», 
come nell'ode « In occasione del parto della vice regina d'Italia », 41, l'aveva 
detta « prima de' fiori », e « bruna . . . nunzia d'aprii ». 

132. Cernobbio : Villa presso Como del cav. Carlo Londonio che vi ospitò 
il p. Il Londonio, direttore de' ginnasi lombardi e president dell'Accademia 
di belle Arti in Milano, fu valente letterato. Scrisse una Storia delle colo- 
nie inglesi in America ed entrò, strenuo combattente, nella lotta fra Clas- 
sici e Romantici, quando usci alle stampe la lettera semiseria di Crisostomo 
del Berchet. Fu amicissimo del p. e questi in alcuni suoi versi lo salutava 
« re dell'onore e senno antico ». Ebbe due figlie, Isabella ed Emilia, che mo- 
rirono in giovine età appena divenute madri. 

139. DI Cernobbio le rose : Cosi leggiadramente chiama le due belle figlie 
dell'amico Londonio. 

140. Olona : Fiume che, nato dalle colline della Brianza, passa per il ter- 
ritorio di Como. Chiama quel fertilissimo e ridente paese il « paradiso » 
dell'Olona. 

143. Olenti : Olezzanti. Olire (lat.) é usato solo per alcune voci dai buoni 
scrittori. Cfr. Dante, Purg., xxvm, 6 : « Su per lo suol che d'ogni parte 
oliva ». 

144. Lo stelo : Cosi il p. fa un grazioso complimento anche alla loro 
madre. 

147. Chi, ecc. : Lo sposo futuro di quelle leggiadre giovinette. 



LA FERONIADB. 



191 



Dove te lascio nei meonii campi 
Sì lodato, o d'incanti e di malie 
Possente domator, tu che dai numi 1:5 

Moly sei detto con parola al volgo 
Non conceduta e sol dal saggio intesa? 
(Che al volgo corruttor d'ogni favella 
Parlar la lingua degli dèi non lice). 
Se là di Circe fra le mandre Ulisse ico 

Non stampò di ferine orme il terreno, 
Di questa erbetta e del suo latteo fiore 
Alla virtù si dee: parlante emblema, 
Del cui velo copria l'antico senno 
La temperanza, che de' turpi affetti 105 

Doma il poter. Di questo portentoso 
Vegetante, fra noi, siccome è grido, 
Di Maia il figlio dal natio Cillene 
La tenera portò bruna radice ; 
E dell'accorto dio fu degno il dono: no 

Con questa ei tutti della maga i filtri 
Contra l'itaco eroe fece impotenti. 
E il suo bel fior, che da non casta mano 
Sdegna esser tocco, di Feronia poscia 
Dolce cura divenne, che di mille 175 

Felici erbette gli fé' siepe intorno; 
Altre d'eterno verde, altre dotate 
Di medica virtude, onde il furore 
Placar de' morbi, addormentar le serpi 
E sanarne i veleni; altre che il sonno iso 

Inducono benigne, il dolce sonno 
Degli afflitti sì caro alle palpebre. 
E tal di tutte un indistinto uscia 
Soave olezzo che apprendeasi al core. 

Che di mille dirò scelti arboscelli 1S5 

Lieti a dovizia di nettarei frutti 

153. Ne' meonii campi : Ne* poemi omerici. 

156. Moly: H flore Moly servi ad Ulisse per vincere gl'incanti della 
maga Circe che con essi convertiva i suoi uomini in bestie. Cfr. Omlko, 
Od., x, 395, ove é detto che i Numi lo chiamavano Moli. 

162. Latteo fiore, ecc.: Omkro, Od., 1. e. lo chiama « bianco di latte ». 

163. Emblema : Simbolo della temperanza delle passioni. 

168. Di Maia il figlio, ecc. : Mercurio, figlio di Giove e di Maia, si dice 
portasse il moly dal monte Cillene in Arcadia, dove era nato. 

182. Degli afflitti,ecc. : Ovidio, Met., xi, 623 : « Romne, quies rerum pla- 
cidissime sonine deorum, Pax animi quem cura fugit, qui corpora duris 
Fessa ministeriis mulces reparasque labori », Tasso, Ger. IAb. % vii, 4 
«... il sonno che de' miseri mortali È co '1 suo dolce oblio posa e quiete, e 
vili, 57, e anche il son. Al sonno del Della Casa. 

183. Un indistinto . . . olezzo : Ricorda V « incognito indistinto » di Dante, 
Purg., vm, 81. 



v » • 



102 PARTE IIL 

E di fiori e di chiome, in cui natura 
Per infinite variate guise 
Spiegò la pompa della sua ricchezza? 
Alle ben nate piante peregrine, 190 

Qual d'arabo lignaggio e qual d'assiro, 
Qual dall'Indo venuta e qual dal Nilo! 
L'italo suolo arrise e sue le fece; 
Sì che in lor della patria e della prima 
Origine il ricordo oggi è perduto. 193 

Tanto è l'amor del nuovo cielo, e tanta 
Fu la cura di lei, che nel ben chiuso 
Suo viridario ad educarle prese, 
Or con arte confuse, ed or disposte 
In bei filari come strai diritti, eoe 

Rallegrando di molli ombre i sentieri. 
Ecco schiuder dai seno i bei rubini, 
A Minerva e a Giunon pianta gradita 
E a Cerere cagion d'alto disdegno, 
Il coronato melagrano, e tutti 203 

Adescar gli occhi ed invitar le mani. 
Ecco il melo cidonio alle gibbose 
Sue tarde figlie di lasciva e molle 
Lanugine vestir le bionde gote, 
Del cui fragrante sugo hanno in costume 210 

Le amorose donzelle in oriente 
Nudrir la bocca ed il virgineo fiato, 
Quando la face d'Imeneo le guida 
Di bramoso garzone ai caldi amplessi. 
Vedi il perso arboscel che i rosei frutti 215 

Ne mostra di lontan; vedi il fratello 
D'armena stirpe, che con gli aurei figli 

198. Viridario: Giardino (la t.). 

205. Melagrano: « L'uso della melagrana era interdetto nelle feste di Ce- 
rere . . . perché questo frutto era stato cagione che Cerere non avesse ri- 
avuta sua figlia Proserpina, rapita da Plutone. Che. accordata la restitu- 
zione di lei, a patto che all'inferno non avesse gustato cibo, Ascalafo appa- 
lesò di averla veduta inghiottire alcuni semi di melagrana onde dovette 
rimanersi col rapitore ... Di qui l'odio di Cerere per questa pianta, la quale 
per altro era consacrata a Giunone ed a Minerva » (Mg.). 

207. Il melo cidonio, ecc. : La mela cotogna, detta cidonia da Cidone, città 
di Creta. «Ateneo nel terzo de' Dipnosofisti racconta, sulla fede di Filarco, 
che la cotogna colla soavità del suo odore ha la facoltà di render nullo l'ef- 
fetto de' veleni. Gli antichi ne usavano per dar fragranza al fiato : onde So- 
lone . . . aveva ordinato nelle sue leggi che gli sposi nel primo giorno delle 
nozze mangiassero di questa mela prima di coricarsi ...» (Mg.). 

215. Il perso arboscel : Il pesco, che si disse malus persica, perché si cre- 
deva originario della Persia. 

216. Il fratello, ecc.,: « È quello che si chiamò Meliaco, e che i La- 
tini dicevano Malus armeniaca dall'Armenia d'onde ci é provenuto » (Mg.). 

217. Oli aurei figli : I suoi pomi del color dell'oro. 



LA FBROrflAD*. 193 

Gli contende superbo i primi onori; 

Perocché dai regali orti sconfitti 

Dell'atterrata Cerasunte ancora 220 

Quel fiammante rivai giunto non era, 

Che, di corpo minor ma di più viva 

Porpora acceso, avria lor tolto un giorno 

E di bellezza e di dolcezza il vanto. 

Ma stillante più ch'altri ibleo sapore 225 

L'onor dispiega di sue larghe chiome 

Il calcidico fico; il cui bel frutto, 

Se verace è la fama, alle celesti 

Mense sol noto, fra' mortali addusse 

E a Fitalo donò la vagabonda 230 

Cerere, allor che tutta iva scorrendo 

La terra in traccia della tolta figlia. 

All'apparir della divina pianta 

Di molte forme e molti nomi altera 

Tutte esultar le rive; e Cipro e Chio 235 

E gli orti ircani e i misii e il verde Egitto 

E la gran madre d'ogni bella cosa, 

L'itala terra, con attento amore 

La colti varo; e de' suoi dolci pomi, 

Solo a Serse e a Cartago agri e funesti, 240 

Fèr gioconde le mense anche più vili. 

Nò te, quantunque umil pianta vulgare, 
Lascerò ne* miei carmi inonorato, 

221. Quel fiammante rivai : 11 ciliegio che si credette portato per la prima 
volta in Italia da Lucullo. Anzi si disse che avesse preso il suo nome, che 
in latino snona cerasua, dall'atterrata città di Cerasunte nel Ponto, ove Lu- 
cullo guerreggiò contro quel re, Mitridate. 

225. Ibleo : Dolce come il miele. Il miele del monte Ibla in Sicilia fu ce- 
lebrato dagli antichi poeti. 

227. Il oalcldieo floo : Ricorda il fico di Calcide nell'Eubea, perchè, come 
dice Plinio, era preferibile agli altri, fruttificando tre volte all'anno. 

228. Alle celesti, ecc. : « Cerere, nelle sue lunghe e penose peregrinazioni 
in traccia della figlia, fu accolta ospitalmente in un borgo dell'Attica, detto 
de* Lacidi, da un certo Fitalo, al quale essa in ricompensa dell 'ospizio fece 
dono dell'albero del fico, le cui frutta prima erano note soltanto alle mense 
degli dei » (Mg.). 

236. GU orti, ecc. : Ricorda i luoghi ove allignò la nuova pianta del fico. 
L'Ircania era nell'Asia, a mezzogiorno del Caspio, e la Misia era nella parte 
nord-ovest dell'Asia mmore. 

Il verde Egitto : È il « viridis Aegyptus » di Virgilio. 

240. A Serse e a Cartago, ecc. : « Serse, figlio di Dario, volendo vendicare 
le sconfitte che suo padre aveva ricevuto dai Greci, giurò che non avrebbe 
mai gustato de* fichi dell'Attica che portavansì a vendere in Persia, finché 
non avesse in suo potere la terra che li produceva (Plutarco, Apophteg). 
Temistocle ed Aristide gli fecero però costar care le sue millanterie » (Mg.). 
Quanto a Cartagine, ognun sa che Catone il Censore, per provare che biso- 
gnava distruggerla, portò in Senato un fico primaticcio che tre giorni prima 
era stato colto in quella, città, facendo cosi toccar con mano la pericolosa 
vicinanza di quella odiata rivale di Roma. 

Monti. — Poesie 13 



104 PARTE ni. 

Babilonico salcio, che piangente 

Ami nomarti, e or sovra i laghi e i fonti && 

Spandi la pioggia de' tuoi lunghi crini, 

Or su le tombe degli amati estinti, 

Che ne' cupi silenzii della notte 

Escono sconsolate ombre a raccòrrò 

Sul freddo sasso degli amici il pianto. 250 

Tu non vanti dei lauri e delle querce 

11 trionfale onor, ma delle Muse, 

Che di tenere idee pascon la mente, 

Àgli studi sei caro: e da' tuoi rami 

Pendon l'arpe e le cetre onde si sparge 255 

Di pia dolcezza il cor degl'infelici. 

Salve, sacra al dolor mistica pianta; 

E l'umil zolla che i mortali avanzi 

Del mio Giulio nasconde, in cui sepolto 

Giace il sostegno di mia stanca vita, 860 

Della dolce ombra tua copri cortese. 

E tu, strazio d'amore e di fortuna, 

Tu derelitta sua misera sposa, 

Che del caldo tuo cor tempio ed avello 

Pesti a tanto marito, e quivi il vedi, 265 

E gli parli, e ti struggi in vóti amplessi 

Da trista e cara illusion rapita, 

Datti pace, meschina; e ti conforti 

Che non sei sola al danno. Odi il compianto 

D'Italia tutta; i monumenti mira 270 

Che alla memoria di quel divo ingegno 

Consacrano pietose anime belle. 

E, se tanto d'onore e di cordoglio 

244. Babilonico salcio : Salmo cxxxvi : « Sulle rive di Babilonia sedemmo, 
e piangemmo in ricordarsi di te, o Sìonne : A' salci appendemmo in mezzo 
a lei i nostri strumenti ». 

250. Quanta dolcezza in questi versi che ricordano i Sepolcri del Foscolo! 
« Nelle descrizioni . . . dei fiori e delle piante c'è spesso un non so che di 
molle e di affettuoso, che non parrebbe indegno neanche delle dipinture, 
dove Virgilio fa cosi gentili gli alberi stessi , dando loro affetti simili ai 
nostri. E c'è pure una temperanza, insolita nel Monti, che qui cresce bellezza 
alla forma, e la rende anche più squisitamente classica. Né minore é il pregio 
della varietà in quell'ampia dipintura, che comprende tutte le varie famiglie 
del giardino ; dalla mammola che « fra la neve dei virginei petti », acquista 
«nuove fragranze », al salcio che desta sentimenti foscoliani» (Zumbini,p. £11). 

251. Tu non vanti, ecc. : Con rami di quercia si proni i ava dai Romani il 
merito civile, coi rami d'alloro i trionfatori de' nemici di Roma. 

858. I mortali, ecc.: Le ossa del conte Giulio Perticari di Savignano, 
(1770-1822) letterato valentissimo che fino dal 1812 aveva sposata Costanza, la 
bella figlia del p. Mori di soli 43 anni. Anche nell'ode Per nozze illustri ve- 
ronesi il Monti pianse la morte del genero. 

£61. Cortese : V. la 208 a p. 169. 

865 Quivi : Nel tuo cuore. 

270. I monumenti : Veramente il monumento al Perticari fu fatto assai più 
tardi, noi 1851. 



J 



LA FERONIADE. 195 

Argomento non salda la ferita 

Che ti geme nel petto, e tuttavia 275 

Il lacrimar ti giova, e forza cresce 

Al generoso tuo dolor l'asciutto 

Ciglio de' tristi, che, alla voce sordi 

Di natura e del ciel, né d'un sospiro 

Nò d'un sol flore consolar l'estinto, 280 

Dolce almeno ti sia, che su l'avaro 

Di quell'ossa sacrate infando obblio 

Freme il pubblico sdegno e fa severa 

Delle lacrime tue giusta vendetta. 

Ma dove, o Musa, di sentiero uscita 285 

Ti tragge ira e pietà? Deh torna al riso 
Del cantato giardin, torna ai profumi, 
Alle fragranze, che l'erbette e i fiori 
Ti esalano d'intorno. A sé ti chiama 
Principalmente ed il tuo canto aspetta 290 

L'odorato de' Medi arbor felice, 
Di cui non avvi più possente e pronto 
(Se fede acquista di Maron la Musa) 
Medicarne verun contra i veneni 
Delle dire matrigne, allor che seco 205 

Scellerate parole mormorando 
Empion le tazze di nocenti sughi. 
Chioma e volto di lauro ha l'almo arbusto; 
E, se diverso e vivo in lontananza 
Non gittasse l'odor, lauro saria. 
Candidissimo è il fior di che s'ingemma, 
Né per molto soffiar che faccia il vento 
L'onor mai perde della verde fronda. 
Ora etrusco limone, or cedro ed ora 
Arancio lusitan l'appella il vulgo, 305 

Sotto vario sembiante ognor lo stesso. 
Questa è la pianta che nel ciel creata 

277. L'asciutto, ecc. : Si allude ai parenti di Giulio che non solo non si 
afflissero molto per la morte del loro illustre congiunto, ma con atroci ca- 
lunnie ne perseguitarono la vedova. 

291. L'odorato, ecc. : (1 cedro che Virgilio canta nelle Georg., n, 186. 

relice : Salubre. Anche Virgilio (ib.) dice : « Media fert tr stes succos . . . 
tardumque saporem Felicls mali ». 

291. Contra, ecc.: Infatti Virgilio, Georg. , ii, 127 dice: « quo non prae- 
sentius ullum, Pocula si quando saevae intecere novercae, Miscueruntque 
nerba* et non innoxia verba, Auxllium venit ac membri» agit atra ve- 
nena ». 

300. Lauro, ecc. : Questi versi traducono letteralmente i sgg. versi di Vir- 
gilio, Georg., n, 130 : « Ipsa ingens arbos faciemque simillima lauro ; Et, 
si non alium late iactaret odorem, Laurus erat ». 

306. L'osar* ecc. : Virgilio, 1. e. : « folia haut ullls labentia ventis ». 
305. Lusitan: Portoghese. 

307. Nel del creata: Si favoleggiò che 11 cedro fosse nato in cielo nel di 
degli sponsali di Giunone con Giove. 



300 



196 PARTE IH. 

L'aureo pomo fatai lassù produsse 

Ch'Ilio in faville fé' cader: con questo 

L'ardito Aconzio e Ippòmene già fero 310 

(Che non insegni, Amor?) alle lor crude 

Belle nemiche il fortunato inganno. 

E fu pur questa che ad immane drago 

Die negli orti a vegliar d'Esperetusa 

Il sospettoso mauritano Atlante; 315 

Finche di là la svelse il forte Alcide, 

Spento il fero custode, e peregrino 

Seco l'addusse nell'ausonio lito, 

Quando di Spagna vincitor tornando 

Nel Tevere lavò l'armento ibero 320 

E fé' sopra il ladron dell'Aventino 

Delle tolte giovenche alta vendetta. 

Poi, com'egli d'Evandro abbandonate 

Ebbe le mense e l'ospitai ricetto 

E a quel giogo pervenne ove nascoso 325 

Agl'Itali mostrò la prima vite 

Il ramingo dal ciel padre Saturno, 

Ivi sul dorso edificò del monte 

306. L'aureo pomo: 11 pomo della Discordia. Giunone, non invitata alle 
nozze di Peleo e Teti, gettò sulla tavola ove banchettavano gli dei un pomo 




SII. Che non Insegni, ecc. : Tasso, Ger. Lib., i, 57 : * Ne le scole d'Amor 
che non s'apprende 1 » come Amore dice nel Petrarca « Per quel ch'egli 
imparò nella mia scuola ». 

312. Il fortunato inganno : L'inganno che Aconzio, innamorato di Cidippe, 
fece a lei, scrivendo sopra un cedro queste parole : Io giuro a Diana di 
non essere che cT Aconzio, e lo gettò ai piedi di Cidippe che era nel tempio 
di Diana. Essa lo raccolse e fu cosi costretta, per obbedire alla volontà della 
dea, ad unirsi ad Aconzio. — Ippòmene vinse al corso 1' amata Atalanta, get- 
tandole tra i piedi, durante le corse, tre arance che la giovinetta si fermò 
a raccogliere e perciò fu sua sposa, che tale era stato pattuito dover esser 
il premio del vincitore. 

315. Il ... . mauritano . . . Atlante : Atlante, che stava sui confini del mondo 
presso lo stretto di Gibilterra, sulle frontiere della Mauritania, fece custo- 
dire gli aranci del suo giardino dalle sue tre figlie Esperidi di cui una era 
Esperetusa : stava sempre a guardia di quelli un terrìbile drago. 

316. Alcide : Ercole uccise il drago e portò quei frutti al fratello Euri- 
steo in Italia. 

380. L'armento ibero : Dicono che Ercole, ucciso Gerione nella Spagna, ne 
portasse i buoi nel Lazio e li lavasse nel Tevere. Virgilio, Aen. vii, 661 : 
« postquam Laurentia Victor, Geryone extincto, Tirynthius attigit arva, Tyr- 
rhenosque boves in flumine lavit B iberna ». 

321. E fé' sopra il ladron, ecc.: Caco che abitava sull'Aventino rubò ad 
Ercole i buoi di Gerione, ed egli lo uccìse coll'astusia narrata da Virgilio, 
Aen., vili, 190 e sgg. 

323. Evandro : Secondo la tradizione, Evandro, re d'Arcadia, si era stan- 
ziato coi suoi Arcadi nel Lazio e là lo visitò Ercole. 

325. Quel giogo : I monti Laziali, sui quali sì rifugiò Saturno, quando, 
cacciato dal cielo dal figlio Giove, venne esule in Italia, e, accolto da Giano, 
insegnò ai popoli del Lazio l'agricoltura e piantò la prima vite. 



LA FERODIADE. 197 

Sezia, un'umil città, donde Setina 

Fu nomata la rupe; e qui di Giove 330 

L'errante figlio alla saturnia terra 

Primiero maritò l'arbor divino, 

Che tutti empiè di meraviglia i colli 

E d'invidia le selve. Al primo spiro 

Del suo celeste odor vinta temette 335 

(E fu giusto il timor) la sua fragranza 

Di Preneste la rosa: al primo aspetto 

Di quel candido fior vinte temette 

Le sue vergini tinte il gelsomino. 

A baciarlo lascive, a carezzarlo .3 io 

D'ogni parte volar l'aure tirrene, 

Desiose d'aver carchi del caro 

Effluvio i vanni rugiadosi: corsero 

A fregiarsene il crine e il colmo seno 

D'Alba le ninfe e di Laureato e quelle 315 

Del Volturno arenoso e del Taburno. 

Corser da tutte le propinque rive 

Gli Egipani protervi, e, saltellando 

E via gittando ognun l'ispido pino, 

Di questo ramo ghirlandar le fronti. 350 

Lo volle il dio d'Arcadia, e lo prepose 

Agli ebuli sanguigni ed ai corimbi; 

E lo volle Silvan, dimenticate 

Le ferule fiorenti e i suoi gran gigli. 

Venne anch'essa del Sol Circe la figlia, 355 

E di sua mano un ramuscel spiccando 

Della scesa dal ciel pianta diletta 

In grembo al sacro suo terreno il pose. 

Così crebbe il divin bosco odorato, 

Che di soave olezzo intorno tutte 360 

329. Sesia: Oggi Sezze presso la palude pontina, celebre per i suoi vini. 

330. Di Giove, ecc. : Ercole che sui monti Setini piantò il cedro, detto 
« arbor divino », perché noto fino allora alle mense degli dei. 

345. Alba : Antichissima città latina sui colli Albani presso Roma. — Lau- 
reino : V. la n. 40 a p. 186. 

348. Taburno : Monte sui confini del Sannio, della Campania e dell'Apulia. 

348. Gli Egipani protervi : Gli audaci Egipani che erano divinità dei monti 
e dei boschi con gambe e corna di capra. Portavano una corona di foglie 
di pino. 

350. Di questo ramo : Del ramo del cedro. 

351. Il dio d'Arcadia: Il dio Pane di cui Virgilio, Ed., x, 26, dice : « Pan 
deus Arcadiae venit, quem vidimus ipsi Sanguineis ebuli naccis minioque 
rubentem ». 

352. EbuU : « L'Ebulo, detto anche ebbio in italiano, e un frutice che so- 
miglia al sambuco ... La ferula é un frutice anch'essa, che ha le foglie 
come il finocchio ed il gambo somigliante alla canna ...» (Mg.). 

353. E lo volle Silvan : Virgilio, 1. e. , 24 : « Venit et agresti capitis Syl • 
ranus honore, Florentes ferulas et grandia lilia quassans », 



198 PARTE III. 

Della maga spargea le rilucenti 

Tremende case; ov'ella ognor, cantando 

E con l'arguto pettine le tele 

Percorrendo, facea dolce da lungi 

E periglioso ai naviganti invito; 365 

Mentre pel buio della tarda notte 

Lamentarsi e ruggir s'udian leoni 

Disdegnosi di sbarre e di catene, 

Urlar lupi, e grugnire ed adirarsi 

Nelle stalle cinghiali ed orsi orrendi, 370 

Che fùr uomini in prima e della cruda 

Incantatrice sventurati amanti. 

Queste ed altre infinite eran le piante 
E l'erbe e i fiori, che godea l'attenta 
Di Feronia educar mano pudica; 375 

Di tutti quanti i fiori ella il più bello. 
Ma, sotto vago aspetto alma chiudendo 
Superbetta, d'amor tutte parole 
La ritrosa fanciulla ebbe in dispregio. 
Nò la vinse il pregar di madri afflitte, 3so 

Che la chiedeano in nuora e per la schiva 
Vedean languire i giovinetti figli: 
Né mai lusinghe la piegar di quanti 
Dèi le latine ad abitar contrade 
Dai pelasghi confini eran venuti: 3S3 

Ch'ella a tutti s'invola, e non si cura 
Conoscere d'amor l'alma dolcezza. 
Ma di Giove non seppe un'amorosa 
Frode fuggir. La vide; e da' begli occhi 
Trafitto, il nume la sembianza assunse 300 

D'un imberbe fanciullo, è sì deluse 
L'incauta ninfa e la si strinse al seno 

3G3. Le tele percorrendo: Virgilio, Aen., vii, 11: « Dives inaccessos ubi 
Solis Alia lucos Assiduo resonat cautu, tectisque superbis Urit odoratali) 
nocturna in lumina cedrum, Arguto tenues percurrens pectine telas ». 

365. Periglioso invito : Circe allettava col canto i naviganti per mutarli 
poi in bestie, come fa capire coi versi seguenti. 

376. « Educando (Feronia) cose tutte graziose, i suoi atti diventano gra- 
zie e vezzi ; e cosi (il p.) fa con l'opera propria una specie di georgica, cor- 
rispondente a quella che è come la parie più delicata dell'ampia descrizione 
virgiliana » (Zumbini, p. 211 \ 

385. Dal pelasghi. ecc. : Si credeva che i Pelasgi fossero venuti dalla Gre- 
cia in Italia e unitisi cogli Aborigeni del Lazio avessero portato la loro an- 
tica religione e i loro patrii dei nella nuova terra. 

386. Ch'ella : Tasso, Qer. Lib., n, 14 : « E de* vagheggiatori ella s'invola 
alle lodi, agli sguardi, inculta e sola ». 

391. D'un imberbe, ecc. : « Di qui la denominazione di Ansuro : perocché 
vogliono che cosi fosse chiamato Giove da aveu (sine) e Zopou (novacula), cioè 
dai non aver usato rasoio ; il che può equivalere ad imberbe. Sotto questo 
nome egU era adorato in Terracina, come marito di Feronia » (Mg.). 



LA FERONIADE. 1U9 

Con divino imeneo. L'ombra d'un elee 

Del Dio protesse il dolce furto: e lieta 

Sotto i lor fianchi germogliò la terra 395 

La violetta il croco ed il giacinto, 

Ed abbondanti tenerelle erbette 

Che il talamo fornirò; e le segrete 

Opre d'amore una profonda e sacra 

Caligine coprio: ma di baleni 100 

Arse il ciel consapevole, ed i lunghi 

Ululati iterar su la suprema 

Vetta del monte le presaghe ninfe. 

Questi fùr delle nozze inauspicate 

I cantici, le faci, i testimoni; io:> 
Questo alla nuova del Tonante sposa 

De' suoi mali il principio, e noi conobbe 

L'infelice. Ma ben di Giove il vide 

L'eterno senno; né potendo il duro 

Fato stornar, nel suo segreto il chiuse, 410 

E, la doglia che solo il cor sapea 

Premendosi nel petto, a far più mite 

II funesto avvenir volse il pensiero. 
Primamente quel bosco e quella rupe 

Sì gli piacque onorar dove la ninfa 415 

Dell'occulto amor suo gli fu cortese, 

Che per loro obbliò Dodona ed Ida 

E men care di Creta ebbe le selve; 

Tal che le genti la presenza alfine 

Sentir del nume, e l'inchinar devote tzo 

E Giove imberbe l'invocar sull'are; 

Ch'egli loro così mise in pensiero 

304. E lieta, ecc. : Cosi in Omero. II., xiv, 347, la terra somministra un 
talamo di erbe e di fiori a Giove che s'addormenta sull'Ida in braccio a 
Giunone. Cfr. anche la Musog., 181 e sgg. 

385. Germogliò : Usato transit., uso assai raro. 

400. Ma di baleni, ecc. : Eran per gli antichi segni di cattivo augurio. Ogni 
festa nuziale terminava con canti e con una fiaccolata con cui si accompa- 
gnava la sposa alla nuova dimora ; ma qui sono canti gli ululati delle ninfe 
e fiaccole 1 baleni. Cfr. Virgilio, Aen. f iv, 166 : « Prima et Tellus et pronuba 
Iuno dant signa : fulsere ignes et conscius aether Connubiis ; summoque 
ulularunt vertice nymphae ». 

404. Inauspicate : Di cattivo augurio. 

400. Né potendo, ecc. : Neppure Giove, il padre degli uomini e degli dei, 
poteva cambiare ciò che stava ne* Fati ; ma conosceva quello che i Fati ce- 
lavano a tutti gli altri dei. 

417. Dodona : Città nell* Epiro , ove in una foresta era il celebre oracolo 
di Giove Pelasgico. — Ida : Monte dell'isola di Creta, ove Giove bambino fu 
nutrito col miele delle api. 

421. L'Invocar, ecc. : Come abbiam detto, Giove imberbe aveva un tempio 
a Terracina col nome di e luppiter Anxurus », ove era adorato insieme con 
Feronia: Virgilio, Aen., vii, 709: «quia luppiter Anxurus arvis Praesidet 
et viridis gaudens Feronia luco ». 



200 PARTE III. 

Per la memoria del felice inganno. 
Qui del culto novel consorte ei volle 
La dolce amica sua; qui degli eterni tg> 

In aura tazza il nettare le porse, 
E la fece immortal. Poscia tonando 
Del monte il fianco Occidental percosse; 
E una sùbita fonte cristallina 

Scaturì mormorando: e dalla balza 430 

Comandò che perenne ella scorresse 
E da Feronia si nomasse: ed oggi 
• Serba quel nome ed il ricordo ancora 
Dell'antico prodigio. Allor le volsche 
Genti lor diva Tadoraro, e lei 135 

Antefora chiamaro e Filostefana 
E Persefone ; e tutte a lei de* campi 
Fùr sacre le primizie. Ad inchinarla 
Sovrana e diva i numi adunque tutti 
Corser d'Ausonia; che il voler tal era no 

Del supremo amator: e non pur quelli 
A cui per valli e campi e per montagne 
Fuman l'are latine e di plebeo 
Rito van lieti e di Minori han nome, 
Ma mossero frequenti ad onorarla 445 

Di cortese saluto anche i Maggiori. 
Primo il padre Lieo, ch'indi non lungi 
In un temuto e per antico orrore 
Sacro delubro raccogliea benigno 
Dal timor de' mortali incensi e voti ; 450 

E la bionda inventrice era con lui 
Dell'aure spiche e delle sante leggi, 
Cerere, che solea le pometine 
Spesso anteporre alle trinacrie mèssi. 

436. Antefora : « Dionigi d'Alicarnasso ne ha conservati questi nomi, coi 
quali veniva appellata Feronia (A. R. III. 38). — Antefora e quanto dire 
fiorigena, ossia Portatrice de' fiori. — filostefana vale Andante delle corone. 
— Persefone é In greco lo stesso che in latino Pro&erpinu » (Mg.). 

441. Del supremo, ecc. : Di Giove. 

444. Di Minori, ecc. : Gli antichi avevano gli Dei massimi, detti anche dii 
maiorum gentium, e i minori o dii minorimi gentium. Erano minori quelli 
che possedevano la divinità, ma imperfettamente, erano la plebe degli dei, 
come i fiumi, le nebbie, i venti, ecc. 

447. Lieo: Uno dei nomi di Bacco. 

449. Saoro delubro : Bacco aveva un tempio a lui dedicato presso Sezze , 
nel luogo detto Forum Appii. 

451. E la bionda Inventrice : « Anche 11 culto di Cerere era stato portato 
dagli Arcadi nel Lazio e nei paesi circonvicini, ove quella dea fu poi sem- 
pre grandemente onorata. L'invenzione delle leggi venne attribuita a questa 
dea. del pari che il ritrovamento delle biade » (Mg.). 

454. AÙe trinacrie messi: Alle messi siciliane [Trinacria si disse la Sici- 
lia) preferiva le messi di Pomezia. 



LA FERONIÀDK. 201 

Nò te d'Aricia il bosco e il nemorense 455 

Lago trattenne, vergine Diana; 

Che tu pur, del lunato argenteo carro 

Al temo aggiunte le parrasie cerve, 

Con gli altri divi ad abbracciar venisti 

La novella immortale; e di te degna 460 

Fu l'alta cortesia che ti condusse. 

Col favor di Feronia iva frattanto 
Scorrendo i campi l'Abbondanza, e, tutto 
Versando il corno, ben compiuta e ricca 
Fea dell'avaro agricoltor la speme. 4G3 

Ogni prato, ogni colle, ogni foresta 
Di pastorali avene e di muggiti 
E nitriti e belati alto risuona; 
E prigioniera dall'opposte rupi 
Le dolci querimonie Eco ripete. 170 

Venti e quattro cittadi, onde l'immensa 
Fertile valle si vedea cosparsa, 
S'animar, s'abbellirò; e, strette in nodo 
Di care parentele, in mezzo al sangue 
De' torelli giurar dell'alleanza 475 

Il sacramento; e l'invocata diva 
Le dilesse, e su lor piovve la piena 
Di tranquilla ricchezza. Incontanente 
Crebbero i lari, crebbero le mura: 
Di maestà, di forza e di rispetto 4so 

Le sante leggi si vestir : f ùr sacri 
I reverendi magistrati; sacra 
La patria carità; sacro l'amore 
Della fatica e dell'industria. Quindi 
Tutte piene di strepito le vie ds& 

E i teatri e le curie; e dappertutto 
Un gemere di rote, un picchio assiduo 
Di martelli e d'incudi, un suonar d'arme 
Buone in pace ed in guerra; onde si crebbe 
La feroce de' Rutuli potenza, 400 

455. Arloia : Ora la Riccia, era presso il lago di Nemi. 

457. Del lunato, ecc. : Del carro lunare in cielo. 

458. Parrasie : Della Parrasia, che era una parte dell'Arcadia. 

460. Degna : Perché anche Diana, come figlia di Latona, era perseguitata 
da Giunone. 

464. Il oorno : L'Abbondanza é rappresentata con un corno in mano da 
cui versa ogni bene. 

471. Venti e quattro cittadi : .Tante erano le città che un tempo fiorirono 
in quella oggi tanto desolata regione. 

474. In mezzo al sangue : Quando si stringevano alleanze solevano gli an- 
tichi popoli del Lazio fare sacrifizi di tori. 

479. I lari : Le case. I LatH erano piccoli dei, protettori della casa. 

490. Ferooe : Guerriera, nel senso latino : Orazio, Od., IV, ix, 21 : « ferox 
Hector », e I, xxxn, 6 « ferox bello ». 



202 PARTB 111. 

Che ai pietoso Troian tanto fé' poscia 
Sotto il cimiero impallidir la fronte, 
Quando gli disputar Camilla e Turno 
Di Lavinia e d'Italia il grande acquisto. 

Eran le genti pometine adunque 495 

Molte e forti e felici; e manifesta 
Di Feronia apparia per ogni parte 
La presenza, il favor, la possa e l'opra, 
Però da cento altari a lei salia 
Delle vittime il fumo; e ne godea 500 

Il tonante amator, che stanco e carco 
Delle cure del mondo, a serenarle 
Scendea sovente ne' segreti amplessi 
Della diva fanciulla. Un aureo nembo 
Li copriva; e oziosa al sole aprico 505 

Col rostro della folgore ministro 
L'aquila sacra si pulia le piume; 
Mentre sicure dal furor di Giove 
Tacean d'Ato e di Rodope le rupi, 
E avea Bronte riposo in Mongibelio. 510 

Erasi intanto la saturnia G-iuno 
Fatta accorta del dolo; e i suoi grand'occhi, 
Che gelosia più grandi anche facea 
Non fallibili segni avean già scorto 
Di nuova infedeltà. Raro il soggiorno 513 

Del marito in Olimpo: alto il silenzio 
Dei talami divini: inoltre mute 
Della foresta dodonea le querce, 
Cheti i tuoni dell'Ida, e dissipato 
Il denso fumo che facea palese 520 

La presenza del nume. Onde, turbata 
In suo sospetto, alle nevose cime 
Dell'Olimpo salita, in giù rivolse 
L'attento sguardo, e ricercò l'infido 
Sul mar sidonio, sul nonacrio giogo, 525 

491. Al pietoso Troian : A Enea a cui Virgilio dà cosi spesso l'epiteto di 
pius per la sua scrupolosa religiosità. 

493. Camilla e Turno : Camilla, la forte figlia del re de' Volsci, e Turno, 
il re de' Rutuli e rivale di Enea, a cui Latino aveva dato in moglie la figlia 
Lavinia già, promessa a Turno. 

494. Il grande acquisto: Cfr. Tasso, Ger. Lib., i, 4: « glorioso acquisto. » 
506. Col rostro : L'aquila di Giove è rappresentata colle folgori nel becco. 

509. D'Ato : Il monte Athos nella penisola calcidica sul mare Egeo. — 
Rodope : Monte della Tracia. Questi alti monti non erano colpiti dal fulmino 
di Giove che riposava in braccio a Feronia. 

510. Bronte : Uno dei ciclopi nella fucina di Vulcano in Mongibelio. 
518. Della foresta dodonea : Dove Giove dava gli oracoli. 

525. Sul mar sidonio : Sul mai* di Sidone, una delle principali città della 
Fenicia. Sul nonaorlo giogo : Sui monti ov' é la città di Nonacre in Arcadia, 



LA FBRONIADB. 203 

SulTIsmen, sulTAsopo, ove sovente 

Delle vaghe mortali amor lo prese, 

Indi in Ausonia declinando i lumi 

D'Ansuro nereggiar sul balzo vide 

Tale un nugolo denso che per vento 530 

Non si movea di loco, ancorché tutta 

Fosse in moto la selva. A cotal vista 

Le si restrinse il cor; le corse un gelo 

Per le membra immortali, e si fèr truci 

I neri sopraccigli. Immantinente 535 

Iri a sé chiama, e: Prestami, le dice, 

Su via prestami, fida, il tuo piovoso 

Arco d'gro e di luce. E, sì dicendo 

Nò risposta aspettando, entro si chiude 

De' taumanzii vapori, e taciturna 510 

Su le rupi setine si precipita. 

Tocca pur anco non avea la terra 

Co' leggeri vestigi, che levarsi 

L'invisibile dea l'aquila vide, 

L'aquila testimon del dio marito; 515 

E sotto l'ombra delle grandi penne 

Furtiva e cheta camminar la nube 

E tra le piante dileguarsi. A lei 

Dovunque passa riverenti e curvi 

Dan loco i rami della selva; e l'aure 550 

Non osano di far rissa e bisbiglio. 

Volse indi l'occhio addietro, e donde tolta 

S'era la nube in pie rizzarsi mira 

Cosi bella una ninfa, che alla stessa 

Cornicciosa Giunon bella parea. 553 

Sventurata beltà ! L'ira e il dispetto 

Tu crescesti nel cor della gelosa, 

Che spiccossi qual lampo e rabbuffata 

Con questi accenti alla rivai fu sopra: 

E qual ti prese insania ed arroganza, 569 

Insolente mortai, che una cotanta 

A me far osi ingiuria, e non mi temi? 

526. Ismen . . . Asopo : Fiumi della Beozia. 
528. Declinando i lami : Abbassando gli occhi. 

536. Iri : Iride, la vaga dea messaggera de' celesti. 

537. Il piovoso, ecc. : L'arcobaleno. 

540. Taumanaii : Di Iride, figlia del centauro Tau mante (0«u/*a prodigio). 
Nota la rapidità di questo sdrucciolo che bene rappresenta la celerità del 
volo di Giunone. 

546. Sotto l'ombra : Dante, Par,, vi, 7 : « E sotto l'ombra delle sac re 
penne », imitato anche dal Tasso, Oer. Lib. t x. 75 : « E sotto l'ombra degli 
argentei vanni », e aal Parini, Od., I, vili, 19. 



204 PARTE III. 

Ravvisami, proterva; io degli dei 
Son l'eterna reina, io la sorella, 

10 la sposa di Giove. Scolorossi, 565 
Tremò, si sgomentò, non fé' parola 

La misera Feronia; e, siccome era 

Scomposta i veli e le bende e le chiome 

Dell'amplesso celeste accusatrici, 

Mise in tutto furor la sua nemica. 570 

La qual, su lei di rinnovar bramosa 

Di Callisto la pena, ad un vincastro 

Die rabbiosa di piglio e la percosse. 

Attonito restò l'occhio e la mano 

Dell'acerba Giunon, quando dell'altra 575 

Vide al colpo divino inviolata 

Resistere la salma e le primiere 

Sembianze rimaner: tosto conobbe 

Che di tempra immortai fatta l'avea 

L'onnipossente nume : onde sdegnosa 5S0 

Che a vóto mira uscito il suo disdegno, 

E terribile e ria più che mai fosse, 

Questo, disse, al mio scorno anco mancava, 

Adultera impudente, che dovesse 

Farlosi eterno ! Semele ed Alcmena 5S5 

Eran poca vergogna all'onor mio, 

E i due figli di Leda, e Ganimede; 

Ch'altra ancor ne s'aggiunge, e di malnati 

Mi si fan piene le celesti mense. 

Ma inulta non andrò, se Giuno io sono; 590 

Né tu senza castigo. Via di qua, 

Via di qua, svergognata! E in questo dire 

11 bianco braccio fieramente stese, 
S'aggrandì, si scurò: gli occhi mandaro 

Due fiamme a guisa di baleni in mezzo 593 

Di tenebrosa nube; e la grand'ira, 

Che il senno ancor degl'immortali invola, 

Quasi obbliar di diva e di reina 

568. I veU, ecc. : Accus. di relazione. 

572. Di Callisto, ecc. : Giunone, sdegnata contro quella ninfa amata da 
Giove, la rimproverò e la percosse, gettandola a terra, come dice Ovidio 
nelle Met.> 11, 476 e sgg. 

577. Salma : Corpo, v. la n. 83 a p. 11. 

585 Farlosi eterno : Che questo scorno dovesse rimanere eterno, essendo 
Feronia immortale. — Semele ed Alomena : Semele , figlia di Cadmo e d'Er- 
mione. amata da Giove generò a lui Bacco : Alcmena, amata da Giove, gli 
nartori Epoole 

587. 1 due figli, ecc. : I gemelli Castore e PoUuce, che Giove, trasformato 
in cigno, ebbe da Leda, moglie di Tindaro, re di Sparta. — Ganimede : Il 
bellissimo garzone coppiere di cui era innamorato Giove. 



LA FHRONIADK. 205 

Le fé' modi e costumi. E di rincontro 

Di Giove allor la dolorosa amante, eoo 

Ohe di rimorso trema e di rispetto, 

Con basso ciglio e con incerto piede 

Lagrimando partissi. Ella per monti 

E per valli e per fiumi si dilunga, 

E sempre a tergo ha la tremenda Giuno, C05 

Che con minacce e dure onte e rampogne 

Stimola e incalza l'infelice. Ah ! dunque 

Era da tanto un amoroso errore? 

E già varcate avea le veliterne 
Pendici e gli ardui sassi ove costruisse dio 

Cora la sua città, Cora il fratello 
Di Catillo e Tiburte ; e non lontano 
Era di Cinzia il sacro lago, e il bosco, 
Ove a Stige ritolto e della ninfa 
Egeria in cura Ippolito traeva 615 

Cangiato in Virbio la seconda vita. 
Qui di Saturno l'adirata figlia 
Sostenne i passi, e in balze aspre e deserte 
Qui lasciò la meschina; e, desiosa 
Di vendetta maggior, dio volta addietro. oso 

Tra le priverne rupi e le setine 
S'apre immane spelonca, a cui di sopra 
Grava il dosso una negra orrida selva, 
E per lo mezzo la rinfresca un rivo 
Che con grato rumor casca e zampilla 625 

Dalle fesse pareti. Ha di sedili 
In vivo marmo una corona intorno; 
E tal dalle muscose erbe si spande 
Una fragranza, che da lungi avvisa 
Veramente di dei stanza e ricetto. 630 

Qui da tutta la volsca regione 

COI. Che di rimorso : Somiglia assai per la forma al v. delTARiosTO, Ori. 
v àl !> S 4 « E di paura trema e di sospetto ». 

608. Con basso ciglio : Virgilio, Aen.. i- 561 : « Vultum demissa », e Pa- 
rini, A Silvia, 26 : « Col guardo al suol dimesso ». 

607. Ahi I dunque, ecc. : Virgilio, Aen., i : « Tantaene animis caelestibus 
irae? ». 

609. Veliterne: Di Velletri {Velitrae). 

610. Ardui sassi : Virgilio, Aen., in, 271 : « Ardua saxis ». 

611. Cora : Figlio di Anflarao (v. la n. 9 a p. 2) , che non fondò , ma ri- 
costruì Cori. 

613. Di Cinzia, ecc. : Il bosco d'Arieia sul lago Aricino, ora di Nemi. 

615. Ippolito : Amato dalla matrigna Fedra, fu ucciso da cavalli infuriati 
per le maledizioni del padre Teseo ; fu poi risuscitato da Diana e, sotto il 
nome di Virbio, fu affidato alle cure della ninfa Egeria. Cosi narrano Vir 
gilio, Aen., vii, 765, e Ovidio, Met., xv, 497. 

621. Priverne : Di Piperno {Privernum), città, del Volsci, poi del Lazio. 

631. (tal, ecc. : Questa caverna, ove vengono a raccogliersi i fiumi volsci, 



Fur 



20rt PARTE ni. 

Per cento cave sotterranee vie 

Vengon sovente a visitarsi i fiumi ; 

Il freddo Ufente, il lamentoso Astura, 

Il sonoro Ninfeo, che tra le sacre 635 

Sue danzanti isolette ad Annitrite 

Rapido voi ve e cristallino il flutto; 

E il superbo Amasen che le gran corna 

Mai non si terge e strepitoso e torbo 

Empie di loto i campi e di paura. 6io 

E cent'altri v'accorrono di fama 

Poveri e d'onda fiumicei seguaci, 

E cento ninfe che il cader degli astri 

Conoscono e del sole e della luna 

Le armoniche vicende, e sanno venti 013 

E le piogge predire e le procelle. 

Colà bieca sbuffando s'incammina 

La di vendetta sitibonda dea: 

Simile a nembo di gragnuole gravido, 

Che bruno il ciel viaggia e orrendo stendesi o 

Su la bionda vallea, quando le Pleiadi, 

Che d'Orlon la spada incalza e stimola, 

Negli atlantici flutti si sommergono, 

E tutto ferve per burrasca il pelago. 

è una reminiscenza dell'altra caverna, ove Eolo tien chiusi i suoi venti nel- 
l'Ann., 1, 52 e sgg. 

631. Il freddo Ufente : Nasce dai monti diSezze, passa attraverso le paludi 
pontine e sbocca in mare a Terracina come dice Virgilio, Aen. vii, 801: 
« gelidusque per imas Quaerit iter vallis atque in mare conditur Ufens » — 
L' Astura passa per il territorio di Anzio, presso il borgo che anche oggi 
dicesi Astura, e il p. lo dice lamentoso per i luttuosi casi che avvennero 
suUe sue rive, l'uccisione di Cicerone e l'arresto di Corradino dì Svevia fug- 
gente dopo la sconfitta di Tagliacozzo. 

635. Il sonoro Ninfeo : Il Ninfeo, che oggi ha nome Storace, proviene dai 
monti di Norba dal lago omonimo. 

636. Danzanti isolette: Plinio {St. iV., n, 94) dice che nel lago di Norba 
erano certe isolette che si muovevano sotto i piedi di chi vi danzava e si 
chiamarono per ciò Saltuares. 

638. Il superbo Amasen : Passa per Priverno e il territorio dei Volsci e lo 
ricorda Virgilio, Aen'., xi, 547 : « Ecce, fugae medio, summis Amasenus 
abundans Spumabat ripU ». 

614. Del soie e della luna, ecc.: Il corso annuale del sole, le stagioni eie 
fasi della luna di cui si credettero esperte le Ninfe. Cfr. Ovidio, Met., n, 
638 e sgg. 

651. Su la bionda vallea : Sulla valle biondeggiante di messi mature. Val- 
lea è di Dante, in/., xxvi, 89: « Vede lucciole giù perla vallea » e da lui 
passò all'Ariosto, al Manzoni e ad altri poeti ancora, ma è parola di forma- 
zione francese. 

652. D'Orion, ecc.: Orione, cacciatore gigantesco, tiglio di Nettuno, fu 
ucciso da Artemide e assunto fra le stelle. Quando sorge alla metà d'estate 
e quando tramonta inseguendo le ninfe Pleiadi (da pluo, un'altra costella 
zione, nunzia di pioggie), si credeva che fossero imminenti furiose tera- 
Deste 

654. Il pelago : Si notino questi sdruccioli co' quali il p., studioso ricer- 
catore di effetti armonici, cerca di rendere il suono d'una burrasca di 
grandine. 



LA FERONIADE. 207 

Tal terribile in vista ella s'avanza; 055 

E, giunta al mezzo dello speco, in atto 

Di maestà, di cruccio e dipreghiera, 

Fa dal labbro volar questeparole: 

Fiumi, a cui delle volsche acque l'impero 

Dio degli uomini il padre e degli dei, eco 

E voi le correggete e a vostro senno 

Le mandate a nudrir Tonda tirrena; 

Una vii mia nemica, una spregiata 

Di boschi abitatrice, il cor mi tolse 

Del mio consorte; e non è tutto. A lei, 663 

A costei l'immortal vita è concessa, 

Privilegio avvilito, e dea l'adora 

La bagnata da voi terra pontina. 

Vendicate l'offesa; e, s'io dall'etra 

Vi dispenso le pioggie, ite, abbattete, ero 

Distruggete, spegnete. Altari e templi 

E città rovesciate: io le vi dono, 

E saran vostro regno: orma non resti 

Dell'abborrito culto, e raddolcisca 

La mia giust'ira di Feronia il pianto. 073 

Disse: e per tutti a lei tosto l'Ufente 

Diserto e chiaro parlator rispose: 

— A te l'esaminar conviensi, diva, 

Il tuo desire, e l'adempirlo a noi. 

Delle piove e de' nembi genitrice 680 

Tu ne riempi l'urne, tu ne fai 

Giove propizio e ne concedi a mensa 

Su l'Olimpo seder con gli altri eterni. 

Ciò detto, frettolosi e furiosi 

Si dileguar per la caverna i fiumi, 6S5 

Chi qua, chi là ciascuno alla sua sede; 

E partendo ne fèr tale un tumulto, 

Tale un fracasso, che tremonne il monte. 

N'udirono il fragor le pometine 

Valli da lungi, e ne mandar muggiti 690 

665. A lei, a costei: Questa ripetizione del pronome esprime eia conci- 
tazione dell'animo di Giunone e il disprezzo che sentiva per la rivale. 

667. Privilegio avvilito : Privilegio questo dell'immortalità reso di nessun 
valore, perché ormai concesso da Giove a tante indegne mortali. 

671. Distruggete, ecc. : Anche Giunone in Virgilio, Aen., 1, 69, dice ad 
Eolo : « Incute vim ventis submersasque obrue puppes, Aut age diversos et 
dissice corpora ponto. » 

677. Diserto: Elegante (lat.). 

679. E l'adempirlo a noi: Cosi risponde Eolo a Giunone in Virgilio, Aen. 1 
76 : « Tuus, o regina, quid optes Esplorare labor ; mihi iussa capessere fas 
est. Tu mini quodeumque hoc regni, tu sceptra Iovemque Concilias, tu das 
epulis accumbere divum ». 



208 t»ATlTfE III. 

Di mina presaghe; e palpitanti 
Strinser le madri i pargoletti al seno. 
Mentre corrono quelli il rio precetto 
A compir della diva, e ai duri sassi 
Aguzzano per via le corna e Tira; «5 

Levossi Giuno in aria, e spiegò il manto 
In cui ravvolge le tempeste e i nembi* 
E subito gonfiar le bocche i venti 
E le nubi aggruppar, che cielo e luce 
Ai mortali rapirò, e si fé* notte, 700 

Orrenda notte dal guizzar de' lampi 
Rotta al fero de' tuoni fragor cupo. 
Carco d'atre caligini la fronte 
Vola Tumido Noto, ed, afferrate 
Con le gran palme le pendenti nubi, 705 

Le squarcia risonante; e tenebrosa 
Sgorga la piova; il rotto aere ne rugge; 
E il suol ne geme e le battute selve. 
Scende un mar dalle rupi. Allora i fiumi 
Versano l'urne abbeverate e colme ; 710 

E quattro di maggior superbia e lena 
Da quattro parti sul soggetto piano, 
Svelte, atterrate le tremanti ripe, 
Con furor si devolvono. Spumosa 
E fragorosa la terribil piena 715 

Le capanne divora, e i pingui cólti, 
E gli armenti e i pastori. E già le mura 
Delle cittadi assalta e le percote, 
Di cadaveri ingombra e della fatta 
Strage ne' campi : già delle bastite tso 

Crollano i fianchi; già sfasciati piombano 

602. Strinser, ecc.: V. la n. 93 a p. 108. 

690. Che oielo e lnoe, ecc.: Virgilio, Aen. t i, 88: « eripiunt subito nubes 
caelumque diemque ». 

701. Guizzar de' lampi, ecc. : Virgilio, 1. e. : « Nox incubat atra: Intorniare 
poli et crebris micat ìgnibus aether ». 

702. Bel verso onomaiopeico. 

704. Vola, ecc.: Ovidio, Met., i, 264: « madidis Notus evolat alis . . . Ut- 
que marni late pendentia nublla pressit, Fit fragor, hinc densi funduntur 
ab ai there nimbi ». Anche Virgilio, Georg., i, 462 chiama l'Austro « hu- 
midus ». 

710. L'urne : Si ricordi che i Fiumi sono rappresentati con grandi urne 
in mano. 

717. E gli armenti, ecc. : Ovidio, 1. e. : « Cumque satis arbusta simul pe- 
cudesque virosque Tectaque cumque suis rapiunt penetralia sacris ». « Come 
i più leggiadri, cosi egli sa dipingere i più terribili aspetti del mondo esterno 
e il sublime orrore delle tempeste . . . Com'è magnifica quell'immensa marea 
di tutti i fiumi latini ! » (Zumbini, p. 213). 

720. Bastite : Steccati rinforzati da terra per far argine alle acque. 

721. Già sfasoiati, ecc. : Virgilio, Aen., i, 122 : < laxis laterum compagf- 
bus omne8 (naves) accipiunt inimicum imbrem, rimisque fatiscunt », versi 
imitati anche dall'ARiosTO, Ori. Fur^ xli, 14. 



LA FERONIADE. 209 

E dan la porta all'inimico flutto. 

S'alza allora un compianto, un ululato 

Di vergini, di vegli e di fanciulli : 

Corrono ai templi; ed invocar Feronia 725 

E Feronia gridar odi piangenti 

Le smorte turbe; e non le udia la diva, 

Che maggior' diva il vieta. Essa, la Aera 

Moglie di Giove, di sua man riversa 

Dell'esule nemica i simulacri, 730 

Ne sovverte gli altari; e la soccorre 

Ministra al suo furor Tonda crudele, 

Che tutte attorno le cittadi inghiotte. 

Tre ne leva sul corno infuriando 

Il veloce Ninfeo, che lutulenti 735 

Spinse quel di la prima volta i flutti, 

L'umil Trapunzio e Longula e Polusca: 

Tre la ferocia del possente Astura, 

L'opima Mucamite, e l'alta Ulubra, 

E la vetusta Satrico a cui nulla 740 

Il nume valse della dia Matuta. 

E per te cadde, strepitoso Ufente, 

Pomezia, la più ricca e la più bella. 

Pianse il giogo circèo la sua caduta, 

E la pianser le ninfe a cui commessa 745 

De' suoi vaghi giardini era la cura. 

Il tremendo Amaseno avea frattanto 
Sotto i vortici suoi sepolti intorno 
I barbarici campi, e fatto un lago 
Della misera Ausonia, e l'alte mura 750 

D'Aurunca percotea, la più guerriera 

784. Di vergini, ecc. : Virgilio, Aen., xn, 131 : « effusae matres et volgus 
inermum, Invalidique senes ... ». 

728. Maggior diva : Giunone. 

731. I simulacri : Le statue nel tempio sacro a Feronia. — Lutulenti : Fan- 
gosi (lat.). 

797. Trapanalo , Longula e Polusoa : Trapunzio era sulla via Appìa , Lon- 
gula fra il monte Circeo e Sezze, Polusca presso Longula. 

739. Mucamite e l'alta Ulubra : Mucamite. detta opima per la fertilità dei 
suoi dintorni, era fra Anzio e Longula, e ulubra, detta alta per la sua al- 
titudine, tra velletri e Pomezia. 

740. Satrioo : Antichissima città fra Anzio e Velletri. V era un tempio 
dedicato alla dea Matuta (Aurora). 

743. Pomezia : V. la n. 36 a p. 186. 

749. I barbarici campi : « Cosi chiamavasi una vasta pianura intorno a 
Regeta, luogo vicino airufente, celebre per la sconfitta che vi ebbero i Galli 
dai Romani sotto il console Furio Camillo ... I Goti nell'anno 536 dopo G. 
C, diedero anch'essi fama a questi campi per relezione che vi fecero di 
Vitìge loro re » (Mg.). 

750. Ansona : Citta vicina al monte Circeo, che si diceva fondata da Ausono, 
figlio di Ulisse. 

751. Aurnnoa : Città fra l'Ufente e il monte Circeo. Gk antichi identiflca- 

Monti. — Poesie. 14 



210 PARTE III. 

Delle volsche cittadi e la più antica. 
Oltre gli anni di Lardano e Pelasgo 
La sua fama ascendeva, e degli Aurunci 
Venerevoli padri alto suonava 755 

E glorioso tira le genti il grido. 
L'avea quel fìer divelta e conquassata 
Dai fondamenti. Alle vicine rupi 
Traggonsi in salvo gli abitanti; e il fiume 
Li persegue mugghiando, e ne raggiunge 760 

Altri al tallone e li travolge, ed altri, 
Ohe più pronti afferrar già la montagna, 
Con l'immenso suo spruzzo li flagella 
E di paura li fa bianchi in viso. 
Ben mille ne contorse entro i suoi gorghi 765 

Quell'orribile dio ; ma di due soli, 
Timbro e Larina, il miserando fato 
Non tacerò, se a tanto il cor resiste 
E pietoso il pensier non mi rifugge. 
Amavansi così quegl'in felici, no 

Ch'altro mai tale non fu visto amore: 
E d'Imeneo già pronte eran le tede, 
E consentian gioiosi al casto affetto 
. I genitori. Ahi brevi e false in terra 
Le speranze e le gioie ! In riva al mare 775 

Cui d'Anzio regge la Fortuna, avea 
Pochi dì prima all'afrodisia madre 
Porti suoi voti il giovinetto amante 
E abbracciato l'aitar. Letta nel fato 
Del misero la sorte avea la diva; 7S0 

E della diva il santo simulacro 
Tremò, e sudante (maraviglia a dirsi !) 
Torse altrove il bel capo, e non sostenne 
Tanta pietà. Ma ben di G-iuno il crudo 
Cor la sostenne : e la virtude umana 783 

rono i suoi abitanti cogli antichissimi Ausoni. Cfr. Virgilio, Aen.. vii, 
206 e 727. 

753. Bardano e Pelasgo : Dardano nacque di Giove e d'Elettra in Cortona 
nell'Etruria^ e di là venne a Samo e poi nella Frigia, ove fondò Troia : 
Pelasgo fu il capo dei Pelasgi, antichissimi abitatori della Grecia. 

767. Timbro e Larina: Come fece Virgilio al termine del lib.' iv delle 
Georg., anche il nostro chiude questo canto con un pietoso episodio, quello 
di Timbro e Larina. 

768. Se a tanto, ecc. : Virgilio, Aen. , 11 , 12 : « Quamquam animus me- 
minisse horret, luctuque refugit ». 

776. Cui d'Anzio, ecc. : In Anzio era un famoso tempio della Fortuna, che, 
come dice Orazio, Od., I, xxxv, 1, proteggeva la città : « Piva, gratum 
auae regia Antium ». V'era anche un altro tempio dedicato a Venere Afro- 
dite e dal culto di questa dea la città stessa fu detta Afrodisia. 

782. Tremò, ecc. : V. la n. al v. 379 del C. IV della Bassvill. 



LA FER0N1ADE. 211 

Abbandonata si velò la fronte. 

Nella comun sventura erasi Timbro, 

Dopo molti in cercar la sua fedele 

Scórsi perigli, l'ultimo su l'erta 

Spinto in sicuro, e fra i dolenti amici 790 

Di Larina inchiedea : Larina intorno, 

Larina iva chiamando, e forsennato 

Con le man tese e co 1 stillanti crini 

Per la balza scorrea; quando spumosa 

L'onda, che n'ebbe una pietà crudele, 703 

La morta salma gliene spinse al piede. 

Ahi vista ! ahi, Timbro, che facesti allora ? 

La raccolse quel misero ed in braccio 

La si recò; né pianse ei già, che tanto 

Non permise il dolor; ma freddo e muto 800 

Pendè gran pezza sul funesto incarco, 

Poi mise un grido doloroso e disse: 

Così mi torni ? e son questi gli amplessi 

Che mi dovevi? e questi i baci? e ch'io, 

Ch'io sopravviva ?.. E non seguì : ma stette 805 

Sovr'essa immoto con le luci alquanto; 

Poi sull'estinta abbandonossi, e i volti 

E le labbra confuse; e così stretto 

Si versò disperato entro dell'onda, 

Che li ravvolse e sovra lor si chiuse. 810 

CANTO SECONDO. 

Contenuto. — Ma non ancora è compiuta la vendetta di Giunone né 
sazia la sua ira. Essa va alla fucina di Vulcano che trova intento a fabbri- 
care un piedistallo di bronzo e d'oro a Diana Nemorensc, sul quale fra altre 
meravigliose figure aveva raffigurato i casi di Luigi Costanza Braschi. 
Giunone lo prega a compiere la distruzione di quella infelice regione con 
terremoti e incendi. Vulcano acconsente, lieto di far cosa ingrata a Giove 
che un tempo l'aveva gettato giù dall'Olimpo: va nella valle pontina, dà 
fuoco alle materie infiammabili che s'ascondono nelle viscere della terra e 
un orribile terremoto abbatte le volsche città, tranne Ansuro che Giove 
protegge. Nella spaventosa rovina incontra la morte anche il vecchio e giu- 
sto Alcone, sepolto sotto le rovine della sua casa insieme con la sua fami- 
glinola. 



Già* tutto di Feronia era il bel regno 
In orrenda converso atra palude 
Che pelago parea; se non che rara 

795. Una pietà crudele : Pietà del dolore di Timbro, ma pietà crudele 
perchè spinse ai suoi piedi il cadavere di Larina. 

803. E son questi, ecc.: Tasso, Qer. Lib., 11, 30: « Questo dunque é que 
laccio ond'io sperai Teco accoppiarmi in compagnia di vita 1 ». 

810. B sovra lor, ecc. : Reminiscenza dantesca, Inf., xxvi, lii : « Inftn che 
'1 mar fu sopra noi richiuso ». 



10 



212 parte in. 

Dell'ardue torri e dell'aeree querce 

Non vinte ancor l'interrompea la cima. 

E già su le placate onde leggieri 

Spiravano i iavonii, e in curvi solchi 

Arandole frangean sovra le molli 

Crespe dell'acque la saltante luce: 

Quando di Circe la scoscesa balza 

L'aspra Giuno salì. L'occhio rivolse 

Alla vasta laguna, e, tutta intorno 

La misurando con superbo sguardo, 

Sorrise acerba su la sua vendetta. 15 

Ma, vista su la rupe in lontananza 

Dall'incremento delie spume ultrici 

Pur anco intatta alzar la fronte alcuna 

Delle volsche città, che ree del culto 

Deil'abborrita sua rivai si fero, 

Ed illeso agitar l'argute frondi so 

Non lungi il bosco di Feronia, il bosco 

Che prestò l'ombra ai mal concessi amori ; 

Risorger si sentì Tire nel petto 

Già moribonde: e poi che v'ebbe alquanto 

Fisso il torbido sguardo, in cor sì disse: 23 

Io desister dall'opra, e del mio scorno 

Patir che resti un monumento ancora ? 

Già non fui sì pietosa inverso Egina 

E la stirpe di Cadmo abbominata: 

Che per quella mandai carca di Aera 30 

Pèste la morte su l'enopia terra, 

E sostenni per questa entro le case 

Scendere io stessa dell'eterno pianto, 

E di là contra d'Atamante e d'Ino 

4. Ardue torri : Non torri, nel senso stretto della parola, ma alti edifizi 
in generale, nel senso in cui usa questa parola Ovidio, Met.> 1, 290 : » pres- 
saeque latent sub gurgite turres ». 

7. Pavonii : Leggieri venti di primavera. 

9. La saltante luce : Nota quanta verità d' osservazione ci sia in questi 
versi. AH* incresparsi leggiero delle acque mosse dai Favoni! oscilla sopra 
quelle la luce del sole. 

17. Inoremento : Accrescimento (lat.). 

18. Che ree, ecc.: Che avevano la colpa d'avere adorato Feronia. 
20. Argute: V. la n. 87 a p. 101. 

26. Io desister, ecc. : Virgilio, Aen. t 1, 87 : « Mene incepto desistere 
victam 1 ». 

28. Egina : cosi si chiamò risola di Enopia dal nome di Egina che da 
Giove aveva avuto Eaco. Giunone gelosa devastò queirisola sfortunata. 

29. E la stirpe, ecc. : Europa, sorella di Cadmo. V. la n. 4 a p. 71. 
32. Le case: ecc. : Il Tartaro. 

31. D'Atamante e d'Ino : Giunone volle punire Ino , moglie d'Atamante, 
della sua superbia, facendole impazzire il marito. Costui le uccise il figlio 
Learco ed essa si gettò in mare colTaltro figlio, Melicerta. 



LA FERONIADE. 213 

Tisifone invocar. Quei due superbi 35 

Co' sonori serpenti ella percosse, 

E allor nel figlio dispietate e crude 

Fur le mani paterne, e de' suoi vanti 

Ino furente mi scontò l'offesa. 

E pur avola a Bacco era colei 40 

E a Venere nipote; e non m'avea, 

Come questa malnata itala druda, 

Tolti i miei dritti, e dei maggior de' numi 

Aspirato alle nozze. Oh mia vergogna! 

Potè Gradivo la feroce schiatta 45 

Sterminar de' Lapiti : aver da Giove 

Potò Diana al suo disdegno in preda 

I Calidonii : e meritò poi tanto 

Be' Calidòn la colpa e de' Lapiti? 

Ed io, progenie di Saturno ed alta • 50 

De' celesti reina, a mezzo corso 

Ratterrò gli odi e l'ire, e dovrò tutte 

Non consumarle ? Oh mei contrasta il fato 1 

E una fama pur or s'è sparsa in cielo, 

Che al volgere de' lustri il senno e l'opra 55 

D'italici potenti al mio furore 

E all'impero dell'onde questi campi 

Ritoglierà. Ritolgali : men giusta 

men dolce uscirà forse per questo 

La mia vendetta? Se cangiar non lice 00 

Delle Parche il decreto, e chi ne vieta 

L'indugiarlo e tentar nuove ruine? 

35. Tisifone : Una delle tre Furie. 

40. E por avola a Bacco : Ino era avola di Bacco, perché sorella di Se- 
mele, madre di lui ; era nipote di Venere, perché la madre sua Ermione era 
figlia di quella dea. Di tale parentela andava superba Ino e la sua superbia 
punì irata Giunone. 

45. Potè Gradivo, ecc. : Traduce i sgg. vv. di Virgilio, Aeri., vii, 304: « Mars 
perdere gentem Immanem Lapitum valuit ; concessit in iras Ipse deum anti- 

3uam genitor Calydona Dianae; Quod scelus aut Lapithas tantum, aut Caly- 
ona merentem % ». Marte, solo tra gli dei dimenticato da Piritoo, re dei La- 
piti, nelTinvito al banchetto per le sue nozze con Ippodamia, si vendicò su- 
scitando tra i Lapiti e i Centauri presenti alla festa una fiera rissa. Eneo, re 
dei Calidonii, abitanti di Calidona, città dell'Etolia, sacrificava a tutti gli 
dei, meno che a Diana, la quale mandò un terribile cinghiale a devastarne 
il territorio. M 

50. Ed io, ecc. : Virgilio, Aen. , i, 46 : « Ast ego , quae divom incedo 
regina, Iovisque Et soror et coniux ... ». 

53. Oh mei contrasta, ecc. : Virgilio, Aen. f i, 39 : « Quippe vetor fatis ! ». 

55. Al volgere, ecc. : Virgilio, Aen„ i, 283 : « lustris labentibus ». 

58. Ritoglierà : Allude a' tentativi di prosciugare le paludi pontine fatti 
da consoli, imperatori, papi e fino da re barbari e soprattutto airopera di 
Pio VI, sulla quale v. YJntroduzione al presente poemetto. 

61. Delle Par ohe, ecc. : Le Parche erano ministre del Fato di cui immuta- 
bili erano i decreti, come dice Ovidio, Met., v, 532: « Nam sic Parcarum 
foedere cantum est «. 



214 PARTE III. 

Del tuo delitto dolorose e care 

Le pene pagherai, ninfa superba: 

Anche il Lazio s'avrà la sua Latona. & 

Non selva lascerò, non antro alcuno 

Che ti riceva ; scuoterò le rupi ; 

Crollerò le città dal tuo vii nume 

Contaminate, e ne farò di tutte 

Cenere e polve che disperda il vento. :o 

Nel turbato pensier seco volgendo 

Queste cose la dea, giunse d'un volo 

Nell'eolie spelonche, orrendo albergo 

Degli adusti Ciclopi di Vulcano. 

Stava questo dell'arti arbitro sommo 70 

Intento a fabbricar per la pudica 
Nemorense Diana un d'oro e bronzo 
Gran piedestallo, su cui l'alma effige 
Collocar della diva. E sulle quattro 
Fronti v'avea l'artefice divino so 

D'ammirando lavoro impresse e sculte 
Di quell'almo paese avventurato 
Le trascorse memorie e le future. 
Era a vedersi da una parte il lago 
Tutto d'argento. Tremolar diresti S5 

L'onde e rotte spumar dai bianchi petti 
Delle caste Amnisidi, a cui venute 
Già son men care le gargafle fonti 
E d'Eurota le sponde. In su la riva 
Della sacra laguna abbandonati 00 

Giaccion gli archi e le freccie, onde famosi 
Suonar di caccia fragorosa un giorno « 

Del Tai'geto e d'Eri manto i boschi, 

65. La sua Latona : Anche il Lazio avrà in te, o Feronia, una dea perse- 
guitata da me, come già fu Latona.' 

71. Nel turbato pensier, ecc. : Virgilio, Aen., 1, 30: «Talia fiammato se- 
cum dea corde volutans, Aeoliam venit ». 

73. Nell'eolie spelonche : « Discordano ì poeti neirassegnare a Vulcano la 
sua fucina : perocché altri la pongono nelle isole denominate Eolie : altri 

sotto l'Etna, altri in Lenno, altri neirEubea. Omero la pone in cielo 

Io mi sono attenuto a Virgilio (En. vili, 416 e sgg.) » (Mt.). . 

74. Adusti: Abbrustoliti (lat.). 

77. Nemorense Diana : Il territorio nemorense fu dagli antichi chiamato, 
quasi per eccellenza, nemus Dianae ed ebbe questo nome dalle selve (ne- 
mora) che erano alle falde del monte Albano presso ad Aricia. 

79. Della Diva : Di Diana. ' 

87. Amnisidi : Erano venti ninfe ministre di Diana nella caccia. Secondo 
Apollonio Rodio (Arp., in, 887 e 822) presero il nome dal fiume Amnisio 
in cui di solito si bagnava Diana. 

88. Gargafie fonti : Gargaflaera un fiume nel territorio di Platea nella Beozia. 

89. Eurota : Il celebre fiume della Laconia su cui era Sparta. 

93. Del Talgeto e d'Eri manto : Omero, Odisa. y vi, 102, dice che Diana so- 
leva cacciare pei boschi del Taigeto (catena di monti fra la Messenia e la 
Laconia) e l'Erimanto (catena di monti nell'Arcadia). 



LA PBRONIADK. 215 

Ed or la nemorense ne rimbomba, 

E la selva arìcina. Indi non lunge 95 

Stassi il carro lunato ; e per la rupe 

Sciolte dal giogo le parrasie cerve 

Erran pascendo il tenero trifoglio, 

Gradita erbetta, che gradir suol anco 

Ai destrieri di Giove ed alle caste 100 

Di Minerva cavalle polverose. 

Alto a rimpetto fra pudichi allori 
Di Trivia il tempio signoreggia ; ed essa 
La placabile diva in su la soglia 
Del grande Atride ad incontrar vien oltre 105 

I pellegrini fl gli, Ifigenia 
Sacerdotessa ed il fratello Oreste, 
Pietoso Oreste e scellerato insieme; 
Che per molti del mare, e della terra 

Duri perigli salvo le recavano no 

II fatai simulacro insanguinato 
Dalle tauriche sponde alle tirrene. 

In altro lato avea l'ignipotente 
Sculti i novelli sacrifici e l'are 
Di Diana cruente, e i lagrimosi 115 

Riti latini, e un contro l'altro armati 
Di barbaro coltello i sacerdoti. 

Mirasi altrove il miserando caso 

94. Ed or, ecc. : Allude alla viva passione per la caccia che aveva il prin- 
cipe Braschi per cui riempiva quei luoghi del rumore delle sue caccie. 

97. Le parrasie oerve : V. la n. 458 a p. 201. 

08. Erran pascendo, ecc. : Nell'Inno a Diana di Callimaco, 462, le ninfe 
Amnisidi sciolgono dal carro di Diana le cerve e danno loro a mangiare il 
trifoglio, erba, aggiunge il poeta, di cui si pascono anche i cavalli di 
Giove, 

101. DI Minerva, ecc. : Minerva andava in battaglia sopra un carro tirato 
da cavalle. V. nel Prometeo, i,701. Anch'esse mangiavano il trifoglio. 

103, Trivia : Luna o Diana in cielo. 

104. Placabile : II culto di Diana Aricina non era cosi feroce come quello 
di Diana Taurica (in Tauri, sul mar Nero), a cui s'immolavano vittime 
umane e perciò Virgilio, Aen., vii, 764 chiama il suo altare : « placabilis 
ara Dianae ». 

106. Del grande Atride: D'Agamennone, figlio di Atreo, i cui figli, Ifigenia 
ed Oreste, venuti dalla Tauricfe nel Lazio si dice che colà portassero il si- 
mulacro di Diana (v. Ili), chiuso in un fascio di legna. 

106. Pietoso Oreste, ecc.: Accenna al giudizio che l'Areopago di Atene dovè 
fare del matricidio di Oreste. Ovidio, Trista IV, iv, 69: « Dubium piusan 
sceleratus Orestes ». Si può dir pietoso (nel senso del pius latino, osservante 
della religione, perche vuol punito un delitto) per avere vendicata l'ucci- 
sione del padre commessa da Egisto per istigazione di Clitennestra, e scel- 
lerato per il delitto d'aver uccisa la madre. 

113. L'ignipotente : Vulcano : cosi lo chiama Virgilio , Aen., vii, 414 
e 423. 

114. E l'are, ecc. : « Allorquando uno schiavo fuggito dal suo padrone 
giungeva in que* luoghi, veniva messo a duello col capo de' sacerdoti, e se 
riusciva vincitore cofl'ncciderlo, occupava egli quel posto, finché per eguale 
maniera non gli veniva tolto da un altro » (Mg.). 



216 par-tb hi. 

Del flgliuol di Teseo. Gonfiata ed aspra 

Spandeasi d'oro con argentee spume no 

La corinzia marina, a cui dal mezzo 

Uscia sbuffando una cerulea foca. 

E per orride balze ecco fuggire 

Gli atterriti cavalli; ecco sul lido 

Rovesciato dal carro e lacerato 125 

L'innocente garzon. D'intorno al casto 

Esangue corpo si batteano il petto 

Di Trezene le vergini; e, chiamando 

Crudel Ciprigna e più crudel Nettuno, 

Più ch'altre in pianto si struggea Diana. 130 

Al pregar dell'afflitta indi seguia 
D'Esculapio il prodigio e l'ardimento; 
Che, violato delle Parche il dritto, 
Col poter della muta arte paterna 
Torna il pudico giovinetto in vita : 135 

Cui, redivivo e in densa nube avvolto, 
Con mutati sembianti all'aricine 
Selve poi reca la deliaca diva, 
E palpitando alla segreta cura 
Il commette d'Egeria, inclita ninfa 110 

Delle leggi romane inspiratrice. 

S'apria di nero cianèo scolpita 
Nel fianco della rupe una spelonca 
Sacra di Pindo alle fanciulle e cara 
Più che l'antro cirrèo. Le serpe intorno 145 

119. Del f Jglluol di Teseo : D'Ippolito, su cui v. la n. al v. 615 del e. I. di 
questo poemetto. 

122. Una cerulea looa : « Euripide e dietro a lai Ovidio fanno spaventare 
i cavalli d'Ippolito da un foro. Il nostro poeta a questo animale terrestre ha 
sostituito una foca » (Mg.). 

128. DI Trezene, ecc. : 11 p. ha tolto tale idea dagli ultimi versi deW Ippo- 
lito di Euripide, ove si dice che a compensarlo de* suoi patimenti, le gio- 
vinette di Trezene, quando andassero a nozze, gli avrebbero dedicato le loro 
chiome recise e pietosi canti. 

129. Crudel Ciprigna, ecc. : Chiama crudele Venere, perché aveva fatto si 
che Fedra s'innamorasse d'Ippolito, e più crudel Nettuno > perché aveva 
spaventato i cavalli di lui colla foca. 

132. Esculapio : Figlio d'Apollo e dio della medicina (reperto? medicina* 
lo dice Viro., Aen., vii, 772). 

133. DeUe Parohe il dritto : Le leggi della morte che le Parche erano ar- 
bitro della vita e della morte degli uomini. 

134. Muta: Che non ha bisogno di canti magici, ma opera in silenzio. 

138. Deliaca diva : Diana, detta deliaca dall'isola di Dclo, ove era adorata. 

139. Alla segreta oura, ecc.: Virgilio,], c, 774: « AtTrivia Hippo ytum 
secretis alma recondit Sedi bus ». 

141. Delle leggi, ecc.: Secondo la tradizione. Egeria nell'antro sacro a lei 
e alle Muse ispiro le leggi di Roma, soprattutto quelle spettanti alla reli- 
gione, a Numa Pompilio, 11 secondo re di Roma (714-672 av. C). 

142. Nero oianèo: Di lapislazzulo puro. 

144. Di Pindo, ecc.: Alle Muse. 

145. L'antro oirréo : Cirra, città presso il Parnaso, sacra ad Apollo e alle 
Muse. 



LA FERONIADK. 217 

Con tortuoso piede una vivace 

Edera d'oro, ed un ruscello in mezzo 

Di purissimo elettro. Ivi furtivo 

D'Egeria ai santi fortunati amplessi 

(Che di tanto fu degno) il successore IjO 

Di Romolo traeva. Ivi le scese 

Leggi dal cielo ricevea sul labbro 

Della diva consorte; e ai mansueti 

Genii di pace traducea le genti 

Col favor delle Muse e di quel grande 153 

Spirto divin, che del troiano Euforbo 

Pria la spoglia animò, poscia, migrando 

Di corpo in corpo, la famosa salma 

Del samio saggio ad informar pervenne, 

E di Crotone empieo le mute scuole ico 

Del saper dell'Assiria e dell'Egitto. 

Vera una balza dall'opposta fronte, 
Che al bel lago sovrasta, orrendo nido 
Di crude belve un tempo e di colubri, 
Ed or vasta, ridente, aprica scena ìes 

Di lieti ulivi. Tra le verdi file 
De' cecropii arboscelli alteramente 
Minerva procedea; che del novello 
Conquistato terren prendea diletto, 
E con l'alta virtù, che dagli sguardi ito 

E dall'alma presenza esce de' numi, 
Liete facea le piante e delle pingui 
Bacche oleose nereggianti i rami. 
L'accompagnava maestoso e bello 

^ 146. Vivaoe: Sempreverde (lat.). 

148. Elettro: Ambra (dal greco *-fllixTjsov). 

156. Di quel grande, ecc. : Di Pitagora di Samo. Una popolare credenza 
faceva questo filosofo maestro di Numa : benché, come osserva T. Livio (i, 
18), egli sia fiorito più di cento anni dopo, regnando Servio Tullio. Fondò 

3uella setta di filosofi che dicesi Italica : ebbe scuola in Crotone , città 
ella Magna Grecia ; ed insegnava la metempsicosi, cioè la trasmigrazione 
delle anime, confermandola col proprio esempio ; giacché diceva che la sua 
anima era stata prima in Euforbo figlio di Panto ucciso da Menelao {Iliade, 
xvii, 43 e sgg.), poi era passata in Ermotimo, poi in Pirro e finalmente 
in lui. 

160. Mute : Cosi chiama le scuole pitagoriche, perchè i discepoli erano ob- 
bligati per alcuni anni ad un rigoroso silenzio. 

161. Del saper, ecc. : Perché le dottrine pitagoriche avevano tratto pro- 
fitto dalle cognizioni scientifiche degli Assiri e degli Egiziani antichi. 

163. Al bel lago : Al lago di Nemi. 

164. Colubri: Serpenti. 

165. Ed or vasta, ecc. : « Allude il poeta nuovamente al duca suo signore, 
che aNemi, presso il lago omonimo, aveva ridotto in oliveti la maggior 
parte di sue non colte tenute » (Vicchi, i, p. 240). 

167. De* oecropli arboscelli : Degli olivi cosi detti da Cecrope (v. la n. 1 
a p. 1). 

168. Minerva : Questa dea insegnò agli Ateniesi l'agricoltura e soprattutto 
la coltivazione dell'olivo. 



218 PARTB in. 

Alla manca un signor d'alta fortuna, 175 

Che con raro consiglio ed ardimento 

Dell'antico orror suo già spoglia avea 

L'indocile montagna, e le ritrose 

Alpestri glebe all'ostinata cura 

Del pio cultore ad obbedir costrette. iso 

Mentre, all'ombra d'un elee, e all'ozio in seno 

Che il suo signor gli ha fatto, anzi il suo dio, 

Un poeta non vii l'aspre vicende 

Di Feronia cantava e per sentiero 

Non calcato traea l'itale Muse. i& 

All'ultimo con raro magistero 
L'indomito Vulcan v'ayea scolpita 
Una dolente giovinetta madre, 
Che, con ambe le mani al crin facendo 
Dispetto ed onta, su la fredda spoglia 100 

Di tre figli piangea tolti alla poppa. 
Taciturna e dimessa il padre Tebro 
Volgea qui l'onda: su la mesta riva 
Ploravano le ninfe, e al Vaticano 
Una nube di duol copria la fronte. 195 

Lacrime tante alfìn, tanti sospiri 
Facean forza al ciel, finché la santa 
Madre d'Amor a consolar la donna 
Dal terzo cerchio le piovea nel grembo 
De' fecondi suoi raggi il quarto frutto. 200 

Siccome vaga tremula farfalla 
Scendea quell'alma, e nel materno seno 
L'avventurosa si venia vestendo 
Di sì lucido vel, ch'altro non fece 
Mai più bell'ombra a più leggiadro spirto. 8C5 

Al felice nata! presenti avea 
Sculte il fabbro le Grazie, inclite dive 
Senza il cui nume nulla cosa è bella. 

175. Un signor, ecc. : Il duca Bruschi. 

178. Ritrose : Refrattarie alla coltivazione : si migliati te significato ha in- 
docile. 

182. Che il suo signor, ecc. : Ricorda U virgiliano (Ecl., i, 6) : « Deus no 
bis haec olia fecit ». 

183. Un poeta, ecc. : Il p. allude a sé stesso. 

185. Non oalzato : Per un argomento non trattato da altri poeti. 
188. Una dolente, ecc. : Costanza Falconièri allora sposa al Braschi. 
191. Di tre figli: Le erano morti tre figli appena nati. 
191. E al Vatioano, ecc. : Della morte dei tre figli di donna Costanza fu 
dolentissimo Pio vi, zio del duca Braschi. 

197. Jaoean forza, ecc.: Petrarca. P. I, canz. xi, 38: « E faccia forza 
al cielo, Asciugandosi gli occhi col bel velo ». 

198. Madre d'Amor, ecc. : Venere che dal suo terzo cielo le dà il quarto 
frutto, il quarto figlio, nella seconda metà del 1784. 

206. Senza U oni nome, ecc. : In modo simile dice delle Grazie nel v. 8 del 
Serm. sulla Afit. 



LA FBRCWIADE. 219* 

Vera Lucina, a cui fùr date in cura 

Della vita le porte; eravi Giuno «io 

De 1 talami custode; e di Latona 

L'alma figlia pur v'era, a cui dolenti 

S'odon nei parto sospirar le spose; 

E in disparte frattanto un aureo stame 

Al fatai fuso ravvoigean le Parche. 215 

Belle rugose antiche dee son tutte 

Di pallid'oro le tremende facce, 

E d'argento le chiome e i vestimenti. 

Del narciso d'A verno incoronate 

Van le rigide fronti, e un cotal misto 220 

Mandan di riverenza e di paura, 

Che l'occhio ne stupisce e il cor ne trema. 

Dell'industre Vulcan l'opra tal era, 
Mirabile, immortale. Affumicato 
E in gran faccenda l'indefesso iddio ?:s 

Di qua di là scorrea per la fucina, 
Visitando i lavori e rampognando 
I neghittosi : con le larghe pale 
Altri il carbon nelle fornaci infonde 
Scintillanti e ruggenti: altri con rozze 230 

Cantilene, molcendo la fatica, 
Dà il flato e il toglie ai mantici ventosi, 
Che trenta ve n'avea di ventre enormi : 
Qual su i'incude le roventi masse 
Del metallo castiga, e qual le tuffa 235 

Nella fredda onda, che gorgoglia e stride. 
Rimbomba la caverna ; e dalle fronti 
Di quei Aeri garzoni in larga riga 
Va il sudor per le gote e le mascelle 
Sui gran petti pelosi. In questo mezzo 210 

S'appr esentò la veneranda Giuno 
Nella negra spelonca, e parve il fulgido 
Volto del sole che fra dense nubi 

209. Lucina: Questa dea, che ci richiama appunto l'idea della luce, favo- 
riva i parti come ostetrici: e proteggeva i nati. Si noti però che l'epiteto di 
Lucina é pur dato a Giunone, e Catullo nel carme XXXIV, 13, fa tutt'una 
di Diana e di Giunone Lucina. 

211. Di Latona, ecc.: Diana. 

219. Del naretso : « Le Parche si fanno incoronate di narciso, perché que- 
sto flore sparge un odore narcotico che intorpidisce i nervi e però é dedi- 
cato alla Morte di cui é fratello il Sonno » (Mg.). 

236. Che gorgoglia, ecc. : Questa descrizione della fucina di Vulcano è 
ispirata a Virgilio, Aen., vili, 449 (v. anche nelle Georg., rv, 170): 
« Alii ventosis follibus auras Accipiunt redduntque : alii stridentia tingunt 
Aera lacu ». 

237. Rimbomba, ecc.: Virgilio, 1. e, 451: « Gemit impositis incudibus 
antrum ». 



220 PARTE III. 

Improvviso si mostra. E Bronte, il primo 

Che la vide venir, die segno agli altri 213 

Di sostarsi e cessar per lo rispetto 

Della moglie di Giove. Udì Vulcano 

Della madre l'arrivo, e frettoloso, 

Fra tanaglie e martelli e sgominate 

Di metalli cataste zoppicando, 250 

Le corse incontro ; e, presala per mano, 

Di fuliggine tutta le ne tinse 

La bianca neve. Prestamente quindi 

Le trasse innanzi un elegante seggio 

Che d'oro avea le sponde e lo sgabello 255 

Di liscio cassitòro; ove la diva 

Posò l'eburnee piante, e così stando 

Di sua venuta le cagioni espose. 

E primamente lamentossi a lungo 

Dell'adultero Giove ; alle cui voglie 200 

Poco essendo la Grecia, ancor ripiena 

De' suoi muggiti e dei suoi nembi d'oro, 

E per tante or di cigno or di serpente 

E di zampe caprigne ed altri vili 

Frodi d'amor contaminata e guasta, 205 

Or ne venia d'Italia anco le belle 

Spiaggie a bruttar de' suoi lascivi ardori, 

Della moglie dimentico e del cielo. 

E qui fé' conta del fanciullo imberbe 

La mentita sembianza e i conceduti 270 

Di Feronia complessi, e come assunta 

Al concilio de' numi era la druda; 

E seguì, che per questo ella d'Olimpo 

Lasciato avea le mense e le cortine 

De' talami celesti, e che desio 275 

Sol di vendetta la traea de' Volsci 

Vagabonda sul lido, ove già rotti 

I primi sdegni avea con alta mole 

D'acque coprendo le pomezie valli 




un metallo più prezioso di quello che sia realmente. 

265. Prodi d'amor : Tutte queste amorose frodi, a cui ricorse Giove, sono 
narrate da Ovidio nel vi delle Met. f 103, effigiate nella tela di Aracne. Cfr. 
anche la Musog., 118 e sgg. Si sa che Giove si mutò in toro per l'amore di 
Europa, in pioggia d'oro per Danae, in cigno per Leda, in serpente per 
Proserpina e in satiro per Antiope. 



LA FfiRONIADE. 221 

E le cittadi alla rivai devote; ego 

Ma non tutte però, che salva alcuna 

JN'avean dall'onde le montagne intorno -, 

Quindi ben paga non andar, se tutto 

Non abbatte, non guasta, non diserta 

L'abborrito paese. Or prendi, o figlio, «5 

Dell'eterno tuo fuoco una favilla; 

Sveglia i tremoti che oziosi e pigri 

Dormon nel fianco di quei monti ; orrendo 

Apri un lago di fiamme, ardi le rupi, 

Struggi i campi e le selve: e più non chieggo, wo 

Intento della madre alle parole 
Stava Vulcano, ad una lunga mazza 
Il cubito appoggiato ; e, poi che Giuno 
Al ragionar die fine, in questi accenti 
Sulle piante mal fermo egli rispose: 205 

Ben io t'escuso, madre, se di tanta 
Ira t'accendi; che d'amor tradito 
Somma è la rabbia; ed io mei so per prova, 
Io misero e deforme, e ancor più stolto 
Che bramai d'una diva esser marito 300 

Bella, è ver, ma impudica e senza fede. 
Pur ti conforta, che per te son io 
A tutto far disposto. Io sotto i muri 
Lagrimosi di Troia a tua preghiera . 
Già col Xanto pugnai, quando spumoso 305 

Co' vortici ei respinse il divo Achille, 
Che di sangue troian gonfio lo fea; 
E i salci gli avvampai, gli olmi, i ciperi 
E l'alghe e le mirici in larga copia 
Cresciute intorno alla sua verde ripa. 310 

Or pensa se vorrò non adempire, 
Di Giove in onta, il tuo desir; di Giove 
Mio nemico del par che tuo tiranno. 
Ti rammenta quel dì che, fra voi surta 

291. Intento, ecc. : « Vulcano é rappresentato in atto quasi conforme ad 
Apollonio Rodio (Arg., iv, 956), allorché sta osservando il passaggio dei 
Mmii fra le rupi cianée. Questo a mirar dello spianato sasso In su la vetta 
il re Vulcan medesmo Stava in pie ritto, la pesante spalla Sovra il manu- 
brio del martel poggiando » (Mg.). 

300. D'una diva : Di Venere, che cedette all'amore del dio Marte, e di ciò 
arse di gelosia Vulcano. V. la descrizione di questi amori e della gelosia di 
Vulcano in Omero, Od. vxn, 266-366. 

307. Gonfio lo fea Ombro, /*., xxi, 342 e sgg., descrive la pugna d'Achille 
col Xanto che, sentendo la sua corrente impedita da molti cadaveri dei 
Troiani uccisi dal Pelide, lo aveva invano pregato di cessar dalla strage. 

306. I ciperi : Specie di giunchi. 

309. Le mirici : Le tamerici. 



£22 PARTE 111. 

Su l'Olimpo contesa, avventurarmi 315 

In tuo soccorso io volli. Egli d'un piede 

M'afferrò furibondo, e fuor del cielo 

Arrandellommi per l'immenso vóto. 

Intero un giorno rovinai col capo 

In giù travolto e con rapide rote 320 

Vertiginose. Semivivo alfine 

In Lenno caddi col cader del sole: 

E chi sa quante in quell'alpestre balza 

Lunghe e dure m'avrei doglie sofferte, 

Se Eurinome, la bella ocèanina, 325 

E l'alma Teti doloroso e rotto 

Non m'accogliean pietose in cavo speco, 

A cui spumante intorno ed infinita 

D'Oceàn la corrente mormorava. 

Ivi per tema del crudel mi vissi 330 

Quasi due lustri sconosciuto e oscuro 

Fabbro d'armille e di fermagli e d'altre 

Opre al mio senno inferiori e vili. 

Or i tuoi torti, madre, io lo prometto, 

E in uno i miei vendicherò: poi venga, 333 

Se il vuol, qua dentro a spaventarmi questo 

Ssduttor di fanciulle onnipossente, 

Ingiusto padre ed infedel marito: 

Vedrem che vaglia del suo carro il tuono 

Senza il fulmine mio, senza l'aita 340 

Del paio martello. In così dir Tirato 

Dio sulla mazza con la man battea: 

Poi gittolla in disparte, e corse ad una 

Delle fornaci. All'infocate brage 

Appressò le tenaglie: una ne trasse 315 

D'inestinguibil tempra, e in cavo rame 

L'imprigionò. Di cotal pòste carchi 

Della spelonca uscir Vulcano e Gì uno, 

Quai fameliche belve che di notte 

322. Dal sole: Omero, IL, i , 7S4, traci. M. : « Il crudo Afferrommi d'un 
piede e mi scagliava Dalle soglie celesti un giorno intero Rovinai per 
l'immenso e riiinito in Lemno caddi col cader del Sole ». 

325. Eurinome : Ninfa che Omero. II., xviii, 545 chiama : « Del rifluente 
Oceano la figlia ». Teti, figlia del cielo e della terra, dea del mare. 

327. In cavo speco : Con identici versi il p. traduce i vv. 403-5 del xvin 
dell'Iliade. 

330. Ivi per tema, ecc. : Omero, 1. e. : « Quasi due lustri in compagnia mi 
vissi, E di molte vi feci opre d'ingegno, Fibbie ed armille tortuose e vezzi 
E bei monili ... ». 

346. E in cavo rame : Tasso, Oer. Lib^ xn, « E lor porge di zolfo e di 
bitume Due palle, e n cavo rame ascosi lumi ». 

349. Guai, ecc. : Virgilio, Aen., n, 355 : « Inde lupi ceu Raptores atra in 
nebula quas improba ventris Exegit caecos rabies », da cui pure imitò il 
Tasso, Ger. Lib., xix, 35. 



LA FERONIADW. 223 

Lasciali la tana, e taciturne e crude 350 

Yan nell'ovile a insanguinar l'artiglio. 

Della squallida grotta in su l'uscita 

Di rugiadose stille allor raccolte 

Dalle rose di Pesto Iri coperse 

La sua reina, e, con ambrosia il divo 355 

Corpo lavando, ne deterse il fumo 

Ed ogni tristo odor. Dagl'immortali 

Capelli della dea quante sul suolo 

Caddero gocce del licor celeste, 

Tante nacquer viole ed asfodilli. 360 

Mosse, ciò fatto, la tremenda coppia 
Circondata di nembi; e come lampo 
Che solca il sen della materna nube 
Con sì rapido voi che la pupilla 
Per quella riga a seguitarlo e tarda, 3C5 

Tal di Giuno e Vulcano è la prestezza. 
Su la vetta calar precipitosi 
Delle rupi setine, onde la faccia 
Scopriasi tutta del sommerso piano. 
Guarda (disse Giunon), riguarda, figlio, 370 

.Di mia vendetta le primizie. E in questo 
Gli mostrava l'orribile palude 
Da freschi venti combattuta e crespa, 
Mentre i raggi del sol volti all'occaso 
Scorrean vermigli su l'incerto flutto; 375 

Del sole, che parea dall'empia vista 
Fuggir pietoso e dietro i colli albani 
Pallida e mesta raccogliea la luce. 

Già moria sulle cose ogni colore, 
E terra e ciel tacea, fuor che del mare 3so 

L'incessante muggito; allor che pronto 
Il fatai vase scoperchiò Vulcano, 
E all'aura scintillar la rubiconda 
Bragia ne fece. Ne sentirò il puzzo 
I sotterranei zolfi e le piriti 385 

E gli asfalti oleosi; e, dal segreto 

353. Di rugiadose stille, ecc. : « Questa circostanza del lavare che fa Iride 
colla rugiada il corpo di Giunone, allorché essa esce dall'inferno, é tolta 
da Ovidio, Met., iv. 478 .. . Anche Dante, uscito dall'inferno, fa che Vir- 
gilio gli deterga colla rugiada del purgatorio le guancie lacrimose {Pttrg. 1, 
v. lèi e sgg.) »(Mg.)- 

360. Asfodilli : Pianta dai fiori bianchi della famiglia delle gigl iacee. 

375. lacerto : Ondeggiante, risponde al crespa del v. 373. 

376. Del sole, ecc. : Lo stesso dice nei vv. 154 e sgg. del C. V della Ma- 
scher. 

380. E dal segreto amore, ecc. : Dall'attrazione dei corpi. 



224 PARTE III. 

Amor sospinti che tra loro i corpi 

Lega e l'un l'altro a desiar costrigne, 

Ne concepir meraviglioso affetto, 

E di salso umidor pasciuti e pingui 300 

Si fermentare) ed esalar di sopra 

Improvvisa mefite. E pria le nari 

Ne fùr de' bruti e de' volanti offese, 

Che tosto piene le contrade e i campi 

Fèr di lunghi stridori e di lamenti. 395 

N'ulularono i boschi e le caverne, 

E tutti intorno paurosi i fonti 

N'ebber senso d'orror. Corrotte allora 

La prima volta le caronie linfe 

Mandar l'alito rio, che tetro ancora 400 

Spira e infamato avvicinar non lascia 

Nò greggia nò pastor. L'almo ruscello 

Di Feronia turbossi, e amare e sozze 

Dalla pietra natia spinse le polle 

Sì dolci in prima e cristalline. E Alcone 405 

Pastor canuto, che v'avea sul margo 

Il suo rustico tetto, a so chiamando 

Su l'uscio i figli, e il mar, le selve, il cielo 

Esaminando, e palpitando: Oh! (disse) 

Noi miseri, che fia? Mirate in quale 410 

Fier silenzio sepolta ò la natura! 

Non stormisce virgulto, aura non muove 

Che un crin sollevi della fronte: il rivo, 

Il sacro rivo di Feronia anch'esso 

Ve' come sgorga lutulento e fugge 415 

Con insolito pianto ; e là TVlelampo 

Che in mezzo del cortil mette pietosi 

Ululati e da noi par che rifugga 

E a so ne chiami. Ah chi sa quai sventure 

L'amor suo n'ammonisce e la sua fede! 420 

Poniamo, figli, le ginocchia a terra; 

Supplichiamo agli dèi che certo in ira 

Son co' mortali. Avea ciò detto appena. 

302. Mefite : Aria non respirabile prodotta da esalazioni putride sul- 
furee. — E pria le nari, ecc. : I bruti e gli uccelli sembra avvertano prima 
degli uomini i cataclismi e soprattutto 1 terremoti. 

309. Le caronie linfe : « Non lontano da Terracina , vedovasi il fonte Ca- 
ronte, dal cui velenoso alito venivano uccisi gli uomini e gli animali ; il 
quale chiuso dai posteri e riempito di sassi, cessò d'infierire » (Vetusetn* 
vum Latium del padre Kircher, 1, cap. 7). 

401. Infamato : Di pessima fama, cóme Orazio disse : « Infames scopulos 
Acroceraunios », che 1* Ariosto tradusse: « L' Acroceraunio d'infamato 
nome ». 



LA PBROtflADfi. 225 

Ohe tingersi mirò l'aria in sanguigno. 

E cupo un rombo propagossi. Il rombo «6 

Venia dall'opra di Vulcan ; che, ratto 

La montagna esplorando, ove più vivo 

Con lo spesso odorar sentia l'effluvio 

De' commossi bitumi, entro un immane 

Fendi mento di rupi era disceso, iso 

Buio baratro immenso, a cui di zolfi 

Ferve in mezzo e d'asfalti un bulicame, 

Che in cento rivi si dirama e tutte 

Per segreti cunicoli e sentieri 

Pasce le membra degl'imposti monti 435 

In questa di tremuoti atra officina 

Lasciò cader Mulcibero l'ardente 

Irritato carbone. In un baleno 

Fiammeggiò la vorago, e scoppi e tuoni 

E turbini di fumo e di faville 440 

Avvolser tutto l'incombusto dio. 

Più veloce dell'ali del pensiero 

Per le sulfuree vie corse la fiamma 

Licenziosa, ed abbracciò le immense 

Ossa de' monti, e delle valli i fianchi, 445 

E d'Anfitrite i gorghi. Allor dal fondo 

Senza vento sospinti in gran tempesta 

Saltano i flutti : ondeggiano le rupi, 

E scuotono dal dosso le castella 

E le svelte cittadi. Addolorata 450 

Geme la terra, che snodar si sente 

Le viscere e distrar le sue gran braccia. 

E tu, padre di mille incliti fiumi 

E di due mari nutritor, crollasti, 

nimboso Appennin, l'alte tue cime; 455 

E spezzata temesti la catena 

Che i tuoi gioghi all'estreme Alpi congiugne; 

Siccome il dì, che, col tridente eterno 

Percotendo i tuoi fianchi, il re Nettuno 



482. Un bulioame : V. la n. 151 a p. 167. 

434. Cuaiooli : Gallerie sotterranee (lat.). 

435. Imposti: Posti sopra (lat.), 

437. Mulcibero: Epiteto di Vulcano, qui muleet ferrum, cioè fonde il 
ferro. 

454. E di due mari, ecc. : Del Tirreno e dell'Adriatico a cui manda le sue 
acque. 

458. Siccome il di, ecc.: Il geografo Pomponio Mela, lib. 11, cap. 7, gli 
storici Dioporo Siculo, (iv, 87) e Giustino (ix, cap. l) e i poeti Lucano 
(11, 435) e Virgilio (Aen., rn, 414) ed altri ancora dicono che la Sicilia si 
staccasse per forti movimenti tellurici dal resto dell'Italia. 

Monti. — Poesie. 15 



$26 t>ARTB ltt. 

A tutta forza dall'esperio lido 4tt 

U siculo divise e in mezzo all'onde 

Procida spinse ed Ischia e Pitecusa. 

Pluto istesso balzò forte atterrito 

Dal suo lurido trono, e, visti intorno 

Crollar di Dite i muri e le colonne igs 

(Che dritto a piombo su l'inferna vòlta 

Il tremoto ruggia), levò lo sguardo, 

E violato dalla luce il regno 

De* morti paventò. Stupore aggiunse 

L'improvviso nitrito e calpestìo 470 

De* suoi neri cavalli, che, le regie 

Stalle intronando, inferocian da strano 

Terror percossi, e le morate giubbe 

E le briglie scuotean, foco sbuffando 

Dalle larghe narici; infin che desta 475 

A quel romor Proserpi na, la bella 

D' A verno imperatrice (che sovente 

Prendea diletto con le rosee dita 

Porger loro di Stige il saporoso 

Melagrano divino), ad acchetarli. iso 

Corse, e per nome li chiamò, palpando 

Soavemente di que* feri il petto 

Con le palme amorose. Uscito intanto 

Era Vulcan dalia tremenda buca 

Lieto dell'opra, e con piacer crudele 4S5 

Contemplava la polve e il denso fumo 

Delle svelte città. Giace Mugilla, 

E la ricca di pampani e d'olivi 

Petrosa Ecètra, e la turrita Arteria, 

E l'illustre per salda intatta fede 490 

Erculea Norba, a cui di cento greggi 

Biancheggiavano i colli. E tu cadesti, 

Cora infelice, e nelle tue ruine 

460. Dall'esperio lido, ecc. : Virgilio, Aen. , in, 41S : « Hesperium sìculo 
latus abscidit ». 

462. Pitecusa : Oggi Pitiusa. Si disse che anch'essa, con Ischia e Procida, 
si staccasse dal continente. 

463. Pluto lstesso : V. la n. al v. 112 del Sei*m. sulla Mitol., e i vv. 405-8 
della Afu80(j. 

480. Melagrano divino : V. la n. al v. 205 del C. I. Plutone aveva pian- 
tato in inferno il melagrano che aveva fatto si che Proserpina non tornasse 
dalla madre sua Cerere. 

487. Muglila : Città posta sui monti Lepini tra Gora e Sezze. 

489. Eoétra: Non lontana da Cora e da Art^na pure sui monti Lepini. 

490. E l'iUustre, ecc. : Era presso il borgo che oggi dicesi Norma tra 
l' Astura e il Ninfeo : si credeva che Ercole ne fosse stato il fondatore. I 
Norbani si segnalarono per la loro fedeltà al Romani dopo la battaglia di 
Canne, e ne furono ringraziati dal Senato. 



1 



LA. *8RONlAl>E. 22? 

Ii6 ceneri perir sante del primo 

Ausonio padre ; nò poter giovarti ius 

Di Dardano i Penati, né degli almi 

Figli di Leda la propizia stella 

Che all'aprico, tuo suol dolce ri dea. 

Voi sole a terra non andaste, o sacre 

Ansure mura ; che di Giove amica 500 

Vi sostenne la destra, e la caduta 

Non permise dell'ara, ove tremenda 

Riposava la folgore divina. 

Sentì di voi pietade il dio, di voi, 

E non senti Ha delle bianche chiome 505 

D'Alcon, d'Alcone il più giusto, il più pio 

Dell'ausonia contrada. Umilemente 

Al suol messo il ginocchio, il venerando 

Veglio tenea levate al ciel le palme; 

E a canto in quel medesmo atto composti 510 

Gli eran due tigli in vista si pietosa, 

Che fatto avria clementi anco le rupi, 

Quando venne un tremor che violento 

Crollò la casa pastorale, e tutta 

In un sùbito, ahi !, tutta ebbe sepolta 515 

L'innocente famiglia. Unico volle 

La ria Parca lasciar Melampo in vita, 

Raro di fede e d'amistade esempio. 

Ei, rimasto a plorar su la rovina, 

Fra le macerie ricercando a lungo 520 

Andò col fiuto il suo signor sepolto, 

Immemore del cibo, e le notturne 

Ombre rompendo d'ululati e pianti : 

Finche quarto egli cadde, e non gl'increbbe, 

Più dal dolor che dal digiuno ucciso. 523 

Fortunato Melampo ! se qualcuna 

Leggerà questi carmi alma cortese, 

Spero io ben che n'andrà mesta e dolente 

Sul tuo fin miserando. Il tuo bel nome 

Ne' posteri sarà quello de' veltri 52D 

Più generosi: e noi malvagia stirpe 

404. Del primo, ecc.: Di Giano a cui pare fosse dedicato un tempio in 
Cora. 

407. Tigli di Leda : In Cora era un tempio dedicato ai figli di Leda, Ca- 
store e Polluce. 

511. In vista, ecc. : In aspetto cosi pietoso. 

512. Che fatto avria, ecc.: Ariosto, Ori. F\ir.> 1, 40: « Che avrebbe di 
pietà spezzato un fonte ». 

525. Più dal dolor, ecc. : Dante, Inf. 9 xxxin, 75: « Poscia più che ii do- 
lor potè il digiuno ». 



228 fAfcTfi in. 

Dell'audace Giapeto, a cui peggiori 
I figli seguirai!, noi dalle belve 
La verace amicizia apprenderemo. 

CANTO TERZO. 

Contenuto. — Giove, mosso a pietà dell'orrenda distrazione che Vulcano 
e Giunone avevano fatta per tutta la valle pontina, manda Mercurio alla 
irata dea ancora spirante vendetta, ad annunziarle il divieto di distruggere 
il tempio di Feronia, perché potente sarà un di Italia e Roma. Già é in 
fiamme tutto il bosco di Feronia, quando Giunone e Vulcano arrivano al 
tempio dell'infelice dea ; ma Mercurio ne impedisce la distruzione, Vulcano 
fugge e Giunone torna al cielo. Feronia intanto, costretta ad andar raminga 
lungi dai suoi cari luoghi, nella casa del pastore Lica dà sfogo con pietosi 
lamenti al suo dolore. Si addormenta e Giove le appare, la consola e le pre- 
dice come il suo regno un giorno risorgerà . per opera d'un pontefice, 
Pio Vi. 

All'ardua cima del sereno Olimpo 
Risalia Giove intanto, e ad incontrarlo 
Accorrean presti e riverenti i numi 
Su le porte del cielo. In mezzo a tutti, 
In due schierate taciturne file, 5 

Maestoso egli passa; a quella guisa 
Che suol, ealando al pallido occidente, 
Passar tra i verecondi astri minori 
D'Iperione il luminoso figlio, 

Quando dall'arsa eclittica il gran carro ìp 

Della luce ritira, e l'Ore ancella 
Sciolgono dal timon bianco di spuma 
I fumanti cavalli. Ai saffici alberghi 
Dell'aurea reggia risx»ettesi i divi 
Accompagnar l'onnipotente; e, giunti 15 

Al grande limitar, per sé medesme 
Si spalancar sui cardini di bronzo 
Le porte d'oro, che uno spirto move 
Intrinseco e possente; e tale intorno 

532. Dell'audace Giapeto: V. la n. 45 a p. 23. — A cui peggiori, ecc.: Ora- 
zio, Od., Ili, vi, 46: « Aetas parentum, peior avis, tuIitNos nequiores, mox 
daturos Progeniein vitiosiorem ». 

534. Anche nel Bardo (C. VII in fine) il p. ha voluto porre un episodio 
assai simile a questo e lo termina con una sentenza uguale « . . Se imitarne 
la fede un di sapremo, Noi la vera amistade impareremo ». 

6. Maestoso, ecc. : In tal modo é accolto dagli altri dei Giove nella sua 
reggia nelP/Z., i, 706, trad. M. 
, 8. latri minori : Le steUtv * 

0. D'Iperione, ecc. : Il sole, figlio del Titano Iperione e di Tia. 
, 1JL L'Ore anesU», ecc. : V. )* ». SI* a p. 32. 

13. Ai sacri alberghi , ecc. : Meglio che Virgilio, Aen., x, 1», oVé pure 
qualcosa di simile, giova qui ricordare Omero, 1. e, ove sono quasi le stesse 
parole: « Rizzarsi Tutti ad un tempo, da' lor troni i numi Verso- il gran 
padre ; né veruno ardissi Aspettarne il venir ferme al suo seggio, Ha mos- 
ser tutta ad* incontrarlo ».•.•• ' • ' 

16. Per sé medesme : V. la n. 38 a p. 181. • - 



LA FERONIADB. 229 

Nell'aprirsi mandar cupo un ruggito, so 

Che tutto ne tremò l'alto convesso. 

Ivi in parte segreta, a eui nessuno . 

Non ardisce appressar degli altri eterni 

(Fuor che le meste e querule Preghiere, 

Che libere pel ciel scorrono e al nume » 

Portano i voti degli oppressi e il pianto), 

L'egioco padre in gran pensier s'assise 

Sovra il balzo d'Olimpo il più sublime. 

Contemplava di là giusto e pietoso 

De' mortali gli affanni e le fatiche: so 

Mirò d'Ausonia i campi e la pontina 

Valle in orrendo pelago conversa; 

Mirò per tutto (miserabil vista !) 

Le sue tante cittadi, altre sommerse, 

Altre per forza di tremuoto svelte 35 

Dalle ondeggianti rupi, e la catena, 

Donde pendon la terra e il mar sospesi, 

Scuotersi ancora ed oscillar commossa 

Dalla tremenda di Vulcan possanza. 

Ciò tutto contemplando in suo segreto, io 

Non fu tardo a veder che tanto eccesso, 

Tanta rovina saria poco all'ira 

Della fiera consorte. In compagnia 

Del potente de' fuochi egli la vide 

Verso la sacra selva incamminarsi, 45 

Ove Feronia nel maggior suo tempio 

Di vittime, d'incensi e di ghirlande 

Dalle genti latine avea tributo. 

Di Giuno ei quindi antivedendo il nuovo 

Scellerato disegno, a sé chiamato 50 

Di Maia il figlio, esecutor veloce 

21. L'alto convesso : La volta celeste. È il « supera convexa » di Virgilio, 
A.€ti. vi 241 

26. Portano, ecc. : V. la n. al verso 50 del C. Ili della Bassvill. 

27. L'egioco : V. la n. 44 a p. 72. 

28. Sovra 11 balzo, ecc. : Omero, II., 1, 600 e sgg. trad. M. : « Sul più su- 
blime de* suoi molti gioghi In disparte trovò seduto e solo L'Omni veggente 
Giove ». 

34. Sue : Perché sotto la protezione di Giove Ansùro» come é detto nel 
Canto I. 

36. E la oatena, ecc. : « Il poeta si é giovato d'una sublime immagine di 
Milton, in fine del libro secondo del Par, perd., ove Satanno aJ l'uscir e 
dell'inferno vede : « L'empireo cielo in circuito d'ampia E non determinata 
estensione . . . (Sua già nativa sede) e quivi presso Da una catena d'or pen • 
dente questo Sospeso mondo » (Trad. del Rolli). Ambedue poi i poeti eb- 
bero cotale immagine da Omero (IL, lib. vili, v. 10 del testo) quand'egli la 
dire a Giove : « Alla vetta dell'immoto Olimpo annoderò la gran catena » 
(Mg.). ^ 

41. Del potente, ecc. : Del signore del fuoco, di Vulcano. 

51. Di Maia il figlio: Mercurio. 



230 - PARTE 111. 

De' suoi cenni, gli fé' queste parole : 

Nuove furie gelose, o mio fedele, 

Hanno turbato alla mia sposa il petto: 

E quai del suo rancor già sono usciti , 55 

Senza misura lacrimosi effetti, 

Non t'è nascoso. Uri simulacro avanza 

Dell'esule Feronia, un tempio solo 

Di tanti che già n'ebbe ; e questo ancora 

Vuole, al suolo adeguar la furibonda. 00 

Or che consiglio è il suo ? Stolta, che tenta ? 

Se rispettar le nostre ire non sanno 

Le sante cose in terra e i monumenti 

Dell'umana pietà, chi de' mortali 

Sarà che più n'adori e nella nostra 65 

Divina qualità più ponga fede ? 

Prendi adunque sul mar tirreno il volo, 

T'appresenta a Giunon carco de' miei 

Forti comandi. Con le fiamme assalga, 

Se- tanto è il suo disegno, anco la selva 73 

r Ch'ella a ciò si prepara, e consentire 

10 le vo' pur quest'ultima vendetta) ; 
Ma, se l'empia oserà stender la destra 
•Alle sacre pareti e violarne 

11 fatai simulacro, alla superba 75 
Tu superbo farai queste parole: 

Fisso è nel mio volere (e per la stigia 

Onda lo giuro) che Tachea contrada 

Lasciar debbano i numi, e nell'opima 

Itala terra stabilir più fermo, 80 

Più temuto il lor seggio. Io le catene 

Del mio padre Saturno ho già disciolte, 

E l'offesa obbliai che mi costrinse 

A sbandirlo dal ciel. L'ospite suolo, 

Che ramingo l'accolse e ascoso il tenne, • ss 

Sacro esser debbe, né aver dato asilo 

Di Giove al genitor senza mercede. ■ 

Dopo il beato Olimpo, in avvenire 

Sia dunque Italia degli dei la stanza: 

E di là parta un dì quanto valore od 

Della mente e del braccio in pace e in guerra 

63. I monumenti : I templi. 

77. E per la stigia : L'Averno era attraversato da quattro fiumi,, lo Stipo, il 
Oocito, l'Acheronte e il FJegetonte ; per lo Stige giuravano solennemente gli dei. 

82. Del mio padre Saturno: Saturno, figlio d'Urano e di Vesta, fu detro- 
nizzato .e incatenato da Giove suo figlio. 

84. L'ospite suolo : Saturno, esiliato in Italia, vi fu ospitato da Giano. 



Là FERONIADE. 231 

Farà suggetto il mondo, e quanta insieme 

Civiltà, sapienza e gentilezza 

Renderanno l'umana compagnia 

Dalle belve divisa e minor poco 95 

Della divina. A secondar V eccelso 

Proponimento mio già nello speco 

Della rupe cumea mugge d'Apollo 

La delfica cortina, ed esso il dio, 

Dimenticata la materna Delo, 100 

Ai dipinti Agatirsi ama preporre 

Del Soratte gli scalzi sacerdoti. 

Già la sorella sua di Cinto i gioghi 

Lieta abbandona e le gargafie fonti, 

Del nemorense lago innamorata. 103 

Alle sorti di Licia han tolto il grido 

Le prenestine, e di Laurento i boschi 

Tacer già fanno le parlanti querce 

Della vinta Dodona. In su la spiaggia 

D'Anzio diletta Venere trasporta no 

D'Amatunta i canestri ; e Bacco e Vesta 

E Cerere e Minerva e il re dell'onde 

Son già numi latini. E alle latine 

D'Elide Tare già posposi io stesso, 

97. Nello speco, ecc. : In un antro presso. Cuma una Sibilla, profetessa di 
Apollo, dava gli oracoli di quel dio. 

" 99. Ed esso li dio, ecc.: Virgilio, Aen., iv, 113: « Qualis, ubi hibernam 
Lyciam Xantique lluenta Doserit, ac Delum maternam invisi t Apollo, In- 
stauratque choros, mixtiquo aitarla circum Cretesme Dryopesque fremunt 
pictique Agatyrsi ». 

100. Materna: Perchè Apollo vi ebbe i natali. 

101. Dipinti Agatirsi : Erano costoro popoli della Scizia adoratori di Apollo 
Iperboreo, li dice dipinti, perché usavano il tatuaggio. Dice infatti Pompo- 
nio Mela. (lib. Il, cap. 1): « Dipingono il volto e le membra, e più e meno 
secondo la condizione di ciascheduno ... ». 

102. Bòi Soratte, ecc. : 11 Soratte era un monte dell' Etruria (ora monte 
S. Oreste). Il Mg. riferisce il seguente passo di Plinio (St. Nat., vii, cap. 2) : 
« Poco lontano da Roma nel territorio de' Falisci havvi alcune famiglie le 
quali chiamansi Irpie, che, nell'annuo sacrifizio che fossi .ad Apollo presso 
il monte Soratte, camminano, senza bruciarsi, sopra un mucchio di legna 
ridotta in brage ... ». 

103. La sorella sua : Diana. — Cinto : Monte della Licia. 
101. Le gargafie fonti : V. la n. al v. 88 del C. II. 

108 Alle sorti di Licia : « Apollo aveva un famoso tempio in Pataro, città 
della Linia, provincia dell'Asia Minore, ove gli oracoli erano dati per mezzo 
delle sorti, e però si chiamavano Lyciae Sortes ... ». Fra i Latini poi era 
celeberrimo il tempio della Fortuna in Preneste, a cagione delle Sorti, le 
quali erano state ritrovate in mezzo d'una pietra ...» (M^.). 

107. Di Laurento i bosohi : « Erano famosi per gli oracoli di Fauno. In quel 
territorio eravi pure un bosco di allori consacrato ad Apollo » (Mg.). 

108. Le parlanti querele : V. la n. a v. 417 del C. I. 

111. D'Amatunta i canestri: Nell'isola di Cipro nella città d'Amatunta delle 
fanciulle nelle feste di Venere portavano gli arredi sacri in cestelle di fiori, 
e si dicevano Canefore. 

114. Elide : In questa regione del Peloponneso e precisamente nella pia- 
nura d'Olimpia era un gran tempio a Giove. 



232 PARTE IU. 

E sul Tarpeo recai dell'Ida i tuoni 115 

E le procelle. Perocché maturo 

Già s'agita nell'urna il gran destino, 

Che gloriosa dee fondar sul Tebro 

La reina del mondo. Al sol bisbiglio 

Che di lei fanno i tripodi cumani 120 

Tutta trema la terra: e già s'appressa 

D'Anchise il pio figliuol, seco adducendo 

D'Ilio i Penati, che faran nel Lazio 

La vendetta di Troia, e spezzeranno 

D'Agamennon lo scettro in Campidoglio. 125 

Cotal de' fati è il giro; e disviarlo 

Tenta indarno Giunon : da Samo indarno 

Porta alla sua Cartago il cocchio e l'asta 

E l'argolico scudo, armi che un giorno 

Fian concedute con miglior fortuna 130 

Di Dardano ai nepoti, allor che Giuno 

Per quella stessa region, su cui 

Tanta mole di flutti ora sospinse, 

Placata scorrerà del Lazio i lidi. 

Ivi sull'ara Sospita le genti 135 

L'invocheranno ; ed ella, il fianco adorna 

Delle pelli caprine e dentro il fumo 

De' lanuvini sagrificii avvolta, 

Tutti a mensa accorrà d'Ausonia i numi 

Cortesemente, e porgerà di pace 140 

A Feronia l'amplesso : onde, già fatte 

Entrambe amiche, toccheran le tazze 

Propinando a vicenda, e in larghi sorsi 

115. Tarpeo : Su questo monte, che fu detto Campidoglio , era un tempio 
a Giove Tonante. Dalla *ua nativa Ida in Creta, dice il p., era qua venuto 
Giove. 

HO. La reina del mondo : Roma. 

120. I tripodi oumani : Lo are fatidiche nel tempio d'Apollo in Coma. 

128. D'Anchise ... il figliuol: Enea. 

124. La vendetta di Troia, ecc. : Vendicheranno la distrutta Troia, assogget- 
tando il popolo greco che, condotto da Agamennone, aveva vinto quell'infe- 
lice città. Virgilio. Aen. t 1, 283: « Veniet lustris labentibus aetas, Quum 
domus Assaraci Phtiam clarasque Mycenas Servitio premet ac viclis domi 
nabitur Argis ». 

127. Da Samo, ecc. : Virgilio, Aen. t 1. 15 : « Quam (Carthaginem) Inno 
fertur terris magis omnibus unam Postnabita coluisse Samo ... ». 

131. Alior ohe Giano, ecc. : Virgilio, Aen., 1, 279 : « Quin aspera Inno, 
Quae mare nunc terrasque metu coelumque fatigat, Consilia in melius re- 
feret, mecumque fovebit Romanos rerum dominos gentcmque togatam ». 

135. Sospita : « Giunone Lanuvina (cosi chiamata da Lanuvio, città e mu- 
nicipio del Lazio do Velia era particolarmente venerata), la quale é detta 
anche Sospita o Sispita, cioè Salvatrice, viene rappresentata in diverse me- 
daglie ed in una statua del Museo Pio dementino . . . colla testa coperta da 
una pelle di capra, lo cui zampe davanti le si allacciano sul petto ed il ri- 
manente discende intorno al busto fino ad essere legato sui fianchi da una 
larga cintura » (Mg.), 



LA FBRONIADB. 233 

L'obblio beran delle passate cose. 

Va dunque, e sì le parla. Il suo pensiero 145 

Volga in meglio l'altera, e alle sue stanze 

Rieda in Olimpo; che l'andai' vagando 

Più lungamente in terra io le divieto. 

E se niega obbedir, tu le rammenta 

Le incudi un giorno al suo calcagno appese; 133 

E dille che la man che ve le avvinse 

Non ha perduta la possanza antica. 

Disse; e Mercurio ad eseguir del padre 
Il precetto s'accinse. E pria l'alato 
Petaso al capo adatta ed alle piante i?5 

I bei talari, ond'ei vola sublime 

Su la terra e sul mare e la rattezza 

Passa de' venti. Impugna indi l'avvinta 

Verga di serpi, prezioso dono 

Del fatidico Apollo il dì che a lui 1C3 

L'argicida fratel cesse la lira : 

Con questa verga tutta d'oro in vita 

Ei richiama le morte alme, ed a Pluto 

Mena le vive, ed or sopore infonde 

Nell'umane pupille ed or ne '1 toglie. 165 

Si guernito e con tal d'ali remeggio 

Spiccasi a volo. Occhio mortai non puote 

Seguitarne la foga: in men che il lampo 

Guizza e trapassa, egli è già sceso, e preme 

II campano terreno, un di nomato ira 
Campo flegrèo, famosa sepoltura 

De' percossi giganti. Intorno tutta 

150. Le incudi, ecc.: Giove dice a Giunone neir/f.,xv, 23: « E non ram- 
menti il di ch'ambe le mani D'aureo nodo infrangibile t'avvinsi, E alla ce- 
leste volta con due gravi Incudi al piede penzolon t'appesi » Il Correggio 
dipinse questo soggetto nel monastero di S. Paolo in Parma. Un simileca- 
stigo infligge Ulisse a Melanzio (Od., xxir, 209). 

155. Petaso : Specie di cappello con due ali. 

156. I bei talari : Consimile descrizione é in Omero, Od. y v, 55, trad. Pede- 
monte e in Viro., Aen., iv, 238 : « primum pedibus talaria nectit aurea, quae 
sublimerai alis sive aequora supra seu terram rapido pariter cum flamine 
portant ». 

159. Verga: Il caduceo. 

160. fatidico : Apollo era anche dio della divinazione. 

161. L'argicida : Mercurio, l'uccisore di Argo. Dopo aver inventato la lira, 
la cedette, per averne il caduceo, ad Apollo. 

163. Ei richiama, ecc. : Mercurio era pure dio del sonno e della veglia. 
Questi versi traducono i sgg. di Virgilio, 1. e. : « hac (virqa) animas ille 
evocat Orco Pallentis, alias sub Tartara tristia mittit, Dat somnos adimit- 
que et lumina morte resignat ». 

166. D'ali remeggio : V. la n. 194 a p. 95. 

171. Campo flegrèo : « Flegrèi si chiamavano alcuni campi della Campania, 
ov'era il Foro di Vulcano, presso Pozzuoli e la palude Acherusia . . . L'ab 
bondare dello zolfo e del fuoco in questi campi si é poi la cagione che i 
poeti collocano in essi il teatro della pugna de' Giganti cogli dei ... » (Mg.). 



234 PARTE III. 

xManda globi di fumo la pianura, 

Ed ogni globo dal gran petto esala 

D'un fulminato. A fronte alza il Vesevo 173 

Brullo il colmi gno, ed al suo pie la dolce 

Lagrima di Lieo stillan le viti. 

Lieve lieve radendo il folgorato 

Terren di Maia il figlio e la marina 

Sorvolando, levossi all'erte cime iso 

Della balza circèa, che di Peronia 

Signoreggia la selva. Ivi fer mossi, 

Qua! uom che tempo al suo disegno aspetta: 

E, di là dechinando il guardo attento 

Al piano che s'avvalla spazioso 185 

Fra l'ansiire dirupo ed il circèo 

E tutto copre di Feronia il bosco, 

A quella volta acceleranti il passo 

Vide Griuno e Vulcano, armati entrambi 

D'orrende faci, ed anelanti a nuova 190 

Nefanda offesa. All'appressar di quelle 

Vampe nemiche un lungo mise e cupo 

Gremito la foresta: augelli e fiere, 

A cui natura, più che all'uom cortese 

Presentimento die quasi divino, 105 

Da subito terror compresi, i dolci 

Nidi e i covili abbandonar stridendo 

E ululando smarriti e senza legge 

D'ogni parte fuggendo. I primi incendi 

Eran già desti : e già di Giuno al cenno, 200 

Già la sua fida messaggera e ancella 

Verso Eolia battea preste le penne, 

Con prego ai venti di soffiar gagliardi 

Dentro le fiamme, e promettendo pingui 

In nome della dea vittime e doni ; 203 

Come il dì che d'Achille ai* caldi voti, 

175. D'un fulminato : Si credette che i Giganti fulminati da Giove eruttas- 
sero flamine di sotto al terreno che li teneva oppressi. 

177. Lagrima di Lieo : « Il Redi nel Ditirambo chiamò questo vino il san- 
gue che lagrima il Vesuvio ; ed a questo passo fa la seguente annotazione : 
« Parla di quei vini rossi di Napoli, che sono chiamati Lacrime ...» (Mg ). 

1S3. fiual uom, ecc. : Petrarca , P. I, son. 2 ; « Com'uom clTa nuocer 
luogo e tempo aspetta ». 

186. L'ànsure dirupo: Lo scoglio di Terracini. 

101. A oui natura, ecc. : Cfr. i vv. 302 e sgg. del C. II. 

201. La sua fida, ecc. : Iride. 

202. Eolia : Il regno de' venti vicino alla Sicilia. 

206. Come il di, ecc. : Neil'/!., xxm, 101 e sgg. Achille, vedendo che non 
ancora avvampava il rogo del morto Patroclo, supplica i venti Ponent3 e 
Tramontana di animare le fiamme, affinché struggano presto la pria. Ed 
essi lo contentano. 



LA. FBRONIADB. 235 

Del morto amico gli avvampar la pira. 

Già stendendo venia l'umida notte 
Sul volto della terra il negro velo, 
E in grembo al suo pastor Cinzia dormia; 210 

Quando i figli d'Astreo con gran fracasso 
Dall'eolie spelonche sprigionati 
S'avventar su l'incendio, e per la selva 
Senza freno lo sparsero. La vampa 
Esagitata rugge, e dalla quercia 215 

Si devolve su l'olmo e su l'abete: 
Crepita il lauro ; e le loquaci chiome 
Stridono in capo al berecinzio pino 
A sfidar nato su gli equorei campi 
D'Africo e d'Euro i tempestosi assalti. 220 

Già tutta la gran selva è un mar di foco 
E di terribil luce, a cui la nòtte 
Spavento accresce; e orribilmente splende 
Per lungo tratto la circèa marina; 
Simigliante al Sigeo, quando gli eletti 225 

Guerrier di Grecia del cavallo usciti 
In faville mandar d'Ilio le torri, 
E atterrita la frigia onda si fea 
Specchio al rogo di Troia, miserando 
Di tanti eroi sepolcro e di tant'ire. 230 

All'orrendo spettacolo il feroce 
Cor di Giuno esultava ; e impaziente 
Di vendicarsi al tutto (che suprema 
Voluttà de' potenti è la vendetta), 
Un divampante tizzo alto agitando i33 

E furiando, vola al gran delubro 
Ch'unico avanza della sua nemica, 
Ferma in cor d'atterrarlo, incenerirlo 
E spegnere con esso ogni vestigio 
Dell'abbonito culto. Armato ei pure 210 

D'empia face Vulcan seguia non tardo 
La fiera madre ; e già le sacre soglie 

210. Cinzia dormia : Diana «'innamorò del pastore Endimione dormente 
nella spelonca di Latmo, monte della Caria. 

ili. I figli d'Astreo : I Venti, secondo Esiodo nella Teogonia, erano fi- 
gliuoli d'Astreo e dell'Aurora. 

217. Loquaoi: Rumoreggiante 

218. Berecinzio pino : Il pino era sacro a Cibele che si chiamava anche Be 
recinzia dal monte della Frigia nell'Asia Minore ove nacque. 

225. Sigeo : Nell'acque dello stretto di Sigeo si riflettevano le fiamme il 
giorno che i Greci incendiarono Troia : Virgilio, Aen., 11, 312: « Sigaea igni 
ir età lata relucent ». 

226. Del cavallo asciti : Gli eroi greci usciti dal cavallo di legno appicca- 
rono il fuoco alla città. 



236 PARTE IH. 

Calcano entrambi : dai commossi altari 

Già fugge la pietà, fugge smarrita 

La fede avvolta nel suo bianco velo: 243 

Con vivo senso di terrore anch'esso 

Si commosse il tuo santo simulacro, 

O misera Feronia, e un doloroso 

Gemito mise (meraviglia a dirsi 1), 

Quasi accusando d'empietade il cielo, 250 

Ma del tigliuol di Maia, a ciò spedito, 

Non fu tarda l'aita in tanto estremo: 

E, come stella che alle notti estive 

Precipite labendo il cielo fende 

Di momentaneo solco, e va sì ratta 255 

Che l'occhio appena nel passar l'avvisa; 

Non altrimenti il dio stretto nell'ali 

11 sereno trascorse, e rilucente 

Sul vestibolo sacro appresentossi. - 

All'improvvisa sua comparsa il passo 260 

Stupefatti arrestar Vulcano e Giuno, 

E si turbar vedendoci di fronte 

Starsi ritto Mercurio, e imperioso 

Contro il lor petto le temute serpi 

Chinar dell'aurea verga e così dire : 265 

Fermati, o diva: portator son io 

Di severa ambasciata. A te comanda 

L'onnipossente tuo consorte e sire, 

Di gettar quelle faci, e inviolata 

Quest'effige lasciar e queste mura. 270 

Riedi alle stanze dell'Olimpo, e tosto : 

Che ti si vieta andar più lungamente 

Vagando in terra, e funestar di stragi 

Le contrade latine, a cui l'impero 

Promettono del mondo il Fato e Giove. 273 

E di Giove e del Fato a mano a mano 

Qui le aperse i voleri, e il tempo e il modo 

De* futuri successi ; e non die fine 

245. La fede, ecc. : Orazio, Od., I, xxxv, 21 : « Te Spes, et albo rara Fi- 
des colit Velata panno ». Anche Virgilio, Aen. t 1, 292 la chiama « cana Fi- 
des ». La Fede si rappresentava bianco vestita, o perché si trova ne' can- 
didi uomini, o perche sacrificando a lei si doveva avere la mano fasciata 
di bianco, come dice Servio commentando il cit. verso di Virgilio. 

253. Come stella : Virgilio, Aen., 11, 603 : « de caelo lapsa per umbras 
Stella facem ducens multa cum luce cucurrit ». 

251. Precipite labendo : Scendendo a precipizio. 11 latinismo « labendo » è 
derivato dal 1. e. di Virgilio che della medesima stella dice : « Illam, somma 
super labentem culmina tecti » (cfr. Dante. Par > VI, 51). Cosi anche lì 
momentaneo solco è derivato dal « longo limite sulcus » del v. 697. 

265. Dell'aurea verga : Del caduceo d*oro coi serpenti attorcigliati* 



LA FBRONIÀDE. 237 

All'austero parlar, che ricordolle 

Le incudi un giorno al suo calcagno appese, eso 

E il braccio punitor, che non avea 

Perduta ancora la possanza antica. 

Cadde il tizzo di mano a quegli accenti 
Al dio di Lenno; e tra le vampe e il fumo 
Si dileguò, nò disse addio, nò parve ?85 

Aver malfermo a pronta fuga il piede. 
Ma con torvo sembiante e disdegnoso 
Si ristette G-iunon, chò rabbia e tema 
Le stringono la mente; e par tra i ferri 
La generosa belva che gli orrendi 200 

Occhi travolve, e il correttor flagello 
Fa tremar nella man del suo custode. 
Senza dir motto alfln volse le spalle, 
E rotando* in partir la face in alto 
Con quanta pia poteo forza la spinse: 805 

Vola il ramo infiammato, e di sanguigna 
Luce un grand'arco con immensa riga 
Segna per l'etra taciturno e scuro. 
Il sidicino montanar v'affìsse 

Stupido il guardo, e sbigottissi; e un gelo 300 

Corse per Tossa al pescator d'Amsanto. 
Quando sul capo ruinar sei vide 
E cader sibilando nella valle; 
Ove suona rumor di fama antica, 
Che del puzzo mortai che ancor v'esala 305 

L'aria e l'onde corruppe, ed un orrendo 
Spiraglio aperse che conduce a Dite. 

Come allor che su i nostri occhi Morfeo 
Sparger ricusa la letea rugiada, 
D'ogni parte la mente va veloce, 310 

E fugge e torna e slanciasi in un punto 

279. Rioordolie. ecc. : Ripete i vv. 149 e sgg., imitando anche in ciò gli 
epici e soprattutto Omero. Vedine un esempio anche nel Tasso, Oer. Lib. t 1, 
l£e 16. 

299. Il sidicino montanar : Monti Sidicini si dicevano quelli che sono presso 
ai monti di Sessa Aurunca. 

304» Ove suona rumor, ecc. : « Il poeta immagina aperto dal cadere dei- 
rinfiammata verga lanciatavi da Giunone il famoso spiraglio d'Amsanto, 
da cui. esala ancora un'aria mefitica » (Mg.). 

306. Ed nn orrendo spiraglio, ecc. : Questo spiraglio che è nella valle oggi 
detta Lago di Ansante è cantato da Virgilio , Aen. t xn, 568 : « hic specus 
horrendum et saevi spiracula Ditis Monstrantur, ruptique ingens Acheronte 
vorago Pestifera* aperit fauces, quia condita erinys, Invisum numen, terras 
caelumque levabat ». 

308. Morfeo : Dio del sonno. 

309. La letea rugiada : Cosi chiama il sonno, pe.chè ci fa dimenticare i 
mali della vita come faceva il fiume Lete a chi vi beveva. 



238 PARTB 111. 

Dall'aurora all'occaso, e dalla terra 

Alla sfera di Giove e di Saturno; 

Con tal prestezza si sospinse al cielo 

La ritrosa Giunon. L'Ore custodi 313 

Delle soglie d'empirò incontanente 

Alla reina degli dèi le porte 

Spalancar dell'Olimpo, e la bionda Ebe, 

Ilare il volto e l'abito succinta, 

Le corse incontro con la tazza in mano 330 

Del nettare celeste ; ed ella un sorso 

Nò pur gustò dell'immortal bevanda; 

Che troppo d'amarezza e di rammarco 

Avea l'anima piena. Onde, con gli occhi 

In giù rivolti e d'allegrezza privi, 325 

Nò a verun degli dei, che surti in piedi 

Erano, al suo passar fatto un saluto, 

Il passo accelerò verso i recessi 

Del talamo divino; ed ivi entrata 

Serrò le porte rilucenti, e tutte 330 

Ne furo escluse le fedeli ancelle. 

Poiché sola rimase, al suo dispetto 

Atjbandonossi ; lacerò le bende ; 

Ruppe armille e monili, e gettò lunge 

La clamide regal, che di sua mano 335 

Tessè Minerva e d'auree frange il lembo 

Circondato n'avea. Nò tu sicura 

Da' suoi furori andar potesti, sacra 

Alla beltad'e inacessibil ara, 

Che non hai nome in cielo, e tra' mortali 310 

Da barbarico accento lo traesti 

Cui le Muse abborrìr. Cieca di sdegno 

Ti ricercò la dea : cadde e si franse 

Con diverso fragor l'ampio cristallo, 

313. Alla sfera di Giove, ecc. : Alle più alte sfere, che quelle di Giove e di 
Saturno erano la sesta e la settima, secondo il sistema tolemaico. 
315. L'Ore custodi : V. la n. 80 a p. 82. 

318. Ebe : La leggiadra dea della giovinezza , figlia di Giove e di Giu- 
none. 

319. Il volto e l'abito : Accus. di relazione. 

320. Con la tazz >, ecc. : Ebe versava in auree tazze il nettare agli dei. Cfr. 
Ombro, II., iv, 2. 

330. Le porte rilucenti : Tali sono anche nella descrizione che Omero fa 
del talamo di Giunone nel xiv dell'/I., 165 e sgg. 

335. La clamide: Manto. Il p. nella trad. dell r 27., 1. e, la chiama: « il di- 
vino Peplo . . . che Minerva avea Con grand'arte intessuto ». 

338. saora, ecc. . Anche il Parini nel Mezzog., 43 , chiama la toelette 
della dama: « l'ara tutelar di sua beltade ». 

341. Da barbarico accento, ecc. : Accenna alla barbara parola « toilette », 
ormai però per necessita divenuta italiana. 

344. L'ampio cristallo : Lo specchio che per lo più era allora di bronzo 
o di stagno, o d'oro, o d'argento ; ma talvolta era anche di vetro. 



1 



LA miONtÀDfi. 239 

Che in mezzo dell'aitar sorgea sovrano 315 

Maestoso e superbo ; e in un confu»si 

N'andar sossopra i vasi d'oro e l'urne 

Degli aromi celesti e de' profumi, 

Onde tal si diffuse una fragranza, 

Che tutta empiea la casa e il vasto Olimpo. 350 

Mentre così l'ire gelose in cielo 
Disacerba Griunon, quai sono in terra 
Di Feronia le lagrime, i sospiri ? 
Ditelo, d'Elicona alme fanciulle, 
Voi che l'opere tutte e i pensier anco S53 

De' mortali sapete e degli dei. 
Poi che si vide l'infelice in bando 
Cacciata dal natio dolce terreno, 
D'are priva e d'onori, e dallo stesso 
(Ahi sconoscenza !) dallo stesso Giove 300 

Lasciata in abbandono; ella dolente 
Verso i boschi di Tri via incamminossi 
E ad or ad or volgea lo sguardo indietro 
E sospirava. Sul piò stanco alfine 
Mal si reggendo, e dalla lunga via SC3 

E più dal duolo abbattuta e cadente, 
Sotto un elee s'assise ; ivi, facendo 
Al volto letto d'ambedue le palme, 
Tutta con esse si coprì la fronte, 
E nascose le lagrime, che mute 
Le bagnavan le gote, e le sapea 370 

Solo il terren che le bevea pietoso. 
In quel misero stato la ravvolse 
Dell'ombre sue la notte; e in sul mattino 
11 sol la ritrovò sparsa le chiome 375 

E di gelo grondante e di pruina; 
Perocché per dolor posta in non cale 
La sua celeste dignitade avea, 
Onde al corpo divin l'aure notturne 
Ingiuriose e irriverenti furo sso 

Siccome a membra di mortai natura. 
Lica intanto, di povero terreno 

350. Che tutta empiea, ecc. : Omero, II., xiv 183 e sgg., trad. M. : «divina 
essenza Fragrante si, che negli eterni alberghi Del Tonante agitata, e cielo 
e terra D'almo profumo ritempia ». 

351. D'Elicona alme, ecc.: le Muse. 
362. Trivia: Diana Ncmorense. 

366. Si noti questo verso che nel suo lento procedere bene esprime la stan- 
chezza e l'affi zio ne di Feronia. 

382. Di povero terreno, ecc.: Moretum pseudovirgiliano.^-ò: « Simylui 
exigui cultor . . . rusticus agri. Trìstia venturae metuens ieiunia lucis , 
Membra levat vili sensim demissa grabato ». 



240 *àktb iti. 

Più povero cultor, dal letticciuolo 
Era surto con l'alba, e del suo campo 
Visitando venia le orrende piaghe 
Che fatte avean la pioggia, il ghiaccio, il vento 385 
Agli arboscelli, ai solchi ed alle viti. 
Lungo il calle passando ove la diva 
In quell'atto sedea, da meraviglia 
Tocco e più da pietà, che fra leselve soo 

Meglio che in mezzo alle cittadi alberga, 
S'appressò palpitando, e la giacente 
Non conoscendo (che a mortai pupilla 
Diffìcil cosa è il ravvisar gli dei), 
Ma in lei della contrada argomentando 305 

Una ninfa smarrita: tu, chi sei, 
Chi sei (le disse), che sì care e belle 
Hai le sembianze e dolor tanto in volto? 
Per chi son queste lagrime? t'ha forse 
Priva il ciel della madre, del fratello, 400 

dell'amato sposo? che son questi 
Certo i primi de' mali onde sovente 
Giove n'affligge. Ma, del tuo cordoglio 
Qual si sia la cagion, prendi conforto, 
E pazienza opponi alle sventure 405 

Che ne mandano i numi: essi nemici 
Nostri non son ; ma col rigor talvolta 
Correggono i più cari. Alzati, donna; 
Vieni, e t'adagia nella mia capanna 
Che non è lungi ; e le forze languenti 410 

Ivi di qualche cibo e di riposo 
Ristorerai. La mia consorte poscia 
Di tutto l'uopo ti sarà cortese, 
, Ch'ella è prudente e degli afflitti amica; 
E qual figlia ambedue cara t'avremo. 413 

Alle parole del villan pietoso 
S'intenerì la diva, e in cor sentissi 
La doglia mitigar, tanta fra' boschi 
Gentilezza trovando e cortesia. 
Levossi in piedi ; ed ei le resse il fianco, 420 

E la sostenne con la man callosa. 

300 Che fra leselve, ecc.: Cfr. coivv.22 esgg. dell'Invito d'un solitario 
ad un cittadino. 

803. Che a mortai pupilla, ecc. : Inno a Cerere, trad. Lamberti : « Che a 
mortai occhio Dittici! troppo é il ravvisar gli Dei ». 

405. Pazienza opponi : Anche nel cit. Inno Clessidice, una delle figlie di 
Celeo, dice a Cerere : « O donna, ciò che mandano gl'Iddìi, Ancor ohe spiac- 
ela, tollerare é d'uopo ». 



LA FERONIADE. 241 

Nell'appressarsi, nel toccar ch'ei fece 
Il divin vestimento, un brividio, 
Un palpito lo prese, un cotal misto 
Di rispetto, d'affetto e di paura, 4 55 

Che parve uscir dei sensi, e su le labbra 
La voce gli morì. Quindi il sentiero 
Prese in ver la capanna, e il fido cane 
Nel mezzo del cortil gli corse incontro: 
Volea latrar; ma, sollevando il muso 430 

E attonite rizzando ambe le orecchie, 
Guardolla, e muto su l'impressa arena 
Ne fiutò le vestigia. In questo mentre 
Alla cara sua moglie Teletusa 
Il buon Lica dicea: Presto sul desco 435 

Spiega un candido lino ; e passe ulive 
Recavi e pomi e grappoli che salvi 
Dal morso abbiam dell'aspro verno, e un nappo 
Di soave lambrusca, e s'altro in serbo 
Tieni di meglio ; che mostrarci è d'uopo 4io 

Come più puossi liberali a questa 
Peregrina infelice. Allor spedita 
Teletusa si mosse, e in un momento 
• Di cibo rustical coperse il desco, 
Ed invitò la dea; la quale assisa 413 

Sul limitar si stava, e immota e grave 
L'infinito suo duol premea nel petto. 
Né già tenne l'invito, che mortale 
Corruttibil vivanda non confassi 
A palato immortai ; ma ben di trito 450 

Odoroso puleggio e di farina 
D'acqua commisti una bevanda chiese, 
Grata al labbro de' numi, e l'ebbe in conto 
Di sacra libagion. Forte di questo 
Meravigliossi Teletusa ; e, fiso 455 

Di Feronia il sembiante esaminando 

445. Assisa, ecc. : « Lo starsi assiso sul limitare della casa ospitale era 
proprio de' supplichevoli o degli infelici profondamente oppressi dalla di- 
sgrazia. In quella situazione è rappresentata Cerere dall'autore dell'Inno 
attribuito ad Omero. Ed Ulisse, rientrato nelle sueicase sotto le sembianze 
di iin mendico, siede nel vestibolo : e quivi avviene il famoso combatti- 
mento tra lui ed il pezzente Irò. Vedi V Odissea, lib. xvm, in principio » 
(Mg.). 

450. Ma ben di trito, ecc. : Inno cit. : « In questa, Di dolcissimo vin colma 
una tazza Appresentolle Metanira : ed essa La ricusò, dicendo, non per lei 
Il rubicondo vino esser bevanda : Ma comandò che d'acqua e di farina, E 
di trito puleggio insiem commisti Le si desse una beva ». Come si vede il 
p., attingendo a questo Inno greco, aveva dinanzi a sé proprio questa tra- 
duzione del Lamberti. 

453. E l'ebbe : Inno cit. : « . . . in conto l'ebbe Di sacra libagione ». 

Monti. — Poesie. 16 



242 PARTE III. 

(Poiché al sesso minor diero gli dei 

Curiose pupille e accorgimento 

Quasi divin), sospetto alto la prese, 

Che si tenesse in quelle forme occulta 4go 

Cosa più che terrena. Onde in disparte 

Tratto il marito, e il suo timor gli espose, 

E creduta ne fu; che facilmente 

Cuor semplice ed onesto è persuaso. 

Allor Lica narrò quel che poc'anzi 465 

Assalito l'avea strano tumulto, 

Quando a sorger in piò le porse aita 

E con la mano le soffolse il fianco. 

Poi, seguendo, di Bauci e Filemone 

Rammentar l'avventura, e quel che udito 470 

Da' vecchi padri avean, siccome ascoso 

Fra lor nelle capanne e nelle selve 

Stette a lungo Saturno, e noi conobbe 

Altri che Giano. In cotal dubbio errando 

Si ritrassero entrambi, e lasciar sola ìt> 

La taciturna diva. Ella dal seggio 

Si tolse allora; e due e tre volte scórse 

Pensierosa la stanza, e poi di nuovo 

Sospirando s'assise, e in questi accenti 

Al suo fiero dolor le porte aperse : iso 

Donde prima degg'io, Giove crudele, 

Il mio lamento incominciar? Già tempo 

Fu che, superba del tuo amor, chiamarmi 

Potei felice ed onorata e diva. 

Or eccomi doserta; e non mi resta 485 

Che questo sol di non poter morire 

Privilegio infelice. E fino a quando 

Alla fierezza della tua consorte 

Esporrai questa fronte ? Il premio è questo 

De' concessi imenei ? Questi gli onori 100 

E le tante in Ausonia are promesse, 

Onde speme mi desti che la prima 

Mi sarei stata delle dee latine? 

Tu m'ingannasti: l'ultima son io 

Degl'immortali, ahi! lassa!; e non mi fero 4» 

Illustre e chiara che le mie sventure. 

Rendimi, ingrato, rendimi alla morte, 

Alla qual mi togliesti. Entro quell'onde 

468. Soffolse: Sorresse (lat.). 

469. Bauoi e Pilemone : Ospitarono nella loro capanna Mercurio e Giove. 
473. Stette a lungo Saturno : V. la n. a p. 230. 
408. Alla qual mi toglieste : Facendomi dea. 



LA FERONIADE. 243 

Concedimi perir, che la tua Giuno 

Sul mio regno sospinse, o ch'io ritrovi 500 

Agli arsi boschi in mezzo e alle ruine 

De' miei templi abbattuti il mio sepolcro. 

Così la diva lamentassi e tacque. 
Era la notte, e d'ogni parte i venti 
E Tonde e gli animanti avean riposo, 505 

Fuorché l'insetto che ne' rozzi alberghi 
A canto al focolar molce con lungo 
Sonnifero stridor l'ombra notturna ; 
E Filomena nella siepe ascosa 
Va iterando le sue dolci querele. 510 

In quel silenzio universale anch'essa 
Adagiossi la dea vinta dal sonno; 
Che dopo il lagrimar sempre sugli occhi 
Dolcissimo discende, e la sua verga 
Le pupille celesti anco sommette. 515 

Quando il gran padre degli dei, che udito 
Dell'amica dolente il pianto avea, 
A lei tacito venne ; e, poi che stette 
Del letto alquanto su la sponda assiso, 
Di quel volto sì caro addormentato 52j 

La beltà contemplando, alfìn la mano 
Leggermente le scosse, e nell'orecchio 
Bisbigliando soave: mia diletta, 
Svegliati, disse, svegliati ; son io 
Che ti chiamo ; son Giove. A questa voce 523 

Il sonno l'abbandona ; apre le luci, 
E stupefatta si ritrova in braccio 
Del gran figliuolo di Saturno. Ed egli 
Riconfortala in pria con un sorriso, 
Che di dolcezza avria spetrati i monti 530 

Ed acchetato il mar quando è in fortuna; 
Poscia in tal modo a ragionar le prese: 

505. Avean riposo : Ariosto, Ori. Fur. f vili. 79 : « Già in ogni parte gir 
animanti lassi Davan riposo ai travagliati spirti » ? e Virgilio, Aen., vili, 
26 : « Nox erat, et terras animalia fessa per omnis Alituum pecudumque 
genus sopor altus habebat ». 

506. L'insetto : Il grillo che, annidato nelle case campestri presso il foco- 
lare, col suo monotono stridore concilia il sonno. 

509. E Filomena, ecc. : V. la n. al v. 67 del Serm. sulla Mitologia. 

514. E la sua verga, ecc. : Il Sonno era raffigurato dagli antichi come 
un giovinetto o un vecchio con una verga in mano colla quale concilia la 
quiete agli uomini e anche agli dei, onde Omero, i7., xiv, 284, trad. M., lo 
chiama : « re de' mortali e degli dei ». 

530. Che di dolcezza, ecc.: « Cosi Virgilio (En., 1, 251) : Olii subridens 
hominum sator atque deorum Vultu quo coelum tempestatesque serenat 
Oscula libavit natae » (Mt.). 



244 PARTE III. 

Calma il duolo, Feronia: immoti e saldi 

Stanno i tuoi fati e le promesse mie ; 

Nò ingannato son io, nò si cancella 535 

Mai sillaba di Giove. Ma profonde 

Sono le vie del mio pensiero, e aperta 

A me solo dei fati ò la cortina. 

Non lagrimar sul tuo perduto impero : 

Tempo verrà che largamente reso 540 

Tel vedrai, non temerne, e i muti altari 

E le cittadi e i campi e le pianure 

Bai ruderi e dall'onde e dalla polve 

Sorger più belle e numerose e cólte; 

D'Italia in questo i più lodati eroi 515 

Porran l'opra e l'ingegno. Io non ti nomo 

Che i più famosi ; e in prima Appio, che in mezzo 

Spingerà delle torbide Pontine 

Delle vie la regina. Indi Cetego: 

Indi il possente fortunato Augusto 550 

Esecutor della paterna idea; 

Al cui tempo felice un venosino 

Cantor sublime ne' tuoi fonti il volto 

Lavorassi e le mani ; e tu di questo 

Orgogliosa n'andrai più che l'Anfriso 555 

Già lavacro d'Apollo. Ecco venirne 

Poscia il lume de' regi, il pio Traiano, 

533. Calma il duolo, ecc. : Virgilio, Aen. y 1, 257: « Parccmetu, Gytherea, 
man nt immota tuorum Fata tibi ; cernes urbem et promissa La vini . . . nc- 
que me sententia vertit ». 

535. Né si oan cella, ecc. : Nel terzo son. sulla morte di Giuda, 14, dice : 
« Né sillaba di Dio mai si cancella ». 

541. Muti : Perché non vi si odono più le preghiere dei sacerdoti. 

547. E in prima Appio, ecc. : « Il poeta seguita l'opinione . . . che Appio 
Claudio . . . abbia il primo tentato di restituire alla coltura il territorio pon- 
tino occupato dalla palude, nell'occasione che, essendo censore, concepì la 
grandiosa idea di una strada che doveva condurre da Roma a Brindisi, e 
la spinse per ben 142 miglia Uno a Capua » (Mg.). 

549. Delle vie la regina : Cosi la chiama Stazio, Sylv., IL n, 12 : « Appia 
longarum teritur regina viarum ». — Indi Cetego, ecc. : Nell'anno di Roma 
560. o come altri vogliono, nel 590 « trovandosi il territorio pontino allagato 
dalie acque che ne impedivano la coltivazione, un Cornelio Cetego pensò a 
liberamelo, e lo liberò di fatto » (Mg.). 

550. Indi il possente, ecc. : Le acque avevano di nuovo impaludato il ter 
ritorio pontino ai tempi di Giulio Cesare, ed egli pensava di ricuperarlo 

nuovamente alla coltura, allorché venne tolto di vita Il Corradini 

(lib. il, cap. 16) ed altri, a 1 quali consente il poeta , vogliono che Augusto 
abbia dato effetto a questo pensiero del suo padre adottivo , appoggiati ai 
versi 65-66 della Poetica di Orazio » (Mg.). 

553. Il volto lavorassi, ecc. : « Ciò racconta di aver fatto Orazio nel suo viag- 
gio da Roma a Brindisi (lib. i, sat. v, v. 84) : « Ora manusque tua lavimus, 
eeronia, lympha » (Mg.). 

555. Anfriso : Presso questo fiume di Tessaglia Apollo pascolò il gregge 
del re Admeto che l'aveva ospitato (Ovidio, Met. % i, 580). 

557. Il pio Traiano, eco • « Traiano, per metter riparo ai guasti cagionati 



LA PERONIADE. 245 

Che, domata con Tarmi Asia ed Europa, 

Col senno domerà la tua palude ; 

E le partiche spade e le tedesche 5G0 

In vomeri cangiate impiagheranno, 

Meglio d'assai che de' Romani il petto, 

Le glebe pometine. E qui trecento 

Giri ti volve d'abbondanza il sole 

E di placido regno, infln che il goto 505 

Furor d'Italia guasterà la faccia. 

Da boreal tempesta la ruina 

Scenderà de' tuoi campi ; ma del pari 

Un'alma boreal, calda e ripiena 

Del valor d'occidente, al tuo bel regno 570 

Porterà la salute. E poi di nuovo 

(Che tal de' fati è il corso) alto squallore 

Lo coprirà; nò zelo, arte possanza 

Di sommi sacerdoti all'onor primo 

Interamente il renderan, che l'opra 575 

Immortai, gloriosa ed infinita 

Ad un più grande eroe serba il destino. 

Lo diran Pio le genti, e di quel nome 

Sesto sarà 

5S0 

alla via Appia dalle acque della palude Pontina, fece eseguire alcune opere 
che giovarono eziandio ad asciugare il territorio adiacente » (Mg.). 

560. Le partiche , ecc. : Le spade tolte ai Parti e ai Germani vinti da 
Traiano serviranno più utilmente a fendere le zolle pontine. Cfr. i vv. 42 e 
sgg. dell'Invito d'un solitario ad un cittadino. 

567. Da boreal tempesta, ecc.: « Era natuiale che per le irruzioni dei 
Barbari, che posero a soqquadro ogni cosa dell' Impero romano , anche i 
campi pontini restassero nuovamente sommersi dalle acque. Però, essendo 
re o/Italia Teodorico, di nazione ostrogoto, un illustre discendente dei Decii, 
per nome Cecilio Mauro Basilio Decio ... si offerse a lui d'asciugare quei 
terreni e di ridonarli alla coltivazione. L'offerta venne accolta coll'onore 
che meritava ; e l'opera fu condotta a termine in ogni sua parte perfetta- 
mente » (Mg.). 

573. Né zelo, ecc. : « Le acque però tornarono quando che fosse a impa- 
dronirsi di que' luoghi che mai non poterono esserne liberati daddovero, 
per quanto vi rivolgessero le loro cure Bonifazio Vili, Martino V, Eugenio IV 
ed i suoi successori lino ad Alessandro vi, Leone X, Sisto V, Innocenzo XH, 
Clemente XI, Clemente XIII, ecc. ...» (Mg.). 

579. Sesto sarà : Colle lodi di Pio VI rimane interrotto anche questo poe - 
metto, a cui , secondo il concetto del p., pare dovessero mancare pochi 
versi, che in una lettera del 19 aprile 1827 a Samuele Iesi fa sapere che 
ormai la pessima salute non gli permetteva di finirlo : « A dar fine alla Fé- 
roniade, non mi mancando che una cinquantina di versi, non sono ancora 
da tanto da poterli accozzare ». 



INDICE 



Introduzione . . ♦ I 

Tavola delle opere e delle abbreviature usate nelle note . XXIX 

PARTE I 

Liriche. 

Prosopopea di Pericle 1 

Al Signor di Montgolfier. . . 7 

Amor Peregrino 13 

Sopra la morte 18 

Sulla morte di Giuda . . 19 

Invito d'un solitario ad un cittadino 22 

Per il Congresso d'Udine 25 

Per la liberazione d'Italia 30 

Per un dipinto dell'Agricola 34 

Pel giorno onomastico della sua donna 35 

PARTE II 

Sermoni, idilli, canti. 

La bellezza dell'Universo 38 

Al principe Don Sigismondo Chigi ......... 49 

Pensieri d'amore 56 

Alla marchesa Anna Malaspina della Bastia 58 

Il Pericolo 63 

Le nozze di Cadmo e d'Ermione 71 

Il Sermone sulla Mitologia . o . . 79 

PARTE III 

Poemetti. 

In morte di Ugo Bassville 

Canto I 87 

Canto II 98 

Canto III 107 

Canto IV 119 



248 INDICE. 

Pag. 

In morte di Lorenzo Mascheroni 

Canto I 134 

Canto II 143 

Canto III 153 

Canto IV ... 162 

Canto V 173 

La Feroniade 

Canto I 185 

Canto II 211 

Canto III 228 




CASA EDITRICE Dott. FRANCESCO VALLARDI - MILANO 

*m M» w ww -www ' ^^w ^w ' ir t t wv www '+ww w 

BIBLIOTECA 

DI 

Classici Italiani Annotati 

' — » — < 

VOLUM I PUB BLICATI 

Alighieri D. La Vita Nuova con introdu- 

b: zione, commento e glossano di 

Giovanni Melodia. — Volume di pag. 284 . L. 2.— 

Perini G. P° es * e sc ^lte con introduzione e 

—^- commento di Giulio Natali. — Vo- 
lume di pag. 366 -. . . . ...... L. 2. — 

JVXontì V. P° es * e con introduzione e commento 

di Guido Zaccagnìni. — Volume di 

pag. xxxv-248 . . . . . . L. 1.50 

Colletta P. Storia del Reame di Napoli 
— -1 - dal 1734 al 1852 con introdu- 
zione e commento di Camillo Manfroni. 
Voi. I. (dal Libro I al V) di pag. xxxiv-460 ,. L. 2. — 
Voi. II. (dal Libro VI al Vili) di circa pag. 432 L. 2.— 

(jaIIJ (j # Scritti Scelti con introduzione e com- 

mento di Aurelio Ugolini. — Volume 

di pag. 360. . . ; L. 2. — 

Cofll'Dllfflli J) a Cronaca con introduzione e 
£- — ^ - commento di Gino Luzzatto' 

- Un volume di pag. 240. . . ' . . . .' . L. 1.20 




\ 



1 • , > 



THE BORROWER WILL BE CHARGED 
AN OVERDUE FEE IFTHIS BOOK IS NOT 
RETURNED TO THE LIBRARY ON OR 
BEFORE THE LAST DATE STAMPED 
BELOW. NON-RECEIPT OF OVERDUE 
NOTICES DOES NOT EXEMPT THE 
BORROWER FROM OVERDUE FEES. 



a j » M^V4 




^OOKDUE * 



/> 



*